28 Giugno
Redazione
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Una interessante novità in tema di incentivi alla mediazione risulta contenuta nel decreto legge n. 83 del 2012 (Misure urgenti per la crescita), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 giugno 2012.
L’art. 54 del decreto, infatti, modifica l’art. 2 della legge n. 89 del 2001 (legge Pinto), aggiungendo il comma 2−quinques, con il quale si prevedono le ipotesi in cui non è riconosciuto l’indennizzo, anche laddove il processo non abbia avuto una durata ragionevole. Tra le ipotesi in parola, risalta in modo particolare il caso di cui all’art. 13, co. 1, del D.lgs n. 28 del 2010, nel quale, come è noto, si dispone che ove il provvedimento che definisce il giudizio, introdotto a seguito dell’esito negativo del tentativo di mediazione, corrisponda in toto alla proposta conciliativa, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte risultata vittoriosa, che abbia rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente nel medesimo periodo, nonché al versamento di una ulteriore somma, a favore dell’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
L’inclusione dell’ipotesi in esame tra le cause di esclusione dell’indennizzo ordinariamente previsto per le ”lungaggini” processuali appare, evidentemente, ispirata alla finalità di incentivare ulteriormente l’utilizzo effettivo della mediazione, scopo del resto già perseguito da altre norme oggi vigenti, primo tra tutti l’art. 8 del D.lgs n. 28 del 2010, che colpisce chi non abbia partecipato, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, e si sia poi costituito nel successivo giudizio, mediante la condanna, da parte del giudice, al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per il giudizio.
In sostanza, dunque, alla luce della modifica da ultimo apportata, chi dovesse risultare vittorioso in giudizio in virtù di un provvedimento integralmente corrispondente ad una proposta conciliativa cui abbia ritenuto di non aderire, non solo si vedrebbe (senz’altro) condannato a pagare le spese processuali, proprie e della parte soccombente, riferibili al periodo successivo alla formulazione della proposta e a versare una ulteriore somma di importo equivalente al contributo unificato dovuto per il giudizio, ma, qualora il processo abbia avuto una durata ”non ragionevole” (vale a dire superiore ai sei anni complessivi per i tre gradi), perderebbe altresì il diritto all’indennizzo altrimenti previsto dalla legge n. 89 del 2001.
L’indennizzo, invece, può essere richiesto qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponda integralmente al contenuto della proposta conciliativa. In tale ipotesi, di cui all’art. 13, co. 2, del D.lgs n. 28 del 2010, il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vittoriosa per l’indennità corrisposta al mediatore e per le altre spese di mediazione, ma unicamente qualora ricorrano gravi ed eccezionali ragioni.
Non resta che attendere la conversione del decreto legge, anche se non appaiono molto probabili emendamenti sul punto, proprio per la esplicita finalità della disposizione in esame.
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