27 Luglio
Redazione
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Date le divergenti posizioni emerse nella maggioranza durante il dibattito attualmente in corso presso la Camera dei deputati, sembra che il filtro in appello, previsto dagli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., introdotti dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, sia destinato ad essere emendato, anche se del tutto incerte sembrano essere le sembianze che dovrebbe andare ad assumere all’esito del procedimento di conversione.
L’obiettivo dichiarato è quello di limitare gli spazi, ritenuti eccessivi, di discrezionalità messi dalla nuova normativa a disposizione del giudice nel valutare le probabilità di accoglimento dell’impugnazione.
Due sono le principali ipotesi sul tavolo circa le modifiche da apportare al testo. Da un lato, una cospicua parte della maggioranza pare attestata su posizioni che, di fatto, svuoterebbero di efficacia la norma, rafforzando semplicemente una possibilità che comunque il Codice di procedura offre già oggi e cioè la pronuncia di infondatezza emessa dal giudice alla prima udienza. Un intervento che andrebbe certamente incontro alle preoccupazioni espresse dall’avvocatura, finendo con il limitare di molto la portata innovativa della norma.
Da parte sua, il Ministero appare favorevole ad un diverso emendamento che riprende in larga parte i suggerimenti del CSM e spinge per l’introduzione di un appello che debba contenere, a pena di inammissibilità, la specificazione, in termini analitici, delle parti impugnate della sentenza oggetto di gravame, delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione di fatto operata dal Giudice di primo grado e delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Una correzione che ridurrebbe i margini di intervento discrezionale del Giudice, senza però pregiudicare irreparabilmente le finalità del filtro.
Il ministro Severino non pare orientata a fare passi indietro da una posizione che sembra rappresentare, per il Governo, il punto di equilibrio più avanzato possibile. Si va, dunque, verso un più che probabile voto di fiducia in aula, dagli esiti largamente imprevedibili.
L’avvocatura, peraltro, preme anche con riferimento all’altra grande tematica ritenuta pregiudiziale, quella cioè rappresentata dalla nuova geografia giudiziaria.
Innanzi alle commissioni Giustizia di Camera e Senato il CNF ha esposto come, a proprio avviso, “rivedere la geografia giudiziaria è un’operazione necessaria, ma il Governo deve riscrivere il decreto delegato tenendo conto di tutti i criteri, compresi quelli legati alle specificità territoriali che ha totalmente trascurato. Così com’è, infatti, non garantisce né risparmi né efficienza. L’assetto della giustizia sarebbe fragile e il provvedimento del Governo esposto a rischio di incostituzionalità“.
Dal canto suo, l’OUA, sentito anch’esso in sede parlamentare, ha piuttosto tenuto a precisare che “i principi previsti nella delega non risultano valorizzati: si pensi al mancato riconoscimento del tasso di criminalità, dell’estensione territoriale e della presenza di infrastrutture giudiziarie già pronte per la consegna e per le quali si sono addirittura sostenute spese superiori al possibile risparmio. Per esempio, i casi eclatanti di Chiavari, Castrovillari e Bassano del Grappa. Criteri che escludono di poter considerare sopprimibili i 37 tribunali indicati solo per non aver raggiunto uno dei parametri indicati nella relazione del Gruppo di studio“.
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