Risarcimento del danno da insidia stradale: Roma Capitale deve partecipare effettivamente alla mediazione
Commento:
Il Tribunale di Roma, nell’ambito di una controversia relativa a risarcimento del danno derivante da insidia stradale, disponendo la mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, “impone” a Roma Capitale la partecipazione “personale” al procedimento, affinchè lo stesso possa svolgersi effettivamente, senza risolversi in una vuota formalità che – ricorda il Giudice – non potrebbe in alcun modo comportare l’avveramento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Come è noto, infatti, ove il giudice disponga la mediazione in corso di causa, sia che si tratti di una materia rientrante nell’obbligatorietà, indipendentemente dal fatto che un tentativo con esito negativo sia stato già esperito ante causam, sia che si tratti di materia in cui la procedura conciliativa è facoltativa, la procedibilità del giudizio a quo risulta comunque condizionata all’esperimento del tentativo di mediazione.
Cosa deve intendersi per tentativo di mediazione ai fini del realizzarsi della condizione di procedibilità della domanda?
La giurisprudenza appare sempre più incline a ritenere – sulla scorta dei principi originariamente enunciati dalle ordinanze 17 e 19 marzo 2015 del Tribunale di Firenze – che la mediazione debba essere effettiva, ossia che le parti, assistite (non sostituite) dai propri avvocati, tentino personalmente una soluzione conciliativa della controversia tra loro insorta, così da ergersi ad autentiche protagoniste, come logica della mediazione vuole, della vicenda (auspicabilmente) conciliativa.
Le considerazioni che precedono debbono considerarsi tanto più pregnanti ove svolte con riferimento alla mediazione delegata.
Mediazione delegata, che, giova ricordarlo, all’indomani della l. 98/2013, non presenta più – come nel modello originario – le sembianze di un mero invito rivolto alle parti, risultando oggi “disposta” dal giudice. E tale da costituire, in primo grado ed in appello, condizione di procedibilità dell’azione.
Innovazione di notevolissimo rilievo, dato che il Giudice è oggi chiamato a svolgere una “prognosi di mediabilità” della controversia al cui esito la lite dinanzi a sé pendente risulta, per l’effetto, condizionata nella sua procedibilità.
Novella, quella in parola, ancor più notevole ove poi si consideri la contestuale entrata in vigore dell’art. 185 – bis c.p.c., che ha introdotto, come è noto, la c.d. mediazione “endoprocedimentale”, con la quale il giudice stesso può formulare una pronuncia transattiva o conciliativa da sottoporre alle parti, eventualmente cumulabile, ove non accettata dalle parti, alla mediazione disposta ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
Ora, in un simile contesto, non sembra che la condizione possa considerarsi soddisfatta all’esito di un mero incontro “informativo” tra parti e mediatore.
Così opinando, infatti, quello che risulterebbe effettivamente obbligatorio non sarebbe altro che il primo incontro delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) con il mediatore, che il più delle volte varrebbe soltanto ad esprimere la “volontà” delle stesse contraria all’ingresso nel procedimento al fine di addivenire alla formazione di un verbale negativo che consenta di assolvere la condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Insomma, un mero orpello formale. Con conseguente svuotamento di ogni significato della mediazione sul piano deflattivo e sul quello, in prospettiva ancor più importante, culturale.
Il Giudice, in altri termini, finirebbe con il disporre una tediosa formalità dinanzi al mediatore volta ad accertare la mera “volontà” di non mediare, con conseguente ulteriore appesantimento dei tempi di giustizia.
Di qui, il progressivo svilupparsi dei principi di effettività e di partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione.
Ora, nell’apparato motivazionale della pronuncia del Tribunale di Roma in commento, si muove dalla considerazione che l’Ente Roma Capitale ha assunto, quale propria “strategia” a fronte delle istanze di mediazione proposte nei suoi confronti, quella di non partecipare – sistematicamente – al relativo procedimento.
Osserva infatti il Giudice che Roma Capitale, quanto meno con riferimento alle controversie derivanti da insidia stradale, “…è usa NON partecipare, pur quando ritualmente convocata, in mediazione”.
Il Tribunale ipotizza che un siffatto atteggiamento “…derivi dalla convinzione che in molti casi le domande che sono sottese a richieste di risarcimento di danni in subiecta materia incontrino difficoltà probatorie nonché di altro genere e che pertanto sia inutile, ove convocati, aderire all’invito di partecipare all’esperimento di mediazione”.
A fronte di un simile habitus mentale, nell’ordinanza si osserva, da un lato, che “…quand’anche una ridotta percentuale di cause meritasse positiva considerazione da parte del soggetto proprietario delle strade urbane (Roma Capitale), proprio in considerazione di ciò NON sarebbe giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione”; dall’altro, si sottolinea come “…l’eventuale deprecata scelta di una condotta agnostica, immotivatamente anodina e deresponsabilizzata dell’amministrazione pubblica la potrebbe esporre a danno erariale sotto il profilo delle conseguenze del mancato accordo sulla proposta del giudice e/o dell’invio in mediazione comparativamente valutato rispetto al contenuto della sentenza”.
Conseguentemente, il Giudice richiede l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione delegata, “…laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa”.
Rinvia poi ad una successiva udienza nella quale “…le parti, in caso di accordo, potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 e 96 III° cpc” .
In sostanza, dunque, e al netto, nella presente sede, da ogni ulteriore considerazione in tema di danno erariale: una scelta che consista nell’ignorare puramente e semplicemente il procedimento di mediazione, in presenza di rituale convocazione, non appare in alcun modo giustificabile, vieppiù ove posto in essere da una Pubblica Amministrazione.
Con le conseguenze, sul piano del successivo giudizio, che ciò può comportare.
Se appare del tutto contraddittorio con la ratio legis un atteggiamento volto a depotenziare in fatto la mediazione delegata dal giudice riducendone lo svolgimento ad una mera presenza delle parti (o, peggio, dei soli rispettivi legali) dinanzi all’Organismo di mediazione, a fortiori le stesse considerazioni devono valere in presenza di una sorta di “opzione zero”, consistente, come in precedenza evidenziato, nella aprioristica diserzione a fronte di qualsivoglia chiamata in mediazione, come se quanto disposto dalla legge fosse, in qualche modo, disponibile da chi, in quanto soggetto preposto istituzionalmente alla cura di interessi pubblici, al rispetto della stessa dovrebbe essere (e sentirsi) tenuto quanto e più di altri.
Testo integrale:
Roma 19.2.2015
RG.48207-11
TRIBUNALE di ROMA Sez.XIII°
ORDINANZA
Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti, osserva:
Va riservato all’esito di quanto segue la decisione sulla ammissione di ulteriori mezzi istruttori.
Si ritiene che in relazione a quanto emerso allo stato degli atti (1) le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo.
Invero nel caso di specie si impone una considerazione di carattere generale.
Roma Capitale, per quella che è la assoluta esperienza di chi scrive, è usa NON partecipare, pur quando ritualmente convocata, in mediazione.
Quanto meno per questo genere di cause (insidie stradali).
Si potrebbe ipotizzare che tale scelta derivi dalla convinzione che in molti casi le domande che sono sottese a richieste di risarcimento di danni in subiecta materia incontrino difficoltà probatorie nonché di altro genere e che pertanto sia inutile, ove convocati, aderire all’invito di partecipare all’esperimento di mediazione.
Ove mai l’esistenza di una tale scelta pregiudiziale e generalizzata non esista, non sarebbe da aggiungere altro.
In caso contrario, occorre richiamare l’attenzione dell’Ente Territoriale sulla circostanza che quand’anche una ridotta percentuale di cause meritasse positiva considerazione da parte del soggetto proprietario delle strade urbane (Roma Capitale), proprio in considerazione di ciò NON sarebbe giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione.
Tale segnalazione assume vieppiù un pregnante ed elevato significato nonché una severa efficacia in presenza di un invio in mediazione demandata dal Giudice, che presuppone il previo effettuato vaglio, l’ esame e la valutazione degli atti di causa da parte del magistrato che l’ha disposto.
Considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una soluzione conciliativa, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per tutte le parti. Trattandosi, quanto alla convenuta (Roma Capitale) di amministrazione pubblica, si rammenta che, laddove ciò dovesse essere utile per pervenire ad un accordo conciliativo, non vi sono ostacoli a che il funzionario delegato possa gestire la procedura e, nell’ambito dei poteri attribuitigli, concludere un accordo.
Ricorrendone i presupposti, anche osservando le indicazioni contenute nelle linee guida in materia di mediazione nelle controversie civili e commerciali per l’attuazione dei procedimenti di mediazione di cui al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante “Attuazione dell’art. 60 della Legge 18 giugno 2009, n.69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali” circolare DFP 33633, 10/08/2012 n. 9/2012 per le amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001.
Vale altresì sottolineare che l’eventuale deprecata scelta di una condotta agnostica, immotivatamente anodina e deresponsabilizzata dell’amministrazione pubblica la potrebbe esporre a danno erariale sotto il profilo delle conseguenze del mancato accordo sulla proposta del giudice e/o dell’invio in mediazione comparativamente valutato rispetto al contenuto della sentenza.
Conseguenze che, in relazione alle circostanze del caso concreto, sarebbe doveroso segnalare agli organi competenti.
Alle parti si assegna termine fino all’udienza di rinvio per il raggiungimento di un accordo amichevole.
Va fissato il termine di gg. 15, decorrente dal 15.3.2015, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del decr.legisl. 4.3.2010 n.28; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28), della controversia in atto.
Va evidenziato che ai sensi e per l’effetto del secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/’10 come modificato dal D.L.69/’13 è richiesta l’effettiva partecipazione al procedimento di mediazione demandata, laddove per effettiva si richiede che le parti non si fermino alla sessione informativa e che oltre agli avvocati difensori siano presenti le parti personalmente; e che la mancata partecipazione (ovvero l’irrituale partecipazione) senza giustificato motivo al procedimento di mediazione demandata dal giudice oltre a poter attingere, secondo una sempre più diffusa interpretazione giurisprudenziale, alla stessa procedibilità della domanda, è in ogni caso comportamento valutabile nel merito della causa.
All’udienza di rinvio, le parti, in caso di accordo, potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano le loro posizioni al riguardo, anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai sensi degli artt. 91 (2) e 96 III° cpc (3).
P.Q.M.
DISPONE che le parti procedano alla mediazione demandata, ai sensi dell’art.5 comma secondo del decr.lgsl. 28/2010, della controversia;
INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art.4, co.3° decr.lgsl.28/2010, e specificamente della necessità di partecipare effettivamente e di persona (4), assistiti dai rispettivi avvocati, al procedimento di mediazione; riservandosi in caso contrario di convocare le parti;
INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art.5, co.2° e che ai sensi dell’art.8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa;
VA fissato il termine di gg.15, decorrente dal 15.3.2015, per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del dec.lgs.28/10;
RINVIA all’udienza del 3.12.2015 h.9,30 per quanto di ragione.-
Roma lì 19.2.2015
Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi
Note:
(1) Viene dedotta la presenza di una buca posta fra due tombini all’interno della quale l’attore sarebbe sprofondato rimanendovi incastrato con tutto l’arto destro sino alla sommità della coscia. E’ stata altresì espletata una consulenza medica dalla quale le parti potrebbero trarre utili elementi conoscitivi e facilitativi al fine del perseguimento di un accordo. Nel caso di specie: a) è intervenuta la Polizia Municipale che ha riscontrato l’esistenza di una pericolosa buca; b) solo a seguito dell’intervento è stato provveduto a metterla in sicurezza; c) sono state prodotte significative fotografie della dedotta “insidia”. E’ nota la rigorosa giurisprudenza che fa onere al committente (proprietario del sedime) di dimostrare l’esistenza di specifici requisiti (vale a dire la solidità e adeguatezza dell’impresa incaricata e la mancanza di inframmettenze) affinché la responsabilità per danni sia addebitabile al solo appaltatore. Sul primo requisito Roma Capitale nulla ha dedotto e provato.
(2) Art.91 co.1° seconda parte cpc : se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92
(3) Art.96 III° cpc: in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata.
(4) Per le persone giuridiche, pubbliche o private, “di persona” va riferito al soggetto – incaricato da chi è titolare del diritto oggetto della controversia – che ne abbia, ai fini che qui interessano, la rappresentanza, con la possibilità di disporre del diritto nell’ambito dei poteri conferitigli