Le origini del conflitto: comunicazione e barriere
(di Salvatore Primiceri) – La scorsa volta abbiamo parlato della critica e di come deve essere fatta per non generare un blocco comunicativo. Oggi allarghiamo il campo ad altre situazioni. Indagando le origini di un conflitto si scopre che spesso è causato da un iniziale “tilt di comunicazione”. Sono le parole poste in specifiche forme espressive ad essere fraintese oppure ad essere mal formulate a tal punto da generare equivoci e incomprensioni.
Quante volte, ad ognuno di noi, sarà capitato di confidare qualcosa ad una persona e ricevere in cambio un feedback poco chiaro, deludente o inatteso? Quando riceviamo risposte che urtano la nostra sfera emozionale, non sempre siamo poi in grado di rielaborare il messaggio in modo razionale. Se non capiamo qualcosa di quanto ci viene detto, a volte preferiamo rifugiarsi nella rimuginazione anziché cercare di comprendere cosa non ha funzionato e fare la nostra parte nel tentare di ricomporre il malinteso con l’altro.
Rimuginare significa chiudersi in se stessi e alimentare il circolo vizioso del conflitto a tal punto da peggiorare col tempo il rapporto con l’altro interlocutore fino a raggiungere un grave livello di conflittualità dove “ogni goccia diventa buona per far traboccare il vaso”.
Ma quali sono questi difetti di comunicazione che, se non curati all’origine, rischiano di far degenerare un conflitto?
Thomas Gordon li chiama “barriere” e ne ha individuate dodici. Si tratta di risposte che la persona a cui confidiamo qualcosa può esprimere provocando però (volontariamente o meno) il blocco della comunicazione reciproca.
Poniamo che io abbia un problema. Per lavoro dovrò affrontare un viaggio ma avverto un disagio per cui metto in dubbio la mia partenza. Accenno al mio capo ufficio il problema con la frase: “Non so se sia il caso che io affronti questo viaggio”. A questo punto mi aspetto dall’altro un aiuto ad iniziare un dialogo costruttivo per cercare rassicurazioni a dubbi non ancora esplicitati in modo chiaro. Però l’altro potrebbe non essere interessato o non in grado di percepire il mio bisogno, fornendo così risposte bloccanti o (come dice Gordon) elevando barriere comunicative. Le risposte bloccanti possono essere le seguenti:
- RISPOSTA DI COMANDO. Esigere qualcosa, dirigere. Al mio problema l’altro risponde in modo autoritario: “Vacci e basta”, non indagando i veri motivi del mio disagio. Il comando è esigere qualcosa senza preoccuparsi dei bisogni degli altri, o sottovalutandoli in modo negativo (non ritiene che io possa avere motivi validi per non partire o non li vuole sapere).
- RISPOSTA CON MINACCIA. Il mio tentativo di esporre un problema viene qui non solo zittito ma addirittura subordinato ad un’eventuale conseguenza al fine di distogliermi dal proseguire. Es. di risposta bloccante al mio problema: “Se non parti ti licenzio”.
- RISPOSTA CON SENTENZA. Fare la predica è una barriera della comunicazione con cui l’altro sottintende una mia incapacità di fare le cose. Spesso il giudizio è quindi morale verso l’altro. Nel nostro esempio, la risposta giudicante potrebbe essere: “Le persone davvero responsabili non avrebbero alcun dubbio se partire o meno per questo viaggio”.
- RISPOSTA CON SOLUZIONE. Al mio problema ricevo un consiglio inutile passato per soluzione del tipo: “Beviti un buon caffè e non pensarci”. Anche questa espressione è una barriera di chi non vuol sentire nulla della mia esigenza di approfondire la questione.
- RISPOSTA CON SPIEGAZIONE. E’ un modo di sviare il dialogo minimizzando: “Che viaggio sarà mai due ore di aereo? E poi, tra due giorni sarai già di ritorno”.
- RISPOSTA CON CRITICA. Si tratta di un giudizio forte e netto, spesso ingiusto, che l’altro mi rivolge: “Sei davvero un fannullone”.
- RISPOSTA CON ELOGIO. Esattamente come nel caso della critica distruttiva anche l’elogio apertamente falso ed esagerato può generare barriera nella comunicazione. Es: “Sei l’unico che può partire perché sei il più bravo e intelligente di tutti”.
- RISPOSTA CON ETICHETTA. Ridicolizzare la mia persona e l’eventuale mio problema: “Siamo all’asilo? I bambini si comportano come te”.
- RISPOSTA CON DIAGNOSI/INTERPRETAZIONE. Tale barriera viene posta da chi pretende di analizzare la mia frase giungendo però frettolosamente a conclusioni che riguardano la mia persona: “Ho capito. Vuoi mettere in discussione il mio piano aziendale per rendermi antipatico agli altri”.
- RISPOSTA CON COMPASSIONE. L’altro pensa che io abbia solo bisogno di essere consolato: “Hai tanti problemi e sei stanco, vero?”
- RISPOSTA CON INQUISIZIONE. L’altro prende le mie parole come sospette e le mette subito in dubbio: “Cosa stai escogitando?”
- RISPOSTA CON ELUSIONE. Distrarre la mia richiesta di dialogo con una risposta sarcastica o fuori argomento: “Che cravatta bizzarra che indossi oggi!”.
Cosa deduciamo?
- Tutti i dodici esempi trasmettono incomprensione da parte di chi ascolta.
- Spesso l’incomprensione delle parole lascia intendere anche incomprensione della persona.
- Le barriere nascondono messaggi sottesi che svogliano dal proseguire il dialogo. Es. giudizi sulla persona, tentativi di diagnosi, senso di inopportunità dell’argomento.
Gordon definisce le barriere comunicative come il linguaggio della non-accettazione.
Occorre chiarire che non sempre tali risposte generano un blocco e un conflitto. Dipende, infatti, molto dal grado di confidenza tra le persone, dal tipo di rapporto e dal tipo di contesto in cui si svolge il dialogo. Le eventuali differenze di ruolo (es. capo-dipendente, mamma-figlio) non devono rilevare ai fini di un corretto dialogo basato su ascolto reciproco e rispetto. Molto dipende anche dal cosiddetto linguaggio non verbale: tono della voce, espressione facciale, gestualità. E’ per questo motivo che, nella realtà contemporanea, tali blocchi sono sempre più diffusi nella comunicazione sui social network. Nella comunicazione virtuale, infatti, si pone significato totale alle parole che non possono essere attenuate da atteggiamenti non verbali, essendo essi non visibili. Per questo il tono di una frase via email o in chat può essere solo interpretato dalla sequenza delle parole. Tale analisi non porta sempre a risultati certi ed è per questo che molti conflitti di oggi nascono per via di fraintendimenti attraverso strumenti di comunicazione elettronici (sms, email, messenger, etc.).
Come fare?
La soluzione è l’ascolto attivo di cui spesso abbiamo parlato. Aprirsi all’altro che, il più delle volte, ha solo bisogno di essere ascoltato e non pretende né cerca che qualcuno gli risolva il problema. Il dialogo basato sul vero ascolto nel rispetto dei tempi, dell’alternanza, dell’assenza di giudizio, pone le persone in uno stato di serenità e di reciproca comprensione. Tale strategia deve essere utilizzata in ogni ambiente, dal lavoro alla famiglia, dalle amicizie alle semplici relazioni del quotidiano. L’ascolto attivo incoraggia il dialogo e permette di far emergere i reali problemi e bisogni sottesi al nostro primo approccio comunicativo.
Ma approfondiremo in una prossima puntata. Nel frattempo impegniamoci ad analizzare quante volte abbiamo posto barriere comunicative con altre persone e quante volte le abbiamo trovate alzate da altri con cui tentavamo di rapportarci. Impariamo ad abbatterle.
Salvatore Primiceri
LETTURE CONSIGLIATE:
- Relazioni efficaci, Come costruirle, come non pregiudicarle di Thomas Gordon – La Meridiana.
- Come affrontare i problemi di tutti i giorni. Può un problema trasformarsi in un’occasione? di Pino De Sario – Newton Compton.