31 Ottobre
Luigi Majoli
Contratti bancari e finanziari
L’art. 5, co. 1, D.lgs 28/2010 ricomprende, nell’ambito delle materie in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, i contratti assicurativi, bancari e finanziari.
Il primo problema che si pone, pertanto, è quello dell’identificazione delle fattispecie contrattuali in ordine alle quali la mediazione è richiesta in via obbligatoria.
A tal fine, si sono nel tempo consolidate nel tempo due distinte concezioni.
In primo luogo, la c.d. teoria oggettiva, a tenore della quale per contratti bancari devono intendersi quelli strumentali alla raccolta del risparmio tra il pubblico e all’esercizio del credito , disciplinati dal codice civile al capo XVII del Titolo III del Libro IV (rubricato “Dei contratti bancari “); a questa impostazione si contrappone la successiva (e maggioritaria) teoria soggettiva, secondo cui i contratti bancari sono tutti quei contratti nei quali è parte una banca, che li utilizza al fine di procurarsi denaro, per impiegarlo, ovvero per fornire servizi accessori al pubblico.
D’altra parte, come è noto, la disciplina dei contratti bancari non si esaurisce soltanto nelle disposizioni di cui al codice civile (artt. 1834 ss); ad esse, infatti, si affiancano fonti normative di varia natura, tra le quali il D.Lgs. 206/2005, in tema di contratti del consumatore, e soprattutto il D.lgs 385/1993, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (c.d. T.U.B.).
L’attività bancaria è esercitata da società per azioni o società cooperative per azioni a responsabilità limitata e si esplica attraverso la raccolta del risparmio fra il pubblico e l’esercizio del credito; deve essere autorizzata dalla Banca d’Italia ed è soggetta al controllo da parte delle autorità creditizie.
Detta attività si esplica per l’appunto tramite i contratti bancari.
Secondo la distinzione tradizionale, le operazioni bancarie vengono suddivise in attive e passive, a seconda che la banca, attraverso le stesse, assuma la posizione di creditore ovvero di debitore nei confronti del cliente.
Entrambe le tipologie, naturalmente, sono a carattere oneroso: nel caso di posizione passiva la banca dovrà remunerare i clienti per le somme depositate, mentre nel caso di posizione attiva questi ultimi saranno tenuti al pagamento degli interessi sulle somme ricevute in prestito.
Il codice civile, come sopra già accennato, disciplina alcune delle principali tipologie contrattuali utilizzate dalle banche, quali; il deposito bancario; il servizio bancario delle cassette di sicurezza; l’apertura di credito bancario; l’anticipazione bancaria; le operazioni bancarie in conto corrente; lo sconto bancario.
Esaminiamone sinteticamente le principali caratteristiche.
Il deposito bancario, rappresenta la tipica operazione bancaria passiva, con la quale la banca raccoglie risparmio, ed è disciplinato dagli artt. 1834 ss c.c.
Il deposito bancario è quel contratto in forza del quale un soggetto consegna una somma di danaro ad una banca, che ne acquista la proprietà, obbligandosi a restituirla alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta del depositante.
Si tratta, dunque, di un contratto di deposito irregolare, con il quale il depositario diviene proprietario del bene ed è obbligato alla restituzione del tantundem eiusdem generis.
Occorre distinguere il deposito semplice dal deposito a risparmio e dal deposito in conto corrente.
Nel deposito semplice il cliente riceve dalla banca un documento che attesta l’importo della somma depositata e che dovrà essergli restituita alla scadenza (o alla richiesta), senza che nelle more sia possibile effettuare prelievi parziali o versamenti aggiuntivi.
Nel deposito a risparmio è invece previsto il rilascio di un libretto, nominativo o al portatore, sul quale vengono annotati, con efficacia probatoria tra le parti, i versamenti e i prelevamenti di volta in volta effettuati.
Nel deposito in conto corrente, infine, al cliente è consentito di variare l’entità della somma depositata con successivi versamenti e prelievi. Peraltro, secondo l’art. 1852 c.c., “Qualora il deposito, l’apertura di credito o altre operazioni bancarie siano regolate in conto corrente, il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito, salva l’osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito”.
Il deposito bancario è un contratto reale, dal momento che si perfeziona con la consegna del denaro all’istituto bancario ed è un contratto unilaterale: dallo stesso derivano obblighi unicamente per l’istituto bancario ricevente, il quale, per effetto del contratto di deposito, è tenuto a restituire la somma ricevuta nonché a corrispondere gli interessi al depositante.
Il contratto di deposito bancario è altresì un contratto di durata, dovendosi, tuttavia, a tale riguardo distinguere i depositi liberi da quelli vincolati: nella prima ipotesi il contratto è a tempo indeterminato ed il depositante può liberamente prelevare l’intero importo versato, salvo l’obbligo di preavviso nei confronti della banca; nel secondo caso il contratto è a tempo determinato ed il depositante non può ritirare le somme versate sino alla scadenza.
Per quanto concerne il servizio bancario delle cassette di sicurezza (artt. 1839-1841 c.c.), trattasi di servizio in cui la banca risponde verso l’utente per l’idoneità e la custodia dei locali e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito.
Nel caso in cui la cassetta sia intestata a più persone, l’apertura di essa è consentita singolarmente a ciascuno degli intestatari, salvo diversa pattuizione. In caso di morte dell’intestatario o di uno degli intestatari, la banca che ne abbia ricevuto comunicazione non può consentire l’apertura della cassetta se non con l’accordo di tutti gli aventi diritto o secondo le modalità stabilite dall’autorità giudiziaria. A contratto scaduto, la banca, previa intimazione all’intestatario e decorsi sei mesi dalla data della medesima, può chiedere all’autorità giudiziaria l’autorizzazione ad aprire la cassetta. In tal caso, l’art. 1841 c.c. prevede che l’apertura si esegua con l’assistenza di un notaio all’uopo designato e con le cautele che l’autorità giudiziaria ritenga opportune.
Per quanto concerne le operazioni bancarie attive, il Codice civile disciplina l’apertura di credito, l’anticipazione bancaria e lo sconto bancario.
Ai sensi dell’art. 1842 c.c., con l’apertura di credito la banca si obbliga a tenere a disposizione del cliente una somma di danaro per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato, a fronte del riconoscimento di un corrispettivo, sotto forma di commissione.
Occorre distinguere tra apertura di credito semplice, caratterizzata da un solo utilizzo della somma messa a disposizione, e apertura di credito in conto corrente, nella quale l’accreditato ha la possibilità di effettuare versamenti per reintegrare i prelievi effettuati.
Si tratta di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam. Si tratta altresì di un contratto a effetti obbligatori, a prestazioni corrispettive: dallo stesso, infatti, insorge l’obbligo per l’istituto bancario di porre a disposizione del cliente la somma pattuita, della quale la banca rimane proprietaria, ed insorge, correlatamente, l’obbligo per il cliente di restituirla secondo le modalità concordate con l’istituto di credito.
È un contratto oneroso, in quanto la banca concede l’apertura di credito dietro la previsione del pagamento della provvigione e dei relativi interessi e, naturalmente, è un contratto di durata, la cui esecuzione è per propria intrinseca natura destinata a protrarsi per un certo lasso di tempo.
La funzione dell’apertura di credito presenta, dunque, forti analogie con quella del mutuo, di cui all’art. 1813 c.c., ossia il contratto attraverso il quale una parte consegna all’altrauna determinata quantità di danaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità (e sul quale si tornerà più avanti). Vi sono però rilevanti differenze da sottolineare:
Il mutuo deve essere rimborsato secondo un piano di ammortamento prestabilito ossia con rate di solito mensili o semestrali. Nell’apertura di credito, il correntista può effettuare i versamenti quando vuole.
Nel mutuo, di solito, le somme vengono concesse in funzione di uno scopo prestabilito, determinato sul contratto stesso (ad esempio, l’acquisto o la ristrutturazione di un immobile, esigenze di risanamento aziendale, ecc.), mentre nell’apertura di credito si prescinde dagli scopi del correntista che può utilizzare la provvista per una o più operazioni senza doverne rendere conto all’istituto bancario. Nel mutuo, inoltre, la somma viene concessa al correntista in un’unica soluzione. Nell’apertura di credito, invece, la banca si limita a mettere a disposizione la somma medesima, potendo il cliente effettuare le proprie opzioni in ordine al se, quando e quanto attingere da detta disponibilità.
Secondo l’art. 1846 c.c. “Nell’anticipazione bancaria su pegno di titoli o di merci la banca non può disporre delle cose ricevute in pegno, se ha rilasciato un documento nel quale le cose stesse sono individuate. Il patto contrario deve essere provato per iscritto”. Si tratta, dunque, di un modello riconducibile all’apertura di credito, dalla quale si differenzia in sostanza per la circostanza di essere necessariamente accompagnata dal rilascio di una garanzia. L’istituto bancario, quindi, accorda al cliente un’apertura di credito, a fronte di una garanzia rappresentata dal pegno su merci o titoli.
Infine, con riguardo ai contratti bancari disciplinati dal Codice civile, abbiamo lo sconto bancario, vale a dire il contratto con il quale la banca, ai sensi dell’art. 1858 c.c., “…previa deduzione dell’interesse, anticipa al cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, a fronte della cessione, salvo buon fine, del credito stesso”.
Secondo la dottrina prevalente, lo sconto bancario rappresenta un contratto di mutuo garantito da una cessione pro solvendo, dal momento che, per il tramite di esso, si ottiene l’immediata monetizzazione di crediti non ancora esigibili, a fronte della cessione di un proprio credito pro solvendo, essendo il cedente tenuto a garantire all’istituto bancario (cessionario) il pagamento del debitore. E’ dunque un contratto dal quale insorgono obblighi in capo ad entrambe le parti ed è altresì, evidentemente, un contratto a prestazioni corrispettive.
E veniamo ora al mutuo.
In termini generali, il mutuo, ai sensi dell’art. 1813 c.c. è il contratto a prestazioni corrispettive con il quale il mutuante consegna al mutuatario una determinata quantità di denaro o di altre cose fungibili e l’altro si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie e qualità.
Esso generalmente è stipulato con una banca, ma naturalmente si tratta di tipologia contrattuale utilizzabile anche tra soggetti privati. Si tratta, in estrema sintesi, secondo il dettato degli artt. 1813 ss. c.c., di un negozio da un lato traslativo di proprietà, in quanto il mutuatario diviene proprietario delle cose oggetto del mutuo, e dall’altro restitutorio, in quanto egli è comunque tenuto a restituire altrettante cose che per specie e qualità siano analoghe a quelle ricevute.
Una particolare tipologia di mutuo è rappresentata dal c.d. mutuo fondiario, vale a dire un contratto di finanziamento sottoscritto con un Istituto di Credito al quale viene richiesta l’erogazione, con obbligo di restituzione, entro un lasso temporale che varia da un minimo di 12 mesi ad un massimo di 30 anni, di una determinata somma di denaro per l’acquisto, costruzione o la ristrutturazione di un immobile da adibire ad abitazione principale. L’istituto bancario, da parte sua, acquisisce garanzia reale iscrivendo ipoteca sull’immobile, che deve risultare necessariamente libero da pesi, cosicché l’ipoteca iscritta risulti essere sempre di primo grado. Va rilevato, peraltro, in tema di mutuo fondiario, il fatto che l’art. 38, co. 2, TUB (D.lgs 385/1993) pone il principio del c.d. “limite di finanziabilità”, successivamente recepito dalla delibera CICR 22 aprile 1995, che ha determinato il limite di erogabilità del prestito fondiario nella misura dell’80% del valore del bene assoggettato a ipoteca. Da osservare altresì che la giurisprudenza è ormai costante nel ritenere che il mutuo fondiario che non rispetti il limite di finanziabilità previsto dall’art. 38 TUB debba ritenersi nullo, salva l’ipotesi in cui le parti concordino in ordine alla conversione del contratto in finanziamento ipotecario ordinario (cfr. Corte di Cassazione, Sez. I Civ., 14 giugno 2021, n. 16776).
Il mutuo fondiario, pertanto, deve essere distinto dal mutuo ipotecario, il quale ha durata inferiore e può essere richiesto anche per finalità diverse (ad es. acquisto di una seconda casa ovvero rinegoziazione di un mutuo già in corso).
Naturalmente, data la funzione cui è preordinato, il mutuo fondiario, beneficia di alcuni privilegi quali ad esempio l’applicazione di tassi di interesse sui ratei di rientro inferiori rispetto alla concessione del credito ordinario e il contenimento delle spese notarili.
Alla stipula del contratto, l’istituto bancario ed il mutuatario definiscono un piano di ammortamento dal quale andrà a determinarsi l’ammontare della rata di rientro (comprendente l’importo capitale oltre agli interessi applicati e concordati in sede di stipula).
A tale proposito, occorre valutare diverse ipotesi.
Il tasso fisso (collegato all’indice Eurirs) è caratterizzato dal fatto di non essere soggetto a variazioni durante la durata del prestito.
Il tasso variabile (collegato all’indice Euribor o al tasso di riferimento della Banca Centrale Europea, Tasso BCE): è invece contraddistinto dal fatto di variare in dipendenza di determinati parametri, quali i tassi del mercato monetario o finanziario.
Nell’ipotesi di tasso misto, durante il periodo di vita del mutuo è possibile modificare, alle scadenze e alle condizioni stabilite in sede contrattuale, la tipologia di tasso applicato inizialmente optando tra tasso fisso e tasso variabile.
Il tasso capped rate (c.d. “CAP”) rappresenta un particolare tasso variabile, in cui è previsto un limite massimo predeterminato oltre il quale il tasso d’interesse non potrà mai salire, anche laddove dovesse risultare superato dai tassi di mercato.
Il tasso bilanciato è invece composto da una parte a tasso fisso e una a tasso variabile. La composizione tra le due tipologie risulterà ovviamente determinata dal peso che si ritenga preferibile attribuire alla componente fissa rispetto a quella variabile.
Ora, come accennato in apertura delle presenti brevi note, le controversie in materia di contratti bancari e finanziari rientrano nel novero di quelle in cui la mediazione rappresenta condizione di procedibilità della domanda giudiziale (art. 5, co. 1, D.lgs 28/2010). Ciò è stato confermato dalla recente riforma c.d. Cartabia, con la quale, anzi, si è inteso “positivizzare”, per così dire, l’approdo cui erano già pervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sent. 19596/2020) in materia di rapporto tra mediazione e opposizione a decreto ingiuntivo – aspetto della più assoluta rilevanza nell’ambito del contenzioso bancario – con l’inserimento, nel corpus del D.lgs 28/2010, dell’art. 5 – bis, che espressamente prevede che “…nel procedimento di opposizione l’onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo (…)”.
Relativamente alla nozione di “contratti bancari e finanziari”, occorre peraltro osservare come la Cassazione abbia già da tempo adottato una lettura rigorosa e non estensiva della stessa, escludendo ad esempio la mediazione ante causam obbligatoria per le controversie aventi ad oggetto il leasing immobiliare (cfr. Corte di Cassazione 22.11.2019, n. 30520 e 13.05.2021, n. 12883) nonché per l’ipotesi di pagamento di un assegno bancario a persona diversa all’effettivo beneficiario (Corte di Cassazione 20.05.2020, n. 9204).
Conseguentemente, stante l’impostazione di cui sopra, la Suprema Corte con l’ord. 21.10.2022, n. 21209, ha escluso l’obbligo di mediazione ai sensi dell’art. 5, co. 1 – bis (oggi co. 1), D.lgs 28/2010, con riferimento ad una controversia connessa ad una fideiussione a garanzia di un mutuo bancario. Nell’apparato motivazionale, infatti, si ribadisce come la disposizione citata faccia espresso riferimento “…a controversie in materia di contratti bancari o finanziari”, includendo pertanto “… le controversie attinenti al rapporto contrattuale principale fra banca e cliente, ma non anche quelle relative alle obbligazioni di garanzia”.
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