28 Giugno
Michele Di Mauro
Materie di mediazione obbligatoria
Un possibile terreno d’elezione per la pratica della mediazione può essere costituito oggi dalla materia dei contratti di rete d’impresa, argomento che risulta di particolare attualità.
Il contratto di rete è una tipologia di contratto disciplinata dalla L. 9 aprile 2009, n. 33, di conversione del D.L. 10 febbraio 2009, n. 5 (c.d. “Decreto incentivi”) e sottoposta al tentativo di mediazione obbligatoria (D.Lgs 28/2010) a partire dal 30 giugno 2023 (D.Lgs 149/2022).
La RETE è uno strumento contrattuale di collaborazione e cooperazione tra imprenditori.
“Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”. E’ questa la nozione di contratto di rete accolta nell’art. 3, co 4 ter l. 9.4.2009, n. 33 e sue successive modificazioni. A completamento della nozione qui richiamata, la norma precisa che il contratto “può anche prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo comune incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l’esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso”.
La normativa di riferimento per la disciplina del contratto di rete è il decreto legge n. 5/2009, che è stato poi convertito nella legge n. 33/2009. Si sono succeduti nel tempo vari interventi legislativi che ne hanno modificato la disciplina: i decreti legge nn. 78/2010, 83/2012, 179/2012, poi convertiti in legge e infine la legge n. 154/2016.
È un contratto che può essere stipulato tra almeno due imprenditori, che possono agire sotto diverse forme giuridiche e con diverse dimensioni. Possono infatti essere società di capitali o di persone ovvero imprese individuali, consorzi, società cooperative ed altre. Non rilevano, inoltre: le dimensioni dell’impresa ai fini della rete che può essere piccola, media o grande; l’attività svolta che può riguardare settori diversi; il luogo dove l’attività viene svolta che può essere in tutto il territorio italiano. Possono fare parte della rete anche imprese estere che operano in Italia.
Al contratto dev’essere allegato un programma di rete che individui gli obbiettivi comuni e le attività economiche da svolgersi in comune tra le imprese. Tale programma è propedeutico all’esercizio delle attività in esso previste.
Nel tempo, la possibilità di ricorrere al contratto di rete è stata riconosciuta anche a soggetti diversi dalle imprese.
Infatti, con il Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 91, convertito con modificazioni in Legge 11 agosto 2014, n. 116, è stata estesa al settore agricolo la facoltà di sottoscrivere contratti di rete, permettendo in particolare di suddividere la produzione agricola tra i partecipanti al programma.
Inoltre, la Legge 22 maggio 2017 n. 81, al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, ha riconosciuto ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, con accesso alle relative provvidenze in materia.
La rete può nascere:
oppure
Nel primo caso si parla di un semplice strumento contrattuale che lascia in completa autonomia i contraenti che lo hanno sottoscritto.
Nel secondo caso si viene a creare un nuovo centro di imputazione di situazioni giuridiche soggettive distinto dai singoli partecipanti alla rete. Ciascuno di essi è come se diventasse “socio” di un nuovo soggetto, che assume tutte le caratteristiche per essere soggetto alla normativa fiscale, poter essere soggetto a fallimento e rientrare nel campo di applicazione della disciplina della responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato ex decreto legislativo 231/2001.
Al fondo patrimoniale comune si applicano, salvo incompatibilità, le disposizioni sul fondo consortile di cui agli articoli 2614 e 2615, secondo comma, del codice civile. In ogni caso, per le obbligazioni contratte dall’organo comune in relazione al programma di rete, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo comune. Inoltre, entro due mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale l’organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l’ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede; si applica, in quanto compatibile, l’articolo 2615-bis, terzo comma, del codice civile. Tale disposizione si applica anche alle reti di imprese prive di personalità giuridica.
Il carattere di eventualità del fondo comune è in realtà solo apparente, nel senso che la normativa fiscale concede l’accesso a determinate agevolazioni fiscali soltanto ai contratti di rete aventi un fondo comune. La costituzione del fondo diventa pertanto utile alla fruizione di tali agevolazioni.
Qualora la rete di imprese abbia acquisito la soggettività giuridica, il contratto deve essere redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, oppure per atto redatto secondo il modello standard ministeriale su documento originale informatico firmato digitalmente, e deve avere i contenuti minimi obbligatori di seguito elencati:
La normativa sul contratto di rete non si esprime in merito alla durata del contratto se non affermare che esso ne abbia una (quella da indicare nel contratto stesso). Si ritiene pertanto in linea di massima che la durata di tale contratto sia commisurata al tempo necessario per raggiungere gli obbiettivi e gli scopi comuni fissati nel programma di rete.
L’unico limite temporale che può indirettamente incidere sul contratto di rete può essere un eventuale patto di non concorrenza stipulato tra imprese partecipanti alla rete ed esercitanti un’attività nel medesimo ambito produttivo. In tal caso, si ritiene che Il contratto di rete non possa essere utilizzato per derogare alla durata massima quinquennale di un patto di non concorrenza tra imprese, in applicazione dell’art. 2596 c.c., con l’automatica sostituzione della relativa clausola, nel caso in cui sia stata stabilita una durata superiore.
La gestione dei rapporti di lavoro nelle imprese facenti parte di una rete avviene secondo le regole della cosiddetta codatorialità. Significa cioè che il singolo rapporto di lavoro è in capo a tutte le aziende partecipanti alla rete e viene gestito secondo le regole previste dall’articolo 30, comma 4-ter, del decreto legislativo 276/2003.
Il contratto di rete deve contenere le regole di ingaggio dei lavoratori ai fini della codatorialità. Le singole imprese sono di norma obbligate in solido per la responsabilità civile, penale e amministrativa nei confronti dei lavoratori. È tuttavia il contratto di rete a disciplinare tale aspetto.
Si evidenzia, infine, che il Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito con modificazioni in Legge 9 agosto 2013, n. 99, ha introdotto una particolare previsione in caso di distacco di personale tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di imprese (art. 30 del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276). In particolare, in tali ipotesi, la norma prevede che l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del codice civile. Peraltro, per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso.
A tal riguardo, la Circolare 29 agosto 2013, n. 35 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha chiarito che, ai fini della verifica dei presupposti di legittimità del distacco, è sufficiente l’esistenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario. Quanto alla codatorialità, si evidenzia che, in relazione a tale personale, il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete. Sul punto, è stata adottata anche la Circolare 29 marzo 2018, n. 7 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), che illustra specificatamente le caratteristiche del distacco nell’ambito del contratto di rete di imprese e ribadisce che il lavoratore distaccato o in regime di codatorialità non può in nessun modo subire un pregiudizio economico e/o normativo, trovando applicazione, anche in questo ambito, il principio generale della responsabilità solidale in caso in caso di omissioni retributive e/o contributive ex art.29 D.lgs 276/2003.
Da ultimo, si segnala che il D.M. n. 205 del 29 ottobre 2021 ha definito le modalità operative per la comunicazione dei rapporti di lavoro in regime di codatorialità da parte dell’impresa referente individuata nell’ambito di contratti di rete.
Perché la mediazione delle liti tra imprese in rete?
In conclusione, possiamo evidenziare che il legislatore ha inteso offrire alle piccole e medie aziende uno schema agile e duttile di contratto con comunione di scopo e vocazione plurilaterale, per favorirne l’aggregazione libera e agevole ma non priva di regole – peraltro rimesse essenzialmente all’autonomia ed alla responsabilità delle imprese interessate – nella prospettiva di favorirne la competitività e la capacità di fronteggiare al meglio le esigenze mutevoli e contingenti del mercato, senza però subire la costrizione di schemi normativi rigidi e dover ricorrere a pesanti infrastrutture.
D’altro canto, la mancanza di schemi normativi rigidi, di una disciplina dell’abuso di dipendenza economica, nonché di una disciplina dello scioglimento, di norme forti sul recesso, lasciato integralmente all’autonomia decisionale delle parti e di qualsivoglia riferimento alle reti transnazionali, comporta anche rischi, che possono sfociare in conflitti su vari temi, come, solo a titolo di esempio non esaustivo: l’esecuzione delle decisioni concordate; la responsabilità delle imprese in merito ai risultati; la tutela delle informazioni riservate condivise tra le imprese in rete; l’entità del contributo che un’impresa fornisce alla rete; la trasparenza delle informazioni condivise; l’amministrazione del progetto di rete; il durata dei patti inseriti nella rete-contratto, come quello di non concorrenza.
E’ di tutta evidenza che per il successo della rete d’impresa nel realizzare una fattiva collaborazione dei singoli partecipanti tra loro, ottenendo per ciascuno l’auspicabile valore aggiunto dalla partecipazione, molto dipenderà dalla tempestività e dalla coordinazione dell’iniziativa nelle circostanze contingenti e, in tale prospettiva, l’eventuale insorgenza tra le parti di questioni tali da impedire soluzioni comuni e condivise dovrà trovare una risposta celere ed adeguata, tale cioè da non pregiudicare un rapporto sorto nell’ottica di una collaborazione protratta nel tempo, il tutto in maniera riservata e scongiurando possibili pregiudizi derivanti da eventuali fughe di notizie che trapelino all’esterno.
Non v’è chi non veda allora come tali esigenze evochino in maniera del tutto naturale la mediazione facilitativa, condotta da un terzo imparziale, indipendente e neutrale, tale da assicurare celerità nella risoluzione di eventuali conflitti insorti, riservatezza verso l’esterno e, se del caso, anche verso l’interno della stessa rete (come potrebbe risultare necessario per l’imprenditore nelle prime battute, onde valutare l’opportunità di instaurare un’effettiva relazione di fiducia), in una prospettiva orientata alla conservazione di un rapporto tendenzialmente di durata.
In tale ottica il legislatore, con il D.lgs 149/2022 (art. 7) ha inserito i rapporti di rete tra le materie sottoposte a tentativo obbligatorio di mediazione civile e commerciale, oltre agli altri contratti di durata previsti dal novellato art. 5 D.lgs 20/2010, per aiutare le imprese a risolvere i conflitti prima che arrivino dinanzi all’Autorità Giudiziaria e perseguire tempestivamente il componimento di possibili controversie insorte, in una materia in cui promuovere un contenzioso in sede giudiziale, ma anche nella più celere sede arbitrale, risulterebbe del tutto incompatibile con la natura stessa del rapporto di rete, decretando inevitabilmente la fine di qualunque possibilità di collaborazione, pur potenzialmente proficua per le parti.
Il legislatore dimostra di aver tenuto conto delle risultanze applicative dell’approdo conciliativo, come lo strumento più idoneo ad una composizione della lite, teso alla protezione del tessuto economico italiano, evitando il più possibile che le realtà imprenditoriali emergenti e consolidate perdano efficienza per causa dei procedimenti giudiziari. Infatti, la mediazione civile si basa sulla riservatezza delle informazioni e delle decisioni, salvaguardando la reputazione delle imprese; ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabili al massimo di ulteriori tre mesi, su accordo delle parti, e ciò consente alle imprese il rispetto dei programmi comuni di rete; ha costi certi e contenuti, poiché le spese di avvio e i compensi di mediazione sono predeterminati; riconosce alle parti diverse agevolazioni fiscali, come l’esenzione dell’imposta di bollo crediti di imposta per gli accordi entro l’importo di euro 100.000, crediti d’imposta per le spese di mediazione, i compensi per l’assistenza legale e il contributo unificato già versato, e si basa sulla decisione diretta delle parti in lite, evitando l’alea delle decisioni giudiziali.
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