Rinegoziazione canone di locazione commerciale e mediazione civile
Ai sensi dell’art. 1571 c.c. la locazione è il contratto con cui una parte (locatore) si obbliga a far godere all’altra parte (conduttore o locatario) una cosa mobile o immobile per un dato tempo verso un determinato corrispettivo (il canone locatizio).
Diversi possono essere i criteri di classificazione all’interno della tipologia contratto di locazione: in funzione dell’oggetto (beni mobili o immobili) ovvero, nel caso di beni immobili, della destinazione dei beni (beni immobili ad uso abitativo o ad uso diverso da quello abitativo), o ancora della tipologia di immobili, urbani e non (ad es. immobili rurali) o della tipologia di canone (contratti a canone libero ovvero a canone convenzionato).
Con riferimento alla durata, la locazione può innanzitutto rappresentare un contratto a tempo determinato: in tal caso, ai sensi dell’art. 1573 c.c., non può avere durata superiore ai 30 anni, fermo restando che, laddove la durata sia superiore a 9 anni, qualora abbia ad oggetto beni immobili, deve essere trascritto, secondo quanto previsto dall’art. 2643, n. 8, c.c.
Qualora invece il contratto risulti privo di determinazione temporale, è la legge stessa (art. 1574 c.c.) a prevedere il limite di durata, in funzione del bene che ne costituisce oggetto.
D’altra parte, le leggi speciali prevedono una durata predeterminata, dunque non derogabile dalle parti, per quanto concerne i contratti di locazione ad uso abitativo e ad uso diverso da quello abitativo.
Per quanto concerne gli obblighi incombenti sulle parti contrattuali, possono, in termini volutamente sintetici, così riassumersi:
per quanto riguarda il locatore, l’art. 1575 c.c. prevede che lo stesso sia tenuto alla consegna della cosa locata, al conduttore, in buono stato di manutenzione, al mantenimento della stessa in stato da servire all’uso convenuto ed alla garanzia del suo pacifico godimento durante la locazione;
il conduttore, da parte sua, sarà tenuto, a norma dell’art. 1587 c.c., a prendere in consegna la cosa, osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze e, naturalmente a corrispondere il corrispettivo nei termini convenuti.
Peraltro, se, come detto, tra le obbligazioni del locatore spicca quella di mantenere il bene in buono stato manutentivo, sul conduttore incombe, a norma dell’art. 1576 c.c., l’obbligo di manutenzione e di conservazione della cosa locata. Di conseguenza – ed il riferimento è di particolare momento nell’ipotesi di locazione di beni immobili – il locatore, da un lato, sarà tenuto ad eseguire tutte le riparazioni che si rendono necessarie (manutenzione straordinaria), mentre il conduttore, dall’altro, dovrà prendersi cura della minuta manutenzione (manutenzione ordinaria).
Di particolare importanza, anche dal punto di vista delle controversie generate, è l’obbligo gravante sul conduttore relativo alla restituzione del bene nello stesso stato in cui lo ha ricevuto, salvo, beninteso, il normale deterioramento derivante dall’uso. Tale obbligo di restituzione insorge alla cessazione del rapporto locatizio, dipenda la stessa dal decorso del termine, dal diniego di rinnovo da parte del locatore, dal recesso del conduttore o dalla risoluzione del contratto.
Il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata sarà obbligato, ex art. 1591 c.c., a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno. Vale a dire, sarà tenuto a corrispondere, nella misura del canone dovuto nella vigenza del contratto, una indennità di occupazione.
Con riferimento alla locazione di beni immobili, la distinzione fondamentale, come si è accennato in precedenza, è quella tra contratto di locazione ad uso abitativo e contratto di locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo.
La prima tipologia, disciplinata dalla L. 431/1998 (e, nei limiti di quanto ancora in vigore, dalla L. 392/1978, c.d. “equo canone”), ha ad oggetto contratti relativi ad immobili locati al fine di essere abitati dal conduttore e/o dalla sua famiglia.
Sotto il profilo del canone, lo stesso può essere libero o concordato.
Laddove il contratto sia a canone libero, i contraenti risulteranno liberi, per l’appunto, di determinare convenzionalmente l’ammontare del corrispettivo della locazione (canone), le modalità di pagamento dello stesso e gli altri elementi del contratto. Con i seguenti limiti, tuttavia, imposti dalla legge: la durata minima della locazione (si pensi al classico 4+4), le modalità di rinnovo (l’art. 1597, co. 1, c.c., prevede che “La locazione si ha per rinnovata se, scaduto il termine di essa il conduttore rimane ed è lasciato nella detenzione della cosa locata o se trattandosi di locazione a tempo indeterminato, non è stata comunicata la disdetta a norma dell’articolo precedente”) e la possibilità di recesso.
Nell’ipotesi di contratto di locazione a canone concordato, l’art. 2, co. 3, L. 431/1998, prevede che, in alternativa al modello contrattuale a canone libero, il corrispettivo della locazione possa essere fissato secondo quanto previsto dagli accordi locali delle organizzazioni della proprietà edilizia e delle organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative. In altri termini, il locatore non potrà determinare liberamente l’ammontare del canone, ma dovrà stabilirlo tenendo in considerazione uno specifico range, fissato dall’accordo territoriale di riferimento per il proprio Comune.
Con riferimento alla durata, i contratti a canone concordato prevedono la c.d. formula 3+2 e, successivamente alla proroga biennale, le parti possono concordare tanto il rinnovo a nuove condizioni del rapporto locatizio quanto la rinuncia al rinnovo stesso, comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni per un ulteriore biennio.
Va infine sottolineato come, ai sensi dell’art. 1, co. 2, L. 431/1998, la disciplina dettata per gli immobili ad uso abitativo non trovi applicazione con riferimento a determinate categorie di immobili e precisamente: immobili vincolati (di cui alla L. 1089/1939) e immobili di lusso (vale a dire categorie catastali A/1, A/8 e A/9, ossia abitazioni di tipo signorile, abitazioni in ville, castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici); alloggi di edilizia residenziale pubblica (in relazione ai quali si applicano le normative prodotte da specifiche fonti di rango primario, statali e regionali); alloggi locati esclusivamente per finalità turistiche.
Per quanto riguarda la locazione di immobili ad uso diverso da quello abitativo, occorre distinguere i contratti relativi ad attività stricto sensu commerciali, ossia quelle in cui l’immobile è destinato allo svolgimento di un’attività imprenditoriale come quelle industriale, artigianale, professionale, di commercio e di interesse turistico da quelli privi di finalità imprenditoriale ma che comunque prevedano lo svolgimento di attività ricreative e culturali, svolgimento di attività assistenziali o “no profit”, la destinazione dell’immobile a sede di partito o di sindacato, la qualità di conduttore assunta dallo Stato o da altri enti pubblici.
Si applica la disciplina della locazione ad uso diverso da quello abitativo anche alle pertinenze (come cantine, magazzini, garage, etc.) esclusivamente nell’ipotesi in cui siano funzionalmente collegate all’attività per lo svolgimento della quale il contratto è stipulato.
Dette tipologie contrattuali trovano la loro disciplina nella L. 392/1978 ed in particolare l’art. 80 della stessa prevede che se il conduttore adibisce l’immobile ad un suo diverso da quello pattuito, il locatore può, entro 3 mesi, chiedere la risoluzione. Decorso tale termine, al contratto si applica il regime giuridico corrispondente all’uso effettivo dell’immobile.
Ora, stante l’inclusione della materia locatizia nell’elenco di cui all’art. 5, co. 1, D.lgs 28/2010, la mediazione in detta materia si pone quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Concettualmente, le controversie in materia di locazione e di comodato di immobili urbani (e quelle di affitto di aziende, giova qui ricordarlo), sono tutte quelle comunque riferibili a un contratto di locazione, attinenti, dunque, non solo all’esistenza, validità ed efficacia dello stesso, ma anche a tutti i possibili successivi sviluppi, come quelli inerenti all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto in base alla disciplina posta dal codice civile o dalla legislazione speciale.
I casi pratici possono assumere le sembianze più svariate: si pensi, ad esempio, all’ipotesi di protratta morosità del conduttore, in cui potrà essere interesse del locatore ottenere quanto prima il rilascio dell’immobile, evitando così di perdere ulteriori canoni nell’attesa dello sfratto e della sua esecuzione forzata: a sua volta, il conduttore potrà accettare un rilascio immediato o comunque anticipato dell’immobile, al fine di non subire l’esecuzione, ed il conseguente aggravio di costi, e di ottenere una riduzione in via conciliativa relativamente ai canoni pregressi.
Ma si considerino anche – per la frequenza che le caratterizza – le ipotesi che possono configurarsi in ambito condominiale: a mero titolo esemplificativo, il caso dell’avvenuto rilascio dell’immobile con la proprietà che, tuttavia, non restituisce il deposito cauzionale in quanto risultano danni ai locali ovvero oneri condominiali non corrisposti; o, anche, il caso di lavori condominiali limitanti il diritto di godimento del conduttore che, trovandosi nella necessità di addivenire in via temporanea ad una sistemazione alternativa, chiede di essere sollevato dalle spese conseguenti a detta esigenza; o, ancora, al caso del conduttore che in presenza di problematiche infiltrative rifiuta il pagamento del canone.
In sostanza, è ben noto, alla luce della comune esperienza, come i frequenti conflitti insorgenti tra locatore e conduttore non trovino, spesso, nel lungo e costoso procedimento giudiziale la sede idonea alla risoluzione più conveniente per i reali interessi delle parti coinvolte.
Naturalmente, va ricordato, a conclusione delle brevi note che precedono, il rapporto sussistente tra specialità del rito in materia locatizia e “obbligatorietà” della mediazione: a norma dell’art. 5, co. 6, D.lgs 28/2010, “Il comma 1 e l’articolo 5-quater non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile; c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile; d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile; e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata; f) nei procedimenti in camera di consiglio; g) nell’azione civile esercitata nel processo penale; h) nell’azione inibitoria di cui agli articoli 37 e 140-octies del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206”.
Di conseguenza, nelle ipotesi di cui agli artt. 657 e 658 c.p.c. (intimazione di licenza o sfratto per finita locazione e sfratto per morosità), ben si potrà esercitare l’azione nelle forme del rito speciale, salvo, a seguito del mutamento di rito disposto ex art. 667 c.p.c., l’obbligo di avviare il tentativo di mediazione: in altri termini, nel momento in cui la cognizione da sommaria diviene piena, la mediazione in materia di contratti di locazione, ratione materiae, torna ad essere condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Luigi Majoli