31 Ottobre
Luigi Majoli
Contratti assicurativi
L’art. 5, co. 1, D.lgs 28/2010, ricomprende i contratti assicurativi nell’ambito delle materie in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
In sostanza – dunque – come in tutte le materie tassativamente elencate dalla suddetta disposizione, anche con riferimento ai contratti in parola prima di adire il giudice è necessario esperire il tentativo di mediazione.
La scelta operata dal legislatore non è di difficile lettura: basti pensare che il menzionato art. 5, co. 1, si esprime in termini di “…contratti assicurativi, bancari e finanziari”, formulazione certamente da non ritenersi casuale, dal momento che i contratti assicurativi hanno in comune con quelli bancari e finanziari due caratteristiche fondamentali, vale a dire, da un lato, il fatto di essere numerosissimi (il che di per sé implica un numero direttamente proporzionale di controversie) e, dall’altro, la circostanza che si tratta pur sempre di contratti di lunga durata, in cui molte situazioni, giuridiche, di rapporti tra le parti, etc., possono mutare nel tempo tanto da far insorgere una lite anche trascorso un notevole lasso temporale dalla stipula.
Il legislatore, pertanto, ha certamente inteso includere le categorie in parola nel novero di quelle soggette alla c.d. “mediazione obbligatoria” mirando all’ottenimento di un rilevante effetto deflattivo.
Il Codice civile disciplina i contratti assicurativi nel Libro Quarto, Titolo III, Capo XX, e precisamente negli artt. 1882 – 1933, definendo l’assicurazione come il contratto con il quale “…l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana” (art. 1882 c.c.) e stabilendo, sotto il profilo soggettivo, che “L’impresa di assicurazione non può essere esercitata che da un istituto di diritto pubblico o da una società per azioni e con l’osservanza delle norme stabilite dalle leggi speciali”.
Come è ben noto, sussistono le più svariate tipologie di contratti assicurativi, aventi ciascuna l’obiettivo di coprire i più diversi ambiti della vita e delle attività professionali ed economiche. Si pensi, innanzitutto, all’assicurazione sulla vita, laddove, al fine di fornire tutela ai propri congiunti in caso di morte, si sottoscrive una polizza assicurativa, per l’appunto sulla vita, che garantirà ai familiari (o più in generale ai beneficiari), nell’ipotesi in cui l’evento si verifichi, quantomeno un ristoro economico.
O all’assicurazione volta alla copertura delle spese di assistenza a lungo termine (c.d. long term care), come il ricovero in strutture sanitarie o l’assistenza domiciliare in caso di perdita dell’autosufficienza.
Ma si pensi anche all’assicurazione sulla proprietà,ipotesi in cui, al fine di garantirsi il rimborso delle spese occorrenti per la ricostruzione o per le riparazioni della casa in caso di eventi disastrosi, il proprietario di un immobile sottoscrive un’assicurazione sullo stesso per le ipotesi di alluvione, incendio, terremoto o, ad esempio, danni provocati da atti vandalici.
O, ancora, all’assicurazione per responsabilità civile generale,finalizzata a garantire una copertura per l’ipotesi di danni cagionati a terzi, ad esempio nel corso delle proprie normali attività commerciali.
Ovvero alla RC professionale, vale adire l’assicurazione di responsabilità civile professionale sottoscritta da un professionista al fine di tutelarsi da eventuali richieste di risarcimento da parte dei propri clienti nel caso di danni causati da errori o negligenze professionali.
Ma si pensi anche ad ipotesi come l’assicurazione credito commerciale, dove l’assicurazione è volta a proteggere l’azienda che la stipula nell’eventualità di mancato pagamento da parte dei clienti per le forniture di beni o servizi o come l’assicurazione di tutela legale, in cui l’azienda o il soggetto privato mirano a garantirsi in ordine ai costi derivanti dalle spese legali relative all’ipotesi di coinvolgimento in controversie giudiziali.
Oppure al caso, assai frequente nella pratica, di assicurazione viaggi, in cui il viaggiatore sottoscrive una polizza assicurativa tale da garantirgli un ristoro nel caso di spese mediche durante il viaggio o addirittura di rientro obbligato in caso di emergenza, ma anche nelle ipotesi di smarrimento di bagagli, di cancellazione di un volo, etc.
Quelli che precedono non sono che indicazioni esemplificative, ma valgono a fornire un’idea della vastità degli ambiti della vita in cui può risultare opportuna la scelta in favore della stipula di un contratto assicurativo.
Ora, come in tutti rapporti contrattuali, stante il relativo insorgere di obblighi in capo alle parti, anche nel campo che ci occupa è frequente l’insorgere di controversie: ad esempio in materia di pagamento di un indennizzo (o di un premio) o di contestazione da parte del contraente del contenuto di una o più clausole ritenute sfavorevoli o addirittura vessatorie.
Naturalmente, data l’estrema variabilità delle tipologie contrattuali, altrettanto variegato si presenta il novero delle controversie in materia e, quindi, stante la previsione di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, dei relativi procedimenti di mediazione.
Innanzitutto, data la frequenza che le caratterizza, occorre considerare le ipotesi di controversie inerenti al diniego della copertura assicurativa ovvero alla sottostima dei danni lamentati.
Le prime insorgono allorché la compagnia assicurativa nega la copertura del danno derivante da un sinistro, ritenendo le circostanze dello stesso non riconducibili alle condizioni previste dalla polizza, mentre, nella seconda ipotesi, il conflitto è originato dalla valutazione dei danni da parte dell’assicuratore, ritenuta dall’assicurato incongrua.
Altra fattispecie assai ricorrente nell’ambito del contenzioso in materia di contratti assicurativi e quella relativa ai danni cagionati al patrimonio dell’assicurato dal ritardato pagamento da parte dell’assicurazione dei risarcimenti dovuti.
Assai spesso, poi, il contendere riguarda l’interpretazione delle clausole di esclusione che limitano la copertura in presenza di determinate circostanze, spesso correlate all’entità del danno o all’individuazione della responsabilità.
Vanno poi considerate le controversie afferenti al mutamento delle condizioni della polizza, scaturenti dalla decisione dell’assicurazione di modificare le condizioni di polizza senza acquisire il consenso ovvero senza dare adeguato preavviso all’assicurato, con conseguente ricaduta, negativa per quest’ultimo, in termini di ampiezza della copertura o di entità dei premi, o relative, addirittura, all’annullamento della polizza, controversie, queste ultime, che spesso si verificano nell’ipotesi di scoperta, da parte della compagnia, di informazioni non comunicate o comunicate in modo falso nel corso della fase di stipula del contratto.
Un cenno, infine, ai casi in cui le controversie sono originate dalla circostanza che più sinistri vengano a verificarsi in un lasso temporale ristretto, con conseguente contestazione, da parte dell’assicuratore, in ordine alla natura o alla frequenza di detti eventi.
Ora rientrando tutte le controversie esemplificate nell’ambito dei contratti assicurativi, il primo passaggio che si renderà necessario, per la parte contrattuale che intenda ottenere tutela, è, come si è detto, rappresentato dalla necessità di depositare una domanda di mediazione presso un organismo territorialmente competente.
Si tratta, al netto delle considerazioni che saranno svolte a breve, di un’opportunità da non sottovalutare, come inevitabilmente accadrebbe nel caso in cui si vedesse nella mediazione un mero passaggio necessario per approdare alla sede giudiziale (il che, per inciso, andrebbe in rotta di collisione frontale con gli obiettivi deflattivi perseguiti dal legislatore).
In altri termini, non dovrebbe sottostimarsi il dato rappresentato dal fatto che per il tramite della mediazione è possibile pervenire ai medesimi risultati attingibili con il giudizio, ma beneficiando di alcuni fondamentali vantaggi: tempi ristretti e costi limitati, partecipazione effettiva sotto il profilo personale e, quindi, maggior “controllo” sul procedimento, possibilità di risoluzione, nell’ambito dello stesso, di questioni controverse non facenti tecnicamente parte della lite ma ad essa strettamente collegate, possibilità, in sintesi, di addivenire ad una soluzione condivisa elaborata dalle parti stesse.
Ciò premesso, non può in queste brevi note sottacersi come l’esperienza ad oggi maturata mostri che l’intento deflattivo perseguito dal legislatore – con riferimento all’ambito dei contratti assicurativi – sia stato in notevole misura disatteso dalla scarsa propensione delle compagnie assicurative alla partecipazione alle procedure di mediazione. E’ infatti frequente la non adesione delle assicurazioni al procedimento, con conseguente conclusione negativa dello stesso, nell’ottica di rinviare ogni eventuale valutazione d’ordine transattivo alla futura fase giudiziale della controversia.
In sostanza, spesso le assicurazioni evitano di concludere accordi conciliativi in mediazione quando ritengano di avere alternative migliori rispetto all’accordo medesimo, tenuto conto anche dei valori di resistenza, propri ed altrui, questi ultimi risultando, ove si tengano in adeguato conto i tempi e i costi del giudizio, ad esse il più delle volte favorevoli. Certamente tempi di giustizia considerevolmente più contenuti favorirebbero sensibilmente risoluzioni negoziate, vale a dire conciliative, delle controversie relative a settori così rilevanti e così caratterizzati da intrinseco “squilibrio” tra le parti in lite.
A tale proposito, peraltro, giova ricordare che con la riforma c.d. Cartabia (D.lgs 149/2022 attuativo delle deleghe di cui alla L. 206/2021) è stato introdotto il nuovo art. 12 – bis, D.lgs 28/2010, che ha modificato l’impianto sanzionatorio precedentemente vigente in tema di mancata partecipazione al procedimento di mediazione.
Come ben noto, già in forza dell’assetto consolidatosi in conseguenza della conversione del c.d. “decreto del fare”, si prefiguravano conseguenze rilevanti con riferimento all’ipotesi di mancata partecipazione al procedimento di mediazione ritenuta in sede giudiziale priva di giustificato motivo, vale a dire non solo la possibilità per il giudice di trarre, dal predetto comportamento omissivo, argomenti di prova ex art. 116, co. 2, c.p.c., ma anche e soprattutto la condanna della parte ritenuta ingiustificatamente renitente, nelle ipotesi di obbligatorietà del tentativo, al pagamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Il quadro normativo post-riforma, come poc’anzi accennato, è stato assoggettato a notevoli modifiche.
L’attuale art. 12 – bis, D.lgs 28/2010, in vigore dal 28 febbraio 2023, prevede infatti che “1. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. 2. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio. 3. Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione. 4. Quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati all’autorità di vigilanza competente”.
La situazione, come è agevole rilevare, è dunque radicalmente mutata, in particolare con riferimento alle sanzioni irrogabili dal giudice ed all’entità delle stesse.
Innanzitutto, la mancata partecipazione al procedimento di mediazione che sia ritenuta priva di giustificato motivo può indurre il giudice a desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, co. 2, c.p.c. Si noti, data la portata generale del tenore del primo comma del predetto art. 12 – bis, che tale conseguenza potrà ben derivare anche dalla mancata partecipazione ad un procedimento avviato volontariamente.
Con riferimento specifico alle ipotesi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale (ratione materiae ovvero in quanto delegata dal giudice ai sensi dell’art. 5 –quater, D.lgs 28/2010 o ancora in quanto prevista come step necessario da una clausola contrattuale), e quindi anche nel caso della materia che ci occupa, ossia i contratti assicurativi, il legislatore ha aggravato le conseguenze della mancata partecipazione, raddoppiando l’entità della sanzione (doppio del valore del contributo unificato dovuto per il giudizio); va rilevata la chiarezza del dato testuale, secondo cui – laddove l’assenza in mediazione sia ritenuta non giustificata – il giudice “condanna la parte costituita”: il giudice non è dunque facoltizzato ad irrogare la sanzione, dovrà senz’altro irrogarla laddove, per l’appunto, ritenga la mancata partecipazione priva di giustificato motivo.
Detta sanzione prescinde totalmente dalla soccombenza nel successivo giudizio, atteso che, in attuazione del principio di causalità, mira a sanzionare la parte che, sottraendosi alla procedura stragiudiziale, provoca il giudizio: di conseguenza ben potrà essere irrogata fin dalla prima udienza.
Dovrà quindi considerarsi ingiustificata la mancata partecipazione di chi non motivi affatto tale proprio comportamento omissivo, mentre dovranno valutarsi caso per caso, da parte del giudice, le eventuali motivazioni addotte a giustificazione dell’assenza in mediazione.
Secondo una ormai consolidata giurisprudenza, peraltro, la parte non può limitarsi ad opporre quale giustificato motivo della mancata partecipazione alla mediazione, l’asserzione aprioristica che la propria posizione sia fondata rispetto alle tesi della controparte, poiché ammettendo ciò sussisterebbe sempre e comunque in capo a chiunque un giustificato motivo per non comparire.
Poiché, invece, la mediazione nasce da un contrasto tra le parti che il mediatore tenta di dirimere riallacciando canali di dialogo, non possono logicamente trovare diritto di cittadinanza prese di posizione preconcette fondate sulla giustezza delle proprie ragioni, occorrendo, invece, una partecipazione effettiva.
Il tempo dirà se tanto varrà a modificare il diffuso atteggiamento “agnostico” tenuto dalle compagnie assicurative nei confronti dell’istituto della mediazione.
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