Nel giudizio di querela di falso può esperirsi la mediazione delegata. Se le parti non si presentano non può parlarsi di mancato accordo.
Commento
Interessante pronuncia del Tribunale di Roma, sez. XIII civile, datata 29 settembre 2014.
Interessante sotto due profili ben distinti.
L’uno, logicamente preliminare, investe il problema dell’utilizzabilità della mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 nella specifica fattispecie (giudizio di querela di falso); l’ altro, invece, di natura squisitamente procedimentale, inerente alle tecniche di redazione del verbale di mediazione da parte del mediatore, e quindi di immediato interesse pratico per gli operatori del settore.
Andiamo con ordine.
Nella fattispecie in parola ci troviamo di fronte ad un accertamento incidentale di querela di falso. Infatti, la parte soccombente in primo grado, nell’interporre appello, ha proposto, oltre alle questioni di merito, querela di falso avverso la sottoscrizione apposta all’avviso postale di ricevimento della citazione di primo grado che a suo dire non le appartiene. La Corte di Appello ha sospeso l’esecuzione della sentenza di primo grado ed ha concesso un termine, all’appellante, per riassumere davanti al Tribunale la causa di querela di falso, ciò che l’interessato ha ritualmente effettuato.
In quest’ultima sede, con ordinanza del 9.12.2013 il giudice ha disposto la mediazione demandata ai sensi del novellato art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, ritenendo che “…stante la modestia del merito del contendere (della causa dalla quale il presente giudizio, ad essa servente, promana) è difficile negare che le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di porre fine, ad una lunga defatigante lite, i cui progressivi costi, non solo per le parti stesse, ma anche, in termini più generali e lati, per la collettività, incidono sul corso di una giustizia civile già affannata e in gravissima difficoltà nel fornire soddisfacenti risposte”.
Si pone il problema, stante la natura della causa (giudizio di querela di falso), se sussistano ostacoli di carattere giuridico a che sia disposto l’avvio della mediazione, dal momento che l’art. 2 D.lgs 28/2010 esclude dal perimetro delle controversie mediabili quelle che vertono su diritti non disponibili.
Secondo il Tribunale, detta disposizione vale a delimitare “…l’ambito della mediazione civile e commerciale a tutte quelle aree di situazioni soggettive che non siano sottratte alla disponibilità della negoziazione da parte dei privati.
Diritti disponibili si rinvengono in tutte le aree del diritto, comprese ad esempio quella della famiglia, della successione, delle locazioni e del lavoro dipendente, tradizionalmente sedi di severa tutela da parte del legislatore a favore della parte ritenuta più debole, presidiate da previsioni di indisponibilità assoluta o relativa e di nullità assolute ovvero eccepibili solo dalla parte che si è inteso proteggere. Che siano mediabili anche i diritti allogati in tali aree, ove, per come conformati dalla legge siano disponibili, non può essere revocato in dubbio sia perchè non vi è alcuna norma che lo proibisce e sia perchè il riferimento della legge alla possibilità, da parte del giudice, di inviare in mediazione le parti (anche) allorchè l’udienza per le conclusioni non sia prevista, rimanda a settori (rito lavoro e locazioni) dove per elezione tale udienza in effetti non esiste”.
Conseguentemente, secondo il giudice capitolino, nel giudizio di querela di falso non interverrebbero interessi pubblicistici, come invece avviene in sede penale, neanche “… nelle ipotesi più estreme. Si immagini l’ipotesi (verosimilmente potrebbe rientrarvi il caso in esame), in cui sia impugnato di falso un atto pubblico. Anche in questo caso, la circostanza che all’esito del giudizio il giudice civile potrebbe ravvisare ipotesi di reato a carico di taluno, con quanto ne consegue in termini di trasmissione degli atti al titolare dell’azione penale, non viene meno la piena disponibilità degli interessi sottesi alla promozione della causa civile. Come dimostra la circostanza che l’esito del giudizio è l’accertamento della genuinità o meno dello specifico contenuto di un atto, in ordine alla quale è previsto che il giudice ai fini di accertarlo (art. 222 cpc) ammette i mezzi istruttori che ritiene idonei, e dispone i modi e i termini della loro assunzione. Fra tali mezzi è sicuramente ammissibile la confessione. Attingibile anche (ma non solo) a mezzo dell’interrogatorio formale.
Se la parte che ha impugnato di falso confessa la veridicità della scrittura, cosa che incontrovertibilmente è ammissibile e possibile sia concettualmente e sia in punto di diritto, si produrranno due conseguenze: da una parte che la causa avrà fatto regolarmente il suo corso raggiungendo uno degli esiti possibili, dall’altra che si avrà la dimostrazione della piena disponibilità del diritto del soggetto che ha avanzato la querela di falso”.
Sulla base delle argomentazione che precedono, il giudice, ritenendo di aver reso piena dimostrazione della “mediabilità” della questione, in virtù della disponibilità del diritto della parte attrice, ha disposto l’invio in mediazione presso un organismo territorialmente competente ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
Sennonchè, all’udienza del 9 giugno 2014 veniva prodotto il verbale del procedimento di mediazione nel quale il mediatore dichiarava concluso negativamente il procedimento di mediazione per mancato raggiungimento di un accordo tra le parti, dopo aver premesso, però, che nessuna delle stesse erra comparsa all’incontro fissato dall’organismo.
L’aporia è evidente.
Occorre infatti muovere da quanto previsto nell’art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, secondo il quale “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
Ora, dal combinato disposto della disposizione summenzionata e degli artt. 8 e 17, co. 5 – ter, del medesimo D.lgs 28/2010, il giudice osserva come emerga “…con assoluta chiarezza, in primo luogo, l’inesattezza di quanto è stato scritto nella parte conclusiva del suddetto verbale di mediazione.
Il mediatore, non evidentemente bene accorto del contesto nel quale si muoveva, riteneva di poter dare comunque atto che l’accordo non era stato raggiunto dalle parti, di cui non aveva avuto la presenza, neppure del richiedente, e che quindi per tale ragione il procedimento di mediazione era per tale ragione concluso.
Decisione che va qualificata del tutto errata. Il procedimento di mediazione si è concluso perché nessuna delle parti si è recata giorno fissato per l’incontro, davanti al mediatore. Era semplicemente di questo che il mediatore avrebbe dovuto dare atto. Affermare che le parti non avevano raggiunto l’accordo è un’aporia, sicuramente non consapevole, ma pur sempre tale”.
In una situazione come quella rappresentata, in effetti, è contrario al vero affermare che le parti non abbiano raggiunto un accordo. Potranno anche non averlo raggiunto, ma in un contesto esterno al procedimento di mediazione, al quale solo il verbale deve necessariamente riferirsi, non dovendo in alcun modo rilevare per il mediatore quanto (eventualmente) avvenuto al di fuori dello stesso.
Ragion per cui il giudice rileva che “….affermare, quale semplice nuncius, peraltro di una sola parte scrivente, che non è stato raggiunto l’accordo quando nessuna delle stesse si è presentata davanti al mediatore, significa semplicemente abdicare, da parte del mediatore, al ruolo che la legge gli ha assegnato”.
Dovrà quindi ritenersi che l’eventuale rilascio, da parte della segreteria dell’organismo, della dichiarazione di conclusione del procedimento non può assurgere ad atto valido ed efficace ai fini dell’assolvimento dell’onere di esperire previamente il tentativo di conciliazione; ciò, in quanto la mancata comparizione anche del solo istante, dinanzi al mediatore, impedisce di ritenere correttamente iniziato e proseguito il procedimento di mediazione. In ogni caso, è il mediatore che deve verificare se effettivamente la controparte non si presenti, essendo tale comportamento valutabile dal giudice nel successivo giudizio, ai sensi dell’art. 8, co. 5, D.lgs. 28/2010.
Quindi, il fatto che la legge preveda in talune materie una condizione di procedibilità della domanda implica che la stessa debba essere effettivamente svolta dinanzi al mediatore, che è e resta l’unico soggetto legittimato a redigere il verbale negativo, senza che tale compito possa essere svolto in sua vece dalla segreteria e senza – soprattutto – che eventuali contatti delle parti con il mediatore mediante posta elettronica, fax, etc. possano in alcun modo integrare la condizione di procedibilità.
In sostanza, alla luce di quanto previsto dall’art. 8, co. 1 e dall’art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, occorre concludere nel senso che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale non può considerarsi realizzata qualora, come nel caso di specie, non vi sia un incontro delle parti e/o dei loro avvocati con il mediatore. Ciò in quanto deve essere il mediatore ad accertare ed attestare la mancata comparizione della controparte e la conclusione negativa del procedimento di mediazione. Altrimenti, si rileva nella pronuncia in esame, “…si correrebbe il rischio, specialmente nell’attuale periodo di ancora diffusa diffidenza verso l’istituto della mediazione, di prestare il fianco a condotte delle parti non corrette (in quanto sostanzialmente aventi lo scopo di bypassare tout court la mediazione ovvero, che è lo stesso, di espropriare surrettiziamente il mediatore delle funzioni che la legge gli attribuisce).
Dichiarata dunque l’improcedibilità della domanda, la pronuncia si conclude, per quanto riguarda i profili inerenti le spese, con la condanna al versamento all’erario di ammontare pari a quello del contributo unificato dovuto per il giudizio nei confronti della parte attrice, non avendo la stessa partecipato, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione che pure aveva richiesto.
Testo integrale
Tribunale di Roma – Sezione XIII civile Sentenza 29 settembre 2014
(Giudice Moriconi)
Sentenza
L’oggetto della controversia, querela di falso in via incidentale in grado di appello.
La presente controversia ha ad oggetto un accertamento incidentale di querela di falso.
(…) con atto di atto appello ha proposto, oltre alle questioni di merito, querela di falso avverso la sottoscrizione apposta all’avviso postale di ricevimento della citazione di primo grado che a suo dire non le appartiene.
La Corte di Appello ha sospeso l’esecuzione della sentenza di primo grado ed ha concesso un termine, all’appellante, per riassumere davanti al tribunale la causa di querela di falso, cosa che la (…) ha fatto.
Il convenuto (…) ha lamentato che la (…) ha “ostacolato in tutti i modi il corso della giustizia sfuggendo a tutte le notifiche e non curando il ritiro di alcun piego, dopo aver ottenuto da un artigiano un intervento di riparazione sulla propria vettura, non ottemperando al pagamento di un modesto corrispettivo e successivamente di ritirare il proprio mezzo non provvedendovi neppure dopo ripetuti inviti”
L’invio in mediazione demandata dal giudice.
Con ordinanza del 9.12.2013 il giudice ha disposto la mediazione demandata ai sensi del novellato art.5 co. II del decr. lgsl. 28/10.
In particolare così argomentando:
Stante la modestia del merito del contendere (della causa dalla quale il presente giudizio, ad essa servente, promana) è difficile negare che le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di porre fine, ad una lunga defatigante lite, i cui progressivi costi, non solo per le parti stesse, ma anche, in termini più generali e lati, per la collettività, incidono sul corso di una giustizia civile già affannata e in gravissima difficoltà nel fornire soddisfacenti risposte.
Va sottolineato, in tale ambito di opportunità, che il convenuto ha fra l’altro fatto notare che fra la firma che la (…) impugna con querela di falso e quella del suo difensore (e coniuge) avvocato (…) sussiste una “sconcertante somiglianza”, e ciò al fine di estendere le indagini e i saggi grafici anche in tale ambito.
In particolare, il convenuto ha richiesto, opponendosi alla consulenza grafologica, che sia ammesso l’interrogatorio formale della (…) sulla circostanza che il piego in oggetto sia stato recapitato all’indirizzo di via (…) e che la firma apposta in calce alla cartolina di ritorno sia quella della stessa (…) che avrebbe anche firmato il registro di consegna.
Ha richiesto inoltre prova per testi diretta, fra l’altro, a provare che il piego sia stato ricevuto e la cartolina firmata dal familiare convivente avvocato (…).
Il Giudice ammesse le prove documentali, ritiene che sussistano valide ed evidenti ragioni per disporre che le parti avviino un percorso di mediazione finalizzato al raggiungimento di un accordo, prima di decidere sull’ammissione di ulteriori prove selezionando quelle rilevanti e pertinenti, e rinviando all’esito sia della mediazione e sia, in caso di insuccesso, dell’assunzione di tali prove, l’eventuale consulenza tecnica grafologica.
Si pone il problema, stante la natura della causa (giudizio di querela di falso) se vi siano ostacoli di carattere giuridico a che sia disposto l’avvio della mediazione.
Va ricordato infatti che l’art. 2 del decreto legislativo 28/2010 esclude dal perimetro delle controversie mediabili quelle che vertono su diritti non disponibili.
Va chiarito che quando la legge fa riferimento alla disponibilità del diritto, per predicarne l’accesso alla mediazione, non intende riferirsi alla necessità della sussistenza in concreto della titolarità del diritto in capo a chi intenda disporne (nella e con la mediazione).
La mancanza di sussistenza concreta ed attuale in capo a tale soggetto, è piuttosto fattore sostanziale e causa di invalidità, rectius inutilità dell’eventuale accordo di mediazione, in applicazione del noto principio nemo plus juris transferre potest quam ipse habet.
La previsione della norma in commento vale piuttosto a delimitare l’ambito della mediazione civile e commerciale a tutte quelle aree di situazioni soggettive che non siano sottratte alla disponibilità della negoziazione da parte dei privati.
Diritti disponibili si rinvengono in tutte le aree del diritto, comprese ad esempio quella della famiglia, della successione, delle locazioni e del lavoro dipendente, tradizionalmente sedi di severa tutela da parte del legislatore a favore della parte ritenuta più debole, presidiate da previsioni di indisponibilità assoluta o relativa e di nullità assolute ovvero eccepibili solo dalla parte che si è inteso proteggere.
Che siano mediabili anche i diritti allogati in tali aree, ove, per come conformati dalla legge siano disponibili, non può essere revocato in dubbio sia perché non vi è alcuna norma che lo proibisce e sia perché il riferimento della legge alla possibilità, da parte del giudice, di inviare in mediazione le parti (anche) allorchè l’udienza per le conclusioni non sia prevista, rimanda a settori (rito lavoro e locazioni) dove per elezione tale udienza in effetti non esiste.
Ciò premesso, va evidenziato che nel giudizio civile di querela di falso non intervengono interessi pubblicistici (come accade in sede penale), e ciò neppure nelle ipotesi estreme.
Si immagini (verosimilmente potrebbe rientrarvi il caso in esame), in cui sia impugnato di falso un atto pubblico. Anche in questo caso, la circostanza che all’esito del giudizio il giudice civile potrebbe ravvisare ipotesi di reato a carico di taluno, con quanto ne consegue in termini di trasmissione degli atti al titolare dell’azione penale, non viene meno la piena disponibilità degli interessi sottesi alla promozione della causa civile.
Come dimostra la circostanza che l’esito del giudizio è l’accertamento della genuinità o meno dello specifico contenuto di un atto, in ordine alla quale è previsto che il giudice ai fini di accertarlo (art. 222 cpc) ammette i mezzi istruttori che ritiene idonei, e dispone i modi e i termini della loro assunzione. Fra tali mezzi è sicuramente ammissibile la confessione. Attingibile anche (ma non solo) a mezzo dell’interrogatorio formale.
Se la parte che ha impugnato di falso confessa la veridicità della scrittura, cosa che incontrovertibilmente è ammissibile e possibile sia concettualmente e sia in punto di diritto, si produrranno due conseguenze: da una parte che la causa avrà fatto regolarmente il suo corso raggiungendo uno degli esiti possibili, dall’altra che si avrà la dimostrazione della piena disponibilità del diritto del soggetto che ha avanzato la querela di falso.
Risulta pertanto dimostrata in modo incontrovertibile la piena legittimità dell’invio in mediazione, anche sotto il profilo della disponibilità del diritto dell’attrice.
Va avvisato che si procede ai sensi del secondo comma di cui all’art. 5 decr.legisl. 28/2010;
Si ritiene di fissare termine fino al quindicesimo giorno a fare tempo dal 1.1.2014 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del decreto;
P .Q.M.
- AMMETTE le prove nei termini di cui in motivazione;
- INVITA le parti alla mediazione della controversia;
- INVITA i difensori delle parti ad informare i loro assistiti della presente ordinanza nei termini di cui all’art. 4, co.3° co. decr.lgsl. 28/2010;
INFORMA le parti che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell’art. 5, co.2° e che ai sensi dell’art. 8 dec.lgs.28/10 la mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione comporta le conseguenze previste dalla norma stessa; - FISSA termine fino al quindicesimo giorno dal 20.1.2014 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del dec.lgs. 28/10;
- RINVIA all’udienza del 9.6.2014 h. 9,30 per quanto di ragione.
Roma lì 28.11.2013
Il Giudice
dott. cons. Massimo Moriconi
Il verbale di mediazione e la sua erronea formulazione.
All’udienza del 9.6.2014 la difesa di (…) produceva il verbale negativo del procedimento di mediazione e si riportava alle sue istanze istruttorie, come faceva anche il procuratore di (…).
Il giudice, riservatosi, rimetteva le parti davanti a sé per la decisione.
L’art. 5 co. II prevede che “fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di giudizio di appello”.
Occorre pertanto valutare, prima di ogni altro incombente istruttorio, se il procedimento di mediazione sia stato effettivamente e ritualmente esperito.
Il mediatore dell’Organismo Forense di Roma dava atto nel verbale del 15.1.2014 di quanto segue:
Reg.n. 208/2014 istanza depositata il 15.1.2014
Le parti non sono comparse. L’avv. (…) difensore della (…) con lettera del 4.3.2012 trasmesso a mezzo fax alla segreteria dell’Organismo Forense di Roma ha comunicato la volontà delle parti del presente procedimento di mediazione di non addivenire ad un accordo e la loro decisione di non partecipare alla odierna sessione.
Pertanto il mediatore dichiara concluso il presente procedimento di mediazione per mancato raggiungimento di un accordo ad opera delle parti.
Firmato il Mediatore
A tale fine occorre tener presente il quadro normativo di riferimento.
Oltre alla norma teste richiamata vale ricordare quella, fondamentale, del comma 2-bis dell’art. 5 del decreto legislativo 28/2010 come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69 come convertito dalla legge 9.8.2013, n. 98 secondo il quale quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.
Inoltre l’art. 8 del decreto legislativo 28/2010 come introdotto dal d.l. 21 giugno 2013, n. 69 come convertito dalla legge 9.8.2013, n. 98 stabilisce all’art. 8 co. I che:
All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.
Infine l’art. 17 co. 5-ter dello stesso testo normativo dispone che nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione.
Da quanto precede emerge con assoluta chiarezza, in primo luogo, l’inesattezza di quanto è stato scritto nella parte conclusiva del suddetto verbale di mediazione.
Il mediatore, non evidentemente bene accorto del contesto nel quale si muoveva, riteneva di poter dare comunque atto che l’accordo non era stato raggiunto dalle parti, di cui non aveva avuto la presenza, neppure del richiedente, e che quindi per tale ragione il procedimento di mediazione era per tale ragione concluso.
Decisione che va qualificata del tutto errata.
Il procedimento di mediazione si è concluso perché nessuna delle parti si è recata il giorno fissato per l’incontro, davanti al mediatore.
Era semplicemente di questo che il mediatore avrebbe dovuto dare atto.
Affermare che le parti non avevano raggiunto l’accordo è un’aporia, sicuramente non consapevole, ma pur sempre tale.
Ed infatti è contrario al vero affermare che le parti non abbiamo raggiunto un accordo in mediazione.
Le parti potranno anche non avere raggiunto un accordo, ma questa sarebbe, in ogni caso, una situazione esterna alla mediazione, che il mediatore non può conoscere, se non per riferito, e della quale non si deve neppure interessare, perché esula dai suoi compiti e dal contesto nel quale deve operare.
Affermare, quale semplice nuncius, peraltro di una sola parte scrivente, che non è stato raggiunto l’accordo quando nessuna delle stesse si è presentata davanti al mediatore, significa semplicemente abdicare, da parte del mediatore, al ruolo che la legge gli ha assegnato.
I requisiti perché si possa ritenere realizzata la condizione di procedibilità prevista dalla norma.
Le diverse opzioni interpretative.
Precedenti giurisprudenziali antecedenti alla riforma operata dal d.l. d.l. 21 giugno 2013, n. 69 come convertito dalla legge 9.8.2013, n. 98.
La presenza delle parti personalmente davanti al mediatore e lo svolgimento effettivo della mediazione.
Le questioni principali e fondamentali che vanno esaminate, de iure condito, riguardano la necessaria presenza personale delle parti nel procedimento di mediazione e la necessità o meno che al mediatore sia consentito di svolgere l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa (così l’art. 1 co. I lettere A e B del decr.lgsl. 28/2010)
Al secondo interrogativo veniva data risposta positiva, già nella vigenza della precedente normativa primaria, dal giudice della Sezione Distaccata di Ostia del Tribunale di Roma con la sentenza 22.8.2012 nella causa srl SDPCA c. srl GUU 1
La presenza della parte proponente davanti al mediatore quale condizione di efficacia del tentativo di mediazione obbligatoria.
Come supra ricordato l’art. 5 del decreto legislativo 28/10 prevede che chi intenda esercitare in giudizio un’azione relativa ad una controversia nelle materie indicate dalla stessa norma sia tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione.
L’orientamento interpretativo (del decr.legisl. 28/10) che si ritiene debba essere preferito a proposito del contenuto formale o sostanziale di tale precetto è per la soluzione contenutistica, vale a dire che non sia sufficiente, per radicare l’avveramento della condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziale nei casi di cui al primo comma dell’art. 5 cit. la semplice proposizione della domanda di mediazione alla quale non segua effettivamente la presenza e la partecipazione (almeno) della parte istante davanti al mediatore.
Il Ministero della Giustizia già con la circolare 4 aprile 2011 – Regolamento di procedura e requisiti dei mediatori. Chiarimenti osservava quanto segue:
“Preme evidenziare che si ritiene non corretto l’inserimento, nel regolamento di procedura di un organismo di mediazione, di una previsione secondo la quale, ove l’incontro fissato del responsabile dell’organismo non abbia avuto luogo perché la parte invitata non abbia tempestivamente espresso la propria adesione ovvero abbia comunicato espressamente di non volere aderire e l’istante abbia dichiarato di non volere comunque dare corso alla mediazione, la segreteria dell’organismo possa rilasciare, in data successiva a quella inizialmente fissata, una dichiarazione di conclusione del procedimento per mancata adesione della parte invitata. Una siffatta previsione non può, infatti, essere considerata conforme alla disciplina normativa in esame nei casi di operatività della condizione di procedibilità di cui all’art.5 del d.lgs.28/2010.L’inserimento di tale previsione nel regolamento di procedura di un organismo di mediazione non può che essere ritenuta in contrasto con la norma primaria (art.5 del d.lgs 28/2010) che esige che, per determinate materie, deve essere preliminarmente esperito il procedimento di mediazione: il che postula che si compaia effettivamente dinanzi al mediatore designato, il quale solo può constatare la mancata comparizione della parte invitata e redigere il verbale negativo del tentativo di conciliazione.
La mediazione obbligatoria è tale proprio in quanto deve essere esperita anche in caso di mancata adesione della parte invitata e non può, quindi, dirsi correttamente percorsa ove l’istante si sia rivolto ad un organismo di mediazione ed abbia rinunciato, a seguito della ricezione della comunicazione di mancata adesione della parte invitata, alla mediazione.
Ove, invece, si ritenesse legittima tale previsione regolamentare, si produrrebbe l’effetto, non consentito, di un aggiramento della previsione che ha imposto l’operatività della condizione di procedibilità per talune materie. In realtà, in tale caso, deve ritenersi che il rilascio da parte della segreteria di un organismo della dichiarazione di conclusione del procedimento non può assurgere ad atto valido ed efficace ai fini dell’assolvimento dell’onere di esperire previamente il tentativo di conciliazione; ciò, in quanto la mancata comparizione anche del solo istante, dinanzi al mediatore, impedisce di ritenere correttamente iniziato e proseguito il procedimento di mediazione.
A dare ulteriore conforto a tale impostazione è la circostanza che ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. 28/2010 e dell’art. 7 del d.m. 180/2010, il mediatore può formulare la proposta anche in caso di mancata partecipazione di una o più parti al procedimento di mediazione; in ogni caso, è il mediatore che deve verificare se effettivamente la controparte non si presenti, essendo tale comportamento valutabile dal giudice nell’effettivo successivo giudizio, ai sensi dell’art. 8, comma quinto, del d.lgs. 28/2010.
E’, inoltre, rilevante considerare che, nel corso del procedimento di mediazione, il mediatore potrebbe ragionare con l’unica parte presente sul ridimensionamento o sulla variazione della sua pretesa da comunicare all’altra parte come proposta dello stesso soggetto in lite e non del mediatore.
In conclusione: la previsione, per talune materie, di una condizione di procedibilità comporta che la mediazione debba essere effettivamente esperita dinanzi al mediatore, sia pure con le modalità sopra indicate, con la conseguenza che, per ritenersi esperita la condizione di procedibilità, l’unico soggetto legittimato secondo legge a redigere il verbale di esito negativo della mediazione è il mediatore e non la segreteria dell’organismo di mediazione.
Verifica, allo stato della sopravvenuta normativa, se tale opzione interpretativa sia ancora valida e da condividere.
Il contatto delle parti con il mediatore mediante fax, telegramma et similia NON integra la condizione di procedibilità prevista dalla norma.
Con riserva di approfondimento nella sede ove rilevi, che non è questa, relativa alla presenza personale, necessaria o meno, delle parti nel procedimento di mediazione (art.8 co. I terzo periodo: al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato); l’interrogativo, all’altro quesito, nasce da due norme di nuovo conio e precisamente dall’art. 8 comma primo, periodo quarto del decr.lgsl. 28/10 come modificato dal d.l. 69/2013 prevede che durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento; e dall’art. 2 bis dell’art. 5 del decr.lgsl. 28/10 come modificato dal d.l. 69/2013 secondo cui quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo.
E’ legittimo interrogarsi infatti se tali norme autorizzino (o addirittura impongano) una interpretazione alla stregua della quale la condizione di procedibilità si possa considerare realizzata:
a. anche laddove non vi sia un incontro (delle parti e/o dei loro avvocati) con il mediatore;
Ai fini, quindi, della corretta applicazione delle previsioni normative di riferimento, questa direzione, nell’esercizio dei propri poteri di vigilanza, invita gli organismi di mediazione ad adeguarsi alla presente circolare nei sensi di cui sopra, limitando alla sola fattispecie della mediazione volontaria l’applicazione di una eventuale previsione del regolamento di procedura che abbia contenuto analogo a quello preso in esame.
Con il successivo D.M. 6 luglio 2011 n. 145 tale orientamento veniva confermato prevedendosi nei casi di mediazione obbligatoria la necessaria presenza della parte istante al fine di consentire al mediatore di incontrare almeno tale parte e se del caso accertare l’effettiva impossibilità di un’utile prosecuzione dell’esperimento. Solo all’esito di tale incontro e verbalizzazione l’organismo di mediazione è abilitato ad attestare l’esito negativo della media conciliazione per la mancata presenza della parte chiamata
Poiché non si tratta di fonte normativa primaria è opportuno uno scrutinio di legittimità di tale disposizioni che solo se conformi alla legge potranno trovare applicazione da parte del giudice ordinario.
Ebbene si ritiene la sostanziale conformità (sia pure con la consapevolezza del relativismo storico della interpretazione normativa, che per quanto ci occupa deve confrontarsi con una cultura nazionale ancora largamente distante dalla media conciliazione) al decreto legislativo 28/10 della disposizione che prevede che ove sussiste obbligatorietà del tentativo di mediazione è necessario che l’invitante si presenti in ogni caso (vale a dire anche nel caso in cui la parte chiamata non abbia dato alcuna risposta ovvero abbia dichiarato di non avere interesse a presenziare al tentativo di media conciliazione) davanti al mediatore.
Ciò in quanto deve essere il mediatore ad accertare ed attestare la mancata comparizione della controparte e la conclusione negativa del procedimento di mediazione.
Diversamente opinando si correrebbe il rischio, specialmente nell’attuale periodo di ancora diffusa diffidenza verso l’istituto della mediazione, di prestare il fianco a condotte delle parti non corrette (in quanto sostanzialmente aventi lo scopo di bypassare tout court la mediazione ovvero, che è lo stesso, di espropriare surrettiziamente il mediatore delle funzioni che la legge gli attribuisce).
Infine con la circolare del Circolare del 20.12.2011 il Ministero ribadiva i concetti già espressi con la circolare del 4.4.2011.
b. anche laddove, pur realizzatosi un primo incontro, le parti dichiarino al mediatore, in tale occasione, di non avere interesse a proseguire oltre quello che è previsto dalla legge come un incontro informativo.
Per quanto riguarda il caso sub b) la questione è più complessa.
Quanto alla situazione sub a) ritiene il giudicante che un’interpretazione piana e del tutto coerente con il contenuto e lo spirito delle norme in commento, consenta di affermare che laddove non vi sia un incontro (delle parti e/o dei loro avvocati) con il mediatore non si possa considerare realizzata la condizione di procedibilità della domanda.
Va premesso che i provvedimenti generali emessi dal Ministero della Giustizia ricordati in nota 1) ritengono che il mediatore debba comunque acquisire la presenza delle parti (o almeno di quella istante) solo nel caso di mediazione obbligatoria.
Le ragioni ivi indicate (del tutto intuitive, invero se la mediazione è volontaria non ha senso imporre particolari oneri a carico di colui che come ha attivato la procedura di mediazione così può soprassedervi), in un momento storico antecedente alla riforma della mediazione demandata dal giudice, sono del tutto valide e cogenti, a fare tempo dall’entrata in vigore del d.l. 96/13, anche per la mediazione demandata dal giudice.
Il citato art.2 bis dell’art. 5 del decr.lgsl. 28/10 come modificato dal d.l. 96/2013 prevede al fine di considerare avverata la condizione di procedibilità che si sia verificato almeno un primo incontro dinanzi al mediatore sia pure conclusosi senza l’accordo.
Poichè solo con acrobazie dialettiche si potrebbe parificare l’incontro (fisico) di cui parla la norma ad un incontro solo cartaceo, qual’è quello che si determina, come nel caso in esame, in presenza di missive, telegrammi, fax o simili, inviati, dalle parti renitenti, al mediatore, si deve affermare con certezza che in questo secondo caso, che è quello che qui interessa, non si sia realizzata la condizione di procedibilità prevista dalla legge.
Tale essendo quindi la situazione ed assorbita quella più complessa sub caso a) che sarà affrontata quando di ragione, va dichiarata la improcedibilità della domanda.
Le spese di causa.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni – orientative per il giudice che tiene conto di ogni utile circostanza per adeguare nel modo migliore la liquidazione al caso concreto- della l. 24.3.2012 n. 27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n. 55) vengono liquidate come in dispositivo a carico di (…).
Non avendo partecipato, ingiustificatamente, l’attrice e al procedimento di mediazione che pure aveva richiesto, va condannata al versamento all’Erario della somma di €. 450,00, a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio.
La cancelleria provvederà alla riscossione.
(…)
P .Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
- DA’ ATTO, a carico dell’attrice, del mancato rituale svolgimento (mancata partecipazione) dell’esperimento di mediazione demandata;
- DICHIARA improcedibile la domanda di (…);
- CONDANNA (…) al pagamento delle spese di causa che liquida in favore di (…) titolare dell’Officina (…) in persona del legale rappresentante pro tempore in complessivi €. 2.800,00 di cui €. 150,00 per spese oltre IVA, CAP e spese generali; CONDANNA (…) al versamento, a titolo di sanzione per la mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione, della somma di €. 450,00, pari al contributo unificato dovuto per il giudizio; mandando alla cancelleria, in mancanza di volontario pagamento entro gg. 40, per la riscossione coattiva;
- SENTENZA esecutiva.-
Roma 29.9.2014
Il Giudice
dott. cons. Massimo Moriconi