11 Aprile
Luigi Majoli
MEDIAZIONE CIVILE
Con il D.M. 24 ottobre 2023, n. 150, è stato approvato il regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco degli enti di formazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’art. 16, D.lgs 28/2010 e l’istituzione dell’elenco degli organismi ADR deputati a gestire le controversie nazionali e transfrontaliere, nonché il procedimento per l’iscrizione degli organismi ADR ai sensi dell’articolo 141-decies, D.lgs 206/2005 (Codice del Consumo).
In particolare, per quanto qui di interesse, il ricorrente ha inteso contestare il detto decreto ministeriale nella parte in cui è stata introdotta la disciplina dei costi della mediazione gravanti sulle parti.
Come è noto, a seguito della c.d. riforma “Cartabia”, è stato profondamente modificato l’art. 8, D.lgs 28/2010, a tenore del quale, oggi, “Al primo incontro, il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione. Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse. Del primo incontro è redatto, a cura del mediatore, verbale sottoscritto da tutti i partecipanti” (co. 6).
In sostanza, la nuova modalità di svolgimento del primo incontro ha soppresso la fase c.d. “filtro”, nella quale cioè le parti erano chiamate ad esprimersi in ordine alla “possibilità” di “iniziare” il procedimento di mediazione, vale a dire sulla possibilità di un effettivo confronto sul merito della controversia, prevedendo l’operatività, già nel corso di detto primo incontro, dell’obbligo del mediatore di tentare il raggiungimento dell’accordo di conciliazione.
Il ricorrente lamenta, in primo luogo, la circostanza per la quale, già al momento del deposito della domanda di mediazione o dell’adesione, la parte sia chiamata a corrispondere, oltre alle spese vive documentate, un’indennità corrispondente sia alle spese di avvio del procedimento che alle spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro, prevedendosi, inoltre, ai sensi dell’art. 17, co. 4, D.lgs 28/2010, che il regolamento dell’organismo possa contemplare ulteriori somme per l’ipotesi di conclusione dell’accordo di conciliazione o per gli incontri successivi al primo.
In secondo luogo, ad avviso dell’esponente la nuova normativa, nell’integrare la previgente disciplina, avrebbe comportato un sensibile incremento dei costi complessivi che le parti sono chiamate a sostenere per la mediazione obbligatoria, oltre ad una più gravosa disciplina dell’istituto del gratuito patrocinio.
Sulla base delle considerazioni che precedono, pertanto, parte ricorrente ha ritenuto dette previsioni costituzionalmente illegittime in quanto tali da violare, da un lato, il diritto di accesso alla giustizia garantito dall’art. 24 Cost. nonché, dall’altro, le norme sovranazionali indicate nell’atto introduttivo del giudizio, con conseguente illegittimità derivata del decreto ministeriale gravato, di cui ha quindi richiesto l’annullamento, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla CGUE.
Ad avviso del Collegio, tuttavia, il ricorso non può essere accolto, risultando le previsioni normative oggetto di censura “…coerenti con lo spirito della riforma della mediazione ed immuni da vizi di incostituzionalità, siccome improntate ad un generale rafforzamento dell’istituto e, correlativamente, della professionalità dei mediatori”.
Il Giudice Amministrativo muove infatti da una premessa di ordine generale, vale a dire che già dall’art. 1, co. 4, lett. l), L. 206/2021, mostra a chiare lettere i fini ultimi della nuova disciplina, incentrata su una generale elevazione della formazione e del profilo culturale dei mediatori, considerati alla stregua di strumenti ormai indispensabili per le note finalità deflattive in relazione alle quali, sin dal 2010, la mediazione è stata introdotta nell’ordinamento italiano, venendo a porsi, tra l’altro, in un ampio novero di materia, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Proprio la ribadita obbligatorietà della mediazione e, contestualmente, il sensibile ampliamento delle materie soggette al detto regime, tra cui figurano indubbiamente controversie di maggiore complessità rispetto al passato, rappresenta secondo la pronuncia in commento un indice del “doveroso rafforzamento della professionalità dei mediatori e del funzionamento dell’istituto, che, da inutile step procedimentale per accedere alla fase giudiziaria, deve divenire, nell’ottica del legislatore, effettivo strumento di composizione e ausilio delle controversie private”.
Sulla base di tali premesse, nell’apparato motivazionale si rileva, innanzitutto, come non possa trovare accoglimento la censura con cui parte istante ha dedotto la violazione della direttiva 2008/52/CE e dell’articolo 47 della Carta di Nizza, dal momento che non risulta in alcun modo impedito alle parti processuali il diritto di accesso al sistema giudiziario. Il ricorso al giudice è infatti “…sempre consentito per determinate tipologie di provvedimenti e la stessa mediazione si atteggia quale condizione di procedibilità condizionata alla conclusione del primo incontro di mediazione”.
Proprio la maggiore efficacia dell’istituto derivante dal nuovo impianto designato dal legislatore, tale da trasformarlo da mero passaggio procedimentale a momento dialettico effettivo tra le parti in lite, con la concreta possibilità per le stesse – senza che sia preclusa la strada giudiziale – di trovare un accordo, giustifica la “…corresponsione delle spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro di mediazione (in aggiunta al costo di avvio della procedura e indipendentemente dal raggiungimento dell’accordo)”. I costi della mediazione, assai meno rilevanti rispetto a quelli derivanti dall’instaurazione di un processo, ben potranno avere la funzione di responsabilizzare le parti in ordine alla potenziale proficuità di un incontro caratterizzato dalla effettività.
Né, ad avviso dei Giudici, potrebbe non dirsi soddisfatta la necessaria proporzionalità della misura, dal momento che “…le spese in rilievo sono parametrate al valore della controversia e sono diminuite quando la mediazione è condizione di procedibilità o è imposta dal giudice” e considerando altresì che la condizione di procedibilità si considera assolta con la conclusione del primo incontro senza accordo di conciliazione.
In buona sostanza, dunque, il D.lgs 149/2022 (attuativo della legge delega e in conformità al criterio di delega previsto dall’art. 1, co. 4, lett. c) della legge delega, che richiedeva al delegato di estendere le materie della mediazione obbligatoria) ha conservato l’impianto complessivo del sistema della mediazione, come configurato dal D.lgs 28/2010, implementandolo, tuttavia, attraverso l’innesto di “…misure proporzionate ed in linea con una concezione seria dell’istituto”, il quale, come è noto, in passato, troppo spesso si è risolto in una vuota formalità che le parti finivano con il subire.
In secondo luogo, il Collegio reputa di disattendere anche la censura di illegittimità costituzionale dell’art. 5 D.lgs 28/2010 (come sostituito dall’art. 7, co. 1, lett. d), D.lgs 149/2022), e di risulta di illegittimità derivata del DM 150/2023.
In relazione alla doglianza relativa all’entità dei costi di mediazione, con conseguente pregiudizio del principio di uguaglianza (a causa della discriminazione tra cittadini con maggiori e minori capacità economiche) e del diritto di difesa, il Giudice ribadisce le argomentazioni sopra riportate.
Posto, sotto il profilo formale, che l’art. 1, co. 4, lett. a), L. 206/2021 ha attribuito in via espressa al legislatore delegato il compito di riformare la disciplina delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle indennità spettanti agli organismi di mediazione (cfr. nuovo testo dell’art. 17, co. 5, D.lgs 28/2010), a conferma, sul piano sostanziale, della ragionevolezza dell’impianto normativo si sottolinea come “…la riforma delle spese di avvio della procedura si inserisce esattamente nelle ricordate finalità di implementazione dell’istituto in termini di effettività e di efficacia, specie quando il suo avvio è condizione di procedibilità della domanda giudiziale” e che, pertanto, a fronte dello svolgimento delle attività di cui all’art. 8, co. 6, D.lgs 28/2010, risulta coerente la previsione in base alla quale “…coloro che, obbligatoriamente o volontariamente, accedono alla mediazione sono tenuti a versare all’organismo di mediazione l’indennità per i costi del primo incontro (voce composta da spese di avvio e spese di attività di mediazione)”.
La congruità dei costi introdotti dal nuovo sistema deve, inoltre, essere valutata alla luce di una regolamentazione che mira a compensare l’esborso affrontato per accedere alla procedura di mediazione. Il riferimento, naturalmente, è all’art. 20, co. 1, 2 e 3, D.lgs 28/2010, i quali prevedono il riconoscimento, in favore delle parti, “…di un credito d’imposta commisurato all’entità dell’indennità corrisposta all’organismo di mediazione e, nei casi obbligatori, anche di un credito d’imposta per il compenso corrisposto all’avvocato. Inoltre, in caso di raggiungimento di un accordo di conciliazione, alla parte che lo ha versato, viene riconosciuto un ulteriore credito d’imposta commisurato all’importo del contributo unificato versato per la instaurazione del giudizio dichiarato estinto”. Credito d’imposta, è bene ricordarlo, garantito oggi da idonee coperture finanziarie ed in ordine al quale il DM 150/2023 ha disciplinato le modalità attraverso le quali le parti, mediante apposita piattaforma informatica, possono presentare la domanda finalizzata al riconoscimento del beneficio fiscale.
Ed infine, sul punto, non si può sottacere il fatto che i vecchi importi previsti dal precedente decreto ministeriale (tabella delle indennità di cui al DM 180/2010) non erano mai stati aggiornati.
In terzo luogo, il Collegio ha rigettato la censura di illegittimità costituzionale spiegata nei confronti dell’art. 15-bis D.lgs 28/2010, come inserito dall’art. 7, co. 1, lett. t), D.lgs 149/2022, nella parte in cui subordina il gratuito patrocinio alla condizione che sia raggiunto l’accordo di conciliazione.
Nel provvedimento in commento si osserva, a tale proposito, come “…l’assistenza legale obbligatoria nei casi in cui l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità discende dall’articolo 5, comma 1, del citato decreto. Tale scelta legislativa è stata confermata dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 10 del 2022), opportunamente richiamata dalla difesa erariale. Ne consegue che l’assistenza legale obbligatoria in mediazione è del tutto legittima, anche dopo la riforma, nei casi in cui l’esperimento della mediazione costituisca condizione di procedibilità della domanda e proprio in ragione dell’importanza della fase, che impone una dialettica informata e garantita dalla presenza dell’avvocato. Al di là di tali ipotesi, le parti non sono vincolate e possono partecipare anche senza l’assistenza di un professionista alla procedura di risoluzione alternativa delle controversie”.
Ciò posto, si sottolinea come la parte non abbiente sia ammessa al patrocinio per svolgere la mediazione alle stesse condizioni delle quali si gioverebbe in caso di giudizio, precisandosi inoltre come l’accesso al beneficio non risulti condizionato al raggiungimento dell’accordo “…in quanto tale esito è solo condizione per l’accesso, da parte dell’avvocato che ha prestato assistenza, alla speciale liquidazione o trasformazione in credito d’imposta come previsto dall’articolo 15 octies. In ogni caso, il sistema consente sempre, in caso di mancato raggiungimento della conciliazione, una volta esperita la procedura di mediazione obbligatoria e dunque soddisfatto la condizione di procedibilità, che la parte interessata possa agire giudizialmente e, in quella sede, all’esito del giudizio, chiedere in via ordinaria la liquidazione dell’assistenza offerta dall’avvocato”.
Un sistema, insomma, ad avviso del Giudice Amministrativo perfettamente equilibrato nel quale non può essere rinvenuto alcun dubbio di costituzionalità, con esclusione, dunque, di ogni ipotesi di invalidità derivata in capo al decreto ministeriale gravato.
Né, conclusivamente, può accedersi alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla CGUE, in considerazione del fatto che la nuova struttura dell’istituto appare conforme “…alle esigenze professate dalla normativa unionale, nella convinzione che esso possa fornire una soluzione conveniente e rapida per comporre le controversie in materia civile e commerciale”.
Alla luce delle considerazioni sopra sintetizzate, pertanto, il Tribunale perviene alla determinazione di respingere il ricorso in quanto infondato, con compensazione delle spese tra tutte le parti, sussistendone i presupposti di legge.
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