15 Novembre
Luigi Majoli
Materie di mediazione obbligatoria
Le successioni ereditarie costituiscono, fin dall’entrata in vigore dell’originario testo del D.lgs 28/2010, una delle materie in cui la mediazione si pone quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
In sostanza, dunque, prima di iniziare una causa in materia successoria, il legislatore ha previsto il necessario esperimento di un tentativo di conciliazione tra le parti, notevolmente meno oneroso oltre che più rapido ed informale rispetto al giudizio e che, come meglio si vedrà in seguito, sembra ben adattarsi alle controversie relative alle successioni ereditarie. Basti pensare alla durata di una causa civile in materia ereditaria ed ai costi della stessa, tra onorari dei legali, pagamento delle perizie e spese legali da sostenere, con la conseguenza che – ipotesi assai frequente – pendente la causa il compendio successorio non venga goduto dagli eredi né messo a frutto, potendo, quindi, subire diminuzioni di valore anche consistenti.
Ora, come ben noto la materia successoria è caratterizzata da notevole complessità, ed è tutt’altro che raro che possano insorgere controversie tra coloro i quali ritengano di poter vantare diritti sui beni del de cuius.
D’altra parte, l’importanza fondamentale del diritto successorio è di tutta evidenza, dal momento che si tratta del complesso di norme volte a determinare, al momento del decesso di un soggetto, chi siano i titolari del diritto di ereditarne i beni ed a quali condizioni.
Come è noto, la struttura del diritto delle successioni si basa su due pilastri fondamentali: la successione legittima e la successione testamentaria.
Nella prima ipotesi la vocazione ereditaria avviene senza che il defunto abbia lasciato testamento (ab intestato) e le relative disposizioni mirano a regolare la ripartizione dei beni.
La successione testamentaria si fonda invece sulle volontà espresse dal de cuius nel testamento, che l’art. 587 c.c. definisce in termini di “…atto revocabile con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o di parte di esse. Le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia, se contenute in un atto che ha la forma del testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale”.
La successione legittima, quindi, si verifica quando il de cuius non abbia lasciato un testamento. Secondo l’art. 565 c.c., infatti, “Nella successione legittima l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti, agli ascendenti, ai collaterali, agli altri parenti e allo Stato nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo”: la legge stabilisce cioè chi siano gli eredi e in quale proporzione debbano ereditare (ad esempio, nel caso in cui al de cuius sopravvivano il coniuge ed un figlio, il patrimonio dovrà essere diviso a metà tra i due soggetti legittimati; nel caso in cui al medesimo sopravvivano il coniuge e due o più figli un terzo del patrimonio spetterà al coniuge e i due terzi ai figli, etc).
Il testamento, invece, consente al soggetto che lo redige di poter disporre in autonomia dei propri beni post mortem, potendo dunque includere tra i beneficiari persone non rientranti nel novero degli eredi legittimi, tuttavia con il fondamentale limite rappresentato dal rispetto delle quote di legittima, ossia delle quote stabilite dalla legge per gli eredi legittimi. Ai sensi dell’art. 488 c.c. “Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario”.
La forma di testamento più semplice è il testamento olografo (art. 602 c.c.). Per redigerlo è infatti sufficiente scrivere di proprio pugno (a mano) le disposizioni di ultima volontà su qualunque foglio, datarle e sottoscriverle.
Il testamento pubblico, invece, è quello ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni. In questo caso “Il testatore, in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà, la quale è ridotta in iscritto a cura del notaio stesso. Questi dà lettura del testamento al testatore in presenza dei testimoni. Di ciascuna di tali formalità è fatta menzione nel testamento” (art 603 c.c.).
Certamente, la redazione del testamento rappresenta un atto di grande responsabilità e previdenza, in quanto consente di gestire la propria eredità secondo le proprie volontà, tenendo ben presente che in assenza dello stesso troveranno applicazione le (necessariamente) rigide regole della successione legittima, che potrebbero non riflettere le effettive intenzioni personali del de cuius. In molti casi, inoltre, l’intento del testatore – speso disatteso – è proprio quello di prevenire l’insorgere di controversie tra i potenziali eredi.
Se la funzione del testamento è quella di consentire al testatore di esprimere le proprie volontà in ordine all’eredità, le quote di legittima – vale a dire le parti dell’eredità che la legge riserva agli eredi legittimi, indipendentemente dalle disposizioni di un testamento – trovano la propria ragion d’essere nell’esigenza di protezione di congiunti stretti – come coniuge e figli o, il loro assenza, altri parenti prossimi come ad esempio i genitori del defunto – garantendo loro una porzione adeguata del patrimonio del de cuius. Naturalmente, come accennato in precedenza, la consistenza della quota di legittima varia in funzione della tipologia e del numero degli eredi.
Ai sensi dell’art. 470 c.c. l’eredità può essere accettata puramente e semplicemente ovvero con beneficio d’inventario, anche nell’ipotesi in cui sussista, per questa seconda ipotesi, un qualunque divieto del testatore.
Per converso, l’art. 519 c.c. prevede che “La rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione, ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni”. La rinuncia all’eredità è una decisione formale attraverso cui un potenziale erede sceglie di non accettare la successione a cui sarebbe altrimenti destinato, opzione che può avvenire per diversi ordini di ragioni, come ad esempio l’esistenza di una situazione debitoria eccedente il valore dei beni, e quindi la necessità di evitare l’assunzione di responsabilità finanziarie ritenute eccessivamente onerose; o, ancora, l’esistenza di situazioni di conflittualità familiare, che potrebbero consigliare una scelta volta ad evitare procedure legali complesse e costose ovvero rapporti non graditi con altri membri della famiglia, etc. In ogni caso, una volta formalizzata, la rinuncia è irrevocabile, di talché il rinunziante non può, in un secondo tempo, mutare la propria decisione.
La rinuncia all’eredità implica naturalmente diverse conseguenze, come il trasferimento della quota agli altri eredi: la quota di eredità del rinunziante viene generalmente distribuita tra gli altri eredi legittimi secondo le regole della successione legittima, salva l’ipotesi in cui sussista un testamento che diversamente disponga, in ogni caso nel rispetto delle quote dei legittimari; ovvero come l’esclusione da ulteriori diritti e obbligazioni: il rinunziante viene ad essere escluso da ogni diritto e da ogni obbligo connesso all’eredità compresi i debiti.
In queste brevi note non può prescindersi da un cenno relativi alle tasse sulla successione (rectius: imposta sulle successioni e donazioni), dovuta dagli eredi per i beni e diritti ereditati. L’imposta si applica alla base imponibile dei beni, ovvero sul loro valore, eccedendo però la franchigia prevista in base al rapporto di parentela che intercorre tra il beneficiario e chi è venuto a mancare. La tassa di successione è dovuta dagli eredi e dai legatari. La dichiarazione di successione deve essere presentata entro dodici mesi dalla data del decesso, che coincide con l’apertura della successione.
Dette imposte incidono significativamente sulla trasmissione del patrimonio agli eredi. Come accennato, sono calcolate in base al valore dei beni ereditati e sono caratterizzate da aliquote e franchigie che differiscono in base al legame di parentela: ad esempio, per il coniuge e i figli l’imposta prevede un’aliquota favorevole, con una franchigia, vale a dire con un importo esente da tassazione, tale da ridurre considerevolmente l’onere fiscale, mentre per i fratelli e le sorelle o addirittura per soggetti terzi le aliquote sono maggiorie e le franchigie progressivamente più limitate.
Peraltro, l’ordinamento prevede anche riduzioni ed esenzioni fiscali, vale a dire misure che permettono di ridurre o eliminare l’imposta di successione in relazione a determinati beneficiari o a determinate categorie di beni.
Ad esempio, le esenzioni per il coniuge e per i figli minorenni: si tratta di eredi che beneficiano di franchigie particolarmente rilevanti, tali da ridurre l’imposta dovuta o, in funzione del valore dell’eredità ricevuta, addirittura da annullarla completamente; ovvero, le esenzioni previste con riferimento a beni che rivestano particolare interesse storico o culturale, i quali, data per l’appunto la loro rilevanza storica o culturale, possono essere esentati dall’imposta di successione al fine di incentivarne la conservazione.
Ora, all’esito delle brevi note che precedono, occorre rilevare come, naturalmente, sia tutt’altro che infrequente l’insorgere di controversie tra coloro che ritengono di poter vantare dei diritti sui beni del de cuius.
Sembra pertanto opportuno un cenno alle principali azioni previste dall’ordinamento, considerando che in relazioni alle stesse la mediazione si pone come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Innanzitutto, l’azione di petizione di eredità.
L’art. 533 c.c. prevede che “L’erede può chiedere il riconoscimento della sua qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi. L’azione è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni”. In sostanza, dunque, l’erede può chiedere il riconoscimento della propria qualità nei confronti di coloro che posseggono i beni ereditari a titolo di erede o sine titulo, per il tramite di un’azione non soggetta a termine, fermo restando che, in carenza di fatti interruttivi, il possessore potrà comunque chiedere, in presenza dei requisiti di legge, l’acquisizione del bene per usucapione.
Occorre poi considerare l’azione di reintegrazione della quota riservata ai legittimari.
Come si è già avuto modo di accennare in precedenza, i legittimari sono quei soggetti che hanno diritto ad una determinata quota del patrimonio ereditario, che non può essere lesa dalla volontà del testatore, in quanto legati in modo particolarmente stretto con il de cuius: il coniuge, i figli, etc.
Di conseguenza l’ordinamento riconosce il diritto di avviare un’azione che consenta ai soggetti di cui sopra di reintegrare la loro quota mediante la riduzione delle quote degli eredi legittimi, ovvero di coloro ai quali il testatore abbia fatto delle donazioni e, ancora, di coloro ai quali il testatore abbia lasciato più di quanto consentito dalla legge. Si tratta, peraltro, di azione soggetta a termine di prescrizione di 10 anni, decorrenti dall’apertura della successione.
Assai frequente, poi, è il ricorso all’azione di impugnazione del testamento.
Come già visto, qualora le disposizioni testamentarie abbiano leso i diritti riconosciuti dalla legge ai legittimari, gli stessi potranno impugnarle al fine di far valere le proprie ragioni.
Naturalmente, tuttavia, al di là dei casi da ultimo evidenziati, occorre considerare come il testamento, stanti le precise regole in materia previste dall’ordinamento, variabili in funzione della tipologia del medesimo, sia un atto impugnabile da coloro i quali intendano farne valere la nullità ovvero richiederne l’annullamento.
Si pensi alle ipotesi di falsità del testamento, che si verifica quando il documento non è redatto dal testatore effettivo, ovvero all’ipotesi di testamento redatto in presenza di un vizio della volontà del testatore, riscontrabile ad esempio quando lo stesso sia stato indotto a redigerlo in presenza di dolo o violenza. Si consideri, peraltro, che i termini per l’impugnazione del testamento sono variabili. Nelle ipotesi più gravi di nullità, ad esempio allorché lo stesso sia redatto in violazione del divieto di patti successori (art. 458 c.c.), non sussiste un termine di prescrizione da rispettare. Laddove invece il testamento risulti affetto da vizi di minor gravità rispetto a quelli tali da determinarne la nullità, l’azione è assoggettata a termine quinquennale, decorrente dal giorno in cui è stata data esecuzione elle disposizioni testamentarie.
Infine, un cenno all’azione di divisione ereditaria. Si tratta dell’azione, diffusissima nella pratica, funzionale allo scioglimento della comunione ereditaria, situazione che si realizza allorquando l’eredità venga acquisita da una pluralità di soggetti. L’importanza di detta azione è evidente: con essa ciascun erede acquista la proprietà esclusiva del bene con efficacia retroattiva, venendo a cessare, al contempo, i suoi diritti sugli altri beni.
Ora, posto che in tutte le situazioni considerate, in presenza di contenzioso insorto o insorgendo, la mediazione deve comunque essere esperita, in quanto condizione di procedibilità della domanda giudiziale (art. 5, co. 1, D.lgs 28/2010), occorre sottolineare come l’istituto in parola possa effettivamente rappresentare la modalità più utile e vantaggiosa, soprattutto sotto il profilo economico, come si vedrà tra breve, per addivenire allo scioglimento di una comunione di beni.
Innanzitutto, ad avviso di chi scrive, va considerato un aspetto preliminare: trattandosi di controversie relative a beni, tanto mobili che immobili, in cui le parti sono di regola in rapporti di parentela, o comunque hanno avuto in passato relazioni caratterizzati da una forte componente afferente il piano dell’affettività, con conseguente complessità soprattutto sotto il profilo psicologico, la mediazione, con l’informalità che la caratterizza e con il contributo del terzo neutrale, potrà realmente rappresentare la sede più idonea a consentire l’emersione degli interessi più reconditi delle parti. Si tratta di mediazioni nelle quali, fermo il valore venale dei beni ed il conseguente interesse economico, molto spesso acquisisce una valenza preponderante il valore affettivo dei beni medesimi, derivante dal rapporto esistenziale intercorso o intercorrente tra gli stessi e le parti.
D’altra parte, il fine della mediazione in materia di successioni ereditarie è precipuamente quello dell’attribuzione a ciascun soggetto della propria quota di diritti, il che non significa necessariamente che venuto meno il legame giuridicamente rilevante non persistano rapporti parentali e affettivi.
Si consideri inoltre che per il tramite della mediazione è possibile pervenire ai medesimi risultati attingibili con il giudizio, ma beneficiando di alcuni fondamentali vantaggi: tempi ristretti e costi limitati, partecipazione effettiva sotto il profilo personale e quindi anche emozionale, possibilità di risoluzione, nell’ambito del singolo procedimento, di questioni controverse non facenti tecnicamente parte della vicenda successoria stricto sensu intesa, ma ad essa strettamente collegate, possibilità, in sintesi, di addivenire ad una soluzione condivisa elaborata dalle parti stesse (e, naturalmente, dai propri consulenti tecnici di fiducia).
Il tutto, naturalmente, rammentando che l’accordo ha efficacia di titolo esecutivo, allo stesso modo della sentenza, e potrà essere trascritto nei pubblici registri mobiliari o immobiliari, con il considerevole – e spesso determinante – vantaggio economico derivante dal regime fiscale di cui all’art. 17, D.lgs 28/2010, che prevede l’esenzione dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura ivi comprese le imposte ipotecarie e catastali e, soprattutto, l’esenzione dall’imposta di registro entro il limite di valore di 100.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.
Sulla base di quanto precede appare evidente come possa risultare conveniente l’utilizzo del procedimento di mediazione al fine di evitare l’insorgere di un conflitto, vale a dire in assenza di contenzioso già sussistente circa la successione ereditaria, mediante l’avvio congiunto della procedura.
A conclusione delle presenti brevi note una ulteriore notazione.
Laddove le parti raggiungano un accordo conciliativo in mediazione in materia di successioni ereditarie, esso può essere direttamente trascritto, previa autentica notarile. Prevede infatti l’art. 11, co. 7, D.lgs 28/2010, che “Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione dell’accordo di conciliazione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
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