09 Febbraio
Luigi Majoli
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“Ai fini della sussistenza della condizione di procedibilità di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, commi 2 e 2 bis, ciò che rileva nei casi di mediazione obbligatoria ope iudicis è l’utile esperimento, entro l’udienza di rinvio fissata dal giudice, della procedura di mediazione, da intendersi quale primo incontro delle parti innanzi al mediatore e conclusosi senza l’accordo, e non già l’avvio di essa nel termine di quindici giorni indicato dal medesimo giudice delegante con l’ordinanza che dispone la mediazione”.
Queste le conclusioni cui è pervenuta la Suprema Corte con la sentenza 14 dicembre 2021, n. 40335. Conclusioni di cui non può essere sottaciuta l’importanza, in quanto vanno a chiarire un punto di fondamentale importanza, quello cioè se il termine di 15 giorni per il deposito dell’istanza di mediazione presso un organismo territorialmente competente debba ritenersi perentorio o meno.
In effetti, la giurisprudenza di merito, chiamata a pronunciarsi su come debba essere inteso il suddetto termine e quindi, in ultima analisi, sulle conseguenze del mancato rispetto dello stesso, ha assunto differenti posizioni interpretative.
In alcuni casi è stato ritenuto che il termine di quindici giorni abbia natura ordinatoria, in altri che sia perentorio, in altri ancora che non si tratti di un termine endoprocessuale con conseguente inapplicabilità dell’art. 152 c.p.c.
Per quanto concerne la dottrina, anch’essa ha affrontato la vexata quaestio della natura del termine e le conseguenze del suo mancato rispetto, pervenendo in prevalenza alla soluzione che l’inutile decorso del termine di quindici giorni per l’attivazione del tentativo di mediazione non determini l’improcedibilità della domanda giudiziale ove il procedimento sia stato, comunque, attivato in tempo utile o si sia concluso prima dell’udienza fissata per la prosecuzione del giudizio.
Appare evidente come la soluzione che di volta in volta vada ad essere adottata implichi ben differenti ricadute sul riconoscimento della prevista condizione di procedibilità e sulla relativa declaratoria di improcedibilità della domanda giudiziale, ricollegandola cioè alla mancata presentazione della domanda nel suddetto termine, ove ritenuto perentorio, passando in secondo piano la circostanza dell’effettivo svolgimento della mediazione.
Una presa di posizione sul punto da parte del Giudice di legittimità, dunque, appare quanto mai opportuna.
Secondo la pronuncia in commento, sulla base del dettato normativo, deve concludersi che il termine di 15 giorni, fissato dal giudice nella mediazione demandata, non possa considerarsi perentorio, per il seguente ordine di ragioni, in consequenzialità logica:
i termini stabiliti dalla legge sono ordinatori, salvo che la legge stessa li dichiari espressamente perentori (argomentando ex art. 152 c. 2 c.p.c.); l’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 per l’appunto non definisce tale termine come perentorio; la disposizione medesima non ricollega espressamente l’improcedibilità della domanda al mancato esperimento del tentativo di mediazione delegata entro i 15 giorni di cui sopra; la sanzione della decadenza può essere prevista esclusivamente dal legislatore e, come detto, non è rintracciabile all’interno della disciplina legislativa concernente la mediazione civile.
D’altra parte, la conclusione favorevole alla non perentorietà del termine emerge anche dal fatto che il giudice debba fissare un’udienza successiva considerando il termine massimo di durata della mediazione (3 mesi). Secondo la Corte, pertanto, anche e soprattutto la ratio legis che è posta alla base della mediazione delegata dal giudice, vale a dire il favor verso la ricerca della migliore soluzione possibile per le parti, dato un determinato stato della controversia e date certe sue caratteristiche ritenute dal giudice stesso sussistenti, “…mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l’operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo”.
In altri e più sintetici termini, quindi, secondo la pronuncia in commento ai fini dell’avveramento della condizione di procedibilità occorre verificare l’effettivo esperimento del tentativo di mediazione, ciò che avverrà nell’udienza fissata dal giudice nel provvedimento con il quale ha disposto la mediazione.
Se durante detta udienza si accerterà che le parti hanno esperito la mediazione, la condizione di procedibilità dovrà considerarsi avverata, indipendentemente dal fatto, meramente formale, che l’istanza sia stata depositata nel termine di 15 giorni ovvero successivamente allo spirare dello stesso; ove invece dovesse risultare il mancato inizio del procedimento di mediazione ovvero la sua mancata conclusione alla data dell’udienza in conseguenza dell’inerzia iniziale della parte, che abbia ritardato il deposito dell’istanza, la stessa naturalmente si troverà esposta all’alea della declaratoria di improcedibilità della propria domanda giudiziale, a causa del mancato esperimento della mediazione entro il termine di durata della procedura previsto dalla legge.
Da ultimo, occorre rilevare come ancora una volta come secondo il Giudice di legittimità un primo incontro dinanzi al mediatore conclusosi senza accordo tra le parti sia considerato sufficiente ai fini dell’avverarsi della condizione di procedibilità della domanda, come peraltro già affermato dalla Corte nella ben nota sentenza n. 8473/2019.
In effetti, l’art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, prevede espressamente che “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”. Se ciò, a fortiori, non valesse anche nell’ipotesi in cui nel merito non si entri affatto, arrestandosi il procedimento al primo incontro (come sostenuto da chi ritiene che non potrebbe parlarsi di mancato accordo senza un tentativo di mediazione “effettivamente” svolto), sarebbe sufficiente alla parte chiamata presenziare al primo incontro dichiarando l’insussistenza dei presupposti per rendere improcedibile la domanda di controparte…
L’art. 8, co. 1, a sua volta, dispone che nel primo incontro il Mediatore, chiarite alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, “…invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”. Dovrà dunque essere ben possibile l’ipotesi di responso negativo, e ciò non potrà certamente riflettersi sulla procedibilità della domanda giudiziale.
Muovendo dalle predette premesse normative – non disgiunte dall’argomentazione, di ordine sistematico, inerente alla necessità di interpretare le ipotesi di giurisdizione condizionata in modo non estensivo, vale a dire così da non rendere eccessivamente complesso o dilazionato l’accesso alla tutela giurisdizionale – la Corte, nella richiamata sentenza n. 8473/2019, aveva già ritenuto che “…l’onere della parte che intenda agire in giudizio (o che, avendo agito, si sia vista opporre il mancato preventivo esperimento della mediazione e sia stata rimessa davanti al mediatore dal giudice) di dar corso alla mediazione obbligatoria possa ritenersi adempiuto con l’avvio della procedura di mediazione e con la comparizione al primo incontro davanti al mediatore, all’esito del quale, ricevute dal mediatore le necessarie informazioni in merito alla funzione e alle modalità di svolgimento della mediazione, può liberamente manifestare il suo parere negativo sulla possibilità di utilmente iniziare (rectius proseguire) la procedura di mediazione”.
In sostanza la Corte di Cassazione conferma la propria presa di posizione in ordine alla cosiddetta “effettività” della mediazione, tesi, di origine giurisprudenziale, secondo cui le parti dovrebbero quanto meno tentare una discussione nel merito, per poi dare atto a verbale, nell’ipotesi di mancato accordo, dell’impossibilità, nel caso concreto, di una soluzione conciliativa.
Il primo incontro dinanzi al mediatore, pertanto, indipendentemente dai suoi contenuti, laddove si concluda con un “mancato accordo” tra le parti, è pienamente sufficiente a far sì che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale debba considerarsi avverata.
Luigi Majoli – ADR Intesa
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