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Tribunale di Roma, sez. XIII, ordinanza 16 luglio 2015.

 

Nell’ordinanza in esame il Tribunale di Roma, adito in sede di accertamento tecnico preventivo ex art. 696 – bis c.p.c., demanda comunque in mediazione le parti, illustrando alle stesse i tangibili vantaggi, in termini di efficienza ed economicità, senza sacrificio alcuno per i diritti fondamentali, che potrebbero derivare dalla nomina di un consulente tecnico da parte dell’Organismo di mediazione, all’interno, quindi, del relativo procedimento.
L’accertamento tecnico preventivo ex art. 696 – bis c.p.c. era stato proposto in relazione a danni alla persona occorsi a seguito di incidente stradale e, nella contumacia del conducente della vettura antagonista, si costituiva la Compagnia assicuratrice.
Il Tribunale aveva modo di riscontrare che non vi era contestazione fra le parti circa l’esistenza e le modalità del sinistro, ma solo sulle conseguenze derivatene, relativamente ai danni alla persona del ricorrente.
In considerazione di tali elementi in fatto, il Giudice riteneva di prospettare alle parti un’alternativa a quella, usuale, della nomina, certamente pertinente al caso di specie, di un consulente tecnico di ufficio e, in particolare, l’introduzione di una procedura di mediazione, nell’ambito della quale le parti avrebbero potuto invitare e sollecitare il mediatore alla nomina di un consulente tecnico esperto in medicina legale.
Occorre preliminarmente rammentare che, a norma dell’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’art. 696 – bis c.p.c., non trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 1 – bis e 2, vale a dire quelle relative alla mediazione obbligatoria ed a quella delegata dal giudice.
Pertanto, “…l’invito di questo giudice, nel caso in esame, non va iscritto in tali moduli procedimentali, per gli effetti che ne possono scaturire, ma piuttosto quale percorso volontario concordato dalle parti all’esito della prospettazione da parte del giudice delle evidenti maggiori utilità di una buona mediazione”.
Ciò posto, l’ordinanza si sofferma su due aspetti di notevole importanza.
Innanzitutto, la possibilità di nomina di un consulente nel procedimento di mediazione è espressamente prevista dalla legge. Infatti, l’art. 8, co. 4, D.lgs. 28/2010 prevede che “quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti”.
In secondo luogo, si evidenzia come “…anche nel caso di mancato accordo, la consulenza in mediazione ed in particolare la relazione dell’esperto elaborata e depositata in quel procedimento non è un atto privo di utilità successive, potendo essere prodotto ed utilizzato nella causa che segue alle condizioni, nei limiti e per gli effetti che la giurisprudenza ha motivatamente elaborato”.
In tal senso, infatti, si sono già espresse diverse pronunce: ad esempio, tra le più recenti, Tribunale di Parma, sez. I civile, ordinanza 13 marzo 2015, in cui si evidenzia come non sia certamente sostenibile, in termini aprioristici, che le perizie realizzate nel corso del procedimento di mediazione non siano utilizzabili in causa sulla base di una asserita collisione con le previsioni di cui agli artt. 9 e 10 D.lgs 28/2010 (obbligo di riservatezza e inutilizzabilità delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite in mediazione). In particolare, il tema era stato già affrontato deala medesima sezione XIII romana, con l’ordinanza 17 marzo 2014.
In quest’ultimo provvedimento, peraltro all’interno di una assai articolata motivazione, premesso che ai sensi dell’art. 8, co. 4, D.lgs 28/2010, la possibilità di nomina di un consulente tecnico esterno sussiste “…solo laddove siano assenti o carenti non solo nel mediatore titolare ma anche in quello eventuale, ausiliario, le competenze tecniche specifiche e necessarie per il caso oggetto del procedimento”, si passano al setaccio le possibilità in concreto esistenti – alla luce dell’esigenza di rispetto dei principi di riservatezza propri della mediazione – circa l’utilizzabilità processuale delle risultanze peritali acquisite nel corso del procedimento conciliativo.
Osservava, oltre un anno fa, il Giudice romano come “…riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell’accordo. E’ sufficiente evidenziare, per dimostrarlo, che le parti in mediazione possono essere tentate, per il timore della sua circoscritta utilità, di rifiutarsi (e sicuramente ciò accade di frequente) di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato nella materia potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto.Si pensi all’accertamento, a mezzo di una consulenza medica, dei danni alla persona in presenza di una domanda di risarcimento a seguito di un qualsiasi evento (RCA, responsabilità medico-sanitaria e via dicendo)”.
Si tratta, dunque, ad avviso del Tribunale, di una strada non solo praticabile, ma anche vivamente consigliabile, ove si tenga conto del fatto che le parti potranno sottoporre al consulente, di comune accordo, mediante la fattiva presenza e collaborazione del mediatore, i quesiti che meglio rispondano agli interessi coinvolti nella lite nonché della circostanza che “… i costi della consulenza in mediazione, che le parti sopporteranno in pari misura, anche tenuto conto delle modeste indennità di mediazione previste dalle norme, sono senz’altro più vantaggiosi (e prevedibili, attesa la possibilità di previa interlocuzione con l’organismo, di cui è impensabile una corrispondente in sede giudiziale) rispetto a quelli della causa”; per non parlare, poi, del fatto che i tempi di svolgimento e conclusione del percorso di mediazione (neppure soggetto alla sospensione feriale) sono più brevi, disponibili dalle parti e meno formali di quelli del procedimento giudiziale.
Naturalmente, affinchè il delineato percorso si riveli fruttuoso ed i prospettati vantaggi possano essere concretamente conseguiti, occorre che le parti si rivolgano ad un organismo (a scelta del ricorrente, o congiuntamente di entrambe le parti) “…serio ed efficiente, dotato di mediatori onesti e competenti; con assoluta esclusione di quegli organismi e di quei mediatori che perseguano solo un interesse di lucro connesso all’offerta di una rapida rimozione, ancora da molti istanti ricercata (ed illusoriamente immaginata, vista la ormai diffusa giurisprudenza che richiede l’effettività del percorso di mediazione), della condizione di procedibilità della causa in presenza di mediazione obbligatoria o demandata”.
Un’opportunità dunque da tenere comunque presente, anche nell’ipotesi di atteggiamenti ostruzionistici messi in atto dalla parte invitata in mediazione. L’eventuale mancata partecipazione di quest’ultima, infatti, non impedisce alla parte istante di richiedere al mediatore la nomina di un tecnico al fine di esperire un accertamento peritale che sarà dunque pienamente utilizzabile all’interno del successivo giudizio, e che, ovviamente, consentirà al procedimento di mediazione, seppur limitatamente alla parte istante, di entrare nel merito della controversia, evitando una altrimenti ineludibile conclusione negativa, all’esito del primo incontro, per mancata partecipazione della parte chiamata.
Dott. Luigi Majoli

Testo integrale:

RG. n. 82273-14
TRIBUNALE di ROMA SEZIONE XIII°
O R D I N A N Z A

Il Giudice,
dott. Massimo Moriconi,
letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:

-1-
E’ stato proposto da C.C. accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’art.696 bis in relazione ai danni alla persona subiti e lamentati a seguito di un incidente stradale occorsogli, mentre era alla guida di motociclo di sua proprietà, in data 31.3.2014.
Nella contumacia del conducente dell’autovettura antagonista, si costituiva la compagnia assicuratrice spa Unipol Sai Assicurazioni.
Sentiti i difensori delle parti presenti (ricorrente ed assicurazione), emergeva che non vi era contestazione fra le parti circa l’esistenza e le modalità del sinistro, ma solo sulle conseguenze derivatene, relativamente ai danni alla persona del ricorrente.
Il giudice prospettava alle parti un’alternativa a quella, usuale, della nomina, sicuramente possibile e pertinente alla fattispecie concreta, di un consulente tecnico di ufficio e precisamente l’introduzione di una procedura di mediazione, nell’ambito della quale le parti avrebbero potuto invitare e sollecitare il mediatore alla nomina di un consulente tecnico esperto in medicina legale (1).
In particolare il giudice segnalava le seguenti circostanze: la possibilità di nomina di un consulente nel procedimento di mediazione è espressamente prevista dalla legge (2);
anche nel caso di mancato accordo, la consulenza in mediazione ed in particolare la relazione dell’esperto elaborata e depositata in quel procedimento non è un atto privo di utilità successive, potendo essere prodotto ed utilizzato nella causa che segue alle condizioni, nei limiti e per gli effetti che la giurisprudenza ha motivatamente elaborato (3);
le parti potranno sottoporre al consulente, di comune accordo, mediante la fattiva presenza e collaborazione del mediatore, i quesiti che meglio rispondano agli interessi coinvolti nella lite (4);
i costi della consulenza in mediazione, che le parti sopporteranno in pari misura, anche tenuto conto delle modeste indennità di mediazione previste dalle norme, sono senz’altro più vantaggiosi (e prevedibili, attesa la possibilità di previa interlocuzione con l’organismo, di cui è impensabile una corrispondente in sede giudiziale) rispetto a quelli della causa;
i tempi di svolgimento e conclusione del percorso di mediazione (neppure soggetto alla sospensione feriale) sono più brevi, disponibili dalle parti e meno formali di quelli del procedimento giudiziale;
la possibilità, least but non last, che il consulente in mediazione, compensato in ogni caso a forfait per il suo lavoro, secondo le usuali convenzioni che i migliori organismi di mediazione intrattengono con i consulenti, possa operare realmente a fini conciliativi, sviluppando un’utile sinergia con il mediatore (5)
A fronte di tali indubbi aspetti positivi del percorso mediatorio, il giudice avvertiva però che tali vantaggi potranno essere conseguiti:
solo laddove venga compulsato un organismo, a scelta del ricorrente, o congiuntamente di entrambe le parti, serio ed efficiente, dotato di mediatori onesti e competenti; con assoluta esclusione di quegli organismi e di quei mediatori che perseguano solo un interesse di lucro connesso all’offerta di una rapida rimozione, ancora da molti istanti ricercata (ed illusoriamente immaginata, vista la ormai diffusa giurisprudenza che richiede l’effettività del percorso di mediazione), della condizione di procedibilità della causa in presenza di mediazione obbligatoria o demandata;
solo allorché il mediatore, capace e preparato, sappia orientare la (sua) scelta e propiziare l’attività del consulente nominato (fra i C.T.U. del tribunale) nell’alveo di un percorso rispettoso dei fondamentali principi che devono essere considerati dal consulente anche in ambito non giudiziario, qual è la mediazione, ed in particolare il rispetto del contraddittorio; l’astensione dall’acquisizione in mancanza del consenso, delle dichiarazioni delle parti; il contenimento dell’attività di consulenza nel perimetro dei quesiti che le parti di comune accordo abbiano inteso demandargli, etc.. (cfr. l’ordinanza citata in nota per l’esposizione di un decalogo delle regole che devono essere rispettate dal consulente in mediazione).
I difensori delle parti concordavano con il giudice sulla utilità e convenienza di tale percorso mediatorio, sicché occorre provvedere di conseguenza.

-2-
L’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 prevede al quarto comma lettera C) che nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile non si applichino i commi 1-bis e 2.
Vale a dire che le prescrizioni relative alla mediazione obbligatoria ed a quella demandata non si applicano al presente procedimento.
Ne consegue che l’invito di questo giudice, nel caso in esame, non va iscritto in tali moduli procedimentali, per gli effetti che ne possono scaturire, ma piuttosto quale percorso volontario concordato dalle parti all’esito della prospettazione da parte del giudice delle evidenti maggiori utilità di una buona mediazione.

P.Q.M.

a scioglimento della riserva,
• FISSA termine fino al quindicesimo giorno dalla comunicazione del provvedimento per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di mediazione;
• RINVIA all’udienza del 10.12.2015 h.9,30 per quanto di ragione.

Roma, lì 16.7.2015

Il Giudice, dott.cons.Massimo Moriconi
(1)- E’ bene precisare che la nomina di uno specialista medico non è la migliore scelta da effettuarsi perché di regola solo il medico legale è capace di trasformare adeguatamente le cognizioni medico-scientifiche del caso concreto in concetti ed elaborati (giust’appunto medico-legali) idonei a supportare soluzioni giuridiche, sicché o si nomina un medico legale tout court ovvero si affianca al medico legale uno specialista nella branca coinvolta.
(2)- Art.8 comma quarto del Decr.Lgsl.28/2010: Quando non può procedere ai sensi del comma 1, ultimo periodo, il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i tribunali. Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti.
(3)- cfr. Tribunale di Roma Sez.XIII° Giudice Moriconi ordinanza 17 marzo 2014
http://www.quotidianodiritto.ilsole24ore.com/notizia-stampa… del 18.3.2014
(4)- La circostanza che le parti formulino i quesiti da sottoporre al consulente in mediazione non le scioglie dalle regole del diritto ed anzi presuppone la conoscenza ed il rispetto delle regole intrinseche della consulenza (in qualsiasi sede effettuata): e così nella specie, ad esempio, il quesito relativo (lett.F del ricorso) che pretende di assegnare al consulente la valutazione del pregiudizio morale non può trovare ingresso in alcuna sede, né giudiziale né mediatoria, ove non riferito a specifici fatti pregiudizievoli per il danneggiato (che non sono stati indicati) sui quali soli potrebbe essere diretta l’attenzione del consulente
(5)- Una delle ragioni per le quali il procedimento di cui all’art.696 bis intitolato consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite è poco efficace al fine auspicato dalla norma (vale a dire la “composizione della lite” ) va ravvisato, come spesso accade nelle vicende umane, su un motivo che non ha nulla di scientifico. La norma prevede infatti che il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.
V’è però che se il consulente tentasse effettivamente di conciliare le parti, riuscendovi, non potrebbe più, per ovvie ragioni – le conclusioni della relazione possono entrare in rotta di collisione con l’accordo e la pacificazione delle parti- depositare una relazione, che è l’unica tangibile ed oggettiva prova della natura dello spessore e della rilevanza del lavoro svolto dal medesimo. In questo caso, cioé del mancato deposito della relazione, la sua legittima aspettativa di essere compensato dal giudice subirebbe una sicura e cocente delusione, per la semplice ragione che in mancanza della relazione, e benché le parti si siano conciliate proprio in virtù della sua meritevole attività in tale direzione, la norma rapporta alla relazione e solo alla relazione il compenso del C.T.U., cfr. il Decreto Ministeriale 30 maggio 2002 – Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell’autorità giudiziaria in materia civile e penale; trascurando di prevedere criteri di liquidazione dei compensi nel caso di mancato deposito, per la meritevole ragione in esame, della relazione (…art.20: qualora il parere non possa essere dato immediatamente (cioè nel caso di immediata espressione del giudizio raccolta a verbale), e venga presentata una relazione scritta, spetta al perito, per le medesime operazioni, un onorario…).
Sicché il compenso, allo stato delle normativa, in caso di conciliazione, non potrà mai essere corrispondente, e di fatto sarà sempre liquidato in misura molto inferiore, a quello spettante nel caso di mancato accordo e di espletamento completo fino al deposito della relazione da parte del C.T.U. Fattore altamente disincentivante l’attività conciliativa del consulente e sul quale un accorto e competente legislatore dovrebbe riflettere.

adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Tribunale di Milano, sez. I civile, ordinanza 7 maggio 2015.

 

Commento:

Ordinanza del Tribunale di Milano che consente di valutare appieno la portata di diverse problematiche assai ricorrenti nella pratica della mediazione.
In particolare:
1) le ragioni per le quali la risoluzione di una controversia in mediazione appaia, in determinate e frequenti circostanze, un percorso del tutto preferibile a quello ordinario rappresentato dal giudizio;
2) il fatto che la mediazione è anche (e soprattutto, ad avviso di chi scrive) un fatto culturale: trasponendo in mediazione l’approccio conflittuale proprio del processo si dimostra di non capire (o di non voler capire) quelli che sono i vantaggi, per tutti i soggetti coinvolti nella vicenda, avvocati compresi, che la procedura stragiudiziale è in grado di offrire;
3) le circostanze in presenza delle quali l’ordine del giudice, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, possa considerarsi effettivamente adempiuto e la condizione di procedibilità, per l’effetto, realizzata.
I fatti: parte attrice ha richiesto alla commercialista convenuta il risarcimento dei danni (80.000 euro) per avere la stessa svolto l’incarico conferitole senza la diligenza richiesta ex art. 1176, co. 2, c.c.
In particolare, l’inadempimento della convenuta consisterebbe nella omessa comunicazione al cliente delle scadenze di legge oltre che dell’an e del quantum delle imposte che avrebbe dovuto versare al fisco come persona fisica e come società e, inoltre, nella omessa comunicazione al cliente in ordine all’avvenuto ricevimento degli avvisi di irregolarità (avvisi bonari) con la conseguenza che le imposte dovute sarebbero lievitate di interessi, sanzioni e spese.
Dal canto suo, parte convenuta non ha contestato il conferimento dell’incarico, ma ha sostenuto di aver sempre dato comunicazione all’attore circa le imposte da pagare (producendo documentazione) e solo nell’anno 2008 (anno di imposta 2007) ha chiesto al cliente/amico, per ragioni personali e di studio, di versare a settembre quando avrebbe dovuto versare a giugno sobbarcandosi i costi del ravvedimento operoso, sottolineando, peraltro, che l’attore, pur a conoscenza delle tasse da pagare, era in realtà orientato a rinviare il più possibile i propri obblighi tributari;
Sulla base di tale situazione di fatto, rilevato che a fronte di eventuali inadempimenti della professionista sarebbero comunque alla stessa addebitabili solo i danni conseguenza immediata e diretta del suo comportamento colposo, con esclusione delle somme che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, il Giudice osserva che “…sarebbe necessario disporre una CTU contabile, richiesta anche da parte attrice, che chiarisca alcuni profili sia in ordine all’an che al quantum, ritenuto che sarebbe nell’interesse di tutte le parti trovare una composizione amichevole e transattiva della vertenza che possa consentire, tra l’altro, il risparmio delle ingenti somme della CTU contabile e le spese della prosecuzione del giudizio, ritenuto che, visti i pregressi rapporti di amicizia di parte attrice e parte convenuta (che hanno portato anche al rimborso spontaneo di €.7000,00) le stesse potrebbero utilmente sedersi ad un tavolo di mediazione, unitamente ad un funzionario della compagnia di assicurazioni che ha gestito la pratica, sfruttando il procedimento di mediazione per addivenire ad una composizione amichevole della controversia”.
Di qui, dunque, l’opzione in favore della mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, con tanto di “raccomandazione”, rivolta agli avvocati che assistono le parti, ad operare concretamente, nell’interesse delle stesse, ai fini del raggiungimento dell’auspicato accordo, “…abbandonando una certa animosità che si è registrata alla scorsa udienza e che si percepisce dagli scritti difensivi”.
Infine, il Tribunale di Milano sottolinea come la mediazione disposta dal giudice “…deve essere effettivamente svolta con la presenza di tutte le parti personalmente, assistite dai rispettivi difensori, non essendo sufficiente l’espletamento delle formalità di cui all’art.8 c. 1 del D.Lgs “.
In sostanza, come da ormai consolidata giurisprudenza sul punto (cfr. Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014, capostipiti di decine e decine di provvedimenti successivi ispirati alle stesse coordinate ermeneutiche), le ragioni della “impossibilità di iniziare il procedimento”, di cui all’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, sono individuate nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, non risultando in alcun modo previsto che le parti manifestino una sorta di volontà di intraprendere effettivamente il tentativo di mediazione.
D’altra parte, come è noto, l’art 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, prevede che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”. Pertanto, se è vero che il giudice non potrebbe esigere, ai fini del corretto formarsi della condizione di procedibilità della domanda, che il procedimento di mediazione vada oltre il primo incontro, è altrettanto indubitabile che egli possa pretendere che nel primo (ed eventualmente unico) incontro le parti, presenti personalmente ed assistite dai rispettivi difensori, entrino concretamente nel merito della controversia, al fine di tentarne effettivamente la definizione stragiudiziale.
Se uno schema siffatto deve ritenersi relativo alla mediazione in generale, vieppiù esso dovrà trovare applicazione in una forma di mediazione, come quella delegata, dal momento che una formale e “burocratica” presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a produrre la condizione di procedibilità della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dell’ordine del giudice, il quale ha già provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la “mediabilità” della controversia.
In sintesi, quindi: tentativo effettivamente svolto – in ottemperanza all’ordine del giudice, e caratterizzato dalla presenza personale – salvo casi eccezionali – delle parti.

Testo integrale:

TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Giudice dott. Anna Cattaneo,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 25.3.2015,
letti gli atti ed i documenti di causa,
sentite le parti,
rilevato che parte attrice ha richiesto alla commercialista convenuta il risarcimento dei danno, quantificati in circa 80 mila euro, per avere la stessa svolto l’incarico conferitole (predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, Irap, e Iva anni di imposta 2006-2009) senza la diligenza richiesta dalla professione esercitata ex art.1176 c.c. comma 2;
rilevato, in particolare, che l’inadempimento della XX consisterebbe, in primo luogo, nel no aver comunicato al cliente alle scadenze di legge né l’an né il quantum delle imposte che avrebbe dovuto versare al fisco come persona fisica e come società, in secondo luogo nel non aver comunicato al cliente di aver ricevuto gli avvisi di irregolarità (avvisi bonari) con la conseguenza che le imposte dovute (persone fisiche, irap e iva) sono lievitate di interessi, sanzioni e spese per circa 80 mila euro,
rilevato che parte convenuta non ha contestato il conferimento dell’incarico, ma ha sostenuto di aver sempre dato comunicazione al YY circa le imposte da pagare (producendo documentazione) e solo nell’anno 2008 (anno di imposta 2007) ha chiesto al cliente/amico, per ragioni personali e di studio, di versare a settembre quando avrebbe dovuto versare a giugno sobbarcandosi i costi del ravvedimento operoso, ha sottolineato che l’attore, pur a conoscenza delle tasse da pagare, era orientato a rinviare il più possibile i propri obblighi tributari, pertanto i ritardi nei pagamenti erano imputabili esclusivamente a lui,
rilevato che alcuni aspetti della controversia non sembrano del tutto chiariti negli scritti difensivi, né sono oggetto di prova orale,
rilevato che a fronte di eventuali inadempimenti della professionista sono allo stessa addebitabili solo i danni conseguenza immediata e diretta del suo comportamento colposo, con esclusione delle somme che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza,
ritenuto pertanto che sarebbe necessario disporre una CTU contabile, richiesta anche da parte attrice, che chiarisca alcuni profili sia in ordine all’an che al quantum,
ritenuto che sarebbe nell’interesse di tutte le parti trovare una composizione amichevole e transattiva della vertenza che possa consentire, tra l’altro, il risparmio delle ingenti somme della CTU contabile e le spese della prosecuzione del giudizio,
ritenuto che, visti i pregressi rapporti di amicizia di parte attrice e parte convenuta (che hanno portato anche al rimborso spontaneo di €.7000,00) le stesse potrebbero utilmente sedersi ad un tavolo di mediazione, unitamente ad un funzionario della compagnia di assicurazioni che ha gestito la pratica, sfruttando il procedimento di mediazione per addivenire ad una composizione amichevole della controversia, alla presenza dei rispettivi difensori i quali dovrebbero operare, nell’interesse dei loro assistiti, al raggiungimento dell’accordo, abbandonando una certa animosità che si è registrata alla scorsa udienza e che si percepisce dagli scritti difensivi,
ritenuto che la mediazione che dispone il giudice ai sensi dell’art.5 comma 2 D.Dlgs. 28/2010 deve essere effettivamente svolta con la presenza di tutte le parti personalmente, assistite dai rispettivi difensori, non essendo sufficiente l’espletamento delle formalità di cui all’art.8 c. 1 del D.Lgs. citato, proprie del primo incontro che ha la funzione meramente informativa,

P.Q.M.

Visto l’art.5 comma 2 del D.Lgs. 28/2010,
Dispone l’esperimento della mediazione e assegna termine alle parti di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione,
Precisa che la mediazione, in quanto disposta dal giudice, non può limitarsi all’incontro informativo di cui all’art. 8 co.1 , dovendo il tentativo di mediazione essere effettivamente espletato e quindi dovendo le parti personalmente partecipare alla vera e propria procedura di mediazione,
Sottolinea che l’esperimento del procedimento è condizione di procedibilità della domanda,
Fissa udienza per il giorno 7.10.2015 ore 9.40 per verificare l’esito della procedura di mediazione, riservando la decisione sulla CTU contabile e sulle prove orali articolare dalle parti.

Si comunichi.

Milano, 7 maggio 2015

Il Giudice
Dott.ssa Anna Cattaneo

sentenze mediazione civile

Tribunale di Palermo, sez. I Civile, ordinanza 29 luglio 2015

Commento:

Il Tribunale di Palermo, con la pronuncia in esame, si esprime su innumerevoli aspetti di estremo interesse concernenti l’istituto della mediazione, aspetti che vale la pena di illustrare in dettaglio subito di seguito.
Il fatto: parte attrice (Ordine dei medici veterinari di Palermo) formulava domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali (quantificati in euro 70.000) asseritamente subiti a seguito di un comunicato, di cui predicava la natura diffamatoria, apparso sul sito internet della FNOVI – Federazione Nazionale Ordini Veterinari Italiani, parte convenuta.
Quest’ultima, costituitasi in giudizio, eccepiva – tra l’altro – l’incompetenza ex art. 19 c.p.c. del Tribunale di Palermo a favore di quello di Roma – avendo la stessa sede in Roma – e la tardività della presentazione dell’istanza di mediazione – dinanzi ad un Organismo sito in Palermo – in quanto depositata il 10.11.2014, mentre la citazione era stata notificata nel mese di ottobre 2014, con conseguente mancata partecipazione al relativo procedimento.
Come appare evidente, la questione relativa alla competenza territoriale è pregiudiziale rispetto ad ogni altra, stante la sua rilevanza al fine di ritenere supportata o meno da un giustificato motivo la mancata partecipazione al procedimento di mediazione da parte della FNOVI.
Il Giudice siciliano ritiene l’eccezione infondata.
Infatti, a conclusione di un lungo contrasto giurisprudenziale sul punto, le SS.UU. della Cassazione, con sentenza n. 21661/2009 hanno statuito che nel giudizio per il risarcimento dei danni derivanti “…dal pregiudizio dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, la competenza per territorio si radica, in riferimento al ‘forum commissi delicti” di cui all’ari. 20 cod. proc. civ., nel luogo del domicilio (o della sede della persona giuridica) o, in caso di diversità, anche della residenza del soggetto danneggiato. Tale individuazione – che corrisponde al luogo in cui si realizzano le ricadute negative della lesione della reputazione – consente, da un lato, di evitare un criterio “ambulatorio” della competenza, potenzialmente lesivo del principio costituzionale della precostituzione del giudice, e, dall’altro, si presenta aderente alla concezione del danno risarcibile inteso non come danno evento, bensì come danno-conseguenza, permettendo, infine, di individuare il giudice competente in modo da favorire il danneggiato che, in simili controversie, è solitamente il soggetto più debole”.
Del tutto corretta risulta, pertanto, la proposizione della domanda innanzi al Tribunale di Palermo, ivi avendo la propria sede l’Ordine dei medici veterinari che lamenta di avere subito il danno da diffamazione per effetto di pubblicazione di notizia su sito internet, così come corretta è da considerarsi, di conseguenza, la presentazione dell’istanza di mediazione dinanzi a Organismo di mediazione sito nel medesimo capoluogo siculo.
Ne consegue, come chiaramente evidenziato dal Tribunale di Palermo, “…che è priva di un giustificato motivo la mancata adesione da parte della Federazione al procedimento di mediazione, stante l’infondatezza dell’eccezione di incompetenza territoriale posta a base della dichiarazione di mancata adesione alla procedura di mediazione effettuata in data 1.12.2014 ad opera della Federazione convenuta”.
In virtù di quanto precede, deve essere applicata la sanzione di cui all’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs. 28/2010, secondo cui, come ben noto, “il giudice condanna la parte costituita che (…) non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Che la disposizione in esame non lasci alcun margine di discrezionalità al Giudice appare indubbio. Se non viene addotta alcuna ragione alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione ovvero se il motivo fatto valere non è considerato dal giudice idonea causa di giustificazione, la condanna è automatica. Secondo l’art. 8, co. 4 – bis, infatti, il “giudice condanna”. Non è utilizzata l’espressione “può condannare”, che avrebbe dovuto considerarsi come indicativa di una facoltà lasciata al giudice. Incidentalmente, va rilevato che, invece, il “può” è stato impiegato nel primo periodo della disposizione in analisi, con esclusivo riferimento, quindi, all’argomento di prova ex art. 116, co. 2, c.p.c.
Ciò posto, il problema che si pone è quello relativo al momento processuale in cui deve comminarsi la sanzione in parola.
Sul punto, la ricostruzione del Giudice palermitano è particolarmente articolata e merita, pertanto, di essere adeguatamente ripercorsa.
Nell’ordinanza si muove dalla premessa secondo cui il co. 4 – bis dell’art. 8 – introdotto dalla riforma del 2013 – affondi le proprie radici, “molto probabilmente”, nel DM 145/2011, modificativo del DM 180/2010, con il quale, tra l’altro, si introduceva la regola relativa al pagamento della sola somma di euro 40,00 o 50,00 in caso di mancata partecipazione al procedimento della parte chiamata. Secondo il Giudice, in altri termini, “…introdotta un’agevolazione economica per l’istante (non essendo giusto che questi sostenesse costi, a volte anche ingenti, per un tentativo di conciliazione neppure svoltosi a causa del comportamento non collaborativo dell’altra parte), occorreva stimolare in qualche modo la partecipazione del chiamato alla mediazione. Ciò anche per evitare che si potessero creare situazioni di tacito accordo tra i litiganti al fine di non far comparire il convenuto ed andare in giudizio a modico prezzo. Ecco che per sollecitare il chiamato a partecipare al tavolo della mediazione si è pensato ad una sanzione economica come misura che bilanciasse la ridotta spesa per il caso di mediazione contumaciale e facesse riflettere bene il chiamato sull’eventuale scelta non collaborativa”.
Ora, che si tratti di una misura di carattere sanzionatorio è fuori questione, dal momento che il pagamento è ordinato non in favore di parte attrice ma dello Stato.
Non trattandosi di un rimborso delle spese per contributo unificato sostenute dall’attore, ma di una sanzione imposta dallo Stato, non sussiste la necessità che la valutazione del giudice in ordine alla stessa venga effettuata in sede di di decisione sul regime delle spese di lite in sentenza.
Certamente, si dovrà “…aspettare la scadenza delle preclusioni istruttorie di cui ai termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. o la fine della fase istruttoria quando il motivo sia allegato e si intenda provarlo per testimoni o con documenti da depositare nei detti termini. La valutazione sulla sanzione economica in questione andrà infine effettuata nella fase decisoria quando essa sia costituita, ad esempio, dalla temerarietà della lite”.
Ma ove il convenuto espliciti le ragioni della propria mancata partecipazione alla fase stragiudiziale già in comparsa di risposta o alla prima udienza, ben potrà il giudice, ove non le ritenga persuasive, pronunciare la condanna con ordinanza in quest’ultima sede e, a fortiori, ciò potrà avvenire laddove il medesimo convenuto non adduca alcun motivo a sostegno della propria diserzione a fronte della chiamata in mediazione.
Né, ad avviso del Giudice, “…può ritenersi preclusivo all’immediata comminatoria della sanzione economica in questione il fatto che non sia stata convertita in legge quella parte dell’art. 12 del decreto legge 22 dicembre 2011 n. 212 che prevedeva che tale sanzione venisse comminata “con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva”.
Ciò appare francamente condivisibile: dalla mancata conversione in parola deve conseguire non la necessaria valutazione in sentenza circa l’applicazione della sanzione ma, al contrario, una non necessaria predeterminazione, nel senso sopra chiarito, del momento processuale in cui il giudice è tenuto ad effettuare il sindacato in questione.
Come è noto, l’art. 8, co. 4 – bis, si riferisce alla sola “parte costituita”. Quindi, nel caso in cui all’assenza in mediazione si cumuli la contumacia nel successivo giudizio, la sanzione non può essere irrogata. In caso contrario, il legislatore avrebbe introdotto una sanzione, sia pure indiretta, alla contumacia, del tutto incoerente con la sua natura di ficta contestatio (e non di ficta confessio) propria ell’ordinamento italiano e, pertanto, a forte rischio di illegittimità costituzionale.
In sostanza, dunque, “…il legislatore ha introdotto la mediazione obbligatoria e cerca ora di prevedere delle condizioni che ne garantiscano l’efficace svolgimento”, innanzitutto cercando di evitare che chi voglia “…far valere le proprie ragioni in giudizio in relazione alle richieste dell’attore possa agevolmente sottrarsi al tentativo di conciliazione. Non si vuole obbligare le parti ad accordarsi, ma stimolare i litiganti a tentare di trovare l’accordo”.
Risulta pertanto del tutto consequenziale con tali premesse il fatto che chi diserta la mediazione andando poi a costituirsi in giudizio, aumentando così i carichi della giustizia civile e la ragionevole durata degli altri processi, sia chiamato a giustificare la propria assenza nella fase preprocessuale.
Nel caso di specie, secondo il Tribunale di Palermo, risultano ben chiara quale sia stata “…la ragione della mancata comparizione in mediazione della convenuta, ragione addirittura indicata per iscritto nella lettera datata 1.12.2014 inviata dalla convenuta all’organismo di mediazione. Non occorre sul punto procedere ad alcuna attività istruttoria né si deve aspettare la fase decisoria del giudizio (alla quale invece andrebbe demandata l’eventuale condanna per le ingiustificate assenze basate sull’infondatezza della pretesa avversaria), fase nella quale non si disporrebbe di elementi ulteriori rispetto a quelli di cui attualmente si dispone. Va quindi disposta con la presente ordinanza la condanna della convenuta, che non è comparsa al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, al versamento in favore dell’Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio”.
Fin qui sul momento dell’irrogazione della sanzione.
Il Tribunale passa poi all’esame della eccezione, sollevata della federazione convenuta, relativa alla tardività della presentazione dell’istanza di mediazione.
La questione non è di particolare complessità. Non assume infatti particolare rilevanza la circostanza per cui parte attrice abbia avviato il procedimento di mediazione con domanda depositata nel novembre 2014, avendo nell’ottobre precedente già notificato l’atto di citazione.
La parte interessata è sì tenuta, ai sensi dell’art. 5, D.lgs. 28/2010, ad esperire il procedimento di mediazione prima dell’instaurazione del giudizio, ma è altresì chiaro che tale adempimento costituisce mera condizione di procedibilità della domanda giudiziale, con la conseguenza che ove il Giudice riscontri il mancato esperimento della mediazione, lo stesso provvede assegnando alle parti un termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissando la successiva udienza non prima che siano trascorsi tre mesi.
In altri termini, come rileva il Tribunale, “…nei casi in cui la domanda sia priva della chiesta condizione di procedibilità per mancata previa instaurazione del procedimento di mediazione l’attore può ben dotarla di tale condizione instaurando il procedimento di mediazione nel termine assegnato dal Giudice”.
Ben più bizzarra (a dir poco…) appare la situazione venutasi a creare nel caso di specie.
Infatti, l’istanza di mediazione, presentata prima della prima udienza, ha introdotto un procedimento di mediazione mai svoltosi.
Ciò in quanto l’Organismo di mediazione adito (Organismo di mediazione forense del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo), dopo aver proceduto alla nomina del mediatore ed aver fissato la data del primo incontro di mediazione, ricevuta comunicazione dalla parte chiamata contenente formale dichiarazione di non adesione al procedimento a causa dell’asserita incompetenza territoriale, inviava alla parte istante, attrice nel successivo giudizio, una “nota” con la quale la informava che l’incontro già programmato era “annullato ed il procedimento di mediazione chiuso d’ufficio per improcedibilità” (sic!).
Un comportamento sorprendente, in quanto del tutto incomprensibile ed ingiustificato alla luce di quanto previsto dall’art. 8, D.lgs 28/2010.
Osserva infatti il Giudice come, alla luce della disposizione or ora menzionata, “…il responsabile dell’organismo di mediazione deve necessariamente fissare il primo incontro tra le parti e non può revocare tale fissazione all’esito della comunicazione della mancata adesione ad opera della parte chiamata. La procedura di mediazione è finalizzata a fare incontrare effettivamente le parti affinché le stesse tentino una soluzione amichevole della lite. L’invio da parte del chiamato di una non contemplata dichiarazione di mancata adesione alla procedura di mediazione non comporta l’aborto della procedura di mediazione. Il citato art. 8 del d.lgs. 28/2010 prevede un’eventuale mancata comparizione ma non una mancata adesione alla procedura di mediazione. Va quindi lasciato fermo l’incontro di mediazione già fissato anche in caso di ricezione da parte dell’organismo di mediazione di comunicazioni di mancata adesione”.
Conseguentemente, non essendosi svolto alcun procedimento di mediazione, in forza della “originale” trovata dell’Organismo adito, il Tribunale di Palermo non può che inviare nuovamente le parti in mediazione affinchè la relativa procedura si svolga correttamente con un incontro al quale la parte chiamata potrà anche non partecipare, assumendosene le conseguenti alee, ma che dovrà, in ogni caso, concludersi con un verbale sottoscritto dalle parti presenti e dal mediatore.
Il Tribunale precisa poi, aderendo alla ormai consolidata giurisprudenza fondatasi sul c.d. “orientamento fiorentino”, che ai fini della effettiva formazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale occorre la partecipazione personale delle parti e che queste ultime abbiano dato vita ad un tentativo effettivo di conciliazione della controversia tra loro sussistente, non potendo considerarsi sufficiente il “mancato superamento del primo incontro”, vale a dire la dichiarazione resa innanzi al mediatore di non potersi (o volersi…) procedere oltre nel tentativo, plausibilmente al solo fine di sottrarsi al pagamento dell’indennità corrispondente allo scaglione di riferimento, risultando così dovute all’Organismo le sole spese di avvio del procedimento. Si badi che, come ormai sempre più spesso tende a verificarsi, i principi di partecipazione personale delle parti e, soprattutto, di effettività del tentativo, sono ribaditi con riferimento ad una ipotesi di mediazione ante causam e non di mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
Pertanto, “…in caso di mancata comparizione personale dell’attore la sua domanda non potrà considerarsi munita di procedibilità. Se non comparirà il convenuto senza giustificato motivo dovrà nuovamente valutarsi l’applicabilità della disposizione sulla sanzione di cui al comma 4 bis dell’art. 8 del d.lgs. 28/2010”.
Ma non è tutto.
La pronuncia – che appare dunque una sorta di summa delle posizioni più evolutive sviluppate dalla giurisprudenza in tema di mediazione civile – si conclude con la formulazione di una proposta conciliativa ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c.
Una proposta che segue l’invio delle parti in mediazione non in via delegata dal giudice, giova ribadirlo, ma a seguito del mancato svolgimento del procedimento di mediazione pur effettivamente introdotto dalla parte istante, poi attrice.
Una proposta, quella del giudice, cui le parti potranno aderire, ed in tal caso potranno non comparire all’udienza fissata nell’ordinanza stessa, convogliandosi, in tal modo, il giudizio verso l’estinzione, ma anche una proposta che potrà, ove non accettata, “…costituire il punto di partenza del percorso conciliativo da intraprendere davanti al mediatore”, vale a dire suscettibile di “sviluppi autonomi”, sempre possibili in mediazione, anche alla luce della non vigenza, in quella sede, del limite della corrispondenza del chiesto al pronunciato proprio del giudizio.
Dott. Luigi Majoli

Testo integrale:

Tribunale di Palermo, sez. I Civile, ordinanza 29 luglio 2015- Giudice Ruvolo

Osserva Parte attrice ha formulato domanda di condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali (per € 70.000) che avrebbe subito a causa di una condotta di natura diffamatoria posta in essere tramite comunicato apparso su sito internet. La Federazione convenuta ha: 1) ha eccepito l’improcedibilità della domanda ex artt. 4 e 5 d.lgs. 28/2010 avendo parte attrice proposto istanza di mediazione soltanto in data 10.11.2014 (mentre la notifica della citazione risaliva all’ottobre 2014) dinanzi all’Organismo di mediazione forense del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Palermo, organismo che sarebbe stato comunque territorialmente incompetente considerato che il giudice territorialmente competente a conoscere la presente controversia andava individuato nel Tribunale di Roma avendo essa convenuta sede in Roma; 2) ha eccepito l’incompetenza territoriale del Tribunale di Palermo ai sensi dell’art. 19 c.p.c.; 3) ha eccepito il difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria, essendo, viceversa, devoluta al giudice amministrativo la cognizione delle controversie concernenti gli atti degli ordini professionali; 4) ha rilevato l’infondatezza nel merito della domanda. Con successiva nota del 4.3.20 15 la Federazione convenuta rinunciava all’eccezione relativa al difetto di giurisdizione ed a quella afferente l’incompetenza territoriale. Insisteva, invece, nell’eccezione relativa alla tardiva presentazione dell’istanza di mediazione. Orbene – rimettendo alla sentenza di definizione del presente giudizio l’esame della questione relativa al difetto di giurisdizione – va invece, adesso, valutata l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata da parte convenuta, stante la sua rilevanza al fine di ritenere supportata o meno da un giustificato motivo la mancata partecipazione al procedimento di mediazione da parte della Federazione. Al riguardo si osservi che la questione relativa all’individuazione della competenza è stata risolta da un intervento delle Sezioni Unite che con la sentenza n. 21661 / 2009 hanno posto fine al contrasto giurisprudenziale esistente sul punto statuendo che nel giudizio per il risarcimento dei danni derivanti “dal pregiudizio dei diritti della personalità recati da mezzi di comunicazione di massa, la competenza per territorio si radica, in riferimento al ‘forum commissi delicti” di cui all’ari. 20 cod. proc. civ., nel luogo del domicilio (o della sede della persona giuridica) o, in caso di diversità, anche della residenza del soggetto danneggiato. Tale individuazione – che corrisponde al luogo in cui si realizzano le ricadute negative della lesione della reputazione – consente, da un lato, di evitare un criterio “ambulatorio” della competenza, potenzialmente lesivo del principio costituzionale della precostituzione del giudice, e, dall’altro, si presenta aderente alla concezione del danno risarcibile inteso non come danno evento, bensì come danno-conseguenza, permettendo, infine, di individuare il giudice competente in modo da favorire il danneggiato che, in simili controversie, è solitamente il soggetto più debole” Visto che il soggetto danneggiato è nel caso di specie ubicato in Palermo, corretta è stata, dunque, la proposizione della domanda innanzi al Tribunale di Palermo, ivi avendo la propria sede l’Ordine dei medici veterinari che lamenta di avere subito il danno da diffamazione per effetto di pubblicazione di notizia su sito internet, così come corretta è stata, di conseguenza, la presentazione dell’istanza di mediazione dinanzi all’Organismo di mediazione forense del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Palermo. Ne consegue, dunque, che è priva di un giustificato motivo la mancata adesione da parte della Federazione al procedimento di mediazione, stante l’infondatezza dell’eccezione di incompetenza territoriale posta a base della dichiarazione di mancata adesione alla procedura di mediazione effettuata in data 1.12.2014 ad opera della Federazione convenuta, eccezione cui peraltro la stessa parte convenuta ha nel corso del giudizio rinunciato. Ciò determina l’applicazione di quanto disposto al riformato comma 5 dell’art. 8 del d.lgs. n. 28/2010 secondo cui “il giudice condanna la parte costituita che (…) non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”. La citata disposizione normativa pare, infatti, non lasciare margini di discrezionalità al giudice che è, dunque, tenuto – una volta ravvisata la mancanza di un motivo che giustifichi l’assenza di una parte al procedimento di mediazione laddove esso sia previsto, come nel caso di specie, quale condizione di procedibilità – ad applicare la sanzione di cui all’art. 4 bis. Ne discende, quindi, che la FNOVI va condannata al pagamento in favore dell’Erario della somma di Euro 5 tale essendo l’importo versato da parte attrice a titolo di contributo unificato. Deve ora esaminarsi la questione relativa al momento processuale in cui deve comminarsi la sanzione per ingiustificata, mancata comparizione al procedimento di mediazione. Al riguardo va innanzitutto premesso che il comma 4 bis dell’art. 8 del d.lgs. 28/2010 stabilisce che “il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio’. Tale modifica normativa (introdotta da ultimo nel 2013 dopo la sentenza della Corte costituzionale 272/20 12 ma identica a quella già apportata dalla legge 148/2011 di modifica del comma 5 dell’art. 8) affonda le sue radici, molto probabilmente, nel decreto ministeriale del 6 luglio 2011 n. 145 (entrato in vigore il 26 agosto) con il quale è stato modificato il D.M. 180/2010 introducendo, tra le altre cose, il pagamento della sola somma di € 40,00 o € 50,00 per il caso di mancata comparizione del chiamato. In altri termini, introdotta un’agevolazione economica per l’istante (non essendo giusto che questi sostenesse costi, a volte anche ingenti, per un tentativo di conciliazione neppure svoltosi a causa del comportamento non collaborativo dell’altra parte), occorreva stimolare in qualche modo la partecipazione del chiamato alla mediazione. Ciò anche per evitare che si potessero creare situazioni di tacito accordo tra i litiganti al fine di non far comparire il convenuto ed andare in giudizio a modico prezzo. Ecco che per sollecitare il chiamato a partecipare al tavolo della mediazione si è pensato ad una sanzione economica come misura che bilanciasse la ridotta spesa per il caso di mediazione contumaciale e facesse riflettere bene il chiamato sull’eventuale scelta non collaborativa. Che si tratti di misura sanzionatoria è reso evidente dal fatto che il pagamento non viene ordinato in favore dell’attore ma in favore dello Stato. Quest’ultimo, che ha già incassato il contributo unificato da parte dell’attore, riscuote anche un’altra somma di pari importo. E proprio perché si tratta di una sanzione imposta dallo Stato e non di un rimborso all’attore delle spese per il contributo unificato, non vi è la necessità che la valutazione del giudice sull’imposizione di tale sanzione venga fatta in sede di decisione sul regime delle spese di lite in sentenza. Nulla esclude che anche prima della sentenza il giudice possa emettere la condanna in questione. Certo, occorre che sia chiaro il motivo della mancata comparizione, motivo che può essere esplicitato dal convenuto già in comparsa di risposta o alla prima udienza, con conseguente possibilità di emettere in quest’ultima sede la relativa condanna. Si dovrà invece aspettare la scadenza delle preclusioni istruttorie di cui ai termini ex art. 183, comma 6, c.p.c. o la fine della fase istruttoria quando il motivo sia allegato e si intenda provarlo per testimoni o con documenti da depositare nei detti termini. La valutazione sulla sanzione economica in questione andrà infine effettuata nella fase decisoria quando essa sia costituita, ad esempio, dalla temerarietà della lite. Se poi non viene addotta alcuna ragione della mancata partecipazione o se il motivo fatto valere non è ritenuto dal giudice giustificato la condanna è automatica. La legge non attribuisce al giudice alcun potere discrezionale. La norma prevede che in assenza di giustificato motivo il “giudice condanna”. Non è utilizzata l’espressione “può condannare”, che sarebbe stata invece indicativa di una facoltà attribuita al giudice. Il “può” è impiegato nella prima parte del comma 5 a proposito degli argomenti di prova, ma non anche per l’applicazione della sanzione economica. Neppure può ritenersi preclusivo all’immediata comminatoria della sanzione economica in questione il fatto che non sia stata convertita in legge quella parte dell’art. 12 del decreto legge 22 dicembre 2011 n. 212 che prevedeva che tale sanzione venisse comminata “con ordinanza non impugnabile pronunciata d’ufficio alla prima udienza di comparizione delle parti, ovvero all’udienza successiva di cui all’articolo 5, comma 1″. La mancata conversione in legge di questa parte del decreto legge 212 / 2011 depone non per una necessaria valutazione in sentenza dell’applicazione della sanzione (che, come detto, è estranea al regime delle spese di lite), ma per una non necessaria predeterminazione del momento dell’iter processuale in cui il giudice deve effettuare il sindacato in questione e deve procedere ad irrogare la sanzione se non ritiene giustificata la mancata comparizione. Mai comunque si può condannare chi, non comparso in mediazione, sia rimasto contumace pure in giudizio. Nonostante la sua mancata comparizione in mediazione rimanga ingiustificata, deve rilevarsi che la modifica normativa rende possibile una condanna solo nei confronti della “parte costituita” . Ed è giusto che sia stata operata questa limitazione, poiché altrimenti si sarebbe introdotta una sanzione indiretta della contumacia a forte rischio di incostituzionalità. Ciò che, invece, si è voluto tentare di evitare è che chi vuol far valere le proprie ragioni in giudizio in relazione alle richieste dell’attore possa agevolmente sottrarsi al tentativo di conciliazione. Non si vuole obbligare le parti ad accordarsi, ma stimolare i litiganti a tentare di trovare l’accordo. Il legislatore ha introdotto la mediazione obbligatoria e cerca ora di prevedere delle condizioni che ne garantiscano l’efficace svolgimento. La prima di queste è che tutte le parti siano presenti, laddove possibile, al tavolo della mediazione. Chi non è presente e poi invece si costituisce in giudizio aumentando il contenzioso giudiziario e la ragionevole durata degli altri processi deve giustificare il motivo della sua assenza. Ora, nel presente giudizio è ben chiaro quale sia stata la ragione della mancata comparizione in mediazione della convenuta, ragione addirittura indicata per iscritto nella lettera datata 1.12.2014 inviata dalla convenuta all’organismo di mediazione. Non occorre sul punto procedere ad alcuna attività istruttoria né si deve aspettare la fase decisoria del giudizio (alla quale invece andrebbe demandata l’eventuale condanna per le ingiustificate assenze basate sull’infondatezza della pretesa avversaria), fase nella quale non si disporrebbe di elementi ulteriori rispetto a quelli di cui attualmente si dispone. Va quindi disposta con la presente ordinanza la condanna della convenuta, che non è comparsa al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, al versamento in favore dell’Erario di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio. Deve ora esaminarsi l’eccezione di tardività della presentazione della domanda di mediazione formulata dalla Federazione convenuta. In proposito si osservi che parte attrice ha instaurato il procedimento di mediazione con domanda avanzata nel novembre 2014 e ha notificato l’atto di citazione nell’ottobre 2014. Ciò posto, non può non evidenziarsi che se è vero che la parte è tenuta ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 28/2010 ad esperire il procedimento di mediazione prima dell’instaurazione del giudizio, è parimenti vero che tale adempimento costituisce mera condizione di procedibilità della domanda giudiziale, con la conseguenza che ove il Giudice riscontri il mancato esperimento della mediazione, lo stesso provvede assegnando alle parti un termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione e fissando la successiva udienza non prima che siano trascorsi tre mesi. In altri termini, nei casi in cui la domanda sia priva della chiesta condizione di procedibilità per mancata previa instaurazione del procedimento di mediazione l’attore può ben dotarla di tale condizione instaurando il procedimento di mediazione nel termine assegnato dal Giudice. Nella vicenda oggetto del presente giudizio la situazione di fatto che si prospetta al Giudicante è quella di una domanda di mediazione avanzata prima della prima udienza ed introduttiva di un procedimento di mediazione che, però, non si è mai tenuto in quanto l’Organismo di mediazione, dopo avere ricevuto il 10. l’istanza di mediazione e dopo avere comunicato all’attrice in pari data l’attestazione di iscrizione e l’avviso che a breve sarebbe stata inviata comunicazione della data dell’incontro e del nome del mediatore designato, il 9.12.2014 inviava all’attrice la seguente nota: “si comunica che in data 01/ 12/2014 sono pervenute, a mezzo pec… formale comunicazione di non adesione per incompetenza territoriale dell’organismo adito da parte istante da parte del dr. G. P. n.q. di presidente di FNOVI n.p. del vice presidente dott.ssa C. B.. Pertanto, l’incontro di mediazione previsto per il giorno 23/ 12/2014 ore 15.30 è stato annullato ed il procedimento di mediazione chiuso d’ufficio per improcedibilità”. Ora, è noto che l’art. 8 d.lgs. 28/2010 prevede che “all’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”. Pertanto, il responsabile dell’organismo di mediazione deve necessariamente fissare il primo incontro tra le parti e non può revocare tale fissazione all’esito della comunicazione della mancata adesione ad opera della parte chiamata. La procedura di mediazione è finalizzata a fare incontrare effettivamente le parti affinché le stesse tentino una soluzione amichevole della lite. L’invio da parte del chiamato di una non contemplata dichiarazione di mancata adesione alla procedura di mediazione non comporta l’aborto della procedura di mediazione. Il citato art. 8 del d.lgs. 28/2010 prevede un’eventuale mancata comparizione ma non una mancata adesione alla procedura di mediazione. Va quindi lasciato fermo l’incontro di mediazione già fissato anche in caso di ricezione da parte dell’organismo di mediazione di comunicazioni di mancata adesione. Orbene, nella fattispecie in esame il procedimento di mediazione non poteva essere chiuso d’ufficio, previa revoca dell’incontro già fissato, a seguito della comunicazione di mancata adesione da parte del P. e della stessa FNOVI. Nel rispetto, dunque, della lettera della citata disposizione normativa di cui all’art. 8 d.lgs. 28/2010 e conformemente alla ratio sottesa all’intera procedura di mediazione – volta a riattivare la comunicazione tra le parti litiganti al fine di renderle in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto – le parti vanno nuovamente inviate in mediazione affinché la relativa procedura si svolga correttamente a seguito di regolare fissazione di un incontro da parte del mediatore. Vanno ora chiarite le condizioni verificatesi le quali può ritenersi correttamente formata la condizione di procedibilità. Al riguardo si precisa che potrà considerarsi formata la condizione di procedibilità se vi sarà la presenza personale delle parti e se le parti hanno effettuato un tentativo di mediazione vero e proprio e ciò in considerazione della lettera e della ratio delle disposizioni di cui al d.lgs. 28/2010 e visto che l’istituto della mediazione mira ad un’effettiva interazione tra le parti di fronte al mediatore (che deve poter comprendere gli effettivi interessi delle parti) ed ad una soluzione extragiudiziale della controversia. In caso di mancata comparizione personale dell’attore la sua domanda non potrà considerarsi munita di procedibilità. Se non comparirà il convenuto senza giustificato motivo dovrà nuovamente valutarsi l’applicabilità della disposizione sulla sanzione di cui al comma 4 bis dell’art. 8 del d.lgs. 28/2010. Alla luce di quanto emerso all’udienza del 17.7.20 15 sembra opportuno formulare alle parti, ex art. 185 bis c.p.c, la seguente proposta conciliativa, che potrà eventualmente anche costituire il punto di partenza del percorso conciliativo da intraprendere davanti al mediatore: art. 1) precisazione da parte della Federazione convenuta, con le stesse forme e con gli stessi mezzi utilizzati per la diffusione della notizia lamentata in citazione, del fatto che vi è stato un fraintendimento tra le parti e che la stessa Federazione non intendeva in alcun modo imputare alcuna violazione del codice deontologico ai veterinari iscritti all’Ordine di Palermo che operavano in relazione alla specifica campagna di sterilizzazione e di microchippatura dei cani nell’isola di Lampedusa; art. 2) rinunzia ad opera di parte attrice alla domanda risarcitoria formulata nel presente giudizio; art. 3) pagamento ad opera di parte convenuta, a titolo di parziale contributo alla refusione delle spese sostenute da parte attrice, della somma di € 1.500,00; P.Q.M. condanna parte resistente, che non è comparsa al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, al versamento in favore dell’Erario della somma di € 518,00 (importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il presente giudizio); invia nuovamente le parti in mediazione affinché la relativa procedura si svolga correttamente; assegna alle parti il termine di 15 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza al fine di depositare l’istanza di mediazione; formula alle parti la proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. indicata in parte motiva; fissa per la prosecuzione del giudizio l’udienza del giorno 15.12.2015, ore 11.00. Si comunichi. Il Giudice rinvia le parti in mediazione, precisando secondo una giurisprudenza oramai consolidata, che la procedibilità sarà soddisfatta soltanto se le parti svolgeranno effettivamente la mediazione.

mediazione obbligatoria conciliazione

Tribunale di Firenze, sez. III civile, ordinanza 3 giugno 2015.

Commento:
Il Tribunale di Firenze ancora in prima linea nell’intento di garantire l’effettività della mediazione nel momento in cui la stessa si pone come condizione di procedibilità della domanda.
Con l’ordinanza in commento, in applicazione dell’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, non soltanto il Giudice provvede alla condanna, nei confronti della Banca convenuta costituitasi in giudizio che aveva disertato senza giustificato motivo il procedimento di mediazione, al versamento a favore dell’erario di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, ma dispone altresì detta condanna direttamente nell’ordinanza con la quale conclude la prima udienza.
Traspare chiaramente l’intenzione di rafforzare l’effetto deterrente caratterizzante la sanzione in parola, anticipandola alla prima udienza invece di disporla, come di regola avviene – nei casi in cui venga effettivamente comminata – beninteso – in sede di pronuncia sulle spese all’interno della decisione finale della causa.
Come è noto, l’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, prevede che “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Appare evidente, nella disposizione sopra riportata, come l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio, non potendosi, pertanto, ritenere la stessa necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia.
Il Tribunale di Firenze, di conseguenza, ritiene che la sanzione pecuniaria in questione ben può essere irrogata anche in corso di causa, vale a dire in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
Certamente, in tal modo, l’effetto deterrente insito nella previsione della sanzione in esame, risulta rafforzato, dal momento che la parte convenuta in giudizio, in precedenza chiamata in mediazione senza che circostanziati motivi ne giustificassero la mancata adesione, si trova, del tutto indipendentemente dagli esiti futuri del processo, tenuta a versare una somma pari al contributo unificato dovuto già all’esito dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.
Naturalmente, se una tale impostazione sembra “reggere” sulla base del dettato normativo, nel quale – giova ribadirlo – non è presente alcuna precisazione circa il tempus della condanna ivi prevista, il problema rimane quello inerente alla configurabilità di un “giustificato motivo”.
La discrezionalità del giudice, in effetti, non sembra trovare adeguati contrappesi in criteri oggettivi legislativamente determinati.
Si tratta di un problema che, a più riprese, si è posto fin dall’introduzione, da parte dell’art. 2, co. 35 – sexies, L. 148/2011, di un nuovo periodo all’allora art. 8, co. 5, D.lgs 28/2010 (poi trasformatosi, a seguito del c.d. “Decreto del fare”, convertito in L. 98/2013, nell’attuale art. 8, co. 4 – bis).
In sostanza, quindi, competerà al giudice la valutazione discrezionale di eventuali e comprovate motivazioni che siano tali da giustificare l’assenza della parte al procedimento di mediazione. Ciò in quanto, in assenza di tali motivi, il legislatore ha evidentemente ritenuto doversi presumere una volontà di pregiudicare, o comunque ostacolare, la potenziale positiva conclusione del tentativo di conciliazione, il che, nelle materie in cui la mediazione si pone come condizione di procedibilità – le uniche, peraltro, in cui la sanzione in oggetto possa trovare applicazione – significherebbe attenuare in partenza, ed in misura certamente rilevante, la portata deflattiva dell’istituto.
Insomma. Il “giustificato motivo” della non adesione dovrà essere valutato caso per caso, ma, necessariamente, con una certa severità insita nelle finalità deflattive proprie della mediazione, altrimenti troppo spesso svuotate di significato.
Rimane sempre, peraltro, la genericità e l’astrattezza della previsione legislativa.
Non si può certo dire che il legislatore abbia fornito al giudice un qualche strumento interpretativo, anche sotto forma di canone generale, tale da poterlo coadiuvare nel suo giudizio discrezionale, in relazione al quale i pericoli di eccessivo soggettivismo non sembrano certamente scongiurati.
Un’indagine intorno al concetto di “giustificato motivo” si presenta quanto mai ardua, soprattutto dopo la (opportuna) introduzione, da parte della riforma del 2013, di un criterio di competenza territoriale che rende impossibile la convocazione in mediazione del chiamato presso un Organismo territorialmente distante, costringendolo ad una trasferta i cui tempi ed i cui costi avrebbero, certamente, costituito giustificato motivo della mancata partecipazione.
Ma, superata l’ipotesi in esame dall’introduzione della competenza per territorio, non è dato riscontrare altri criteri predeterminati, risultando, dunque, l’identificazione dell’area del “giustificato motivo” interamente rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.
Quel che è certo, e provvedimenti come quello in commento non fanno che ribadirlo,
la parte chiamata in mediazione non può pretendere di porre a sostegno della propria mancata partecipazione al procedimento, la circostanza di una asserita infondatezza delle ragioni avanzate dalla parte istante: ciò, evidentemente, vanificherebbe a monte ogni possibilità di introdurre un modello di mediazione fondato sul concetto di condizione di procedibilità della domanda.
Come evidenziato nella pronuncia che può considerarsi capostipite in ordine al punto in oggetto, Trib Roma, sez. XIII, 29 maggio 2014, “…così ragionando sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione, se è vero com’è vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione d’essere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni etc., che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole”.

Testo integrale:

Verbale di prima udienza n. cronol. XXX/2015 del 03/06/2015
RG n. XXX/2015
TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE
Terza sezione CIVILE
Verbale della causa n.r.g. XXX/2015
tra
XXXXXXXX Attrice
e
Banco XXXXXXXX Convenuta

Oggi 3 giugno 2015, innanzi al Giudice dott. Riccardo Guida, sono comparsi:
Per XXXXXXXXX l’avv. Katia Ventura, oggi sostituito dall’avv. Sabatino Iovino il quale deposita l’originale dell’atto di citazione notificato.
Per Banco XXXXXXX l’avv. XXXXXX
L’avv. Iovino contesta il contenuto della comparsa di costituzione e risposta e chiede la concessione dei termini ex art. 183 VI comma c.p.c.

Il Giudice

rilevato che dal verbale di mediazione risulta che il Banco XXXXX non ha partecipato al procedimento di mediazione; senza giustificato motivo;
visto l’art. 8 comma 4 bis D. Lvo n. 28/2010 (e successive modificazioni);

condanna

il Banco XXXXX al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di uno somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, mandando in cancelleria per quanto di competenza;
assegna alle parti i termini ex art. 183 VI comma, numeri 1, 2 e 3 c.p.c.
rinviala causa all’udienza del 09/03/2016, ore 12.15, per provvedere sulle richieste istruttorie.
Il Giudice
dott. Riccardo Guida

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Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 30 aprile 2015.

 

Nella causa tra O. srl (attrice), PDS srl (convenuta) e Assicurazioni spa (terzo chiamato), il Giudice, dopo aver pronunciato in data 24 febbraio 2014 sentenza non definitiva con la quale si accertava la responsabilità contrattuale della società convenuta per inadempimento agli obblighi che incombevano sui professionisti che ne facevano parte, con separata ordinanza, sospesa ogni ulteriore determinazione, disponeva la mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

In mediazione, le parti assumevano una condotta che il Tribunale definisce “ambigua”.

Innanzitutto, in sede di primo incontro di mediazione, le parti non comparivano personalmente dinanzi al mediatore, ma solo attraverso i rispettivi difensori.

In ogni caso, questi ultimi dichiaravano di voler procedere con il procedimento, di essere intenzionati – dunque – ad entrare nel merito della controversia alla ricerca di una fuoriuscita conciliativa dalla stessa, andando dunque oltre il primo incontro di cui all’art. 8 D.lgs 28/2010.

Tra l’altro, in detta occasione, veniva verbalizzato che la parte invitata “migliorava la proposta conciliativa già formulata via mail a parte istante fino all’importo di €.3.500”

Veniva quindi fissato un successivo incontro al quale, tuttavia, partecipava soltanto il difensore della società attrice, chiamata in mediazione, e che in sede di primo incontro aveva fatto verbalizzare la proposta di cui sopra, mentre nessuno era presente per la parte convenuta in giudizio ma istante in mediazione, che neppure inviava comunicazioni di alcun genere.

In altri e più sintetici termini: a fronte della mediazione disposta d’ufficio dal giudice, la parte convenuta si faceva diligente ed introduceva il procedimento presso l’organismo; l’attore, invitato, aderiva, proponendo tra l’altro una ipotesi conciliativa; superato il primo incontro, però, solo l’attore partecipava al successivo incontro, che, dunque, veniva disertato da parte convenuta che aveva presentato l’istanza di mediazione.

Successivamente,  in sede di trattazione orale ai sensi dell’art. 281 – sexies c.p.c., la pronuncia definitiva vedeva però il rigetto delle domande attoree, con il che la parte convenuta – che aveva introdotto la mediazione disposta dal Giudice per farla poi naufragare – pur vittoriosa in giudizio, si rendeva protagonista di un comportamento da qualificarsi, ad avviso del Tribunale di Roma, non giustificato; l’assenza della convenuta determinava ovviamente il fallimento di ogni possibilità di accordo in sede di mediazione, circostanza della quale va tenuto conto, negativamente, ai fini della regolamentazione delle spese di causa.

Nella motivazione della pronuncia in commento si osserva infatti come, quanto alle spese di causa, “…è giusto compensarle per due terzi a favore dell’attrice.
Invero da una parte esiste una reciproca soccombenza, determinata quanto alla PDS srl dal contenuto della sentenza parziale che ha accertato il suo inadempimento.
Ragione non secondaria della compensazione è l’assenza della convenuta PDS srl all’incontro di mediazione (vero e proprio); assenza che è valutabile in termini negativi, ritenendosi che abbia escluso qualsiasi possibilità di raggiungere un accordo entrando nel vivo della mediazione alla quale entrambe le parti e quindi anche la convenuta, avevano nel precedente primo incontro davanti al mediatore dichiarato piena disponibilità
”.

Non solo.

Infatti, non avendo la convenuta partecipato, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione che pur aveva provveduto ad introdurre, la stessa “…va condannata al versamento all’Erario della somma di €.500,00, a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Testo integrale:

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ROMA
SEZIONE Sez.XIII°
RG n._____/___
REPUBBLICA  ITALIANA

 

Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi

nella causa tra

O. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv.to S.M.)

attrice

E

P.D.S. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv.to S.O.)

convenuta

E

Assicurazioni spa in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv.ti G. e L.B.)

terza chiamato

ha emesso e pubblicato, ai sensi degli artt. 281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 30.4.2015 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente

S E N T E N Z A

letti gli atti e le istanze delle parti,

osserva

-1- Accertato l’inadempimento (responsabilità professionale), attesa l’assenza di prova di danno, la domanda dell’attrice va integralmente rigettata.
Con sentenza non definitiva del 24.2.2014 il Giudice accertava la responsabilità contrattuale della società convenuta per inadempimento agli obblighi che incombevano sui professionisti che ne facevano parte (1)
Tale pronuncia ampiamente motivata (2), trova qui necessaria conferma e viene integralmente richiamata.
Oltre al decisum, sintetizzato dal dispositivo, in quella sentenza il Giudice ulteriormente così disponeva e motivava:
Esistenza e quantificazione dei danni.
In punto di riconoscimento dei danni causati dall’inadempimento della PDS va rilevato che l’attrice non ha dimostrato:
di aver pagato tempestivamente come era suo esclusivo onere e dovere, le imposte pertinenti al modello Unico 2004; e che abbia di conseguenza dovuto pagare due volte per la sorte; e che abbia di fatto pagato;
alcunché di ciò che ha meramente affermato circa la richiesta di accertamento con adesione; ed il ricorso alla commissione tributaria. Atti di cui non c’è alcuna traccia documentale nei documenti prodotti.
Quanto alla PDS ed alla questione relativa agli accertamenti di settore si tratta di eccezione talmente vaga che non merita alcuna indagine e non consente alcuna valutazione. Se non negativa.
Pertanto il principio della necessità di accertare, nell’ambito della responsabilità professionale, se l’adempimento ovvero l’esatto adempimento, mancato, avrebbe evitato in tutto o in parte i danni lamentati, non può essere effettuato sotto tale ultimo profilo.
Viceversa rimangono aperti i punti 1 (nei suoi molteplici segmenti) e 2.
A questi si aggiunge, per la PDS, che la compagnia assicuratrice ha con puntualità e precisione, depositando il relativo contratto ed allegati, respinto la richiesta di manleva deducendo che fra i rischi assicurati non rientra quello della compilazione e redazione (e ovviamente invio all’Agenzia) delle dichiarazioni dei redditi essendo così delimitato in polizza: acquisizione ed elaborazione dati a mezzo di sistemi elettronici: registrazione, trascrizione e verifica di informazioni fornite da clienti o da terzi su idonei supporti (nastri, dischi,etc.) propri o di terzi
Con ordinanza separata, a seguito della sentenza del 24.2.2014, il Giudice, sospesa ogni ulteriore determinazione, inviava le parti in mediazione demandata ai sensi dell’art.5 secondo comma del decr. lgsl. 28/10.
In quella sede le parti assumevano una condotta ondivaga.
Al primo incontro, non erano presenti le parti personalmente, ma solo i rispettivi difensori e procuratori.
I difensori dichiaravano in tale occasione al mediatore di voler procedere alla mediazione vera e propria (oltre quindi l’incontro informativo di cui al primo comma dell’art.8 decr. lgsl.28/10) richiedendo al mediatore a tal fine un altro incontro; al quale però compariva solo il difensore dell’attrice mentre nessuno era presente per la srl P.D.S. che neppure inviava comunicazioni di alcun genere.
Al primo incontro veniva altresì verbalizzato che la convenuta “migliorava la proposta conciliativa già formulata via mail a parte istante fino all’importo di €.3.500”
Nessuna dichiarazione verbalizzava l’attrice.
Tale assenza della parte convocata va qualificata non giustificata di talché ne va tenuto conto, negativamente, ai fini della regolamentazione delle spese di causa; l’assenza della convenuta determinava ovviamente il fallimento di ogni possibilità di accordo in sede di mediazione.
Alla successiva udienza davanti al Giudice le parti producevano la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n.77/2013 che accoglieva l’appello della O. srl avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate a seguito di omessa dichiarazione Mod. Unico 2004 per l’anno 2003 aveva rettificato il reddito imponibile ai fini dell’IRPEF, IRAP e IVA.
A seguito di tale decisione che ha annullato l’avviso di accertamento relativamente all’IRPEF ed all’IRAP (quanto all’IVA già in primo grado il ricorso dell’ O. srl aveva ottenuto la giusta rideterminazione dell’IVA in €.12.320 in luogo dei €.80.495 ritenuti dall’Agenzia) nessun danno è ravvisabile a carico dell’attrice, quale conseguenza dell’inadempimento della convenuta.
Tale evento consente di integrare e completare le già esposte ragioni, esposte nella sentenza, relative ai deficit di allegazione e prova del danno, di cui soffrono gli atti introduttivo e difensivi della srl O.
La cui domanda va senza meno rigettata.

-2- Le spese di causa e l’assenza ingiustificata della convenuta in mediazione.
Quanto alle spese di causa è giusto compensarle per due terzi a favore dell’attrice.
Invero da una parte esiste una reciproca soccombenza, determinata quanto alla PDS srl dal contenuto della sentenza parziale che ha accertato il suo inadempimento.
Ragione non secondaria della compensazione è l’assenza della convenuta PDS srl all’incontro di mediazione (vero e proprio); assenza che è valutabile in termini negativi, ritenendosi che abbia escluso qualsiasi possibilità di raggiungere un accordo entrando nel vivo della mediazione alla quale entrambe le parti e quindi anche la convenuta, avevano nel precedente primo incontro davanti al mediatore dichiarato piena disponibilità.
Non avendo partecipato, ingiustificatamente, la convenuta al procedimento di mediazione che pure aveva richiesto, va condannata al versamento all’Erario della somma di €.500,00, a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio.

P.Q.M. 

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
RIGETTA le domande della O. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore;
CONDANNA, compensate per due terzi le spese di causa, la O. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento del restante terzo che liquida in favore della PDS srl in complessivi €.8.000,00 per compensi oltre €.300,00 per spese, oltre IVA CAP e spese generali;
CONDANNA la PDS srl al pagamento della somma di €.500,00, pari al contributo unificato dovuto per il giudizio; mandando alla cancelleria, in mancanza di volontario pagamento entro gg.10, per la riscossione coattiva;

Roma lì 30.4.2015

Il Giudice
dott. cons. Massimo Moriconi

(1) DICHIARA la responsabilità contrattuale per colpa non scusabile della PDS srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore.
(2) Il fatto e la responsabilità dei responsabili della PDS srl e per essi della società stessa sono provati al di là di ogni ragionevole dubbio.
Giova subito premettere che da tale dato incontrovertibile non deriva automaticamente, e ciò anche per una caduta di valore dell’atto introduttivo, l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni; come sarà ben spiegato infra.
La società attrice narrava di essersi avvalsa per alcuni anni della PDS srl (PDS in breve) per la cura ed assistenza della contabilità della società, la compilazione dei registri contabili nonché per la predisposizione e l’invio telematico delle dichiarazioni da presentare al fisco.
In data 29.7.2008, continuava l’attrice, aveva ricevuto dall’Agenzia delle Entrate l’avviso di accertamento …200942 che sulla base del mancato invio del modello unico 2004 relativo all’esercizio 2003 determinava in via induttiva il reddito della società O. srl e rideterminava le imposte da versare e comminava le sanzioni relative ingiungendo il pagamento della complessiva somma di €.243.572,00
Poiché aveva effettuato regolarmente i pagamenti delle imposte, precisava l’attrice, confidava in un errore dell’Agenzia, invece scopriva che la convenuta, che lo ammetteva, non aveva affatto inviato il modello Unico 2004.
Insieme alle scuse per l’inconveniente, assumeva l’attrice, dalla convenuta era arrivato il suggerimento di presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio delle imposte per cercare di diminuire la somma.
Tale suggerimento, cui l’attrice affermava di aver dato seguito, non sortiva risposta dell’Agenzia che rimaneva ferma sulle sue posizioni. Eguale buco nell’acqua sortiva il ricorso alla commissione tributaria.
La citazione si avviava con inaspettata rapidità alla fine con la richiesta, invero apodittica, del pagamento della somma di €.260.000 a titolo di danni.
La difesa della società convenuta si è sostanzialmente compendiata nel sostenere che l’invio del modello Unico non competeva, per contratto, alla PDS srl.
Invero tale assunto tradiva, con il dire ed il non dire, un certo imbarazzo in cui si trovava la PDS nel sostenerlo.
In particolare mentre la difesa era precisa ed esplicita nel negare che fosse stato previsto e pattuito l’inoltro all’Agenzia delle Entrate delle dichiarazioni dei redditi a carico della PDS, ammetteva chiaramente, sia pure in modo indiretto e non esplicito, che la preparazione e la redazione di tale dichiarazioni rientrava fra le prestazioni dedotte nel contratto rappresentato dal documento (n.1) del 2.1.2002 della convenuta (che mediante….professionisti che forniranno la necessaria consulenza, provvederà, a svolgere attività di assistenza amministrativa e fiscale, nonché la gestione del settore relativo alla consulenza del lavoro..)
La prova del mancato invio all’Agenzia delle Entrate del modello Unico 2004, sulle cui cause si formuleranno infra delle ipotesi, è stata raggiunta in modo pieno e soddisfacente, non solo attraverso un compendio di prove testimoniali provenienti da ambo le parti, tutte nella sostanza convergenti nella conferma della doverosità contrattuale e di fatto usuale, nell’ambio dei rapporti intercorrenti fra le due società, dell’invio da parte della PDS srl e della avvenuta omissione nell’occasione; ma anche mediante l’interpretazione logica di un fondamentale documento, la lettera di risposta della PDS in data 28.10.2008, alla contestazione del mancato invio fattale dalla cliente.
In questa lettera, confezionata prima dell’intervento e dell’assistenza degli avvocati, priva quindi di quella attenzione alle parole che solo un professionista legale conosce e pratica a tutela del suo cliente, la società non scrive ciò che di semplice ed essenziale l’attuale strategia difensiva della PDS farebbe aspettare: NON-ERA-NOSTRO-COMPITO-INVIARLO (il modello Unico).
Eppure alla stregua della attuale difesa non vi può essere alcun dubbio che sarebbe stata proprio quella, a rigor di logica, la risposta più ovvia, necessaria e ragionevole.
Tutt’altro, la lettera è tutta sulle difensive, ma in un altro terreno di gioco.
E così la PDS lamenta di non essere stata informata della ricezione dell’avviso dell’Agenzia immediatamente ‘sì da poter intervenire (?); evoca la possibilità di richiedere un accertamento analitico (?); discetta della comunque inevitabile esposizione della società cliente ad un accertamento di settore considerata la non congruità e non coerenza dei dati esposti in bilancio con gli studi di settore (?).
Infine, la “perla”, sorprendentemente fatta propria anche dalle difese in questa causa.
L’intermediario risponde per le proprie violazioni ed è sottoposto alle specifiche sanzioni di imposta ma le stesse sono diverse rispetto a quelle a carico del contribuente il quale è il solo soggetto di imposta ed il solo referente di fronte all’Erario.
Ragionamento del tutto inconsistente e, per di più, incoerente, nel senso che seppure in astratto possa avere un qualche portato di verità, in questo giudizio trova la porta sbarrata, posto che la PDS viene chiamata in causa per rispondere dei danni (se danni ci sono) causati al cliente dall’inadempimento ai suoi obblighi contrattuali ed in particolare dalla sua condotta negligente e/o imperita per quanto lamentato e testé riscontrato.
E’ ovvio che il rapporto debitore di imposta/fisco e intermediario/fisco è un altro discorso, il quale però, in questa causa, non c’entra niente.
Sulle ragioni del mancato invio.
La prima difesa della convenuta è stata, come visto, perché non pattuito, non era un compito della PDS.
In seguito, ha cambiato traiettoria.
Non sarebbe stata inviata perché il cliente non aveva trasmesso alla PDS una dichiarazione di impegno a trasmettere, unitamente al modello Unico che la PDS aveva trasmesso al cliente per la firma.
Il giudice non crede a tale giustificazione, che in ogni caso sarebbe di poco o nulla rilevante.
In primo luogo perché è poco credibile che fra soggetti privati si instaurino pratiche cervellotiche di vai e vieni (tipiche di altri ambiti) che, comportando l’invio del modulo Unico al cliente, la firma, il rinvio dello stesso dal cliente alla società, l’invio del modulo dalla PDS all’Agenzia, l’invio della dichiarazione di impegno alla PDS da parte della cliente etc.etc., sarebbero servite solo a complicare e non a semplificare i rapporti.
Del resto se l’assunto fosse stato vero la convenuta avrebbe avuto facile gioco a produrre le “dichiarazioni di impegno a trasmettere” firmate dal cliente negli anni precedenti !
Inoltre per l’invio del modello non occorre la firma del cliente.
Ed infine di tale presunto motivo non vi è nessuna menzione nella lettera della PDS supra ricordata.
Ammesso ma non concesso, e per pura ipotesi, concedendo spazio a tale giustificazione, comunque non avrebbe alcuna efficacia.
Vale a dire non giustificherebbe affatto quella che rimarrebbe una pura e semplice negligenza della PDS.
Infatti quand’anche la O. srl avesse tardato a rimandare il modulo, la dichiarazione e quant’altro, sarebbe stato dovere della convenuta interessare il cliente, sollecitarlo e, nel caso estremo, contestargli per iscritto questa grave omissione fonte di ancora più gravi conseguenze.
Ma come detto si tratta di pura ipotesi perché le cose si sono svolte diversamente, di pura e semplice inescusabile omissione da parte della PDS si è trattato.

 

 

 

 

 

 

 

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