31 Ottobre
Luigi Majoli
Comodato
Il comodato consiste nel contratto essenzialmente a titolo gratuito, e non soggetto a particolare forma, attraverso cui una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) un bene (mobile o immobile) affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituirlo.
Nel nostro ordinamento si distinguono due tipologie di comodato.
In primis, va considerato il c.d. “comodato precario” (art. 1810 c.c.), che risulta connotato dalla mancata pattuizione di un termine e dalla impossibilità di desumerlo dall’uso cui deve essere destinata la cosa, con la conseguenza che il comodante può richiedere ad nutum al comodatario la riconsegna o il rilascio del bene.
Vi è, poi, il comodato propriamente detto, di cui agli artt. 1803 e 1809 c.c., che sorge con la consegna della res per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza.
In questa seconda ipotesi, il comodatario è tenuto alla restituzione del bene alla scadenza del termine ovvero dopo essersi servito dello stesso in conformità al contratto.
Il comodante, tuttavia, ha la facoltà di esigere la restituzione immediata della cosa nell’ipotesi di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno. Peraltro, in caso di morte del comodatario, il comodante, ai sensi dell’art. 1811 c.c., benché sia stato convenuto un termine, può esigere dagli eredi l’immediata restituzione della cosa.
Da quanto precede emerge con chiarezza come, nell’impianto codicistico, il fondamento del contratto di comodato debba essere rintracciato nella fiducia che il comodante ripone nella buona fede del comodatario, il quale è tenuto, ai sensi dell’art. 1804 c.c., “…a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli non può servirsene che per l’uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa” e che non può “…concedere a un terzo il godimento della cosa senza il consenso del comodante”.
Di conseguenza, qualora il comodatario non risulti adempiente ai suddetti obblighi il comodante potrà chiedere l’immediata restituzione della cosa. Naturalmente, laddove si ritenga che il contratto generi un’obbligazione restitutoria a carico del comodatario, andrebbe a configurarsi un’ipotesi di risoluzione per inadempimento; qualora, invece, si costruisca la fattispecie nel senso che l’unica obbligazione risulti gravante sul comodante (si tratterebbe cioè del dovere di non esigere la restituzione del bene prima della scadenza), si dovrà conseguentemente desumere il delinearsi di un diritto di recesso (art. 1373 c.c.) a favore del comodante stesso.
In sostanza, dunque, la logica del comodato è quella tipica dei rapporti di fiducia: come il comodante concede la res in prestito – dunque senza lo scopo di lucro che caratterizza i normali rapporti di scambio – così, in un’ottica parimenti “amichevole”, il comodatario si impegna a restituirla al comodante dopo averla utilizzata per il soddisfacimento dei propri bisogni.
La predetta struttura amicale del rapporto, peraltro, è confermata dall’art. 1807 c.c., nel quale si prevede che il comodatario, laddove non sussista sua colpa, non è chiamato a rispondere del deterioramento della cosa derivante dal solo effetto dell’uso per cui è stata consegnata (per quanto concerne invece l’ipotesi di perimento della cosa, l’art. 1805 c.c. prevede che “Il comodatario è responsabile se la cosa perisceper un caso fortuito a cui poteva sottrarla sostituendola con la cosa propria, o se, potendo salvare una delle due cose, ha preferito la propria. Il comodatario che impiega la cosa per un uso diverso o per un tempo più lungo di quello a lui consentito, è responsabile della perdita avvenuta per causa a lui non imputabile, qualora non provi che la cosa sarebbe perita anche se non l’avesse impiegata per l’uso diverso o l’avesse restituita a tempo debito”).
D’altra parte, l’art. 1808 c.c. prevede che il comodatario non abbia alcun diritto al rimborso delle spese sostenute per servirsi della cosa, salvo il diritto di essere rimborsato delle spese straordinarie sostenute per la conservazione della cosa, nel caso in cui le stesse siano caratterizzate da necessità ed urgenza.
Naturalmente, qualora il bene oggetto di comodato abbia vizi tali da arrecare che danno a chi se ne serve, il comodante è tenuto al risarcimento qualora, conoscendo i vizi della cosa, non ne abbia avvertito il comodatario (art. 1812 c.c.).
Ora, ai sensi dell’art. 5, D.lgs 28/2010, il comodato rientra nel novero delle materie in cui la mediazione si pone quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Si tratta senza dubbio di una previsione normativa da accogliersi con favore: l’esperienza insegna che la mediazione si rivela uno strumento di particolare efficacia in tutte quelle tipologie di controversie nelle quali sussista una relazione intercorrente tra le parti, ad esempio di carattere familiare, di vicinato, di amicizia o quantomeno di abitale frequentazione, etc., nella quale sia possibile “addentrarsi” allo scopo di individuarne le caratteristiche salienti ed i connessi interessi sostanziali, così da addivenire ad una ipotesi di risoluzione conciliativa.
Sotto il profilo applicativo, si può affermare che le controversie in materia di comodato insorgano fondamentalmente per due principali ordini di ragioni.
In primo luogo, il tradimento della fiducia.
Si è visto in precedenza come il fondamento del contratto di comodato risieda, in ultima analisi, nella fiducia reciproca in ordine alla buona fede della controparte contrattuale.
Si pensi al caso, tipico, in cui il comodatario trattenga nella propria disponibilità la cosa ricevuta in prestito o la presti o comunque la conceda in uso a terzi senza esserne autorizzato; ma si pensi anche all’ipotesi in cui il comodante richieda il bene oggetto di comodato prima della scadenza naturale del contratto o se ne impossessi de facto con iniziativa unilaterale.
In fattispecie come quelle appena indicate, l’aspetto emozionale fa chiaramente aggio su quello squisitamente giuridico: da un lato, infatti, la scelta di tradire gli impegni assunti (e quindi la parola data) può derivare da vicende parallele al rapporto in atto (e spesso di portata molto più ampia rispetto allo stesso) intercorrenti tra i protagonisti del rapporto stesso, dal momento che il comodato si manifesta per lo più tra soggetti legati da vincoli parentali, o di amicizia o di conoscenza etc.; dall’altro, il fatto stesso della mancata corrispondenza tra gli impegni assunti ed i comportamenti fattuali tenuti favorisce inevitabilmente l’insorgere, sotto il profilo emotivo, di sentimenti di delusione e di comprensibile risentimento in chi ritiene di aver mal riposto la propria fiducia nei confronti dell’altro.
L’altra causa fondamentale di insorgenza di liti in materia di comodato è quella che va individuata nel malinteso.
Ogni atto o rapporto fondato sulla comunicazione deve inevitabilmente fare i conti con il problema del malinteso, ed il campo che nella presente sede ci occupa può senz’altro costituirne un esempio paradigmatico.
Èben noto che chi riceve un messaggio (sia a livello di comunicazione orale che di comunicazione scritta, beninteso) tende a comprenderne solo una porzione limitata, pur muovendo dal presupposto di comprenderlo appieno (c.d. sovraintendimento): la parte del messaggio non pervenuta, o non pervenuta correttamente e/o integralmente, verrà quindi sostituita da un’idea che altro non è che un preconcetto il quale, conseguentemente, andrà a produrre un malinteso qualora, come quasi sempre è, risulti incompatibile con l’intenzione di chi aveva espresso il messaggio originale.
Si pensi, ad esempio, al caso, frequente, in cui i genitori concedano in comodato un immobile a un figlio e questi non riesca a rispettare i tempi concordati per la restituzione dello stesso: certamente ciò potrà derivare da mero stato di necessità, ma potrà altresì discendere dall’attribuzione a parte comodante di un’intenzione diversa da quella reale, in conseguenza di un preconcetto erroneo.
O, ancora, si pensi, in presenza di un contratto di comodato, magari datato, alla rilettura dello stesso fondata su presupposti diversi da quelli originari, derivante da mutate esigenze e, quindi, dalla convenienza di attribuire ai contenuti contrattuali un significato diverso da quello un tempo condiviso: qualora una tale operazione abbia carattere unilaterale sarà facilmente prodromica all’insorgere di una lite, nel momento in cui l’altra parte ritenga invece di mantenersi nell’alveo dell’interpretazione originaria.
Ed ecco che, dal momento che la conflittualità in materia di comodato è spesso fondata su problematiche come quelle esemplificate poc’anzi, in cui, evidentemente, gli aspetti prettamente giuridici non sono certamente quelli preponderanti, la mediazione può spesso rilevarsi come lo strumento più efficace per la gestione e la composizione della lite.
Innanzitutto, proprio per le caratteristiche dell’istituto, trattandosi di un percorso di recupero della comunicazione, sì con la guida del terzo imparziale ma in ogni caso avente quali protagoniste assolute le parti, idoneo pertanto, in molti casi, a favorire l’abbandono di sterili posizioni di principio per porre al centro dell’attenzione gli interessi sostanziali delle stesse.
Inoltre, proprio per il contenuto fortemente emotivo che contraddistingue molto spesso le mediazioni in materia di comodato, dato il carattere per l’appunto prevalentemente “emozionale” delle controversie che in quella sede si cerca di comporre.
D’altra parte, proprio i vincoli parentali o amicali – anche se deteriorati – che legano di regola le parti di un contratto di comodato possono costituire spesso una base comunque importante per la riattivazione della comunicazione, presupposto ineludibile per la ricerca di una risoluzione conciliativa del conflitto, che, per sua natura, non può che rappresentare il risultato di un percorso condiviso.
La gratuità rende il comodato adatto alla stipula tra soggetti che sono già legati da una relazione amicale o parentale. In caso di liti quindi il mediatore si troverà di fronte due soggetti che, semplicemente, hanno interrotto la comunicazione.
Il mediatore sarà quindi “facilitato” nel ripristinare il dialogo. L’affetto che è alla base del rapporto che lega comodanti e comodatario rappresenta senza dubbio un buon punto di partenza su cui il lavorare per trovare una soluzione soddisfacente per entrambi le parti.
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