Il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, con sent. 23 dicembre 2013, in particolare, ha accolto la richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., ove sia ravvisabile l’elemento soggettivo della mala fede in capo ad una delle parti la quale “…anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale”.
Secondo la pronuncia in esame, infatti, detto comportamento andrebbe ad evidenziare un’ottica conflittuale antitetica alla nuova prospettiva alla quale sembra decisamente orientato il legislatore nell’attuale fase storica, come dimostrato peraltro, dalle reintroduzione dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione a seguito del c.d. “decreto del fare” e relativa conversione.
TRIBUNALE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE PRIMA SEZIONE CIVILE
R.G.N. 5637/2013
Il Presidente delegato,
sciogliendo la riserva che precede;
letti gli atti ed esaminati i documenti;
OSSERVA
1. I ricorrenti hanno proposto ricorso per accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’articolo 696 c.p.c. al fine di accertare le cause generanti le macchie di muffa e di umidità presenti nell’appartamento da essi condotto in locazione; la resistente ha eccepito la mancanza dei presupposti per disporre l’accertamento tecnico preventivo, evidenziando che nel caso di specie non vi era nessuna necessità di effettuare tale accertamento nella prospettiva di un giudizio, avendo la locatrice manifestato piena disponibilità ad accertare le cause delle pretese infiltrazione e ad eliminarle, disponibilità che, tuttavia, era stata vanificata dal comportamento poco collaborativo dei ricorrenti.
2. I rilievi svolti dalla resistente sono sostanzialmente condivisibili e inducono al rigetto della domanda.
In particolare, deve osservarsi che dalla documentazione prodotta dalla resistente emerge, a conforto di quanto da essa dedotto, che effettivamente sin dalle prime segnalazioni da parte dei conduttori, vi è stata piena disponibilità della locatrice a risolvere il problema delle presunte infiltrazioni; ciò si evince in particolare dalla lettera/fax del 3.04.2013 indirizzata al difensore dei ricorrenti (e ricevuta, come emerge dalla dicitura “ok” attestante la corretta trasmissione del fax), nella quale si evidenziava come la resistente avesse cercato vanamente più volte di contattare uno dei conduttori al fine di fissare un appuntamento per consentire di visionare l’immobile da un proprio operaio di fiducia.
Addirittura, nella successiva lettera del 22.10.2013, sottoscritta anche dalla locatrice, si rappresentava come, nonostante numerosi tentativi di contattare il conduttore, non fosse stato possibile accedere all’immobile con conseguente rischio di aggravamento delle condizioni dello stesso.
La circostanza che le ripetute (e documentate) richieste della locatrice di fissare un appuntamento per verificare lo stato dei luoghi – atto indispensabile per consentire al proprietario di verificare le condizioni dell’immobile e valutare gli interventi da effettuare e l’eventuale necessità di coinvolgere il condominio (cfr. lettera del 28.11.2013) – non abbiano avuto alcun esito assume rilievo decisivo; infatti, da un lato, evidenzia che nel caso di specie non può ritenersi sussistente una situazione di pregiudizio irreparabile tale da giustificare il ricorso alla tutela cautelare: è evidente, infatti, che diversamente gli odierni ricorrenti avrebbero dimostrato maggiore disponibilità e solerzia nel rispondere agli inviti della locatrice, anche nell’ottica del principio di buona fede tra le parti di un contratto di locazione, che richiede l’adozione di comportamenti collaborativi e positivi. Dall’altro lato evidenzia che, anche a voler ritenere che nel caso di specie si sia creata una situazione di pregiudizio irreparabile, a causare tale situazione è stato, in definitiva, proprio il comportamento scarsamente collaborativo dei ricorrenti che, anziché consentire l’accesso all’immobile da essi condotto, hanno preferito agire in giudizio, con conseguente aggravamento di tempi e costi per la soluzione del problema da essi lamentato. E ciò senza considerare che, per stessa ammissione dei ricorrenti, il fenomeno infiltrativo si manifestava già a pochi mesi dalla stipula del contratto di locazione (avvenuta nel 2008), il che rende ancor più evidente la mancanza di periculum in mora nel caso di specie.
Alla luce di ciò, il ricorso deve essere rigettato.
3. Quanto alle spese processuali, le stesse seguono la soccombenza e sono liquidate d’ufficio ai sensi del D.M. n. 140/12 applicando i valori medi dello scaglione di riferimento, con esclusione della voce relativa alla fase istruttoria e con riduzione del 30% delle altre voci considerata la natura sommaria del procedimento. Le spese sono liquidate con attribuzione al procuratore antistatario avv. Gloria Martignetti che ne ha fatto richiesta.
4. Va accolta, infine, la richiesta di condanna ex art. 96 comma 3 c.p.c. potendo ravvisarsi, nel caso di specie, l’elemento soggettivo della mala fede in capo ai ricorrenti, in considerazione della evidenziata e documentata disponibilità manifestata dalla resistente per risolvere il problema delle lamentate infiltrazioni del tutto ignorata prima della proposizione del ricorso ed in ordine alla quale, peraltro, è stato omesso ogni riferimento nel ricorso.
Nel caso di specie, infatti, si sarebbe potuto agevolmente risolvere il problema emerso nel corso del rapporto locatizio senza ricorrere all’autorità giudiziaria, semplicemente raccogliendo l’invito della resistente a far visionare l’immobile locato. Emblematica del comportamento posto in essere dai ricorrenti, contrario ai doveri di buona fede contrattuale, è la circostanza che il ricorso per accertamento tecnico preventivo è stato depositato il 23.10.2013, ovvero il giorno immediatamente successivo alla trasmissione del fax (del 22.10.2013) con il quale la resistente specificamente diffidava i ricorrenti, a mezzo del proprio legale, a prendere contatti al fine di poter risolvere il problema dell’accesso all’immobile, stante la persistente irreperibilità degli stessi. Infatti, anziché recepire l’invito della locatrice, che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, si è preferito adire il Tribunale, in un’ottica conflittuale decisamente lontana dalla nuova prospettiva nella quale, anche alla luce della recente reintroduzione con il c.d. decreto del fare della mediazione obbligatoria, appare muoversi il legislatore negli ultimi tempi, prospettiva che attribuisce al difensore un ruolo centrale, prima ancora che nel giudizio, nell’attività di mediazione delle controversie – al punto da prevedere, con le modifiche operate dal D.L. n. 69/2013 che gli avvocati siano di diritto mediatori e debbano assistere la parte nel procedimento di mediazione – prospettiva che tende sempre di più ad individuare nel ricorso al Tribunale l’extrema ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili.
Quanto all’importo della somma da porre a carico dei ricorrenti, la stessa può essere determinata in via equitativa, in un multiplo dell’importo liquidato per le spese processuali; in particolare, nel caso di specie, tenuto conto della natura della controversia, del valore della stessa, delle ragioni della decisione e della gravità del comportamento dei ricorrenti, questi ultimi vanno condannati, ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c., al pagamento dell’importo di euro 1.266,50, pari al doppio dell’importo liquidato a titolo di spese processuali.
P.Q.M.
1. rigetta il ricorso;
1) condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore della resistente, che liquida in euro 633,25 per compenso professionale ex D.M. n. 140/12, oltre IVA e CPA come per legge, con attribuzione al procuratore antistatario avv. Gloria Martignetti;
2) condanna i ricorrenti, in solido tra loro, ai sensi dell’art. 96 co. 3 c.p.c. al pagamento in favore della resistente di euro 1.266,50.
Si comunichi.
S. Maria C.V., 23.12.2013
Il Presidente delegato dott. Luca CAPUTO