05 Febbraio
Redazione
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Come è noto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 19596 del 18 settembre 2020, Pres. G. Mammone, Est. F.M. Cirillo), decidendo su questione di massima di particolare importanza, hanno affermato il seguente principio di diritto: “Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1 – bis, del d.lgs n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo“.
L’importanza del principio di cui sopra non può sfuggire. Il Collegio, infatti, capovolge la precedente impostazione, per l’appunto di segno opposto, fatta propria dalla sentenza n. 24629 del 2015 della Terza Sezione Civile, nella quale, come è noto, si affermava come nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione fosse da porre a carico della parte opponente.
L’espresso richiamo alle controversie relative alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, implica la pacifica applicabilità del predetto principio alle controversie in materia condominiale, ricomprese, come si sa, tra quelle in ordine alle quali il legislatore, sin dal 2010, ha ritenuto opportuno condizionare la procedibilità della domanda giudiziale all’esperimento del procedimento di mediazione.
In breve, i termini della questione.
Secondo l’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, i commi 1 – bis e 2 della medesima disposizione, che prevedono, rispettivamente, la mediazione obbligatoria ante causam, e la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “...nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.
Appare evidente come il legislatore abbia ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità risulta contingentato dall’art. 641 c.p.c.
In conseguenza di quanto premesso, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione diviene possibile solo quando sia stata proposta opposizione, e, comunque, dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e lato sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.
In ordine alla spettanza dell’onere di avviare il procedimento di mediazione, va sottolineato come in giurisprudenza siano andati progressivamente formandosi due distinti orientamenti che, fino alle pronunce più recenti, hanno seguitato a contrapporsi.
Secondo una prima opzione ermeneutica, muovendo da un lato da una asserita scarsa chiarezza obbiettiva delle espressioni letterali utilizzate dal legislatore e dall’altro dall’intento di valorizzare la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, si è sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del decreto opposto (in tal senso già Trib. Prato, 18 luglio 2011, est. Iannone; successivamente cfr., ex multis, Trib. Rimini, 5 agosto 2014 est. Bernardi; Trib. Firenze, 30 ottobre 2014, est. Ghelardini; Trib. Pavia, 12 ottobre 2015, est. Marzocchi).
Si tratta della conclusione cui era pervenuta la Terza Sezione Civile con la predetta sentenza n. 24629 del 2015, sulla base una serie di considerazioni, fondamentalmente incentrate sulla natura deflattiva del procedimento di mediazione, sulla particolare struttura del procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, che può consentire di pervenire anche in tempi brevi ad un accertamento definitivo, e sulla ravvisata opportunità di porre l’onere di instaurare il procedimento di mediazione a carico della parte che ha l’effettivo interesse ad introdurre il giudizio di merito a cognizione piena, attraverso lo strumento dell’opposizione al decreto; giudizio che il creditore opposto avrebbe viceversa inteso evitare attraverso l’utilizzo del più agile strumento del decreto ingiuntivo.
Secondo l’approccio contrapposto, oggi prescelto dalle Sezioni Unite, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria: il ricorrente opposto, formalmente convenuto nel relativo giudizio, sarebbe da considerarsi attore sotto il profilo sostanziale, mentre l’opponente, che formalmente ha agito, sempre sotto il profilo sostanziale dovrebbe ritenersi convenuto. Pertanto l’opposto, titolare della pretesa sostanziale azionata, divenuta oggetto del giudizio di opposizione, avrà l’onere di promuovere il tentativo di mediazione, subendo, in mancanza, la declaratoria di improcedibilità della domanda, che implicherebbe il venir meno della pretesa sostanziale proposta in via monitoria.
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Pertanto, in ordine all’opposizione a decreto ingiuntivo condominiale, occorre oggi tenere ben presente quanto segue.
Il condominio, ricorrente in via monitoria, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo, assume le vesti di parte opposta, la posizione, in altri termini, di colui il quale, formalmente convenuto in giudizio, è in realtà l’attore della pretesa creditoria.
Incomberà dunque sul condominio l’onere di attivazione del procedimento di mediazione una volta che il giudice, nel giudizio di opposizione, abbia pronunciato sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, ai sensi degli artt. 648 e 649 c.p.c. (posto che, con riferimento all’ipotesi più frequente, l’amministratore del condominio, ai sensi dell’art. 1131 c.c., è il soggetto legittimato ad agire in giudizio, senza preventiva autorizzazione dell’assemblea condominiale, per riscuotere i contributi dovuti in base allo stato di riparto approvato dall’assemblea. Può, pertanto, ottenere dal giudice un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo ex lege, secondo il disposto dell’art. 63, co. 1, disp. att. cod. civ.).
Ove il Condominio non si attivasse in tal senso, il decreto ingiuntivo, stante il mancato esperimento del tentativo conciliativo, dovrebbe essere revocato a causa del non avveramento della condizione di procedibilità della domanda, che, nell’ipotesi di pretesa fatta valere con ricorso per decreto ingiuntivo, è differita, come si è già accennato in precedenza, alla fase dell’opposizione in cui il giudice ha pronunciato sulla concessione o sospensione della provvisoria esecuzione.
Ora, l’orientamento accolto dalle Sezioni Unite, al di là degli impatti di ordine pratico che si sono voluti fin qui evidenziare con riferimento allo specifico caso delle controversie in materia condominiale, appare invero convincente sotto molteplici aspetti.
In effetti, al di là degli argomenti di ordine logico-testuale pur richiamati dalla Suprema Corte, l’opzione ermeneutica prescelta nella pronuncia in commento si fonda – sotto il profilo sistematico – sulle diverse conseguenze derivanti dall’inerzia delle parti a seconda che si propenda per l’una o per l’altra soluzione.
Osserva infatti la Corte che “…se si pone l’onere in questione a carico dell’opponente e questi rimane inerte, la conseguenza è che alla pronuncia di improcedibilità farà seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l’onere, invece, è a carico dell’opposto, la sua inerzia comporterà l’improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo; il quale ben potrà essere riproposto, senza quell’effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto“.
Nella prima ipotesi, quindi, definitività del risultato; nella seconda, mero onere di riproposizione per il creditore, il quale non perde nulla.
Il che appare, tra l’altro, pienamente conforme a Costituzione.
In sostanza, dovendo optare tra due contrapposte interpretazioni, le Sezioni Unite non possono che preferire quella che appare in maggiore armonia con il dettato costituzionale; porre l’onere di promuovere il procedimento di mediazione a carico dell’opponente si traduce, in caso di sua inerzia, nella irrevocabilità del decreto ingiuntivo come conseguenza del mancato esperimento di un procedimento che non è giurisdizionale.
Certamente, come la sentenza n. 24629 del 2015 ha posto in evidenza, la procedura di mediazione ha una finalità deflattiva, in armonia col principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma “…è altrettanto evidente che – come ha ancora rilevato il Procuratore generale – nel conflitto tra il principio di efficienza (e ragionevole durata) e la garanzia del diritto di difesa, quest’ultimo deve necessariamente prevalere”.
La giurisprudenza costituzionale, più volte chiamata a pronunciarsi sulla legittimità della c.d. giurisdizione condizionata, fornisce quindi un ulteriore e decisivo argomento nel senso che si è delineato. La Corte costituzionale ha infatti costantemente sottolineato come le forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri siano legittime purché ricorrano certi limiti; e che comunque debbano considerarsi illegittime le norme che collegano al mancato previo esperimento di rimedi stragiudiziali la conseguenza della decadenza dall’azione giudiziaria.
Luigi Majoli – ADR Intesa
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