N. 05230/2015REG.PROV.COLL.
N. 02156/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 2156 del 2015, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e dal MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
l’UNIONE NAZIONALE DELLE CAMERE CIVILI (U.N.C.C.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio de Notaristefani di Vastogirardi e Francesco Storace, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Crescenzio, 20,
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
- avvocati Roberto NICODEMI, Maria AGNINO, Antonio D’AGOSTINO, Alessandra GULLO, Gemma SURACI, Monica MAZZENGA, Gabriella SANTINI, Laura NICOLAMARIA, Nicola PRIMERANO, Luigi RAPISARDA, Elisabetta ZENONI, Alessandra TOMBOLINI, Sabina MARONCELLI, Stefano AGAMENNONE, Silvia MONTANI, Elena ZAFFINO, Elisabetta Carla PICCIONI, Luciano CAPOGROSSI GUARNA, Giuliana SCROCCA, Maurizio FERRI, Matilde ABIGNENTE, Guido CARDELLI, Marco Fabio LEPPO, Alessandra ROMANINI, Claudio DRAGONE, Roberta D’UBALDO, Corrado DE MARTINI, Arnaldo Maria MANFREDI, Eugenio GAGLIANO, Fabio CAIAFFA e Daniela BERTES, rappresentati e difesi dall’avv. Gemma Suraci, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via degli Scipioni, 237;
- ASSOCIAZIONE PRIMAVERA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore,rappresentata e difesa dall’avv. Marco Benucci, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, corso d’Italia, 29;
per l’annullamento in parte qua,
previa sospensiva,
della sentenza del T.A.R. del Lazio nr. 1351/2015, notificata in data 5 marzo 2015.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) e l’appello incidentale dalla stessa proposto, nonché gli atti di intervento in epigrafe meglio indicati;
Viste le memorie prodotte dall’appellata U.N.C.C. (in data 25 settembre 2015) e dagli intervenienti avv.ti Nicodemi e altri (in data 5 ottobre 2015) a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 1694 del 22 aprile 2015, con la quale è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 27 ottobre 2015, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi l’avv. dello Stato Colelli per le Amministrazioni appellanti, gli avv.ti de Notaristefani di Vastogirardi e Storace per l’U.N.C.C., l’avv. Suraci per gli intervenienti in epigrafe meglio indicati e l’avv. Michele Basile (in dichiarata delega dell’avv. Benucci) per l’ulteriore interveniente Associazione Primavera Forense;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero della Giustizia e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno impugnato, chiedendone la riforma previa sospensiva, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in parziale accoglimento del ricorso proposto dall’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.), ha parzialmente annullato il decreto nr. 180 del 18 ottobre 2010, recante il regolamento per la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti ai suddetti organismi.
A sostegno dell’appello, è stata dedotta, con tre distinti mezzi, l’erroneità della sentenza in epigrafe:
1) nella parte in cui ha disatteso l’eccezione preliminare di carente legittimazione in capo all’originaria ricorrente;
2) nella parte in cui ha ritenuto illegittimi, e quindi annullato, i commi 2 e 9 dell’art. 16 del precitato decreto, relativi alle spese di avvio ed alle spese di mediazione;
3) nella parte in cui ha ritenuto illegittimo, e quindi annullato, l’art. 4, comma 1, lettera b), del medesimo decreto, relativo all’obbligo anche per gli avvocati di svolgere la formazione obbligatoria prevista per i mediatori.
Si è costituita l’appellata U.N.C.C., la quale, oltre a controdedurre a sostegno dell’infondatezza dell’appello e a chiederne la reiezione, ha altresì proposto appello incidentale, censurando la sentenzade qua nella parte in cui è stata respinta, fra le varie questioni di legittimità sollevate dalla ricorrente, quella relativa al contrasto degli artt. 5, comma 2, del citato d.m. con l’art. 24 Cost.
Nel corso del giudizio, si sono avuti, altresì, in adesione all’appello principale:
- l’intervento ad adiuvandum degli avvocati Roberto Nicodemi ed altri, nella qualità di mediatori iscritti all’albo;
- l’intervento ad adiuvandum, a valere quale opposizione di terzo ex art. 109, comma 2, cod. proc. amm., dell’Associazione Primavera Forense, a sua volta organismo di mediazione regolarmente iscritto.
Quest’ultima, oltre a concludere nel senso della fondatezza del gravame, assume in liminel’inammissibilità del ricorso di primo grado per mancata notifica, quale controinteressato, ad almeno un organismo di mediazione.
Alla camera di consiglio del 21 aprile 2015, questa Sezione ha accolto l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata formulata in via incidentale dalle Amministrazioni appellanti.
Di poi, parte appellata ha ulteriormente argomentato con memoria a sostegno delle proprie tesi.
All’udienza del 27 ottobre 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Giunge all’attenzione della Sezione il contenzioso relativo alla regolamentazione attuativa dell’art. 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, nr. 28, il quale, sulla scorta della delega contenuta nell’art. 60 della legge 18 giugno 2009, nr. 69, ha introdotto nel nostro ordinamento la mediazione in materia civile e commerciale, come prescritto dalla direttiva 21 maggio 2008, nr. 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea.
In primo grado, l’Unione Nazionale delle Camere Civili (U.N.C.C.) ha impugnato il decreto del Ministro della Giustizia, adottato di concerto col Ministro dell’Economia e delle Finanze, nr. 180 del 18 ottobre 2010, lamentandone l’illegittimità sotto plurimi profili, anche sulla base della ritenuta illegittimità costituzionale di retrostanti disposizioni del citato d.lgs. nr. 28 del 2010.
Il T.A.R. del Lazio, investito della controversia, in parziale accoglimento delle deduzioni di parte attrice, ha sollevato (ord. 12 aprile 2011, nr. 3202) questione di legittimità costituzionale di alcune norme dell’impugnato decreto, concernenti fra l’altro l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione ai fini dell’esercizio della tutela giudiziale in determinate materie.
Sulla questione la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza nr. 272 del 6 dicembre 2012, con la quale ha annullato, per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., l’art. 5, comma 1, del d.lgs. nr. 28 del 2010, nonché una serie di disposizioni a questo correlate, ritenendo viziata da eccesso di delega la previsione dell’obbligatorietà del ricorso alla mediazione ed alla conseguente strutturazione della relativa procedura come condizione di procedibilità della domanda giudiziale in relazione a varie tipologie di controversie.
A sèguito dell’intervento del giudice delle leggi, e dopo un primo tentativo di modifica della normativa regolamentare non andato a buon fine a causa della mancata conferma in sede di conversione del decreto-legge in cui era stata inserita, il legislatore è nuovamente intervenuto con l’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, nr. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, nr. 98, che ha reintrodotto, inserendo nell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010 il nuovo comma 5-bis (nonché attraverso l’introduzione di ulteriori disposizioni complementari), sia l’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione che la sua configurazione come condizione di procedibilità dell’azione.
Con la sentenza che ha definito il primo grado del presente giudizio, il T.A.R. capitolino:
- ha, da un lato, respinto la maggior parte delle doglianze attoree, ritenendo manifestamente infondate le ulteriori questioni di legittimità costituzionale articolate avverso la nuova disciplina medio temporeintervenuta;
- ha, per altro verso, accolto il ricorso limitatamente ai commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 28/2010 (reputando illegittima la perdurante previsione della debenza delle spese di avvio e delle spese di mediazione, a fronte del principio di gratuità della mediazione contenuto nella normativa primaria) ed al comma 3, lettera b), dell’art. 4 (reputando illegittima la mancata previsione dell’esclusione degli avvocati dalla formazione obbligatoria ivi prevista, a fronte del riconoscimento agli stessi della qualifica di mediatori di diritto).
2. La ricostruzione che precede, in parte ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non risulta contestata dalle parti costituite, per cui, vigendo la preclusione di cui all’art. 64, comma 2, cod. proc. amm., deve considerarsi idonea alla prova dei fatti oggetto di giudizio.
3. Tutto ciò premesso, l’appello dell’Amministrazione si appalesa in parte fondato e pertanto meritevole di accoglimento, mentre invece non è meritevole di favorevole delibazione l’appello incidentale dell’originaria ricorrente.
4. In ordine logico, è proprio l’appello incidentale a dover essere prioritariamente scrutinato, atteso:
a) che la sua ipotetica fondatezza comporterebbe la possibile incostituzionalità delle stesse norme primariea monte della censurata disciplina regolamentare;
b) che siffatta questione, ove ritenuta non manifestamente infondata, imporrebbe la rimessione alla Corte costituzionale anche d’ufficio (e, quindi, indipendentemente da ogni rilievo circa la legittimazione processuale dell’originaria ricorrente, come riproposto nel primo motivo d’appello dell’Amministrazione).
4.1. Con la propria impugnazione incidentale, l’U.N.C.C. reitera una sola delle questioni di legittimità costituzionale che il primo giudice ha ritenuto manifestamente infondate, e segnatamente quella relativa al comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. nr. 28/2010, il quale, in un contesto nuovamente connotato dall’obbligatorietà del previo ricorso alla mediazione e dalla sua strutturazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale in determinate materia (per effetto della “novella” introdotta dal d.l. nr. 69 del 2013), consente al giudice, anche in sede di appello, di imporre alle parti l’esperimento della procedura di mediazione.
4.2. Al riguardo, il primo giudice ha escluso che la nuova disciplina introdotta nel 2013, pur stabilendo nei termini visti l’obbligatorietà del previo esperimento della mediazione, comportasse una significativa incisione del diritto alla tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., essendo essa circondata da cautele idonee a prevenire un serio pregiudizio di tale diritto: in tal senso andrebbero le previsioni dell’assistenza obbligatoria del difensore, della specializzazione dei mediatori e, soprattutto, della circoscrizione dell’obbligatorietà al solo “primo incontro” di cui al comma 1 dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, all’esito del quale l’interessato può decidere di non proseguire nella procedura di mediazione.
4.3. In critica a tali argomenti, parte appellante incidentale rileva che le garanzie previste a favore del privato sarebbero solo apparenti, essendo per un verso limitata nel tempo la previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza del difensore in sede di mediazione, e sotto altro profilo non idoneamente assicurata la specializzazione e l’esperienza di diritto dei mediatori (e ciò malgrado la contestuale previsione per cui gli stessi avvocati sono “mediatori di diritto”).
Soprattutto, l’appellante incidentale muove dal presupposto che la previsione di cui al ricordato comma 2 dell’art. 5 obblighi l’interessato, a sèguito dell’ordinanza del giudice che impone la mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione, non già a limitarsi al primo incontro, ma ad esperire la vera e propria procedura di mediazione.
4.4. La Sezione non condivide tale ultimo avviso, che appare in frontale contrasto col dettato normativo.
Infatti, al di là di quanto appresso meglio si dirà in ordine all’essere il primo incontro parte integrante del procedimento di mediazione e non un qualcosa di estraneo ad esso, rileva il chiaro tenore testuale del comma 2-bis del medesimo art. 5, il quale, con previsione certamente applicabile anche alla fattispecie regolata dal precedente comma 2, dispone: “…Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
Quanto ai più specifici rilievi svolti nell’appello incidentale, questi sono basati su una svalutazione della rilevanza e della centralità del momento formativo e dell’aggiornamento dei mediatori, il quale invece, come pure meglio appresso si rileverà, costituiscono parte essenziale del substrato comunitario dell’istituto de quo, di modo che non è possibile predicare l’illegittimità costituzionale delle previsioni in questione sulla base di una mera visione “pessimistica” del come in concreto detta formazione sarà attuata (come sembra fare parte appellante incidentale, allorché assume che i cittadini saranno lasciati in balìa di mediatori che non saranno necessariamente “esperti di diritto”).
4.5. In definitiva, la Sezione ritiene di dover condividere e confermare le conclusioni esposte nella sentenza impugnata in punto di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale qui riproposta: nel senso che, una volta superato il vizio di eccesso di delega che aveva indotto l’intervento cassatorio della Corte costituzionale con la richiamata sentenza nr. 272 del 2012, non è dato rinvenire manifesti e significativi profili di violazione dell’art. 24 Cost. ovvero di altri parametri di rango costituzionale.
5. Proseguendo nella disamina delle questioni preliminari, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso di prime cure sollevata nell’atto di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Primavera Forense, laddove si assume il difetto di corretta instaurazione del rapporto processuale a cagione della mancata evocazione in giudizio di almeno un organismo di mediazione, quale controinteressato nei cui confronti il provvedimento impugnato era produttivo di effetti.
Tale questione può certamente essere delibata nella presente sede, atteso che:
a) va intesa quale vero e proprio motivo di impugnazione, essendo articolata in un atto di intervento in appello scaturito da conversione di opposizione di terzo proposta dinanzi al giudice di primo grado, giusta il disposto dell’art. 109, comma 2, cod. proc. amm.;
b) afferisce alla rituale instaurazione del rapporto processuale, e pertanto può pacificamente essere formulata anche per la prima volta in grado di appello.
Tuttavia, l’eccezione è infondata, dovendo in questa sede ribadirsi il consolidato insegnamento giurisprudenziale per cui, in caso di impugnazione di norme regolamentari, non possono individuarsi soggetti aventi posizione formale di controinteressati, a nulla rilevando in tal senso la posizione dei destinatari delle disposizioni generali e astratte contenute nel regolamento impugnato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 giugno 2006, nr. 3717; id., sez. V, 17 maggio 2005, nr. 6420).
6. Ciò premesso, col primo motivo d’impugnazione l’Amministrazione reitera l’eccezione, disattesa dal primo giudice, di inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione, non potendo riconoscersi sufficiente rappresentatività all’Unione istante in primo grado.
Il mezzo è infondato, atteso che, come già rilevato in sede cautelare, va ascritta a mero errore l’indicazione nell’epigrafe del ricorso (e della sentenza di primo grado) del nominativo della ricorrente come “Unione Nazionale delle Camere Civili di Parma”, risultando documentate dallo statuto, da un lato, la rappresentatività nazionale dell’associazione, e, per altro verso, che l’originaria sede in Parma dipendeva unicamente dalla previsione che, nelle more dell’individuazione di una sede in Roma, fissava automaticamente la sede sociale presso lo studio professionale del Presidente pro tempore (il quale, al momento della proposizione del ricorso, era appunto un avvocato del foro di Parma).
7. Parzialmente fondati invece, come più sopra anticipato, sono il secondo e il terzo motivo dell’appello dell’Amministrazione, con i quali si censurano le due statuizioni di annullamento della disciplina regolamentare cui è pervenuto il primo giudice.
8. Principiando dal secondo mezzo, questo attiene alla parte della sentenza impugnata nella quale è stata ritenuta l’illegittimità dei commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. nr. 180 del 2010, nei quali rispettivamente si prevedeva che: “…Per le spese di avvio, a valere sull’indennità complessiva, è dovuto da ciascuna parte per lo svolgimento del primo incontro un importo di euro 40,00 per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore superiore, oltre alle spese vive documentate che è versato dall'istante al momento del deposito della domanda di mediazione e dalla parte chiamata alla mediazione al momento della sua adesione al procedimento. L’importo è dovuto anche in caso di mancato accordo”, e che: “…Le spese di mediazione sono corrisposte prima dell’inizio del primo incontro di mediazione in misura non inferiore alla metà. Il regolamento di procedura dell’organismo può prevedere che le indennità debbano essere corrisposte per intero prima del rilascio del verbale di accordo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo. In ogni caso, nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo, l’organismo e il mediatore non possono rifiutarsi di svolgere la mediazione”.
8.1. Tali previsioni, comportanti sempre e comunque l’erogazione di somme da parte dell’utente anche in caso di esito negativo del primo incontro, sono state ritenute dal primo giudice incompatibili con l’innovativa disposizione di cui al comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, secondo cui: “…Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Siffatta incompatibilità viene in sentenza ricondotta a un difetto di coordinamento fra la “novella” di cui al d.l. nr. 69/2013 ed il preesistente impianto normativo, avendo la prima introdotto il principio della gratuità del ricorso alla mediazione, sia pure limitatamente alla fase del “primo incontro”.
8.2. A fronte di tali argomentazioni, la Sezione reputa fondate le opposte deduzioni della difesa erariale, nei limiti e per le ragioni già in parte anticipate in fase cautelare e che di sèguito si vanno ulteriormente a sviluppare.
8.2.1. Innanzi tutto, è opportuno rilevare l’infelicità della formula impiegata dalla novella del 2013 da ultimo citata, la quale per la prima volta fa uso del generico termine “compenso”, inserendosi in un tessuto normativo in cui il corrispettivo dovuto per i servizi di mediazione è qualificato più tecnicamente come “indennità”; quest’ultima terminologia, oltre che nelle norme primarie anteriori al ricordato intervento del 2013, si rinviene anche nell’art. 1 del censurato d.m. nr. 180/2010, laddove l’indennità di mediazione è definita come “l’importo posto a carico degli utenti per la fruizione del servizio di mediazione fornito dagli organismi” (comma 1, lettera h).
Tale indennità poi, a tenore del successivo e citato art. 16, si compone di varie voci, fra le quali rilievo primario hanno le già richiamate “spese di avvio” e “spese di mediazione”.
8.2.2. Tanto premesso, nessun dubbio può porsi per le spese di mediazione, le quali, comprendendo “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), integrano certamente il nucleo essenziale dell’indennità di mediazione: di queste, in applicazione del richiamato comma 5-ter dell’art. 17, non può che essere esclusa la debenza in caso di esito negativo del primo incontro.
Diverse considerazioni vanno svolte per le spese di avvio, indipendentemente dal se le si voglia considerare comprensive delle “spese vive documentate” ovvero a latere di esse (sul punto, il dettato del comma 9 sconta una certa ambiguità): ed invero, mentre non può seriamente essere negato il rimborso delle spese vive (sul che la stessa originaria ricorrente avendo chiarito di non avere alcunché da opporre), anche per le residue spese disciplinate dal medesimo comma 9 deve ritenersi la loro estraneità alla nozione di “compenso” – intesa quale corrispettivo di un servizio prestato – introdotta dal comma 5-ter dell’art. 17.
Ed invero, come efficacemente dimostrato dalla difesa erariale e dagli intervenienti ad adiuvandum, le spese di avvio, quantificate dal legislatore in modo fisso e forfettario (e, quindi, sganciato da ogni considerazione dell’entità del servizio effettivamente prestato dall’organismo di mediazione), vanno qualificate come onere economico imposto per l’accesso a un servizio che è obbligatorio ex lege per tutti coloro i quali intendano accedere alla giustizia in determinate materie; quanto sopra risulta confermato dal riconoscimento, a favore di chi tali spese abbia erogato, di un correlativo credito d’imposta commisurato alla somma versata e dovuto, ancorché in misura ridotta, anche nel caso in cui la fruizione del servizio si sia arrestata al primo incontro (art. 20, d.lgs. nr. 28/2010).
In altri termini, posto che il primo incontro non costituisce un passaggio esterno e preliminare della procedura di mediazione, ma ne è invece parte integrante alla stregua del chiaro tenore testuale dell’art. 8 del d.lgs. nr. 28/2010, e dal momento che tale fase il legislatore ha inteso configurare come obbligatoria per chiunque intenda adire la giustizia in determinate materie, indipendentemente dalla scelta successiva se avvalersi o meno della mediazione (al punto da qualificare l’esperimento del detto incontro come condizione di procedibilità dell’azione), ne discende la coerenza e ragionevolezza della scelta di scaricare i relativi costi non sulla collettività generale, ma sull’utenza che effettivamente si avvarrà di detto servizio.
8.3. A fronte dei rilievi fin qui svolti, che la Sezione ha in parte anticipato in fase cautelare, parte appellata nella propria memoria conclusiva rileva:
- che quanto evidenziato in ordine alla non riconducibilità delle spese di avvio alla nozione di “compenso”, di cui all’art. 17, comma 5-ter, del d.lgs. nr. 28/2010, sarebbe bensì vero in astratto, ma trascurerebbe di considerare la circostanza, dimostrata dall’esperienza pratica, che le spese de quibusfiniscono di fatto per coprire non solo i costi di esercizio degli organismi di mediazione (come era negli intenti del legislatore), ma anche e per buona parte i loro compensi, di modo che dovrebbe in ogni caso concludersi che esse, per come sono state quantificate e per la loro incidenza sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, finirebbero comunque per risolversi in una prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost.;
- che, quanto alla previsione del riconoscimento di un credito d’imposta a favore di chi si sia avvalso della mediazione, questa andrebbe in realtà riferita alla sola ipotesi in cui dopo il primo incontro vi sia stato accesso alla mediazione, ma questa abbia poi avuto esito negativo, e non anche al caso in cui non si sia andati oltre il primo incontro.
8.3.1. Con riguardo al primo aspetto, la Sezione osserva anzi tutto che il tema della quantificazione dell’indennità di mediazione, e specificamente dell’incidenza delle spese di avvio sul complessivo equilibrio economico-finanziario degli organismi di mediazione, risulta estraneo al perimetro del presente giudizio, non essendo stato in prime cure il d.m. nr. 180/2010 impugnato nella parte relativa alla determinazione dei criteri di calcolo dell’indennità.
Al di là di tale assorbente rilievo, la descrizione degli effetti “perversi”, che si paventa possano scaturire da una determinata opzione normativa, non è evidentemente ex se sufficiente a farne inferire l’illegittimità; né può predicarsi una violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. in presenza di una disposizione primaria, quale è l’art. 17 del d.lgs. nr. 28/2010, che, nel disciplinare i criteri e le modalità per il reperimento delle risorse atte a consentire il funzionamento degli organismi di mediazione, in via di eccezione esonera l’utenza che si avvalga dell’obbligatorio primo incontro, in caso di esito infruttuoso di esso, dalla sola corresponsione di somme a titolo di “compenso” (nel senso sopra precisato).
8.3.2. Quanto al secondo rilievo, esso muove da un presupposto – l’estraneità del “primo incontro” al procedimento di mediazione propriamente detto – che non solo non trova alcun aggancio testuale nell’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 (il quale, nel disciplinare il credito d’imposta, non impiega affatto espressioni univoche nel senso di circoscrivere la detraibilità alle sole somme erogate in caso di effettivo accesso alla mediazione), ma – come detto – appare smentito da altre disposizioni del medesimo decreto, e in primo luogo dall’art. 8, alla cui stregua il primo incontro rientra indiscutibilmente nel “procedimento” di mediazione.
In ogni caso, è evidente alla stregua di quanto sopra esposto che la disciplina riveniente dall’art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010 costituisce solo una conferma, ulteriore e ad abundantiam, delle conclusioni che devono essere raggiunte aliunde, nel senso della riconducibilità delle spese di avvio non già al concetto di “compenso” degli organismi di mediazione, ma piuttosto a un costo di esercizio che il legislatore nella propria discrezionalità ha inteso porre a carico dell’utenza che è obbligata per legge a far ricorso al relativo servizio.
9. Col proprio terzo motivo d’appello, l’Amministrazione censura il capo di sentenza con cui è stato annullato il comma 3, lettera b), dell’art. 4 del d.m. nr. 180/2010, nella parte in cui obbligava anche gli avvocati a seguire i percorsi di formazione e aggiornamento previsti per gli organismi di mediazione.
A tale conclusione il primo giudice è giunto sulla base del duplice rilievo che, a norma dell’art. 16, comma 4-bis, del d.lgs. nr. 28/2010, gli avvocati sono mediatori di diritto (potendo dunque iscriversi de plano al relativo registro), e che essi hanno dei propri peculiari percorsi di formazione e aggiornamento previsti dalla legge, nei quali può certamente rientrare anche la preparazione allo svolgimento dell’attività di mediatore.
La Sezione, pur senza condividere taluni degli argomenti sul punto impiegati dalla difesa erariale (e, in particolare, quello imperniato sulla pretesa diversità “culturale” che esisterebbe, in relazione alla possibilità di accesso del cittadino alla giustizia, fra l’atteggiamento tipico dell’avvocato e quello richiesto al mediatore), reputa fondate le critiche mosse in parte qua alla sentenza in epigrafe.
Ed invero, non può sussistere dubbio sulla diversità “ontologica” dei corsi di formazione e aggiornamento gestiti per l’avvocatura dai relativi ordini professionali - i quali possono bensì prevedere anche una preparazione all’attività di mediazione, ma solo come momento eventuale e aggiuntivo rispetto ad una più ampia e variegata pluralità di momenti e percorsi di aggiornamento – rispetto alla formazione specifica che la normativa primaria richiede per i mediatori, proprio in ragione dell’esigenza (non casualmente qui agitata proprio dall’odierna appellata ed appellante incidentale) di assicurare che il rischio di “incisione” sul diritto di iniziativa giudiziale costituzionalmente garantito sia bilanciato da un’adeguata garanzia di preparazione e professionalità in capo agli organismi chiamati a intervenire in tale delicato momento.
Inoltre, che questo costituisca un tema centrale e “sensibile” del sistema si ricava anche dalla retrostante normativa europea in subiecta materia (e, in particolare, dall’art. 4, par. 2, della direttiva 2008/52/CE, secondo cui: “…Gli Stati membri incoraggiano la formazione iniziale e successiva dei mediatori allo scopo di garantire che la mediazione sia gestita in maniera efficace, imparziale e competente in relazione alle parti”), alla cui stregua va esclusa ogni opzione normativa o ermeneutica che possa anche solo dare l’apparenza di un ridimensionamento delle esigenze così rappresentate.
A fronte di ciò, non è dato ricavare argomenti decisivi in contrario dal disposto del comma 4-bis dell’art. 16 del d.lgs. nr. 28/2010 (richiamato dal primo giudice quale parametro della ritenuta illegittimità in parte quadella disciplina regolamentare), atteso che tale disposizione, proprio subito dopo aver stabilito che: “…Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori”, espressamente aggiunge: “…Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense (…)”.
10. In conclusione, e riepilogando, s’impone il parziale accoglimento dell’appello dell’Amministrazione, con la conseguente riforma della sentenza impugnata e le reiezione del ricorso di primo grado quanto all’art. 16, comma 9, ed all’art. 4, comma 3, lettera b), del d.m. nr. 180/2010 (fermo restando, per il resto, quanto statuito dal primo giudice).
11. In considerazione della complessità e novità delle questioni esaminate, nonché della parziale soccombenza reciproca, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
- accoglie l’appello principale, nei limiti di cui in motivazione;
- respinge l’appello incidentale;
- per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado quanto ai vizi dedotti avverso l’art. 16, comma 9, e l’art. 4, comma 1, lettera b) del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, confermando per il resto la sentenza medesima.
Compensa tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 ottobre 2015 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Alessandro Maggio, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/11/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Commento:
Ordinanza del Tribunale di Milano che consente di valutare appieno la portata di diverse problematiche assai ricorrenti nella pratica della mediazione.
In particolare:
I fatti: parte attrice ha richiesto alla commercialista convenuta il risarcimento dei danni (80.000 euro) per avere la stessa svolto l'incarico conferitole senza la diligenza richiesta ex art. 1176, co. 2, c.c.
In particolare, l’inadempimento della convenuta consisterebbe nella omessa comunicazione al cliente delle scadenze di legge oltre che dell'an e del quantum delle imposte che avrebbe dovuto versare al fisco come persona fisica e come società e, inoltre, nella omessa comunicazione al cliente in ordine all'avvenuto ricevimento degli avvisi di irregolarità (avvisi bonari) con la conseguenza che le imposte dovute sarebbero lievitate di interessi, sanzioni e spese.
Dal canto suo, parte convenuta non ha contestato il conferimento dell’incarico, ma ha sostenuto di aver sempre dato comunicazione all'attore circa le imposte da pagare (producendo documentazione) e solo nell’anno 2008 (anno di imposta 2007) ha chiesto al cliente/amico, per ragioni personali e di studio, di versare a settembre quando avrebbe dovuto versare a giugno sobbarcandosi i costi del ravvedimento operoso, sottolineando, peraltro, che l’attore, pur a conoscenza delle tasse da pagare, era in realtà orientato a rinviare il più possibile i propri obblighi tributari;
Sulla base di tale situazione di fatto, rilevato che a fronte di eventuali inadempimenti della professionista sarebbero comunque alla stessa addebitabili solo i danni conseguenza immediata e diretta del suo comportamento colposo, con esclusione delle somme che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, il Giudice osserva che “...sarebbe necessario disporre una CTU contabile, richiesta anche da parte attrice, che chiarisca alcuni profili sia in ordine all’an che al quantum, ritenuto che sarebbe nell’interesse di tutte le parti trovare una composizione amichevole e transattiva della vertenza che possa consentire, tra l’altro, il risparmio delle ingenti somme della CTU contabile e le spese della prosecuzione del giudizio, ritenuto che, visti i pregressi rapporti di amicizia di parte attrice e parte convenuta (che hanno portato anche al rimborso spontaneo di €.7000,00) le stesse potrebbero utilmente sedersi ad un tavolo di mediazione, unitamente ad un funzionario della compagnia di assicurazioni che ha gestito la pratica, sfruttando il procedimento di mediazione per addivenire ad una composizione amichevole della controversia”.
Di qui, dunque, l'opzione in favore della mediazione delegata ai sensi dell'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, con tanto di “raccomandazione”, rivolta agli avvocati che assistono le parti, ad operare concretamente, nell'interesse delle stesse, ai fini del raggiungimento dell'auspicato accordo, “...abbandonando una certa animosità che si è registrata alla scorsa udienza e che si percepisce dagli scritti difensivi”.
Infine, il Tribunale di Milano sottolinea come la mediazione disposta dal giudice “...deve essere effettivamente svolta con la presenza di tutte le parti personalmente, assistite dai rispettivi difensori, non essendo sufficiente l’espletamento delle formalità di cui all’art.8 c. 1 del D.Lgs “.
In sostanza, come da ormai consolidata giurisprudenza sul punto (cfr. Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014, capostipiti di decine e decine di provvedimenti successivi ispirati alle stesse coordinate ermeneutiche), le ragioni della “impossibilità di iniziare il procedimento”, di cui all'art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, sono individuate nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, non risultando in alcun modo previsto che le parti manifestino una sorta di volontà di intraprendere effettivamente il tentativo di mediazione.
D'altra parte, come è noto, l'art 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, prevede che “quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo”. Pertanto, se è vero che il giudice non potrebbe esigere, ai fini del corretto formarsi della condizione di procedibilità della domanda, che il procedimento di mediazione vada oltre il primo incontro, è altrettanto indubitabile che egli possa pretendere che nel primo (ed eventualmente unico) incontro le parti, presenti personalmente ed assistite dai rispettivi difensori, entrino concretamente nel merito della controversia, al fine di tentarne effettivamente la definizione stragiudiziale.
Se uno schema siffatto deve ritenersi relativo alla mediazione in generale, vieppiù esso dovrà trovare applicazione in una forma di mediazione, come quella delegata, dal momento che una formale e “burocratica” presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a produrre la condizione di procedibilità della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dell’ordine del giudice, il quale ha già provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la “mediabilità” della controversia.
In sintesi, quindi: tentativo effettivamente svolto – in ottemperanza all'ordine del giudice, e caratterizzato dalla presenza personale – salvo casi eccezionali – delle parti.
Testo integrale:
TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO
SEZIONE PRIMA CIVILE
Il Giudice dott. Anna Cattaneo,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 25.3.2015,
letti gli atti ed i documenti di causa,
sentite le parti,
rilevato che parte attrice ha richiesto alla commercialista convenuta il risarcimento dei danno, quantificati in circa 80 mila euro, per avere la stessa svolto l’incarico conferitole (predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni dei redditi, Irap, e Iva anni di imposta 2006-2009) senza la diligenza richiesta dalla professione esercitata ex art.1176 c.c. comma 2;rilevato, in particolare, che l’inadempimento della XX consisterebbe, in primo luogo, nel no aver comunicato al cliente alle scadenze di legge né l’an né il quantum delle imposte che avrebbe dovuto versare al fisco come persona fisica e come società, in secondo luogo nel non aver comunicato al cliente di aver ricevuto gli avvisi di irregolarità (avvisi bonari) con la conseguenza che le imposte dovute (persone fisiche, irap e iva) sono lievitate di interessi, sanzioni e spese per circa 80 mila euro,
rilevato che parte convenuta non ha contestato il conferimento dell’incarico, ma ha sostenuto di aver sempre dato comunicazione al YY circa le imposte da pagare (producendo documentazione) e solo nell’anno 2008 (anno di imposta 2007) ha chiesto al cliente/amico, per ragioni personali e di studio, di versare a settembre quando avrebbe dovuto versare a giugno sobbarcandosi i costi del ravvedimento operoso, ha sottolineato che l’attore, pur a conoscenza delle tasse da pagare, era orientato a rinviare il più possibile i propri obblighi tributari, pertanto i ritardi nei pagamenti erano imputabili esclusivamente a lui,
rilevato che alcuni aspetti della controversia non sembrano del tutto chiariti negli scritti difensivi, né sono oggetto di prova orale,
rilevato che a fronte di eventuali inadempimenti della professionista sono allo stessa addebitabili solo i danni conseguenza immediata e diretta del suo comportamento colposo, con esclusione delle somme che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza,
ritenuto pertanto che sarebbe necessario disporre una CTU contabile, richiesta anche da parte attrice, che chiarisca alcuni profili sia in ordine all’an che al quantum,
ritenuto che sarebbe nell’interesse di tutte le parti trovare una composizione amichevole e transattiva della vertenza che possa consentire, tra l’altro, il risparmio delle ingenti somme della CTU contabile e le spese della prosecuzione del giudizio,
ritenuto che, visti i pregressi rapporti di amicizia di parte attrice e parte convenuta (che hanno portato anche al rimborso spontaneo di €.7000,00) le stesse potrebbero utilmente sedersi ad un tavolo di mediazione, unitamente ad un funzionario della compagnia di assicurazioni che ha gestito la pratica, sfruttando il procedimento di mediazione per addivenire ad una composizione amichevole della controversia, alla presenza dei rispettivi difensori i quali dovrebbero operare, nell’interesse dei loro assistiti, al raggiungimento dell’accordo, abbandonando una certa animosità che si è registrata alla scorsa udienza e che si percepisce dagli scritti difensivi,
ritenuto che la mediazione che dispone il giudice ai sensi dell’art.5 comma 2 D.Dlgs. 28/2010 deve essere effettivamente svolta con la presenza di tutte le parti personalmente, assistite dai rispettivi difensori, non essendo sufficiente l’espletamento delle formalità di cui all’art.8 c. 1 del D.Lgs. citato, proprie del primo incontro che ha la funzione meramente informativa,
P.Q.M.
Visto l’art.5 comma 2 del D.Lgs. 28/2010,
Dispone l’esperimento della mediazione e assegna termine alle parti di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione,
Precisa che la mediazione, in quanto disposta dal giudice, non può limitarsi all’incontro informativo di cui all’art. 8 co.1 , dovendo il tentativo di mediazione essere effettivamente espletato e quindi dovendo le parti personalmente partecipare alla vera e propria procedura di mediazione,
Sottolinea che l’esperimento del procedimento è condizione di procedibilità della domanda,
Fissa udienza per il giorno 7.10.2015 ore 9.40 per verificare l’esito della procedura di mediazione, riservando la decisione sulla CTU contabile e sulle prove orali articolare dalle parti.
Si comunichi.
Milano, 7 maggio 2015
Il Giudice
Dott.ssa Anna Cattaneo
Ancora una pronuncia con la quale si ribadisce, con particolare nettezza, il principio secondo cui, in sede di mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, nel primo incontro di mediazione le parti sono tenute ad entrare direttamente nel merito della controversia, non potendo, l'una, l'altra o entrambe, ritenere insussistenti i presupposti relativi alla “mediabilità” della lite, in quanto tale valutazione risulta già effettuata dal giudice nel momento stesso in cui dispone il procedimento.
Inoltre, con riferimento alla mediazione in generale, delegata o ante causam che sia, si sottolinea come la parte sia tenuta a presenziare personalmente all'incontro/i dinanzi al mediatore – salvo casi eccezionali – in cui potrà essere rappresentata da altro soggetto, di regola l'avvocato che la assiste, a condizione che sia munito di procura speciale notarile, unico strumento idoneo a radicare adeguata rappresentanza.
Nella pronuncia in esame si rileva come “...considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti;
giova rilevare che l’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 sia al comma 1 che al comma 2 fa riferimento esclusivo alla funzione di assistenza del difensore, senza alcun riferimento alla funzione di rappresentanza, presupponendo con questo la necessaria dualità dei soggetti che compongono la parte in un procedimento di mediazione. In mancanza di tale dualità possono derivare conseguenze sia sul regolamento delle spese del giudizio fino ad influire sulla stessa procedibilità della domanda giudiziale”.
Il Giudice invita altresì il mediatore a mettere a verbale eventuali assenze ingiustificate e quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre il primo incontro.
In sostanza, dunque, si conferma ancora una volta il fatto che per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all'ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l'emergere di questioni pregiudiziali ostative al suo svolgimento.
D'altra parte, in una mediazione delegata che oggi è “disposta” dal giudice, non consistendo più in un mero invito rivolto dallo stesso alle parti, la valutazione circa la mediabilità della lite non può che essere rimessa a chi, per l'appunto, la dispone.
Altrimenti, ciò che risulterebbe effettivamente obbligatorio non sarebbe altro che il primo incontro delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) con il mediatore, che il più delle volte varrebbe soltanto ad esprimere la “volontà” delle stesse contraria all'ingresso nel procedimento al fine di addivenire alla formazione di un verbale negativo che consenta di assolvere la condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Insomma, un mero orpello formale. Con conseguente svuotamento di ogni significato della mediazione sul piano deflattivo e sul quello, in prospettiva ancor più importante, culturale.
Analoghe considerazioni devono essere svolte circa il profilo attinente alla partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione.
In effetti, al di là delle disposizioni richiamate nella pronuncia in esame, nelle quali si parla di assistenza alle parti fornita dai rispettivi legali, non anche di rappresentanza, appare chiaro che per potersi parlare in senso proprio di mediazione occorre, quale presupposto primo ed indefettibile – salvo casi eccezionali – che le parti siano presenti di persona.
L'assenza della parte non può non determinare conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.
In sostanza, in mediazione, il mediatore e l'altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilità conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di là delle posizioni iniziali. Per queste ragioni, nei casi – eccezionali – di impossibilità per una delle parti a partecipare personalmente agli incontri, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, sembra in grado di fornire le necessarie garanzie in ordine alla sua utilizzabilità nei confronti di terzi.
Infine, va rilevato che la pronuncia in parola, relativa ad una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, rigettata l'istanza di provvisoria esecuzione del decreto, pone l'onere dell'avvio del procedimento di mediazione a carico della Banca opposta, mostrando, quindi, di aderire a quella tesi, oggi minoritaria in giurisprudenza, secondo la quale l'onere per l'appunto di introdurre la mediazione incomberebbe sull'originario intimante opposto, che, pertanto, ove non ottemperasse, vedrebbe decadere l'efficacia del decreto ingiuntivo in conseguenza della declaratoria di improcedibilità del giudizio di opposizione allo stesso.
Secondo altra giurisprudenza, oggi prevalente, (cfr., ex multis, Tribunale Rimini, ), nell'ipotesi di mancato avvio della mediazione nell'ambito del giudizio instauratosi a seguito dell'opposizione al decreto monitorio, la domanda che diviene improcedibile è quella proposta mediante atto di citazione dall'opponente, dal momento che, come è noto, nel giudizio di opposizione è il medesimo a rivestire il ruolo di attore, in quanto su di lui incombe l'onere di far sì che il decreto ingiuntivo non acquisti il carattere della definitività.
Così opinando, dal momento che la vigente normativa in materia di mediazione civile non deroga espressamente a quanto previsto nel c.p.c. riguardo al procedimento speciale in oggetto, nel caso di estinzione o – come nel caso di specie – di improcedibilità del giudizio di opposizione, ai sensi dell'art. 653 si determinerebbe il consolidarsi degli effetti del decreto ingiuntivo.
Testo integrale:
Tribunale di Pavia
Sezione III Civile
Dott. Giorgio Marzocchi
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
promosso da …… , con l’Avv……..Attrice – opponente
Contro …….. , con l’avv. ………….Convenuta – opposta
Il giudice istruttore del Tribunale di Pavia, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 13.05.2015, sulla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto
osserva
L’opposizione della signora ……. appare fondata su un principio di prova scritta, ovvero sulla documentazione medico sanitaria relativa al suo pregresso stato di salute psichica, stato che appare tale da poter incidere, in astratto, sulla sua capacità di intendere e volere al momento della stipula del contratto di fideiussione omnibus con la banca opposta e, conseguentemente, sulla validità ed efficacia del contratto inter partes;
D’altro canto, dalla documentazione allegata dalla banca opposta, in particolare dal doc. 4 del fascicolo ricostruito della banca opposta (contratto notarile di apertura di conto corrente con garanzia ipotecaria del 24.09.2009 inter partes), si rileva che una pattuizione prevede che sul credito della banca possa essere applicato nel calcolo degli interessi passivi il sistema anatocistico degli interessi composti, vietato dalla legge (artt. 1283, 1284, 1346, 1815 e 1832 c.c.) L’applicazione del detto sistema, determina un possibile vizio di nullità parziale del contratto, rilevabile d’ufficio (ex multisCass. sent. n. 9169 del 7.05.2015, Cass. S.U. sent. n. 21095/ 2004; n. 23974/2010; n. 19882/2005) e una possibile conseguente diminuzione dell’ ammontare del credito.
Visto che il rilievo d’ufficio del possibile errato calcolo degli interessi, per la valutazione della sua fondatezza, necessita di un accertamento più approfondito di quanto possa essere effettuato nella presente fase preliminare, di mera valutazione della provvisoria esecuzione del decreto;
Ciò premesso,
rigetta l’istanza di provvisoria esecuzione del decreto.
Sulle istanze di ammissione dei mezzi istruttori così provvede:
ammette
la prova testimoniale proposta dall’opponente con i testi indicati. Non ammette i capitoli di prova A.1.10 e A.1.11 in quanto valutativi.
Riservata l’ammissione di CTU medica e di eventuale CTU contabile econometrica.
Ritenuto peraltro opportuno disporre l’esperimento del procedimento di mediazione in vista di una possibile conciliazione della lite che possa eventualmente coinvolgere anche gli altri condebitori i quali, diversamente dalla sig.ra … , non hanno proposto opposizione al decreto;
Viste le modifiche introdotte dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 e, in particolare, l’art. 5, co. 2, D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28;
Dispone
l’esperimento del procedimento di mediazione, ponendo l’onere dell’avvio della procedura di mediazione a carico della Banca opposta e avvisando entrambe le parti che, per l’effetto, l’esperimento del tentativo di mediazione – presenti le parti o i loro procuratori speciali e i loro difensori – sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che, considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti;
Giova rilevare che l’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 sia al comma 1 che al comma 2 fa riferimento esclusivo alla funzione di assistenza del difensore, senza alcun riferimento alla funzione di rappresentanza, presupponendo con questo la necessaria dualità dei soggetti che compongono la parte in un procedimento di mediazione. In mancanza di tale dualità possono derivare conseguenze sia sul regolamento delle spese del giudizio fino ad influire sulla stessa procedibilità della domanda giudiziale;
Visti gli artt. 8, co. 4-bis, D.Lgs. 28/2010, 91 e 96 cpc;
Invita il mediatore a verbalizzare le eventuali assenze ingiustificate e quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare;
Invita mediatore e parti a valutare, già in sede di mediazione e per economicità processuale, l’opportunità di svolgere una consulenza tecnica econometrica;
Assegna alla parte opposta il termine di quindici giorni dalla comunicazione dell’ordinanza per la presentazione della domanda di mediazione, da depositarsi presso un organismo di mediazione regolarmente iscritto nel registro ministeriale che svolga le funzioni nel circondario del Tribunale di Pavia, ex. art. 4, co. 1, D. Lgs. Cit.
Fissa nuova udienza in data 19.10.2015, ore 10,30 per la verifica dell’esito della procedura di mediazione e per l’eventuale prosieguo del giudizio con l’esame di tre testimoni di parte opponente;
Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti costituite.
Pavia, 18.05.2015
Dott. Giorgio Marzocchi
Il Tribunale di Taranto, con l'ordinanza in commento, torna a soffermarsi sul concetto di effettività del tentativo di mediazione, sottolineando, in particolare, come nell'espressione mancata partecipazione al procedimento debba intendersi compresa non solo l'ipotesi dell'assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, in quanto si è comunque in presenza di condotte omissive nella sostanza equivalenti, volte in ogni caso a frustrare la possibilità stessa di tentare una soluzione stragiudiziale della lite, coerentemente, tra l'altro, con quanto previsto dall'art. 88 c.p.c. in tema di dovere di lealtà.
Rileva infatti il Giudice che “...per quel che concerne la disciplina della mediazione, quando sia disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità, e non vi sia quindi possibilità di rinnovarla in caso di inerzia, dovendosi dichiarare l’improcedibilità della domanda, un’ interpretazione giurisprudenziale tende a far sì che il suo esperimento sia effettivo, e non si esaurisca alla fin fine in una forma di rallentamento ulteriore del processo. Questo risultato viene perseguito affermandosi che l’obbligo di esperire la mediazione gravi su entrambe le parti”.
Occorre però intendersi sulla portata applicativa di detto obbligo.
Ovviamente, solo nel caso di inerzia dell'attore potrà configurarsi l'improcedibilità della domanda, non certo quando vi incorra il convenuto, dal momento che si applicherebbe nei confronti dell'attore una sanzione processuale per un fatto addebitabile ad altri.
Il fatto che però sussista un obbligo di mediazione effettiva a carico di entrambe le parti “...si desume dal disposto ex art. 8, co. 4 bis (dopo l’abrogazione del successivo comma 5 da parte della C.C.), del d.lgs. n. 28 del 2010: si sanziona infatti la mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo. E nell’espressione mancata partecipazione si deve intendere compresa non solo l’ipotesi dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, trattandosi di condotte omissive equivalenti, in quanto idonee entrambe a frustrare la stessa possibilità di tentare la mediazione (in coerenza anche con l’art. 88 c.p.c. sul dovere di lealtà”.
Naturalmente, il perseguimento dello scopo dell'effettività della mediazione“...non può tuttavia (...) spingersi sino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando l’attore si rifiuti di partecipare immotivatamente alla mediazione sin dalla fase preliminare (“non voglio mediare…voglio invece proseguire con la causa”)”.
D'altra parte, l'espressione “senza l'accordo”, contenuta nell'art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, comprende anche l'ipotesi in cui la parte non intenda superare il primo incontro del procedimento di mediazione.
D'altronde, il fatto che la legge abbia previsto, con riferimento alla mancata partecipazione al procedimento senza giustificato motivo, la sanzione di cui all'art. 116, co. 2, c.p.c., nonché quella della condanna al versamento di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, implica necessariamente la prosecuzione del processo, il che non si concilia, evidentemente, con la declaratoria di improcedibilità.
In sostanza, dunque, secondo il Tribunale “...l’obbligo di effettiva mediazione grava sì su entrambe le parti costituite, ma nel senso che se anche vi sia un rifiuto ingiustificato, oltre che l’assenza ingiustificata, possono seguire le sanzioni tassativamente previste dalla legge.
Non può però l’effettività dell’obbligo spingersi fino al punto da sanzionare con l’ improcedibilità della domanda l’attore (o il convenuto qualora abbia spiegato riconvenzionale), quando si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore”.
Testo integrale:
Tribunale di Taranto
II Sezione
Ordinanza
Le domande proposte dal ricorrente si fondano pur sempre su di un contratto di locazione, anche se risolto: si fa valere cioè una forma di responsabilità contrattuale e non ad altro titolo;
quindi si applica il rito locatizio, correttamente introdotto.
Le domande riconvenzionali deve ritenersi che siano assoggettate alla mediazione obbligatoria ex d.lgs. n. 28 del 2010, non potendosi ammettere un regime diverso per le domande giudiziali a seconda che sia fatta valere dall’attore o dal convenuto, in mancanza peraltro di disposizione di legge contraria.
Ciò non toglie che possa assicurarsi il simultaneus processus, rinviando la trattazione di tutte le cause ad una udienza successiva, piuttosto che disporre la loro separazione (arg. ex art. 127, II co., c.c. ed estens. ex art. art. 274 c.p.c.).
Ma nel caso di specie va disposta la mediazione - c.d. delegata, ex art. 5, co. 2 del d.lgs. n.
28.2010, per come modificato dal d.l. 21-06-2013 e legge di conversione del 09.08.2013, n. 98 - anche per le domande principali (sebbene sia stata già esperita, ma invano, la mediazione prima dell’introduzione del giudizio) alla luce della avvenuta proposizione della domanda riconvenzionale e delle valutazioni contenute in questo provvedimento sul tema decisorio e sulle prove.
Per l’azione di riduzione del canone e di risarcimento dei danni proposta dall’attore non dovrebbe operare la decadenza del semestre prevista dall’art. 79 della legge 392/78: nel primo caso di tratta di azioni derivanti da norme del codice civile; nel secondo di azioni che trovano la loro fonte nella stessa legge speciale, all’interno delle quali ipotesi è prevista la sanzione della decadenza (arg. ex art. 14 delle Preleggi).
La disciplina dei fatti costitutivi della domanda potrebbe essere quella ex art. 1581- 1578 c.c., e cioè per vizio sopravvenuto e conseguente riduzione del canone; ovvero quella ex art. 1576 c.c. – 1575, n. 2, ossia inadempimento contrattuale e conseguente risarcimento dei danni.
Questa seconda disciplina dovrebbe preferirsi se si considera che la domanda è incentrata dallo stesso attore soprattutto su di una forma di inadempimento colpevole: il non aver il locatore adempiuto l’obbligazione di effettuare le riparazioni necessarie ex art. 1576 c.c.- E questa domanda non sembra che possa essere preclusa dall’aver il conduttore sanato la morosità in un precedente giudizio di convalida di sfratto, iniziato successivamente al manifestarsi dei fenomeni di umidità; che sarebbero attestati soprattutto dalla evocata CTU svolta nell’accertamento tecnico preventivo, e che secondo la prospettazione dell’attore avrebbero reso inservibile una parte dei posti auto e moto disponibili nell’autorimessa aziendale.
Si tratta per lo più di valutare se i vizi – o il pregiudizio all’immobile locato derivante dal contestato inadempimento - da cui sembra essere stato colpito, peraltro denunziati già con missiva del luglio 2006, in concreto abbiano comportato la ridotta attività commerciale ed in che misura, nel periodo considerato, ossia dal luglio 2006 al maggio 2011.
Ammesso per ipotesi che sia provato l’inadempimento (con la CTU soprattutto) e la riduzione della ricettività dell’autorimessa (verbale dei vigili del fuoco), occorrerebbe a rigore, trattandosi di impresa, che il quantum del mancato guadagno sia consacrato dal raffronto tra la contabilità degli anni precedenti al 2006 e quella degli anni successivi, avuto particolare riguardo al più ridotto reddito ricavato; contabilità che tuttavia non risulta essere stata prodotta in giudizio, In mancanza potrebbe farsi riferimento alle presunzioni e quindi all’equità.
I capitoli di prova sub 1, 2, 36-6/a-8-9 (e l’ulteriore contenuto in citazione e gli altri nella
memoria integrativa) o sono superflui o contengono valutazioni frammiste a circostanze di fatti, e come tali ritenuti inammissibili, o risultano tardivi.
Superflua di conseguenza anche la prova articolata da controparte.
Per quel che concerne la disciplina della mediazione, quando sia disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità, e non vi sia quindi possibilità di rinnovarla in caso di inerzia, dovendosi dichiarare l’improcedibilità della domanda, un’ interpretazione giurisprudenziale tende a far sì che il suo esperimento sia effettivo, e non si esaurisca alla fin fine in una forma di rallentamento ulteriore del processo.
Questo risultato viene perseguito affermandosi che l’obbligo di esperire la mediazione gravi su entrambe le parti.
Occorre però intendersi sulla portata applicativa del predetto obbligo.
In primo luogo solo nel caso di inerzia dell’attore potrà seguire l’improcedibilità della domanda e non di certo quando vi incorra la sola controparte.
Non può ovviamente applicarsi all’attore una sanzione processuale per un fatto addebitale ad altri.
Che vi sia però un obbligo di mediazione effettiva a carico di entrambe le parti si desume
dal disposto ex art. 8, co. 4 bis (dopo l’abrogazione del successivo comma 5 da parte della C.C.), del d.lgs. n. 28 del 2010: si sanziona infatti la mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo.
E nell’espressione mancata partecipazione si deve intendere compresa non solo l’ipotesi
dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, trattandosi
di condotte omissive equivalenti, in quanto idonee entrambe a frustrare la stessa possibilità di tentare la mediazione (in coerenza anche con l’art. 88 c.p.c. sul dovere di lealtà).
E le sanzioni sono rappresentate dalla possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. e dal versamento di una somma pari al contributo unificato, in questo secondo quando però la parte sia costituita (ossia euro 660,00 nel caso in esame, pur se iscritto a debito per la provvisoria ammissione al gratuito patrocinio dell’attore).
Non può tuttavia il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione spingersi sino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando l’attore si rifiuti di partecipare immotivatamente alla mediazione sin dalla fase preliminare (“non voglio mediare…voglio invece proseguire con la causa”).
Allo scopo non può essere dirimente il disposto ex art. 5, comma 2 bis d.lgs. n. 28/2010:
"Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo".
L’espressione “senza l’accordo” infatti comprende anche il caso in cui la parte non voglia
comunque mediare.
Peraltro l’aver la legge previsto per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, nel senso lato precisato, la sanzione ex art. 116 c.p.c., ossia il trarre argomenti di prova, e quella pecuniaria sopra precisata, implica necessariamente la prosecuzione del processo, che evidentemente non si concilia con la ipotizzata improcedibilità.
In terzo luogo l’art. 8, I co. , citato, quando regola il passaggio dalla fase preliminare della
mediazione al suo effettivo esperimento, presuppone che nel c.d. primo incontro le parti debbano acconsentire alla mediazione: “.. il mediatore .. invita poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.
E non può trattarsi della sola possibilità tecnica (diritti indisponibili, litisconsorte pretermesso, etc.), posto che l’invito ad avere il placet è indirizzato dal mediatore anche alle parti e non solo agli avvocati.
Pertanto l’obbligo di effettiva mediazione grava sì su entrambe le parti costituite, ma nel senso che se anche vi sia un rifiuto ingiustificato, oltre che l’assenza ingiustificata, possono seguire le sanzioni tassativamente previste dalla legge.
Non può però l’effettività dell’obbligo spingersi fino al punto da sanzionare con l’ improcedibilità della domanda l’attore (o il convenuto qualora abbia spiegato riconvenzionale), quando si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore.
E’ opportuno poi che le parti siano messe a conoscenza delle sanzioni cui andrebbero incontro, in caso di mancata partecipazione alla mediazione disposta dal giudice.
P.T.M.
Rigetta la richiesta di mutamento del rito da locatizio ad ordinario.
Dichiara inammissibile la prova orale articolata dall’attore e quindi quella contraria di parte resistente.
Visto l’art. 5, co. 1 bis, del d.lgs. 28/2010 assegna alle parti il termine di giorni 15 per la presentazione della domanda di mediazione con riguardo alle riconvenzionali spiegate.
Visto l’art. 5, co., II, dispone l’esperimento della mediazione, anche per le domande proposte dal ricorrente, ed assegna alle parti eguale termine di quindici giorni.
Avverte che si intende realizzata la condizione di procedibilità quando le parti sono comparse davanti al mediatore ed un accordo comunque non sia stato raggiunto.
La predetta attività, svolta dal mediatore ai sensi dell’art. 1, co I, lett. a) del d.lgs. n. 28
del 2010, deve essere consacrata nel verbale dallo stesso redatto, pur se in maniera sommaria.
L’assenza senza giustificato motivo della parte costituita, al pari di un rifiuto ingiustificato alla mediazione, sarà suscettibile di essere sanzionata nei modi di legge (art. 8, IV bis e cioè possibilità di trarre argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. e sanzione pari al contributo unificato, ossia nel caso di specie euro 660,00; potranno poi rilevare in caso di proposta rivelatasi congrua nel corso del processo le ulteriori sanzioni previste dall’art. 13 del d.lgs. 28 / 2010 ed art. 96, III co. c.p.c.).
Beninteso in caso di assenza della parte che abbia proposto una domanda, potrà seguire
la sanzione dell’improcedibilità.
Fissa per la verifica dell’esito della mediazione l’udienza del 14-10-2015, ore di rito.
Riserva di accertare, disponendo – come di rito - informative alla Guardia di Finanza, la ricorrenza delle condizioni di reddito utili per l’ottenimento del beneficio del gratuito patrocinio, sia al momento della proposizione della richiesta di liquidazione del compenso, sia la loro permanenza nel periodo successivo.
Taranto, 16-04-2015
F.to Dott. Claudio Casarano
Commento:
Ancora una interessante sentenza in cui il Tribunale di Roma, sez. XIII, affronta le problematiche connesse alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, nella fattispecie delegata ai sensi dell'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, e – quindi – all'applicazione dell'art. 116, co. 2, c.p.c.
Nel caso di specie, con ordinanza del 20 febbraio 2014, il Giudice attivava per l'appunto un procedimento di mediazione demandata all'interno di una controversia relativa alla richiesta di risarcimento dei danni fisici subiti da una minore a seguito di caduta, occorsa mentre fruiva della scaletta di accesso allo scivolo posto nell'area giochi del cortile scolastico sotto la diretta vigilanza del personale insegnante.
La Scuola, pur ammettendo la caduta della bambina sua allieva, contestava, come la Assicurazione, ogni censura mossa alla propria diligenza.
Tanto la Scuola quanto l'Assicurazione, pur ritualmente convocate in mediazione, non aderivano all’invito, non si presentavano all'incontro fissato, né inviavano al mediatore né esponevano all’udienza di rinvio spiegazioni di sorta per tale condotta.
Come ben noto, l'art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010 prevede, relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116, co. 2, c.p.c.
Il Giudice rileva come “...non essendo stato neppure addotto, da parte della convenuta e del terzo, un motivo per la mancata adesione e partecipazione all’incontro di mediazione si deve affermare senza ombra di dubbio che tale condotta sia del tutto ingiustificata”; nella fattispecie, poi, “...sia la scuola che l’assicuratore avevano una evidente ragione per partecipare alla mediazione: in presenza di un rapporto contrattuale di affidamento della bambina alla scuola in base alle norme di cui all’art.1218 e ss. la sussistenza di responsabilità della scuola è in re ipsa avendo riportato la minore gravi lesioni mentre era sotto la vigilanza e la custodia del personale insegnante, sicché la strada (rectius: onere della prova) per una improbabile esclusione della responsabilità era tutta in salita, come usuale allorché si debba provare il caso fortuito”.
Dovendosi tenere in debito conto, inoltre, il fatto che trattavasi di mediazione delegata dal Giudice, dunque conseguente ad una valutazione circa la mediabilità della lite già dallo stesso effettuata.
Pertanto, conclude sul punto la sentenza, “...nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione della scuola e dell’assicuratore nel procedimento di mediazione; ma che tale rifiuto è del tutto irragionevole, illogico in concreto ma anche dal punto di vista astratto ed inescusabile”.
Ora, che la ingiustificata mancata partecipazione al procedimento di mediazione sia di per sé una condotta grave non può essere revocato in dubbio, dal momento che certamente rappresenta una modalità comportamentale idonea a determinare l'introduzione (o – come nel caso in oggetto – il permanere) di un giudizio presumibilmente evitabile, in un contesto – quale quello italiano attuale – assai critico sotto il profilo sia del numero dei procedimenti pendenti sia della durata media degli stessi.
Quanto alla possibilità di valorizzare nel processo, quale argomento di prova a sfavore di un parte, determinate condotte della stessa, si muove dal presupposto dell’esistenza, in giurisprudenza, di due diverse opinioni.
Secondo una prima impostazione, “…la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie”.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, si è più volte espressa nel senso che “…la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre argomenti di prova, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze (ex multis, Cassazione civile, sez. trib., 17 gennaio 2002, n. 443)”.
La seconda tesi, invece, opina nel senso che non vi sarebbe alcun divieto nella legge a che il giudice possa fondare solo su dette circostanze la decisione, valendo quale unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.
Anche in ordine a quest’ultimo orientamento, innumerevoli sono i precedenti di legittimità rintracciabili: ad esempio, secondo Cassazione civile, sez. III, 16 luglio 2002, la norma di cui all’art. 116, co. 2, c.p.c. “…attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti, e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti”.
Nel caso di specie, il Tribunale di Roma ritiene che “...nell’attuale situazione, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi, sia necessario rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto da una norma (l’art.116 cpc) tuttora vigente ma un po' desueta”.
Proprio in virtù di quanto precede, appare più che mai necessario fissare determinate regole precise.
Innanzitutto, “...deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto”, in quanto lo strumento di cui all'art. 116, co. 2, c.p.c. attiene all'ambito delle prove libere, che il Giudice è tenuto a valutare, ai fini dell'accertamento del fatto, secondo il proprio prudente apprezzamento.
In conseguenza di ciò, “...si ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa”.
Con ciò non si intende svilire il secondo degli orientamenti cui si è fatto riferimento in precedenza.
Ritiene infatti il Giudice che “...secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova”.
In sostanza, dunque, alla luce di quanto precede, “...si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo alla mancata partecipazione della scuola e dell’assicurazione convenuta alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c., concorra alla valutazione del materiale probatorio raccolto nel senso di ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della resistenza ad oltranza dell’assicurazione (ed invero sono provate al di là di ogni ragionevole dubbio, anche mediate il deferito interpello, la sussistenza del rapporto contrattuale, l’affidamento della bambina alla vigilanza ed attenzione del personale della scuola, la circostanza che la minore cadeva mentre si trovava sullo scivolo all’interno della scuola, che le lesioni riportate sono la conseguenza di tale caduta)”.
Sulla base di tutte le ragioni esposte fin qui, pertanto, il Tribunale, definitivamente pronunciando all'esito della trattazione orale di cui all'art. 281 – sexies c.p.c., condanna la Scuola al risarcimento del danno come quantificato in sentenza, al pagamento dei due terzi delle spese di causa e, inoltre, al pagamento di una somma, a favore dell'Erario, di ammontare pari al contributo unificato previsto per il giudizio, a titolo di sanzione per la mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione.
Condanna altresì l'Assicurazione a manlevare la Scuola per quanto concerne il risarcimento del danno.
Testo integrale:
In NOME del POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ROMA SEZIONE Sez.XIII°
REPUBBLICA ITALIANA
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
nella causa tra
“Genitori” nella qualità di genitori esercenti la potestà su …. (avv.to ….)
attori
E
“Scuola Privata”…. in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv…..)
convenuta
E
“Assicurazione” in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv. ….)
terza chiamata
ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art.281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 26.3.2015 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente
S E N T E N Z A
letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:
-1- Il fatto
Riferiscono gli attori che il il giorno 9.9.2008 alle ore 15 circa la minore …..di cinque anni allieva della scuola convenuta, si trovava all’interno del detto istituto scolastico privato intenta a fruire dell’area attrezzata e destinata al gioco allestita nel cortile sotto la vigilanza del personale insegnante, allorché mentre utilizzava lo scivolo ivi presente sprovvisto di tappeti antiurto, perdeva improvvisamente l’equilibrio mentre saliva lentamente la scaletta, i cui gradini erano privi di coperture antiscivolo, che conduce alla rampa del detto scivolo, cadendo e riportando gravi danni fisici.
La “Scuola” pur ammettendo la caduta della bambina, sua allieva, contestava, come la “Assicurazione”, ogni censura mossa alla diligenza della scuola.
La domanda degli attori è , nella misura infra esposta, fondata e merita accoglimento.
Va ricordato innanzi tutto che intercorre fra gli attori e la scuola un rapporto contrattuale sicché una volta dimostratane, da parte degli attori, l’esistenza, peraltro non contestata, la presenza della bambina all’interno dell’istituto e la caduta, fatti pacifici, incombeva alla convenuta dimostrare l’adempimento e nel caso di specie che la caduta dallo scivolo e le lesioni in conseguenza subite da ….., fossero imputabili a caso fortuito, nel quale può rientrare anche la condotta negligente dello stesso soggetto infortunato.
Si tratta di una prova rigorosa che l’istituto non avrebbe mai potuto fornire mediante le irrilevanti prove testimoniali richieste, posto che la bambina, di soli cinque anni, andava vigilata seriamente e seguita nel percorso fintanto che avesse preso confidenza con il gioco (scivolo), ciò che non è stato.
-2- L’invio in mediazione demandata e la mancata adesione e comparizione della convenuta e del terzo chiamato
Con ordinanza del 20.2.2014 il giudice attivava un percorso di mediazione demandata ai sensi del comma secondo dell’art.5 decr.lgs.28/2010 come modificato dal d.l.69/2013 [1]
Sia la “Scuola” che la “Assicurazione” benché ritualmente convocate in mediazione (cfr. verbale redatto dal mediatore dell’Organismo di Mediazione …… del 5.5.2014 compulsato dagli attori) non aderivano all’invito, non si presentavano al fissato incontro, né inviavano al mediatore né esponevano all’udienza di rinvio spiegazioni di sorta per tale condotta.
Ritiene il giudice che non possano nel contesto che ci occupa essere tratte conseguenze della mancata partecipazione della convenuta e del terzo ritualmente convocati al procedimento di mediazione attivato dagli attori su disposizione del giudice ex art.5 co.II° decr.lgsl.28/10 comma (mediazione demandata).
L’art.8 co.IV° bis prima parte del decr. lgsl. 28/2010 relativamente alla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione prevede che il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
-3- La (in)sussistenza di un giustificato motivo per non aderire, non presentandosi, all’incontro di mediazione.
Non essendo stato neppure addotto, da parte della convenuta e del terzo, un motivo per la mancata adesione e partecipazione all’incontro di mediazione si deve affermare senza ombra di dubbio che tale condotta sia del tutto ingiustificata.
E ciò è già di per sé sufficiente a motivare l’assenza di giustificato motivo.
In questo caso poi sia la scuola che l’assicuratore avevano una evidente ragione per partecipare alla mediazione: in presenza di un rapporto contrattuale di affidamento della bambina alla scuola in base alle norme di cui all’art.1218 e ss. la sussistenza di responsabilità della scuola è in re ipsa avendo riportato la minore gravi lesioni mentre era sotto la vigilanza e la custodia del personale insegnante, sicché la strada (rectius: onere della prova) per una improbabile esclusione della responsabilità era tutta in salita, come usuale allorché si debba provare il caso fortuito.
Tale evidente posizione di debolezza imponeva più che mai la partecipazione alla procedura di mediazione.
D'altra parte tanto più risulta ingiustificato tale atteggiamento di rifiuto di partecipazione alla mediazione attesa la circostanza che il giudice aveva evidentemente esaminato gli atti, studiato le posizioni delle parti, ed infine effettuata una delibazione che, in relazione alle circostanze tutte indicate dal secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/2010, lo aveva convinto della utilità di un percorso di mediazione nell’ambito del quale le parti avrebbero potuto approfondire le rispettive posizioni fino al raggiungimento di un accordo per entrambe vantaggioso.
Risulta pertanto comprovato che nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione della scuola e dell’assicuratore nel procedimento di mediazione; ma che tale rifiuto è del tutto irragionevole, illogico in concreto ma anche dal punto di vista astratto ed inescusabile.
-4- Le conseguenze, sul merito della causa, della mancata partecipazione da parte della scuola e dell’assicurazione, al procedimento di mediazione, senza giustificato motivo.
La mancata partecipazione al procedimento di mediazione (obbligatoria o demandata), senza alcuna giustificazione fornita dalla parte e senza -come in questo caso- che dagli atti del giudizio appaia la incontrovertibile macroscopica evidenza, per motivi di fatto o di diritto, o di entrambi, della inutilità o della impossibilità di riuscita della mediazione, costituisce condotta grave perché idonea a determinare la introduzione o l’incrostazione di una procedura giudiziale (evitabile) in un contesto giudiziario, quello italiano, saturo nei numeri e smisuratamente dilatato nella durata dei giudizi.
Quanto alla possibilità di valorizzare, nel processo, come argomento di prova a sfavore di una parte determinate condotte della stessa (nella specie la mancata comparizione in mediazione, senza giustificato motivo, della parte convocata) si confrontano nella giurisprudenza due diverse opinioni.
Secondo una prima tesi la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie.
Secondo altra opinione non vi è alcun divieto nella legge affinché il giudice possa fondare solo su tali circostanze la sua decisione, valendo come unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.
È espressione della prima teoria l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui “la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre ‘argomenti di prova’, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze” (fra le tante Cassazione civile, sez. trib., 17/01/2002, n. 443).
La norma in questione merita senz’altro una maggiore utilizzazione anche se a differenza di altri casi in cui da una determinata circostanza è consentito ritenere provato tout court il fatto a carico della parte che tale circostanza subisce, in questo caso la legge prevede che il giudice possa utilizzarla per trarre dalle circostanze valorizzate “argomenti di prova”.
La norma dell’art.116 c.p.c. viene richiamata dal legislatore della mediazione (art.8 decr. lgs. cit.) nell’ambito della ricerca ed elaborazione di una serie di incentivi e deterrenti volti a indurre le parti, con la previsione di vantaggi per chi partecipa alla mediazione e di svantaggi per chi al contrario la rifugge, a comparire in sede di mediazione al fine di pervenire a un accordo amichevole che prevenga o ponga fine alle liti [2]
Ciò sul presupposto che le statistiche ufficiali dimostrano incoraggianti percentuali di successo in presenza della comparizione della parte convocata [3]
Ne consegue, tali essendo le finalità del richiamo dell’art.116 c.p.c nel decr. lgsl. 28/10, che equivarrebbe a tradire l’intento del legislatore, svalutare la portata di tale norma considerandola una mera e quasi irrilevante appendice nel corredo dei mezzi probatori istituiti dall’ ordinamento giuridico.
Va considerato che nell’attuale situazione, affetta da una endemica ed apparentemente insuperabile crisi nei tempi di risposta alla domanda di giustizia, causata dalla imponente mole di cause iscritte nei tribunali e delle corti; e viste le sempre più gravi conseguenze sociali, economiche e di immagine anche internazionale, derivanti dal ritardo nella definizione dei processi, sia necessario rivalutare, senza forzature ma con fermezza, ciò che è previsto da una norma (l’art.116 cpc) tuttora vigente ma un pò desueta.
È necessario tuttavia fissare delle regole precise al riguardo.
Deve essere ben chiaro in primo luogo che giammai la mancata comparizione in sede di mediazione potrà costituire argomento per corroborare o indebolire una tesi giuridica, che dovrà sempre essere risolta esclusivamente in punto di diritto.
A favore o contro la parte non comparsa in mediazione.
Ed infatti lo strumento offerto dall’art. 116 c.p.c. attiene ai mezzi che il giudice valuta, nell’ambito delleprove libere (vale a dire dove si esplica il principio del libero convincimento del giudice precluso in presenza di prova legale ) ai fini dell’accertamento del fatto.
L’argomento di prova appartiene all’ampio armamentario degli strumenti utilizzati dal giudice in un ambito in cui non opera la prova diretta, vale a dire quella dove si ha a disposizione un fatto dal quale si può fondare direttamente il convincimento.
Nel processo di inferenza dal fatto al convincimento l’argomento di prova ha la stessa potenzialità probatoria indiretta degli indizi.
E come le presunzioni semplici ha come stella polare il criterio della prudenza (art. 2729 c.c.) che deve illuminarne l’utilizzo da parte del giudice.
Ciò detto si ritiene di poter affermare che la mancata comparizione della parte regolarmente convocata, come nel caso in esame, davanti al mediatore costituisce di regola elemento integrativo e non decisivo a favore della parte chiamante, per l’accertamento e la prova di fatti a carico della parte chiamata non comparsa.
Con ciò non si intende svalorizzare quella giurisprudenza della Suprema Corte che ha ritenuto che l’effetto previsto dall’art. 116 c.p.c. Può – secondo le circostanze – anche costituire unica e sufficiente fonte di prova (Cassazione civile, sez. III, 16/07/2002, n. 10268, che così si esprime: Quanto a questa ultima norma –art. 116 c.p.c. n.d.r.- in particolare, essa attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti – e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti, Cass. 6 luglio 1998 n. 6568; 1 aprile 1995 n. 3822; 5 gennaio 1995 n. 193; 14 settembre 1993 n. 9514; 13 luglio 1991 n. 7800; 25 giugno 1985 n. 3800).
Ritiene infatti il giudice che secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova.
Alla luce di quanto precede, si ritiene che la radicale evidente assenza di un giustificato motivo alla mancata partecipazione della scuola e dell’assicurazione convenuta alla mediazione demandata dal giudice, in forza del combinato disposto degli artt. 8 co.IV° bis del decr. lgsl. 28/2010 e art. 116 c.p.c.,concorra alla valutazione del materiale probatorio raccolto nel senso di ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della resistenza ad oltranza dell’assicurazione (ed invero sono provate al di là di ogni ragionevole dubbio, anche mediate il deferito interpello, la sussistenza del rapporto contrattuale, l’affidamento della bambina alla vigilanza ed attenzione del personale della scuola, la circostanza che la minore cadeva mentre si trovava sullo scivolo all’interno della scuola, che le lesioni riportate sono la conseguenza di tale caduta)
-5- Le conseguenze sanzionatorie derivanti dalla mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione
La sanzione del pagamento a favore dell’erario di una somma pari al contributo unificato.
Non avendo partecipato, ingiustificatamente, l’assicurazione al procedimento di mediazione al quale era stata convocata la stessa va condannata al versamento all’Erario della somma di €.550,00, a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio.
La cancelleria provvederà alla riscossione.
-6- I danni riportati e la quantificazione.
L’evento dannoso è accaduto in data 9.9.2008 quando …… aveva cinque anni.
E’ importante indicare la data del fatto in quanto dal marzo 2001 (l.5.3.2001 n.57) è in vigore il sistema del punto legale al quale il giudice in virtù della legge 12.12.2002 n.273 puo’ derogare in aumento solo nella misura di un quinto.
Più specificamente la legge (oggi decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 Codice delle assicurazioni private, art.139) prevede che il risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, è effettuato secondo i criteri e le misure seguenti: a titolo di danno biologico permanente, è liquidato per i postumi da lesioni pari o inferiori al nove per cento un importo crescente in misura più che proporzionale in relazione ad ogni punto percentuale di invalidità; tale importo è calcolato in base all’applicazione a ciascun punto percentuale di invalidità del relativo coefficiente secondo la correlazione esposta nel comma 6. L’importo così determinato si riduce con il crescere dell’età del soggetto in ragione dello zero virgola cinque per cento per ogni anno di età a partire dall’undicesimo anno di età. Il valore del primo punto è pari ad euro seicentosettantaquattro virgola settantotto; a titolo di danno biologico temporaneo, è liquidato un importo di euro trentanove virgola trentasette per ogni giorno di inabilità assoluta; in caso di inabilità temporanea inferiore al cento per cento, la liquidazione avviene in misura corrispondente alla percentuale di inabilità riconosciuta per ciascun giorno.
Come detto, la legge prevede che l’ammontare del danno biologico (temporaneo e permanente)liquidato ai fini può essere aumentato dal giudice in misura non superiore ad un quinto, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.
Ne consegue che per quanto riguarda il danno biologico permanente da 1 a 9 punti ed il danno biologico temporaneo vanno applicate, de plano, le norme suindicate e le relative tabelle applicative (derivanti dai decreti ministeriali di periodico aggiornamento).
Per quanto invece concerne:
il sistema seguito per la valutazione del danno biologico può muovere (il corsivo sta a significare che non si tratta di un’applicazione standardizzata ed automatica) dal valore di punto che rappresenta il criterio più ampiamente diffuso nell’ambito dei tribunali.
Invero l’applicazione delle tabelle di punto ha il vantaggio di attenuare la possibilità di trattamenti diversi per situazioni analoghe (come pure quello di consentire alle parti di addivenire più agevolmente a soluzioni transattive extragiudiziali).
Tutto ciò però non può assolutamente offuscare la doverosità da parte del giudice (correlativa alla legittima aspettativa della parte) che sia valutata specificamente la situazione sottopostagli valendo in tale contesto le tabelle quale utile parametro di base.
Il Giudice, ritiene applicabili alla fattispecie, che attiene a fattispecie sub 1 che precede, le tabelle elaborate dal tribunale di Roma, sia per la inabilità temporanea che per quella permanente.
Le tabelle romane e quelle milanesi.
Roma risarcisce in modo maggiore rispetto a Milano la invalidità temporanea.
Per la invalidità permanente va considerato che Roma ha tre voci, quella base che non contiene le voci del c.d. danno morale e di quello esistenziale e due voci ulteriori, una minima ed una massima, personalizzate in relazione a tali aspetti di danno, mentre Milano ha solo due voci, minima e massima, entrambe con tali contenuti.
Occorre tenere fermo che sulla base dell’orientamento consolidatosi a seguito di Cass. S.U. n. 2 6972/08, poiché il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno non patrimoniale ha natura unitaria, il risarcimento del danno biologico è liquidato anch’esso in modo unitario, in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza (danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc.) non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici (Cass. n. 24864/10; 4484/10; 25236/09).
Nelle note esplicative delle tabelle romane è condivisibilmente previsto fra l’altro….Per la valutazione equitativa nel caso di effettiva prova (ivi compresa la presunzione nell’ambito del diritto civile) del danno secondo i parametri della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 26792/2008 (il ristoro di tale danno, infatti, compete a) quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato potendo in questo caso essere oggetto di risarcimento qualsiasi danno non patrimoniale scaturente dalla lesione di qualsiasi interesse della persona tutelato dall’ordinamento, indipendentemente da una sua rilevanza costituzionale; b) quando sia la legge stessa a prevedere espressamente il ristoro del danno limitatamente si soli interessi della persona che il legislatore ha inteso tutelare attraverso la norma attributiva del diritto; c) quando il fatto illecito abbia violato in modo grave diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale e non predeterminati dovendo, volta a volta essere allegati dalla parte e valutati caso per caso dal giudice (cfr ad es. Cass. sez. III, 25 settembre 2009 n. 20684), si ritiene necessario prendere in considerazione, per il concreto esercizio del relativo potere, un criterio che utilizzi, al fine di individuazione della somma adeguata a quanto provato, un importo percentuale di quanto liquidato a titolo di danno biologico in misura ordinariamente non eccedente il 60%, tenuto conto che nelle tabelle del danno biologico elaborate dal Tribunale non era compresa alcuna quota relativa al cd danno non patrimoniale soggettivo.
Il Giudice, nella presente fattispecie, dà atto che il fatto in sé costituisce reato di lesioni colpose, e che non v’ha dubbio alcuno che debba essere riconosciuto a prescindere dall’esistenza o meno di querela la voce di danno non patrimoniale relativa alla sofferenza ed al patimento che ne sono derivati (descrittivamente danno morale) con applicazione, per la quantificazione, dei criteri, scaglioni e range elaborati a tale proposito dal tribunale romano.
Ne consegue che, fissata al 16% la giusta percentuale di invalidità permanente, con la adeguata personalizzazione del danno che si è stabilita, non risultano aspetti pregiudizievoli non risarciti.
Esaminata e condivisa la relazione peritale d’ufficio, immune da errori o vizi logico-tecnico-giuridici, in assenza di valide e specifiche contestazioni mosse alla relazione dai consulenti e avvocati delle parti, va dato atto e ritenuto che ……ha subito a seguito dell’evento i seguenti danni ed esborsi:
(il giudice non condivide l’indicazione di 90 gg. di temporanea assoluta tout court del CTU e la riformula sulla base della sua veste di peritus peritorum)
L’ammontare del risarcimento viene pertanto così determinata:
Le somme che precedono sub a e b sono la risultanza della rivalutazione alla data della decisione (secondo le tabelle aggiornate): ed invero solo attraverso il meccanismo della rivalutazione monetaria è possibile rendere effettivo il principio secondo cui il patrimonio del creditore danneggiato deve essere ricostituito per intero (quanto meno per equivalente); essendo evidente che, pur nell’ambito del vigente principio nominalistico, altro è un determinato importo di denaro disponibile oggi ed altro è il medesimo importo disponibile in un tempo passato).
Inoltre è giusto riconoscere ed aggiungere a tali somme un ulteriore danno consistente nel mancato godimento da parte del danneggiato dell’equivalente monetario del bene perduto per tutto il tempo decorrente fra il fatto e la sua liquidazione. Ed invero devesi a tale fine fare applicazione delle presunzioni semplici in virtù delle quali non si può obliterare che ove il danneggiato fosse stato in possesso delle somme predette le avrebbe verosimilmente impiegate secondo i modi e le forme tipiche del piccolo risparmiatore in parte investendole nelle forme d’uso di tale categoria economica (ad esempio in azioni ed obbligazioni, in fondi, in titoli di Stato o di altro genere) ricavandone i relativi guadagni. Con tali comportamenti oltre a porre il denaro al riparo dalla svalutazione vi sarebbe stato un guadagno (che è invece mancato) che pertanto è giusto e doveroso risarcire, in via equitativa, con la attribuzione degli interessi legali.
Il calcolo di tali interessi viene effettuato in virtù della sentenza del 17.2.1995 n.1712 della Suprema Corte procedendo prima alla devalutazione delle somme alla data del fatto (per la I.P. alla data del consolidamento degli esiti delle lesioni), importi che erano stati rivalutati alla data della sentenza; e successivamente calcolando sugli importi rivalutati anno per anno i relativi interessi legali ai tassi stabiliti per legge anno per anno, senza alcuna capitalizzazione.
In definitiva quindi agli attori n.q. spetta complessivamente la somma di €.55.900 = oltre interessi legali fino al saldo al cui pagamento i convenuti vanno in solido condannati.
Le spese (che vengono regolate secondo le previsioni della l.24.3.2012 n.27 e del D.M. Ministero Giustizia 10.3.2014 n.55) vengono liquidate, come in dispositivo, e compensate per un terzo atteso lo spropositato quantum richiesto con la domanda introduttiva.
La sentenza è per legge esecutiva.-
P.Q.M.
definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
Roma lì 26.3.2015 Il Giudice
dott.Massimo Moriconi
[1] Ord. 20.2.2014: Ritenuto di nulla aggiungere all’ordinanza ammissiva dei mezzi di prova di cui all’udienza del 21.11.2012, essendo sufficiente il materiale in atti;
considerato che in relazione agli atti, all’istruttoria fin qui espletata ed ai provvedimenti del Giudice, le parti ben potrebbero pervenire ad un accordo conciliativo, con il vantaggio di una sollecita risoluzione del conflitto e con utili ricadute anche da punto di vista economico e fiscale (cfr. art.17 e 20 del decr.legisl.4.3.2010 n.28) ;
ammessi i documenti prodotti dalle parti; ed esclusa allo stato ogni prova orale;
ritenuto che si procede ai sensi del secondo comma di cui all’art.5 decr.legisl.28/2010;
ritenuto che si fissa termine fino al 30.3.2014 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art.5 del decreto;
P.Q.M.
Roma lì 17.2.2014 Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi
[2] Art.8 co. 4-bis decr.lgsl.28/10 seconda parte: Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per giudizio.
[3] Posto il 57,3% di aderente non comparso ed il 10,3% di proponente rinunciante prima dell’esito, del restante 32,4% di aderente comparso il 42,4 % costituisce la percentuale di accordi raggiunti (statistiche 1.1.2013-31.12.2013 Ministero Giustizia http://webstat.giustizia.it/AreaPubblica/Analisi%20e%20ricerche/Mediazione%20civile%20al%2031%20dicembre%202013.pdf)
Commento:
Il Tribunale di Pavia, con l'ordinanza in commento, si allinea alla giurisprudenza ormai largamente prevalente in base alla quale il tentativo di mediazione non può considerarsi una mera formalità da assolversi con la partecipazione dei soli difensori all’incontro preliminare informativo, dal momento che i legali sono già a conoscenza del contenuto e delle finalità della procedura di mediazione, risultando viceversa necessaria la partecipazione delle parti personalmente – o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare – che all’interpello del mediatore esprimano la loro volontà di proseguire nella procedura di mediazione oltre il primo incontro.
Ciò, in particolare, perché la valutazione circa la “mediabilità” della controversia risulta già effettuata dal giudice stesso con il provvedimento medesimo, nel quale, tra l'altro, viene articolata una proposta ai sensi dell'art. 185 – bis c.p.c., disponendosi contestualmente la mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, per l'ipotesi in cui le parti ritengano di non aderire alla soluzione prospettata dal Tribunale (ovvero di svilupparla autonomamente in mediazione).
L'ordinanza in parola, dunque, appare di notevole interesse in quanto tende a compendiare due distinti orientamenti, peraltro tra loro pienamente complementari, radicatisi in giurisprudenza all'indomani dell'entrata in vigore della legge 98/2013.
Innanzitutto, sotto un profilo di principio.
La mediazione disposta dal giudice ai sensi del novellato art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 costituisce, come è noto, condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Ai fini dell'avverarsi di detta condizione, secondo la giurisprudenza sviluppatasi a seguito delle ordinanze 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze, al cui retroterra il presente provvedimento mostra di aderire pienamente, occorre che il tentativo di mediazione sia effettivo e che le parti partecipino personalmente allo stesso, salvo ipotesi eccezionali, non risultando in ogni caso sufficiente la presenza dinanzi al mediatore dei soli avvocati che le assistono.
L'assenza della parte determinerebbe conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.
D'altra parte, però, la presenza personale delle parti a nulla gioverebbe, se calata all'interno di una vuota formalità mirante unicamente all'ottenimento di un verbale negativo, senza alcun tentativo concreto di soluzione stragiudiziale.
Secondo la giurisprudenza citata, infatti, la mediazione disposta dal giudice deve essere intesa alla stregua di un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia di un tavolo nel quale le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all'ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura propedeutica ad una eventuale conciliazione, salvo, naturalmente, l'emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.
Nella mediazione delegata dal giudice non può che essere quest'ultimo a valutare, secondo i parametri legali, i margini di componibilità stragiudiziale della controversia, con conseguente ridimensionamento della funzione del primo incontro di mediazione di cui all'art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, tanto più in un'ottica quale quella post riforma per la quale la mediazione è “disposta” (rectius: ordinata) dal giudice, il quale non si limita più, pertanto, a rivolgere un mero invito alle parti, ma esercita un potere affidatogli dalla legge la cui conseguenza immediata è di condizionare la procedibilità del giudizio pendente dinanzi a sé.
In secondo luogo, sotto un profilo attinente al modus operandi del giudice.
Nel provvedimento in esame, infatti, viene ribadita la cumulabilità tra proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice ex art. 185 – bis c.p.c. e mediazione disposta ai sensi dell'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
Si tratta di una tecnica inaugurata dal Tribunale di Roma, sez. XIII civile, con l'ordinanza 24 ottobre 2013 e che, come ormai ben noto, è divenuta in seguito di utilizzo comune.
In sostanza, formulata la proposta e assegnato un congruo termine per la valutazione della medesima, il giudice dispone che dalla eventuale infruttosa scadenza dello stesso decorrerà il termine ulteriore di 15 gg. per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, l'istanza relativa alla mediazione disposta ex ante dal giudice stesso in previsione dell'eventualità di non adesione alla proposta.
Viene infine fissata un'udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni a riguardo (naturalmente con riferimento alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l'eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle stesse, ai fini degli artt. 91 e 96, co. 3, c.p.c.
Si tratta di una tecnica che appare convincente, in quanto, nell'ipotesi in cui le parti (o una di esse) non ritenessero di aderire alla proposta giudiziale, quest'ultima potrebbe in ogni caso fungere da base di trattativa passibile di sviluppi autonomi, da verificarsi nel successivo (ma preventivato) tavolo di mediazione.
Ben potrà, infatti, il mediatore, anche sulla base dell'eventuale proposta formulata dal giudice e dei motivi per i quali una delle parti (o entrambe) non abbia ritenuto di accoglierla, estendere il tentativo conciliativo a profili emersi successivamente alla formulazione della proposta stessa o, comunque, se già esistenti, non entrati nel thema decidendum, superando così il vincolo rappresentato, nel giudizio, dalla corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Per depositare un' istanza presso ADR Intesa, sede di Pavia: pavia@adrintesa.it e info@adrintesa.it - tel. 06.87463699
Testo integrale:
TRIBUNALE DI PAVIA
Sezione III Civile
Dott. Giorgio Marzocchi
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo
promosso da
……..
attore-opponente
contro
……..
convenuto-opposto
Il giudice istruttore del Tribunale di Pavia, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 4.03.2015,
Osserva
da una delibazione degli atti e dei documenti del fascicolo; dall’esito dell’interrogatorio libero esperito anche a fini conciliativi all’ultima udienza del 4.03.2015; dalla disponibilità delle parti manifestata in esito al fallimento del tentativo di conciliazione giudiziale, discende l’opportunità di disporre l’esperimento di una procedura di mediazione, previa proposta giudiziale di conciliazione della lite;
Visto l’art. 185 bis, cpc, considerata la natura della causa, il valore della lite e le questioni di diritto non particolarmente complesse che vengono in considerazione nel presente giudizio;
Si propone alle parti:
di definire amichevolmente la lite nel modo seguente: la società opponente s’impegni ad effettuare un pagamento, a saldo e stralcio in favore dell’opposto, per il titolo dedotto in giudizio, della somma di € 5.500,00 (cinquemilacinquecento/00), da intendersi onnicomprensive di capitale, interessi e concorso nelle spese legali (al lordo di tutti gli accessori). La somma potrà essere corrisposta in parte alla conclusione dell’accordo e in parte in rate mensili.
Si invitano i difensori, ove condividessero l’opportunità della proposta transattiva giudiziale, a prendere contatto tra loro per definire le concrete modalità del pagamento, invitandoli, ove preferissero formalizzare l’accordo in un verbale di conciliazione giudiziale, ad avanzare apposita istanza di anticipazione dell’udienza.
In caso di mancato accordo – da accertarsi a cura dei difensori entro il termine perentorio del 15.04.2015 – sulla sopra formulata proposta giudiziale o su altra liberamente determinabile nell’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti
Dispone come segue:
Considerato lo stato dell’istruzione, la natura della causa e il comportamento delle parti;
Ritenuto opportuno ordinare il tentativo di mediazione in vista di una possibile conciliazione della lite, alla luce degli elementi in fatto e di diritto già emersi;
Ritenuto che il tentativo di mediazione non possa considerarsi una mera formalità da assolversi con la partecipazione dei soli difensori all’incontro preliminare informativo, essendo evidente che i legali sono già a conoscenza del contenuto e delle finalità della procedura di mediazione ed essendo al contrario necessaria la partecipazione delle parti personalmente – o dei rispettivi procuratori speciali a conoscenza dei fatti e muniti del potere di conciliare – che all’interpello del mediatore esprimano la loro volontà di proseguire nella procedura di mediazione oltre l’incontro preliminare (ex multis, Trib. Palermo, Ord. 16.06.14; Trib. Roma, Ord. 30.06.14; Trib. Firenze, Ord. 26.11.2014; Trib. Siracusa, Ord. 17.01.15);
Viste le modifiche introdotte dal D.L. 69/2013, convertito con modificazioni dalla L. 98/2013;
PQM
Letto ed applicato l’art. 5, co. 2, D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28,
Ordina alle parti, in caso di mancato accordo entro il 15.04.2015 sulla proposta giudiziale sopra formulata, l’esperimento del procedimento di mediazione, ponendo l’onere dell’avvio della procedura a carico della parte più diligente e avvisando entrambe le parti che, per l’effetto, il tempestivo esperimento del tentativo di mediazione – presenti le parti o i loro procuratori speciali e i loro difensori – sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che, considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti;
Visti gli artt. 8, co. 4-bis, D.Lgs. 28/2010, 116, co. 2, 91 e 96 cpc, invita il mediatore a verbalizzare quale, tra le parti che partecipano all’incontro, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare;
Ordina alla parte più diligente di allegare la presente ordinanza anche in copia “libera” all’istanza di avvio della mediazione o all’adesione alla stessa, in modo che il mediatore possa averne compiuta conoscenza;
Rinvia la causa all’udienza del 23 settembre 2015, ore 10,30
1) per la verifica dell’esito della procedura di mediazione e, in caso suo esito negativo,
2) per la trattazione orale sulla sussistenza delle condizioni e sull’opportunità per le parti di presentazione dell’istanza congiunta, ex art. 1, co. 1, D.L. 132/14, convertito in L. 162/14, di trasferimento del giudizio alla sede arbitrale forense, ex art. 1, co. 4, L. cit., con invio del fascicolo al Presidente dell’Ordine Avvocati di Pavia;
3) in subordine, in caso di mancanza dell’istanza congiunta di cui sopra, per la precisazione delle conclusioni.
Assegna alle parti il termine perentorio del 30.04.2015 per la presentazione della domanda di avvio della procedura di mediazione da depositarsi presso un Organismo, regolarmente iscritto nel registro ministeriale, che svolga le sue funzioni nel circondario del Tribunale di Pavia, ex. art. 4, co. 1, D. Lgs. 28/2010;
Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti costituite.
Pavia, 9 marzo 2015
Dott. Giorgio Marzocchi
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Ancora un provvedimento con il quale, nell'ambito della mediazione delegata di cui all'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, si sottolineano con forza i principi – ormai ampiamente condivisi in giurisprudenza – relativi all'effettività del tentativo di mediazione ed alla partecipazione personale delle parti all'incontro con il mediatore.
Il Tribunale osserva innanzitutto come in sede di primo incontro, ex art. 8 D.lgs 28/2010, il mediatore sia tenuto a chiedere alle parti di esprimersi circa la possibilità di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della stessa, e non su una asserita volontà in ordine all'avvio della procedura, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, sostanzialmente, di mediazione non obbligatoria bensì facoltativa.
Nel caso di specie (giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo), il Giudice ritiene che sussistano “...i “gravi motivi” di cui all’art. 649 c.p.c. per sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto, i quali possono attenere non soltanto al periculum, qualora si ritenga che l’esecuzione forzata del decreto ingiuntivo opposto possa danneggiare in modo grave il debitore, senza garanzia di risarcimento, in caso di accoglimento dell’opposizione ma anche, a prescindere dalla sussistenza di tale presupposto, alla probabile fondatezza dell’opposizione”.
Ciò posto, considerato che l'art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, prevede che i precedenti commi 1 – bis e 2 non si applichino "...nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione …”, il Tribunale rileva tuttavia come, in considerazione della natura della causa, del concreto oggetto di lite e del valore di essa, emerga l’opportunità che le parti sperimentino un procedimento di mediazione ai sensi del dell'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2020 (delegata quindi dal giudice), da intendersi comunque a pena di improcedibilità della domanda.
Proprio ai fini del verificarsi della condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la pronuncia in oggetto mostra di aderire a pieno titolo a quella sempre più sedimentata giurisprudenza per la quale per mediazione disposta dal giudice (e, in senso più lato, per mediazione a tutti gli effetti) deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia il fatto che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di iniziare il tentativo, adempiano effettivamente all'ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l'emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.
Paradigmatica, sul punto, l'ordinanza 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze, nella quale, pur muovendo dalla premessa di una difficile individuazione del confine tra la fase preliminare e la mediazione vera e propria, si osserva, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, come “...ritenere che l'ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione, (…) possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile”.
Ciò in quanto “...ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un' inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe ragion d'essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un'effettiva chance di raggiungimento dell'accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all'accesso alla giurisdizione”.
Come ormai ben noto, alle c.d. ordinanze “fiorentine”, si sono in seguito aggiunti molti altri provvedimenti di diversi uffici giudiziari, che hanno ritenuto di confermare, più e più volte, il medesimo orientamento.
Naturalmente, l'orientamento in parola non può che poggiare anche su un ulteriore pilastro.
Un tentativo di mediazione che possa definirsi “effettivo”, infatti, non può in alcun modo prescindere dalla presenza personale delle parti, dovendo limitarsi a casi eccezionali l’ipotesi in cui esse siano sostituite da un rappresentante sostanziale, pure munito dei necessari poteri.
Tale principio è ribadito ancora una volta nella presente ordinanza, nel momento in cui si evidenzia come la previsione contenuta nell'art. 8, D.lgs 28/2010, secondo cui “...al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato...”, implichi la volontà di favorire la comparizione personale delle parti, quale indefettibile e autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi.
In sintesi, si osserva come l'assenza delle parti determini conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero di un rapporto tra loro, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.
Sulla base delle considerazioni che precedono, dunque, i più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di mediazione delegata sottolineano, in sostanza, come sia connaturata al concetto stesso di mediazione la presenza delle parti dinanzi al mediatore (Cfr., ex multis, Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014; Trib. Roma, sent. 29 maggio 2014 e ord. 30 giugno 2014; Trib. Bologna, ord. 5 giugno 2014).
Senza parti, salvo casi eccezionali, parlare di mediazione diventa arduo.
Ma si può parlare di mediazione quando – presenti le parti – il primo incontro si esaurisca nella mera manifestazione di una (asserita) volontà “di non mediare” che varrebbe a realizzare una condizione di procedibilità? Secondo un numero sempre crescente di giudici, una tale situazione deve considerarsi un non senso logico, prima ancora che giuridico.
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Testo integrale:
TRIBUNALE ORDINARIO di SIRACUSA
II Sezione Civile
Nella causa civile iscritta al n.r.g. XXXX promossa da: XXXX con il patrocinio dell’avv. XXXX
OPPONENTE
contro YYYY con il patrocinio dell’avv. YYYY
OPPOSTO
Il Giudice dott. Stefania Muratore,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 13/01/2015, letti gli atti,
rilevato che l’opposizione è fondata su prova scritta, in quanto l’opponente ha prodotto due quietanze liberatorie, riferite agli assegni sulla base dei quali è stato emesso il decreto ingiuntivo opposto, sottoscritte da parte opposta con firma autenticata da Pubblico Ufficiale del Comune di …..;
ritenuto che pertanto ricorrano i “gravi motivi” di cui all’art. 649 c.p.c. per sospendere l’esecuzione provvisoria del decreto, i quali possono attenere non soltanto al periculum, qualora si ritenga che l’esecuzione forzata del decreto ingiuntivo opposto possa danneggiare in modo grave il debitore, senza garanzia di risarcimento, in caso di accoglimento dell’opposizione ma anche, a prescindere dalla sussistenza di tale presupposto, alla probabile fondatezza dell’opposizione;
rilevato, con riferimento al procedimento di mediazione, che l’art. 5/4 del d.lgs. 28/2010 (come modificato dal dl. 21.06.2013 n. 69 convertito in l. 09.08.2013 n. 98) prevede che i precedenti commi l bis e 2 non si applichino ” …nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione …”;
ritenuto, peraltro, che, in considerazione della natura della causa, del concreto oggetto di lite, del valore di essa e di quanto sopra indicato con riferimento alle contrastanti prove documentali in ordine alle reciproche pretese, emerge l’opportunità che le parti sperimentino un procedimento di mediazione ai sensi del decreto citato, ex art. 5/2 decreto cit. (su disposizione del giudice), da intendersi comunque a pena di improcedibilità della domanda; ritenuto, con riferimento a detto procedimento: 1) in primo luogo, che l’esplicito riferimento
operato dalla legge (art. 8) alla circostanza che ” …al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato …” implica la volontà di favorire la comparizione personale della parte, quale indefettibile e autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi, dovendo limitarsi a casi eccezionali l’ipotesi che essa sia sostituita da un rappresentante sostanziale, pure munito dei necessari poteri; 2) inoltre, che le procedure di mediazione ex art. 5, comma l bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lgs. 28/10 (e succ. mod.), sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previste a pena di improcedibilità dell’azione; che difatti, per espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla”possibilità” di iniziare la procedura dimediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, di mediazione non obbligatoria bensì facoltativa e rimessa al mero arbitrio delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva;
P.Q.M.
SOSPENDE la provvisoria esecuzione del decreto opposto;
RINVIA la causa per il prosieguo all’udienza del 9.06.2015 h. 9.30 (orario effettivo di trattazione);
DISPONE che le parti esperiscano il procedimento di mediazione, come in parte motiva, con onere di impulso a carico della parte più diligente entro il termine perentorio di gg. 15 dalla comunicazione della presente ordinanza, a pena di improcedibilità della domanda;
INVITA le parti a comunicare l’esito della mediazione con nota da depositare in Cancelleria almeno 10 gg prima dell’udienza, nota che dovrà contenere informazioni in merito all’eventuale mancata partecipazione delle parti personalmente senza giustificato motivo; agli eventuali impedimenti di natura pregiudiziale che abbiano impedito l’effettivo avvio del procedimento di mediazione; nonché infine, con riferimento al regolamento delle spese processuali, ai motivi del rifiuto dell’eventuale proposta di conciliazione formulata dal mediatore;
DISPONE infine che a cura della parte attivante il procedimento, copia del presente verbale sia trasmesso altresì al mediatore.
Si comunichi alle Parti. Siracusa, 17 gennaio 2015
II Giudice
dott. Stefania Muratore
Commento
La mediazione deve essere effettiva e – soprattutto – le parti devono partecipare al procedimento personalmente o a mezzo di procuratore speciale, a pena di nullità del procedimento stesso e con ogni conseguenza in ordine alla procedibilità del giudizio che sia già pendente o che venga successivamente instaurato.
E' quanto afferma l'ennesima pronuncia giudiziale in tema di mediazione civile, protagonista il Tribunale di Cassino.
All'udienza del 16 dicembre 2014, presenti i procuratori delle parti, il Giudice rileva che, pur trattandosi di diritti reali, non era stato preliminarmente esperito il tentativo di mediazione e, conseguentemente, dichiara improcedibile il giudizio, fissando il termine per il deposito dell'istanza dinanzi ad un organismo territorialmente competente, a decorrere – come da richiesta delle parti – dal 7 gennaio 2015.
Il giudice rammenta altresì alle parti che “...hanno l'obbligo di comparire personalmente o tramite procuratore speciale – se previsto dal regolamento dell'organismo prescelto – a pena di nullità del procedimento, e con ogni conseguenza in ordine alla procedibilità del presente giudizio”.
Fissa poi udienza per il prosieguo in data 23 settembre 2015, nella “...non creduta (sic!) ipotesi di mancato accordo”.
Ancora una pronuncia, dunque, nella quale è dato assistere alla progressiva estensione alla mediazione ante causam, di cui all'art. 5, co. 1 – bis, D.lgs. 28/2010, del principio, originariamente enucleato dalla giurisprudenza con riferimento alla mediazione delegata di cui all'art. 5, co. 2, per il quale la partecipazione personale delle parti al procedimento deve considerarsi connaturata al concetto stesso di mediazione (cfr. le “storiche” Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014; ma anche, ex multis, Trib. Roma, sent. 29 maggio 2014 e ord. 30 giugno 2014; Trib. Bologna, ord. 5 giugno 2014).
In sintesi, si osserva come l'assenza della parte determini conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.
Secondo l'ordinanza 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze, ad esempio, posto che “...la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l'istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L'assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D'altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l'art. 5, comma 1-bis e l'art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l' 'assistenza degli avvocati', e questo implica la presenza degli assistiti”, il giudice osserva che “...i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l' informazione prescritta dall'art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l'incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un'informativa”.
Anche per il Tribunale di Bologna, ordinanza 5 giugno 2014, per citare un altro esempio ormai ben noto, la presenza delle parti costituisce presupposto necessario.
Ribadito, in primo luogo, che la natura della mediazione richiede “...che all’incontro (…) siano presenti (anche e soprattutto le parti): l’istituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore”, il giudice bolognese prosegue osservando che “...i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, sono senza dubbio già a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità (come peraltro si desume dal fatto che essi, prima della causa, devono fornire al cliente l’informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010), di talchè non avrebbe senso imporre l’incontro tra i soli difensori ed il mediatore in vista di una (dunque, inutile) informativa”.
In sostanza, dunque, limitandosi per ora alle ipotesi di mediazione disposta dal giudice, la previsione circa la presenza delle parti, assistite dall'avvocato, viene intesa quale volontà legislativa di favorire la partecipazione personale della parte, che rappresenta un indefettibile ed autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi. Senza parti, salvo casi eccezionali, parlare di mediazione diventa arduo.
Nei casi di rappresentanza delle parti in mediazione, occorre poi aprire un diverso capitolo in ordine alla legittimazione del rappresentante. In questa sede basti rammentare che la rappresentanza in esame ha natura negoziale e non processuale, e quindi il rappresentato dovrà conferire adeguata procura ad negotia che autorizzi il rappresentante ad agire in nome e per conto, con idonea puntualizzazione dei poteri e dei limiti.
In sostanza, in mediazione, il mediatore e l'altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilità conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di là delle posizioni iniziali. Per queste ragioni, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, sembra in grado di fornire le necessarie garanzie in ordine alla sua utilizzabilità nei confronti di terzi.
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Dispositivo:
Tribunale Ordinario di Cassino
Verbale di Udienza
All'udienza davanti al Giudice Dott.XXXXXXX sono presenti i procuratori delle parti, i quali si riportano alle proprie memorie istruttorie.
Il Giudice
Rilevato preliminarmente che – pur trattandosi di diritti reali – non è stato preventivamente esperito il tentativo di conciliazione ex D.lgs 28/2010;
Dichiara allo stato improcedibile il giudizio;
Concede il termine di quindici giorni – come richiesto dalle parti – a decorrere dal 07 gennaio 2015, per il deposito dell'istanza di mediazione dinanzi Organismo di Mediazione sito presso il circondario del Tribunale di Cassino;
Rammenta alle parti che hanno l'obbligo di comparire personalmente o tramite procuratore speciale – se previsto dal regolamento dell'organismo prescelto – a pena di nullità del procedimento, e con ogni conseguenza in ordine alla procedibilità del presente giudizio;
nella non creduta ipotesi di mancato accordo, fissa fin d'ora per il prosieguo l'udienza del 23 settembre 2015, ore 11,00, riservando, all'esito, di decidere sulle richieste istruttorie;
manda alla Cancelleria per il riordino del fascicolo cartaceo e l'aggiornamento dei dati telematici.
Il Giudice
Commento
Ancora una pronuncia improntata al chiaro intento di tutelare l'effettività del tentativo di mediazione.
In un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, concessa la provvisoria esecutività allo stesso, il Giudice “...assegna alle parti il termine di 15 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza della presentazione della domanda di mediazione che, si ricorda, è prevista a pena di improcedibilità”.
Contemporaneamente, nella “...non creduta ipotesi (sic!) in cui la conciliazione non sortisca esito positivo...”, dispone la trasformazione del rito ex art. 447 – bis e fissa una successiva udienza per la discussione alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente, precisando che “...parte ricorrente deve depositare memoria integrativa almeno 30 giorni prima dell’udienza, mentre parte resistente ha l’onere di depositare memoria integrativa almeno 10 giorni prima dell’udienza con i rispettivi oneri e decadenze previsti dal rito locatizio/lavoro”.
Gli aspetti centrali del provvedimento in esame sono però racchiusi nella seconda parte dello stesso:
innanzitutto, il Giudice segnala in via espressa ed anticipata le sanzioni previste dalla vigente disciplina per eventuali comportamenti non leali e non probi tenuti in sede di mediazione (come è noto, erogazione di sanzioni economiche a favore dello Stato ed a carico dell'una o dell'altra parte);
inoltre, si rammenta l'art. 96, co. 3, c.p.c., che prevede la condanna al pagamento di una somma a carico della parte che dovesse risultare aver agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave;
infine, il Tribunale richiede esplicitamente alle parti “...di segnalare immediatamente l’accordo conciliativo raggiunto in sede di mediazione ovvero in altro modo stragiudiziale prima della prossima udienza onde poter così liberare prezioso spazio sul proprio ruolo istruttorio e decisorio per quelle cause che necessitano inevitabilmente di decisione di tipo giurisdizionale/contenziosa da parte del giudice”.
In particolare, risulta agevole rilevare come il richiamo alle sanzioni previste dal D.lgs 28/2010 per l'ipotesi di comportamenti “non leali e non probi” eventualmente tenuti in mediazione non possa riferirsi alla sola ipotesi di mancata partecipazione al procedimento senza giustificato motivo.
Infatti, se è vero che la sanzione consistente nella condanna al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio è prevista dall'art. 8 del D.lgs 28/2010 in ordine alla sola ipotesi di cui sopra, deve tuttavia rilevarsi come il successivo riferimento alla possibile applicazione dell'art. 96, co. 3, c.p.c. ed il richiamo ad una “non creduta ipotesi” di fallimento della mediazione concorrano ad iscrivere a pieno titolo la pronuncia in commento nell'ambito di quella giurisprudenza – sempre più consistente – per la quale il tentativo di mediazione deve necessariamente essere caratterizzato da effettività, pena il non verificarsi della condizione di procedibilità richiesta dalla legge.
Secondo l'orientamento citato, sorto con riferimento alla mediazione delegata dal giudice ai sensi dell'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010 e gradualmente in via di estensione alle ipotesi di mediazione ex lege di cui all'art. 5, co. 1 – bis del decreto sulla mediazione stesso, come è noto, la condizione di procedibilità dell'azione potrà considerarsi soddisfatta in presenza di un tentativo di mediazione effettivamente avviato, vale a dire allorchè le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all'onere di legge, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l'emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.
Al di là della ormai celebre giurisprudenza “fiorentina” (cfr. ordd. 17 e 19 marzo 2014), lo stesso Tribunale di Roma, nell'ordinanza 30 giugno 2014, sottolinea con forza come il tentativo di mediazione, sia pure con riferimento alle ipotesi di cui all'art. 5, co. 2, debba svolgersi effettivamente, dal momento che una formale e “burocratica” presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a produrre la condizione di procedibilità della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dell’ordine del giudice, il quale avrà già provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la “mediabilità” della controversia.
Queste conclusioni, più di recente, sono state progressivamente estese alle ipotesi di cui all'art. 5. co. 1 – bis, vale a dire ai casi, ben più frequenti nella pratica, di mediazione instaurata dalla parte interessata in quanto ex lege condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Ciò, sulla base della considerazione che la condizione di procedibilità è rappresentata, tanto ai sensi dell'art. 5, co. 1 – bis, quanto dell'art. 5, co. 2, dall'”esperimento del procedimento di mediazione”, e del fatto che su cosa debba intendersi per “mediazione” non possono sussistere dubbi, in ragione della definizione fornitaci dall'art. 1, co. 1, lett. a) del medesimo D.lgs 28/2010, secondo cui si tratta della “l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.
Ne consegue che ove le parti si limitino a comparire innanzi al mediatore senza aderire alla proposta di quest'ultimo di procedere al tentativo, di “mediazione” in senso tecnico non si possa proprio parlare.
Emblematica dell'assimilazione in parola può considerarsi l'ordinanza 26 novembre 2014 del Tribunale di Firenze, in cui si evidenzia che certamente nelle ipotesi di mediazione delegata è il giudice a valutare nel caso concreto i margini di “mediabilità” della controversia, mentre nelle materie di cui all'art. 5, co. 1 – bis, detta valutazione risulta già operata in astratto dal legislatore, sulla base della tipologia delle controversie. Tale differenza, però, “...non incide minimamente sulla natura della mediazione e quindi non appare rilevante per ritenere che la condizione di procedibilità possa ritenersi assolta con un mero incontro 'preliminare' in cui le parti dichiarano la mancanza di volontà di svolgere la mediazione”.
In sostanza, pertanto, secondo l'orientamento in commento, cui si ritiene possa considerarsi conforme la pronuncia in esame, non si vede perchè le stesse considerazioni in ordine alla partecipazione personale delle parti al procedimento e soprattutto alla effettività del tentativo, esplicitate con riferimento alla mediazione delegata, non debbano valere anche (ed a maggior ragione) laddove l'esperimento della mediazione condiziona la procedibilità della domanda giudiziale ab initio.
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Testo integrale:
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE VI CIVILE
Il Giudice Cons. Dott. Francesco Ranieri.
Nel procedimento n. …../2014 R.G. di opposizione al decreto ingiuntivo emesso da questo Tribunale n. /2013 in favore della …. Contro ….
Sciogliendo la riserva assunta alla prima udienza di trattazione di cui all’udienza dell’8/10/2014 su istanza di provvisoria esecuzione
RILEVA:
1) Preliminarmente che ….
2) Nel merito della controversia….
Pertanto.
1) Concede la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. …./013;
2) Visto il d. Lgs 28/2010 sulla mediazione obbligatoria come modificato dall’art. 84 del D.L. n. 69/2013 convertito con modificazioni in legge n. 98/2013 in vigore dal 21 settembre 2013 assegna alle parti il termine di 15 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza della presentazione della domanda di mediazione che, si ricorda, è prevista a pena di improcedibilità
3) Dispone la trasformazione del rito da ordinario in locatizio ex art. 447 bis cpc e fisso udienza il ….. 2015 nella non creduta ipotesi in cui la conciliazione non sortisca esito positivo, udienza fissata ex art. 420 cpc per la discussione ed alla quale le parti sono tenute a comparire personalmente: parte ricorrente deve depositare memoria integrativa almeno 30 giorni prima dell’udienza, mentre parte resistente ha l’onere di depositare memoria integrativa almeno 10 giorni prima dell’udienza con i rispettivi oneri e decadenze previsti dal rito locatizio/lavoro:
4) Segnala sin d’ora che la legge sulla mediazione obbligatoria prevede l’erogazione di sanzioni economiche a favore dello Stato ed a carico dell’una e dell’altra parte per eventuali comportamenti non leali e non probi tenuti in sede di mediazione.
5) Segnala che l’art. 96 comma 3 cpc prevede la condanna al pagamento di una somma a carico di quella parte che dovesse risultare aver agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave.
6) Richiede alle parti di segnalare immediatamente l’accordo conciliativo raggiunto in sede di mediazione ovvero in altro modo stragiudiziale prima della prossima udienza onde poter così liberare prezioso spazio sul proprio ruolo istruttorio e decisorio per quelle cause che necessitano inevitabilmente di decisione di tipo giurisdizionale/contenziosa da parte del giudice.
Si richiede tale collaborazione alle parti in applicazione dell’art. 111 Cost. che impone una “durata ragionevole del processo”, durata ragionevole che va letta sia con riferimento al singolo processo trattato sia con riferimento alla più complessiva gestione dell’attività giurisdizionale da parte del giudice.
7) La cancelleria comunichi il presente provvedimento senza indugio alle parti.
Roma, 1 novembre 2014.
Il Tribunale di Firenze, con la pronuncia in esame, statuisce che il patrocinio a spese dello Stato è esteso, a favore degli avvocati, anche all'assistenza prestata in sede di mediazione civile.
Si tratta di una sentenza di particolare interesse, non solo perchè risolve in via interpretativa una obiettiva lacuna presente nella legislazione vigente, ma anche e soprattutto per l'ampiezza ed il respiro delle argomentazioni contenute nell'apparato motivazionale.
Nel caso di specie, l'avvocato G. aveva proposto istanza volta ad ottenere la liquidazione dei compensi inerenti all'attività professionale svolta a favore della parte S.C., ammessa al gratuito patrocinio con delibera 10.09.2014 del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Firenze.
Da rilevare che l'istante, che intendeva iniziare una causa in materia di usucapione – quindi in materia soggetta all'obbligatorietà del tentativo di mediazione – aveva precisato che la propria richiesta riguardava anche detta (necessaria) fase, con riferimento alle relative competenze legali.
La mediazione si concluse con esito positivo: pertanto, l'avvocato G. chiede la liquidazione dei compensi maturati in virtù dell'attività di assistenza svolta, per l'appunto, nel procedimento di mediazione ante causam.
La questione che si pone è chiara: se il compenso professionale dell'avvocato che ha assistito in mediazione, prevista come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, una parte ammessa al gratuito patrocinio possa essere posto a carico dello Stato.
La questione non è espressamente disciplinata dalla normativa vigente. Infatti, l'art. 17, co. 5 – bis, D.lgs 28/2010, prevede che “Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, ovvero è disposta dal giudice ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del presente decreto, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte che si trova nelle condizioni per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'articolo 76 (L) del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni. A tale fine la parte è tenuta a depositare presso l'organismo apposita dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, la cui sottoscrizione può essere autenticata dal medesimo mediatore, nonché a produrre, a pena di inammissibilità, se l'organismo lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicità di quanto dichiarato”.
Come si vede, l'unica disposizione inerente alla questione in esame riguarda l'indennità che sarebbe dovuta all'Organismo di mediazione; per quanto concerne il compenso dell'avvocato, che ai sensi degli artt. 5 e 8 D.lgs 28/2010 deve assistere le parti nel procedimento, non si può che rilevare una lacuna, che deve quindi essere colmata in via interpretativa.
Il quadro normativo da prendere in considerazione, muovendo ovviamente dall'art. 24, co. 2 e 3 Cost., è costituito innanzitutto dagli artt. 74 e 75 D.p.r. 115/2002. Il primo prevede l'istituzione del gratuito patrocinio per il non abbiente con riguardo ad ogni forma di giudizio, il secondo, nel secondo comma, stabilisce che “L’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse”.
Ciò premesso, il Tribunale rileva che secondo l'orientamento tradizionale, “...poiché le norme fanno riferimento al processo, si ritiene impossibile far rientrare nel gratuito patrocinio l’attività stragiudiziale: se anche vi fosse l’ammissione da parte del Consiglio dell’ordine, non sarebbe comunque possibile la liquidazione a spese dello Stato.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 24723 del 23.11.2011, ha riaffermato che il patrocinio a spese dello Stato riguarda esclusivamente la difesa in giudizio non potendo coprire l’attività stragiudiziale. Con la pronuncia, tuttavia, la Corte, richiamando un proprio precedente, fa salva una nozione estesa di attività giudiziale perché afferma che devono considerarsi giudiziali anche quelle attività stragiudiziali che, essendo strettamente dipendenti dal mandato alla difesa, vanno considerate strumentali o complementari alle prestazioni giudiziali, cioè di quelle attività che siano svolte in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentanza e la difesa in giudizio (sulla base di tale presupposto, nella precedente decisione, era stato riconosciuto dovuto il compenso per l’assistenza e l’attività svolta dal difensore per la transazione della controversia instaurata dal medesimo).
Anche di recente, la pronuncia della S.C. del 19 aprile 2013, n. 9529 riconferma l’orientamento ricordato: l’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato si trovi a svolgere nell’interesse del proprio assistito, non è ammessa, di regola, al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’art. 85 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, in quanto esplicantesi fuori del processo, per cui il relativo compenso si pone a carico del cliente. Tuttavia, se tale attività venga espletata in vista di una successiva azione giudiziaria, essa è ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato ed il professionista non può chiederne il compenso al cliente ammesso al patrocinio gratuito, incorrendo altrimenti in responsabilità disciplinare”.
Quest'ultima cauta apertura può ovviamente coordinarsi con le previsioni di cui al D.lgs 28/2020, in quanto laddove il giudizio, rispetto al quale la mediazione si ponga quale condizione di procedibilità, inizi o prosegua, l'attività dell'avvocato ben potrà essere ricompresa nella nozione di attività giudiziale in senso lato accolta dalla Suprema Corte, ossia di “...attività strumentale alla prestazione giudiziale e svolta in esecuzione di un mandato alle liti conferito per la rappresentazione e difesa in giudizio”.
Più arduo appare, invece, il caso in cui la mediazione abbia portato alla conciliazione delle parti: in detta ipotesi, infatti, secondo alcuni non si svolgerebbe alcuna “fase processuale” nell'ambito della quale liquidare il compenso e non sarebbe quindi possibile considerare il compenso per il difensore che ha assistito la parte in mediazione a carico dello Stato.
Sul punto, da un lato si giungerebbe ad un paradosso, dal momento che “...la liquidazione a spese dello Stato non troverebbe applicazione proprio quando il difensore meglio le sue prestazioni professionali, favorendo il raggiungimento dell’accordo in mediazione. E ciò la liquidazione a spese dello Stato non troverebbe applicazione proprio quando il difensore ha svolto al anche se la mediazione è obbligatoria, come obbligatoria è l’assistenza dell’avvocato”. Dall'altro, però, “...liquidare a carico dello Stato un compenso non previsto da alcuna norma esporrebbe il giudice al rischio della responsabilità contabile”.
In sostanza, quindi: certamente si pone l'esigenza di riconoscimento e di remunerazione dell'attività di assistenza svolta dall'avvocato; certamente, stante il vincolo della solidarietà, si potrebbe in teoria onerare del debito del non abbiente l'altra parte del procedimento o l'avvocato che la assiste, giusta l'art. 13, co. 8, L. 247/2012; tuttavia, così opinando, si finirebbe pur sempre con il riversare su un privato una spesa che dovrebbe essere sostenuta dallo Stato. Proprio perchè l'ordinamento mostra sempre più favore per le forme di ADR, anche la disciplina dell’aiuto ai non abbienti non dovrebbe più essere limitata all’aiuto nella sede giudiziaria.
Secondo il Giudice, quindi, in un quadro come quello sopra delineato, l'unica strada è quella di una valutazione del “...movimento europeo di vasto respiro in cui si inscrivono gli interventi ricordati (al di là della loro concreta disciplina) e approfondire l’esegesi delle norme che vengono in campo per verificare la possibilità, già in base alla legislazione esistente, che la parte non abbiente possa usufruire dell’aiuto statale anche quando alla mediazione, dato l’esito positivo, non faccia seguito il processo”.
Detta ricostruzione induce il Giudice a “...ritenere che l’art. 75 sopra citato comprenda sempre la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale”.
Ciò in base ad una pluralità di considerazioni.
Innanzitutto, secondo il Tribunale, “...la conclusione accolta trova elementi di sostegno nell’ambito del diritto eurounitario (a partire dall’art. 47 della c.d. Carta di Nizza, secondo cui <<a coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello stato qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia>>) e della disciplina con cui l’Italia ha recepito la direttiva europea sul Legal aid, volta a migliorare l’accesso alla giustizia nelle controversie frontaliere civili (Direttiva 2002/8/CE del Consiglio del 27/1/2003). L’art. 3 di tale direttiva recita: Art. 3. Diritto al patrocinio a spese dello Stato. 1. La persona fisica, che sia parte in una controversia ai sensi della presente direttiva, ha diritto a un patrocinio adeguato a spese dello Stato che le garantisca un accesso effettivo alla giustizia in conformità delle condizioni stabilite dalla presente direttiva. 2. Il patrocinio a spese dello Stato è considerato adeguato se garantisce: a) la consulenza legale nella fase precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un’azione legale; b) l’assistenza legale e la rappresentanza in sede di giudizio, nonché l’esonero totale o parziale dalle spese processuali, comprese le spese previste all’articolo 7 e gli onorari delle persone incaricate dal giudice di compiere atti durante il procedimento. La direttiva estende il legal aid alle procedure stragiudiziali (art. 10).
Il d.lgs. 27.5.2005, n. 116, che ha recepito la direttiva, prevede all’art. 10 che <<Il patrocinio è, altresì, esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dal presente decreto, qualora l’uso di tali mezzi sia previsto come obbligatorio dalla legge ovvero qualora il giudice vi abbia rinviato le parti in causa>>.
Si tratta di disposizioni che concernono le controversie transfrontaliere, ma che offrono elementi ulteriori per avvalorare l’interpretazione qui accolta che estende l’aiuto legale alla fase pre-processuale, apparendo del tutto irrazionale e non conforme all’art. 3 della costituzione che il cittadino possa usufruire dell’aiuto statale per la lite transfrontaliera e non per quella domestica”.
Inoltre, va osservato che il “condizionamento della giurisdizione” può ritenersi ammissibile laddove “...non comprometta l’esperimento dell’azione giudiziaria che può essere ragionevolmente limitato, quanto all’immediatezza, se vengano imposti oneri finalizzati a salvaguardare <<interessi generali>>: la sentenza della Corte Cost. n. 276/2000 in tema di tentativo obbligatorio di conciliazione per le cause di lavoro[4], ha affermato che il tentativo in questione soddisfaceva l’interesse generale sotto due profili: da un lato, perché evitava il sovraccarico dell’apparato giudiziario, dall’altro, perché favoriva la composizione preventiva della lite che assicura alle situazioni sostanziali un soddisfacimento più immediato rispetto a quello conseguito attraverso il processo. In sintonia con la nostra Corte costituzionale, anche l’importante decisione della Corte Giustizia eu 18.3.2010, Alassini c. Telecom (che indica le condizioni per ritenere conforme al diritto comunitario il tentativo obbligatorio di conciliazione, nella specie in tema di telecomunicazioni), afferma, tra l’altro, che <<i diritti fondamentali non si configurano come prerogative assolute, ma possono soggiacere a restrizioni, a condizione che queste rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato ed inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti>> (cfr. par. 63 della sentenza).
Sulla base di queste considerazioni, deve reputarsi che la connessione tra fase mediativa e processo, talmente forte da configurare una condizione di procedibilità, vada riconosciuta già in astratto. Non appare rilevante dunque che poi, in concreto, in base cioè al concreto risultato della mediazione, il processo non abbia più luogo perché divenuto inutile alla luce dell’accordo raggiunto”.
Infine, non va sottaciuto il fatto che una parte della dottrina abbia riconosciuto natura “paragiurisdizionale” alla mediazione, rilevando come l'obbligatorietà della stessa comporti il suo inserimento in un unico “macro-procedimento” finalizzato alla tutela dei diritti (disponibili). Ed è interessante richiamare un’affermazione della Corte costituzionale (sent. 178/2010), sia pure in un obiter dictum, nell’ambito di una pronuncia relativa a diversa materia: la Corte ha avuto modo di affermare che il procedimento di mediazione obbligatoria previsto dal d.lgs. n. 28/2010, "...rientra nell’esercizio della funzione giudiziaria e nella sfera del diritto civile, giacché, con riferimento al caso di specie, condiziona l’esercizio del diritto di azione finalizzato al risarcimento dei danni da responsabilità civile e prevede ricadute negative per chi irragionevolmente abbia voluto instaurare un contenzioso davanti al giudice, nonostante fosse stata formulata una proposta conciliativa rivelatasi successivamente satisfattiva delle proprie ragioni”.
Pur ritenendo il Giudice “...improprio qualificare tout court la mediazione come attività para-giurisdizionale o giudiziaria, è tuttavia corretto porre in risalto – anche – la sua stretta relazione con il processo, quando sia prevista come obbligatoria”.
In definitiva, pertanto, il Tribunale fiorentino, sulla base di un'interpretazione sistematica e teleologica, afferma che l'art. 75 D.p.r. 115/2002, “...secondo cui l’ammissione al patrocinio è valida per ogni grado e per ogni fase del processo e per tutte le eventuali procedure, derivate ed accidentali, comunque connesse, comprenda la fase della mediazione obbligatoria pre-processuale anche quando la mediazione, per il suo esito positivo, non sia seguita dal processo. Si tratta infatti di una procedura strettamente connessa al processo, dal momento che condiziona la possibilità avviarlo (o proseguirlo, per la mediazione demandata dal giudice); d’altronde nel caso di successo della mediazione, si realizza il risultato migliore non solo per le parti, ma anche per lo stato che non deve sostenere anche le spese del giudizio.
Tale conclusione inoltre è conforme alla direttiva europea sul Legal Aid ed è costituzionalmente orientata (art. 3 Cost.), perché sarebbe irragionevole prevedere il sostegno dello stato per i casi di mediazione non conclusa con accordo e seguita da processo e negarla per i casi di mediazione, condizione di procedibilità, non seguita dal processo per l’esito positivo raggiunto”.
In sintesi, dunque, ancorare il gratuito patrocinio al solo concetto di giudizio stricto sensu inteso, appare il risultato di una visione superata nella quale unicamente la giurisdizione dello Stato era fonte di giustizia. A tale proposito, in una prospettiva de jure condendo, il Giudice osserva che il legislatore dovrebbe ripensare il sistema del gratuito patrocinio, alla luce delle norme comunitarie, in relazione alle ipotesi di mediazione facoltativa e di negoziazione assistita; ma, con riferimento alla mediazione obbligatoria, tematica che investe il caso di specie, “...esistono comunque spazi di interpretazione da sfruttare: il giurista ha il potere/dovere di conformare l’interpretazione delle norme esistenti alla luce dell’evoluzione dell’ordinamento per sopperire lacune o adeguare le norme alle nuove condizioni storico-sociali”.
In conseguenza di tutto quanto precede, pertanto, la domanda dell'avvocato G. deve essere accolta.
Come si vede, un'interpretazione costituzionalmente orientata, che si riconnette, d'altra parte, ed il Tribunale di Firenze non manca di rimarcarlo, all'esigenza che “...la mediazione sia effettiva e offra alle parti una reale chance di soluzione del loro conflitto” [come del resto affermato dalla giurisprudenza in una sempre più cospicua gamma di pronunce; cfr., ex multis, con riferimento all’orientamento dei giudici di merito relativo alla mediazione (obbligatoria) iussu iudicis, secondo cui il tentativo deve essere effettivo: Trib. Firenze, ord. 19.3.2010; Trib. Firenze, sez. imprese, ord. 17.3.2014 e ord. 18.3.2014; Trib. Roma, ord. 30.6.2014; Trib. Bologna, ord. 5.7.2014; Trib. Rimini, ord. 16.7.2014; Trib. Palermo, ord. 16.7.2014. Con riferimento alla mediazione obbligatoria ante causam, cfr., da ultimo, Trib. Firenze, ord. 26.11.2014].
Pertanto, “...l’esclusione del riconoscimento delle spese per il compenso di avvocato solo per i casi di mediazione non conclusa da accordo si presterebbe invece a concepire la fase mediativa come una fase da attraversare necessariamente, ma solo formalmente, per approdare al più presto al processo, nell’ambito del quale anche le spese stragiudiziali potranno essere riconosciute. Sarebbe una conclusione che sminuirebbe la funzione della mediazione, ma anche della giurisdizione, che, invece, proprio per la sua natura sussidiaria, deve potersi esplicare pienamente ed efficacemente quando è richiesto lo ius dicere, anziché essere strumentalizzata per altri obiettivi. L’interpretazione adottata è inoltre l’unica che riconosce la delicata funzione di assistenza dell’avvocato della parte in mediazione, funzione che comporta un mutamento culturale epocale per l’avvocatura rispetto ai ruoli tradizionali confinati al campo giudiziario e che deve essere adeguatamente valorizzata”.
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Testo integrale sentenza:
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
II SEZIONE CIVILE
Il Presidente,
vista l’istanza dell’avv. G., quale difensore di S. C., per la liquidazione del compenso professionale a carico dello Stato;
Osserva
P.Q.M.
CONFERMA in via definitiva l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di S. C. nel procedimento suindicato;
LIQUIDA in favore dell’Avv. G. per l’attività espletata in favore di S. C. nella procedura sopra indicata, euro 2.160,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 7%, oltre IVA e CAP;
MANDA alla Cancelleria per le comunicazioni.
Firenze, 13 gennaio 2015.
Il Presidente
Luciana Breggia
[1] Si ritiene che la domanda di usucapione rientri nell’ambito dell’art. 5, comma 1 bis d.lgs. n.28/2010, specie dopo il d.l. n. 69/2013 che ha aggiunto il comma 12 bis all’art. 2643 cc (in giurisprudenza. già in precedenza, v. Trib. Palermo, ord. sez. distaccata Bagheria, 30.12.2011; Trib. Como, sez. distaccata Cantù, ord. 2.2.2012).
[2] Il caso riguardava il ricorso contro una decisione della Corte di appello di Torino che, con provvedimento del 13 luglio 2006, aveva respinto il reclamo proposto dall’avv. E.C. F. contro il decreto con cui il Tribunale di Torino aveva dichiarato inammissibile la domanda di liquidazione delle competenze per l’attività stragiudiziale dal medesimo svolta quale difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. L’istanza era stata respinta sul rilievo che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, il patrocinio a spese dello Stato è previsto per l’attività giudiziale e non pure per quella stragiudiziale.
[3] Secondo l’art. 10, <<Il patrocinio a spese dello stato è altresì esteso ai procedimenti stragiudiziali, alle condizioni previste dalla presente direttiva, qualora l’uso di tali mezzi sia richiesto dalla legge ovvero quando il giudice vi abbia rinviato le parti in causa>>.
[4] Tentativo previsto dall’art. 410 c.p.c., poi abrogato e, infine, in parte nuovamente istituito.
[5] Dir. 2008/52, considerando 6.
[6] Corte cost. .n. 178 del 2010.
[7] Già prima della Direttiva n. 52/2008 in tema di mediazione civile e commerciale, il Consiglio europeo aveva invitato gli Stati membri a istituire procedure extragiudiziali e alternative al fine di agevolare un miglior accesso alla giustizia: nei “considerando” della dir. 2008/52, si ricordano le varie tappe del percorso, dalla riunione di Tampère dell’ottobre 1999 al Libro verde del 2000.
[8] Secondo l‘art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 116/2005 il patrocinio a spese dello Stato garantisce anche <<la consulenza legale nella fase conciliativa pre-contenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un’azione legale>>: in tale previsione sembra rientrare la mediazione facoltativa e anche la negoziazione assistita. Per quest’ultima, tuttavia, l’art. 3 d.l. 132/2014 si limita a stabilire che <<quando il procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità della domanda, all’avvocato non è dovuto compenso dalla parte che si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato>>: la norma appare tuttavia di dubbia costituzionalità, tenuto conto del carattere obbligatorio della procedura.
[9] Si fa riferimento all’orientamento dei giudici di merito secondo cui per la mediazione obbligatoria iussu iudicis il tentativo deve essere effettivo: si veda, di questo giudice, l’ordinanza 19.3.20104, in www.mediamo.it; sempre del Tribunale di Firenze, sez. imprese, ord. 17.3.2014 e ord. 18.3.2014, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, ord. 30.6.2014, in www.101mediatori.it; Trib. Bologna, ord. 5.6.2014, in www.adrmaremma.it; Trib. Rimini, ord. 16.7.2014, in www.mondoadr.it; Trib. Palermo, ord. 16.7.2014, in www.osservatoriomediazione.it. Per la mediazione obbligatoria ex lege, da ultimo, si veda, di questo giudice, l’ordinanza 26.11.2014, rg. 6277/2014.
[10] Il CCBE raccomanda inoltre di <<impostare una linea di bilancio specifica>> per garantire lo sviluppo degli aiuti europei. Il testo della raccomandazione è reperibile nel sito www.ccbe.eu.
Il Tribunale di Roma, con l'ordinanza in commento, torna a d esprimersi sulla vexata quaestio del rapporto tra consulenza tecnica preventiva ex art. 696 – bis c.p.c. e tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie di cui all'art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.
Inoltre, nella pronuncia in esame, il giudice formula comunque una proposta conciliativa, in applicazione dell'art. 185 – bis c.p.c., pur non trattandosi, come meglio si evidenzierà oltre, di un'ipotesi di mediazione delegata ai sensi dell'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
Occorre procedere con ordine.
Il caso di specie può considerarsi paradigmatico.
Nell'ambito di una controversia relativa a responsabilità medica (danna da omessa diagnosi di carcinoma mammario), infatti, da un lato il convenuto, costituitosi in giudizio, ha eccepito l'improcedibilità della domanda in forza del mancato esperimento del tentativo di mediazione; dall'altro, l'attore ha ritenuto detta eccezione priva di fondamento dal momento che risultava già utilizzato, con esito negativo, lo strumento della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all'art. 696 – bis c.p.c., a tenore del quale, come è noto, “L'espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell'articolo 696, ai fini dell'accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.
Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione.
Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell'espropriazione e dell'esecuzione in forma specifica e per l'iscrizione di ipoteca giudiziale.
Il processo verbale è esente dall'imposta di registro.
Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.
Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili”.
Ora, la riforma della mediazione civile operata nel 2013, modificando l'art 5, co. 4, D.lgs 28/2010, ha provveduto ad includere nell'elenco dei procedimenti esclusi dall'obbligatorietà della mediazione ante causam la consulenza tecnica finalizzata alla conciliazione di cui sopra, con ciò risolvendo, sul piano del diritto positivo, un contrasto che in precedenza era emerso in giurisprudenza.
Peraltro occorre rilevare che il legislatore, sul punto, non ha fatto altro che aderire a quello che era l'orientamento già prevalente tanto in dottrina quanto in giurisprudenza[1], del resto agevolmente spiegabile sul piano della logica interpretativa, ove si consideri sia la finalità almeno in parte comune che la consulenza di cui all'art. 696 – bis c.p.c. presenta rispetto alla mediazione civile, sia, soprattutto, la sua indubitabile natura di mezzo di istruzione preventiva, vale a dire intrinsecamente cautelare.
Nell'ordinanza in commento, posta l'”alternatività” degli strumenti in parola, si perviene alla conclusione – condivisibile ad avviso di chi scrive – per la quale “...una volta esperito l'accertamento tecnico preventivo anche per la conciliazione della lite non sarebbe necessario instaurare la procedura di mediazione nemmeno nelle materie per le quali ne è prevista l'obbligatorietà ai fini della procedibilità dell'azione di merito”.
Al netto delle valutazioni che precedono, però, analizzando la normativa vigente, il Tribunale osserva come non risulti possibile estendere al giudizio di merito la summenzionata esclusione.
Ciò, secondo il Giudice, non soltanto per il fatto che la mediazione è esclusa dalla legge, in tema di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 – bis c.p.c., da una disposizione, quale l'art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010 che presenta oggettivamente tutti i caratteri propri della tassatività, ma anche e soprattutto sulla base del fatto che “...il rischio di duplicazione di una attività conciliativa in contrasto con i principi di ragionevole durata del procedimento si paleserebbe recessivo rispetto all'evidente e più grave elusione della condizione di procedibilità di cui all'art. 5, comma 1 – bis, Dlgs 28/2010”.
In conclusione, quindi, essendo stata proposta la domanda giudiziale senza il previo esperimento della mediazione, riguardando la causa una delle materie di cui all'art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, secondo il giudice va accolta l'eccezione di improcedibilità fatta valere dalla parte convenuta.
Contestualmente, però, il giudice formula una proposta ai sensi dell'art. 185 – bis c.p.c., prevedendo peraltro che, ove non pervengano ad una accordo conciliativo, le parti rendano esplicite le proprie ragioni, naturalmente con esclusivo riferimento alla proposta giudiziale.
Si tratta di un'opzione che si fonda, evidentemente, sull'assunto per cui la proposta giudiziale ex art. 185 – bis sia cumulabile con la mediazione indipendentemente dalla circostanza che quest'ultima sia delegata dal giudice, ai sensi del secondo comma dell'art 5 del D.lgs 28/2010, quindi in base ad una valutazione da parte del giudice circa la “mediabilità” della lite[2], ovvero che essa sia disposta dal giudice in conseguenza del fatto che le parti, tenute ad esperirla ex lege, in effetti abbiano omesso di operare in tal senso, rendendo la domanda improcedibile.
Dunque, riassumendo:
La domanda giudiziale relativa ad una controversia rientrante nelle materie di cui all'art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010 è improcedibile, per omessa mediazione, anche nell'ipotesi in cui sia stata precedentemente intrapresa, con esito negativo, la strada prevista dall'art. 696 – bis c.p.c.
L'esclusione dell'esperimento della mediazione rispetto all'istanza di consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della causa deve essere interpretata restrittivamente, non potendosi, quindi, estendere al giudizio di merito, per il quale, come appena ricordato, devono applicarsi le regole previste in generale dalla legge sulla mediazione.
Il fatto che la domanda venga dichiarata improcedibile e che, per l'effetto, le parti vengano inviate in mediazione ai sensi dell'art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010 non impedisce affatto al Tribunale di formulare contestualmente una proposta, transattiva o conciliativa, ai sensi dell'art. 185 – bis c.p.c., data la cumulabilità, ormai pacifica in giurisprudenza, tra detta proposta giudiziale ed il tentativo di conciliazione da esperire presso un organismo territorialmente competente.
[1] Cfr., ex multis, per la chiarezza e l'esaustività dell'apparato motivazionale, Trib. Varese, sez. I, decr. 24 luglio 2012, in cui si afferma che “...l’ambito dell’articolo 696-bis Cpc è escluso dall’obbligatorietà della mediazione sancita dall’articolo 5 comma I d.lgs. 28/2010 per almeno tre diverse ragioni. In primo luogo, l’istituto, almeno secondo l’indirizzo delle Sezioni Unite civili della Cassazione, conserva natura “cautelare formale” e trova quindi applicazione l’esclusione ex lege prevista dall’articolo 5, comma terzo, del decreto. Inoltre, in adesione ai puntuali rilievi della dottrina, l’istituto disciplinato dall’articolo 696 bis Cpc non introduce, a norma dell’articolo 2 del decreto legislativo 28/2010, «una controversia in materia di diritti disponibili» e, dunque, non trova applicazione l’articolo 5, comma 1, del medesimo decreto (mediazione obbligatoria) in ragione dell’articolo 2, comma 1, del decreto («chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili»). In ogni caso, la consulenza tecnica preventiva, pur non avendo “sostanziale” carattere cautelare, conserva una relazione di accessorietà rispetto all’eventuale futuro giudizio di merito, posto che se la conciliazione non riesce, «ciascuna delle parti può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito» (articolo 696-bis, comma quinto, Cpc). Incidendo, pertanto, sui tempi di definizione dell’eventuale futuro giudizio di merito, se ne deve quantomeno riconoscere il carattere “urgente”, in adesione alla collocazione formale dell’istituto nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva, pur là dove non si voglia attibuire alla Ctu preventiva la natura “cautelare formale”, proposta dalle Sezioni unite civili. Ne discende l’esclusione dell’articolo 5, comma 1, d.lgs. 28/2010 in ragione della deroga di cui al successivo terzo comma della medesima disposizione. Sul piano squisitamente logico-giuridico, non può poi, comunque, non segnalarsi l’aporia del “mediare per chiedere di mediare” posto che con il ricorso ex articolo 696-bis Cpc la parte non chiede la distribuzione di torti e ragioni ma di sperimentare un tentativo di risoluzione della lite con modalità alternative”.
[2] Va rilevato come, finora, la proposta ex art. 185 – bis c.p.c. è stata più volte cumulata con la mediazione demandata dal giudice ai sensi dell'art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010. Può considerarsi paradigmatica, in tal senso, l'ordinanza 24 ottobre 2013 del Trib. Di Roma, XIII sez., “capostipite” di molti altri provvedimenti analoghi, nella quale il giudice capitolino, formulata la proposta e assegnato un congruo termine per la valutazione della medesima, dispone che “...dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg. 15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell'art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche dal punto di vista economico e fiscale della controversia in atto. Viene infine fissata un'udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni a riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l'eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai fini degli artt. 91 e 96 III° cpc”. In altri casi, la cumulabilità tra i due istituti è stata affermata “in due tempi”, disponendo cioè la mediazione ex art. 5, co. 2, a seguito della mancata accettazione di una delle parti della proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice (cfr., ad es., Tib. Milano, sez. spec. in materia di impresa, ordinanza 11 novembre 2013). Ma sempre di mediazione delegata si trattava, e non di omessa attivazione della mediazione ante causam come nel caso in commento.
Commento:
Il Tribunale di Firenze, con una ordinanza del 26 novembre scorso, ribadisce che la mediazione obbligatoria deve essere “effettiva” e caratterizzata dalla partecipazione personale delle parti.
Ciò conformemente alla giurisprudenza propria di quell'ufficio giudiziario, sviluppatasi a partire dalle ben note ordd. 17 e 19 marzo 2014, ed in seguito costantemente perseguita, orientamento che, peraltro, ha incontrato sempre più ampi spazi di condivisione presso innumerevoli altri Giudici.
La pronuncia in commento appare di particolare interesse in quanto i ricordati principi vengono ribaditi con riferimento alla mediazione ante causam e non alla “delegata” ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, come invece avvenuto in (quasi) tutti i casi precedentemente riscontrabili.
Nel caso di specie si trattava, infatti, di una controversia in materia di usucapione – quindi assoggettata al regime dell'obbligatorietà della mediazione – approdata alla sede giudiziale, nella quale l'attore aveva allegato il verbale di mancata conciliazione – evidentemente al solo fine della soddisfazione della condizione di procedibilità della domanda – dal quale, però, emergeva che dinanzi al mediatore, in sede di primo incontro, era presente solo un avvocato (con delega da parte del collega che avrebbe poi effettivamente svolto le difese della parte in giudizio).
Si tratta di modalità inconciliabili, secondo l'orientamento “fiorentino” con la logica e con le finalità della mediazione civile.
La giurisprudenza richiamata, come è noto, prese le mosse, nel marzo scorso, da tutta una serie di riflessioni circa la mediazione disposta dal giudice, da intendersi come tentativo effettivamente avviato, nel quale, cioè, le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all'ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l'emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.
L'ordinanza 19 marzo 2014 del Giudice fiorentino, in particolare, pur muovendo dalla premessa di una difficile individuazione del confine tra la fase preliminare e la mediazione vera e propria, osservava, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, come “...ritenere che l'ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione, (…) possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile”.
D'altra parte, non può esservi dubbio che la natura della mediazione richiede che all’incontro siano presenti (anche e soprattutto le parti): l’istituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che risulti possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore.
Pertanto, l’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiono i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come può desumersi dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1 – bis, e dell’art. 8, D.lgs 28/2010, che prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento di mediazione con l’assistenza degli avvocati, il che, chiaramente, implica la presenza degli assistiti (personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore).
Peraltro, i giudici fiorentini non avevano mancato di rilevare come il fatto che la condizione di procedibilità si consideri avverata con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore appaia poi “...particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di 'mediabilità' del conflitto (come prevede l'art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ''la natura della causa, lo stato dell'istruzione e il comportamento delle parti''), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un'adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione” (cfr. ord. 19 marzo 2014, cit.).
Ora, detti principi (effettività del tentativo e partecipazione personale delle parti alla procedura) possono estendersi sic et simpliciter alle ipotesi di cui all'art. 5. co. 1 – bis, vale a dire ai casi, ben più frequenti nella pratica, di mediazione instaurata dalla parte interessata in quanto ex lege condizione di procedibilità della domanda giudiziale?
Secondo i giudici del capoluogo toscano a tale quesito va data risposta affermativa.
Nella ordinanza 26 novembre 2014 si evidenzia, a tale proposito, che certamente nelle ipotesi di mediazione delegata è il giudice a valutare nel caso concreto i margini di “mediabilità” della controversia, mentre nelle materie di cui all'art. 5, co. 1 – bis, detta valutazione risulta già operata in astratto dal legislatore, sulla base della tipologia delle controversie. Tale differenza, però, “...non incide minimamente sulla natura della mediazione e quindi non appare rilevante per ritenere che la condizione di procedibilità possa ritenersi assolta con un mero incontro 'preliminare' in cui le parti dichiarano la mancanza di volontà di svolgere la mediazione”.
D'altronde, giova ricordare che su cosa debba intendersi per “mediazione” non possono sussistere dubbi, in ragione della definizione fornitaci dall'art. 1, co. 1, lett. a) del medesimo D.lgs 28/2010, secondo cui si tratta della “l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.
Secondo il Giudice fiorentino, pertanto, non si vede perchè le stesse considerazioni in ordine alla partecipazione personale delle parti al procedimento e soprattutto alla effettività del tentativo non debbano valere anche (ed a maggior ragione) laddove l'esperimento della mediazione condiziona la procedibilità della domanda giudiziale ab initio.
L'assimilazione in parola, peraltro, era stata già prospettata da tempo, anche se non con diretto riferimento ad un caso di mediazione ante causam, dal medesimo ufficio giudiziario che, nell'ordinanza 17 marzo 2014, già aveva avuto modo di osservare come debba ritenersi che “...le procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lgs. 28/10 (e succ. mod.), sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previsti a pena di improcedibilità dell’azione; che difatti, per espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva”.
In sostanza, dunque, il Tribunale di Firenze individua le ragioni della “impossibilità di iniziare la procedura”, di cui all'art. 8, co. 1, nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, chiarendo come non sia previsto in alcun modo che le parti manifestino una sorta di volontà di partecipazione al tentativo di mediazione effettivamente inteso.
Nel caso di specie, dunque, alla luce delle considerazioni che precedono, si ordina alle parti di espletare nuovamente la mediazione, dal momento che il Giudice non ritiene possibile un'applicazione in via analogica delle “...norme che nel processo consentono alla parte di farsi rappresentare dal difensore o le norme sulla rappresentanza negli atti negoziali”, dovendosi tenere in debito conto la natura personalissima, e pertanto non delegabile, delle attività proprie del procedimento di mediazione.
Una conferma, dunque, ma anche un cospicuo passo avanti, ove si consideri che effettivamente i principi di effettività della mediazione e di partecipazione personale delle parti (salvo beninteso ipotesi eccezionali, valutate caso per caso dal giudice, in cui la mancata presenza personale della parte possa ritenersi giustificata) appaiono estensibili a tutte le ipotesi di mediazione “obbligatoria”, dato che il legislatore non ha inteso configurare modelli procedimentali differenti in funzione del fatto che la mediazione consegua alla (necessaria) iniziativa della parte che intenda proporre una domanda nelle materie di cui all'art. 5. co 1 – bis, ovvero che sia demandata, in primo grado o in appello, dal giudice ex art. 5, co. 2.
Peraltro, va infine ricordato come il principio dell'effettività del tentativo di mediazione fosse comunque già stato affermato in giurisprudenza con riferimento ad una ipotesi di mediazione ex lege, depositata, cioè, ai sensi dell'art. 5, co. 1- bis, D.lgs 28/2010, precisamente dal Tribunale di Rimini con ordinanza 16 luglio 2014.
Nel caso di specie, il Giudice, rilevata la mera formalità del tentativo di mediazione avviato ante causam dalla parte attrice del giudizio, esauritosi nella semplice presenza delle parti in sede di primo incontro all'unico scopo di manifestare una asserita “non volontà” di intraprendere il tentativo conciliativo, aveva disposto, esattamente come nel caso oggi in commento, lo svolgimento di un tentativo effettivo pena l'improcedibilità della domanda giudiziale.
Il Tribunale romagnolo, dunque, aveva anch'esso inteso sottolineare come il carattere dell'”effettività” debba necessariamente contraddistinguere la mediazione tout court, indipendentemente dal fatto che il tentativo sia disposto dal giudice.
Sviluppi forse discutibili sotto molteplici aspetti, ma certamente molto interessanti, non c'è che dire.
Per contattare il Centro Studi di ADR Intesa: formazione@adrintesa.it
Testo integrale
R.G. 6277/2014 T
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Seconda sezione CIVILE
VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. 6277/2014
tra
M.C.
ATTORE
e P.A.P, A. P. e G. P.
CONVENUTI
Oggi 26 novembre 2014, innanzi al dott. Luciana Breggia, sono comparsi:
Per M. C. l’avv. R.C. in sostituzione dell’avv. F. P. e l’avv. D. M. ;
Per P. A. P, A. P e G P., l’avv. F. R. in sostituzione dell’avv. L. L.,
E’ altresì presente ai fini della pratica forense il dott. T. M. I difensori si riportano agli scritti difensivi. Chiedono termini per le memorie ex art. 183 cpc.
Il giudice discute con le parti la questione relativa alla procedibilità della domanda dal momento che la mediazione, obbligatoria in questo caso, non risulta correttamente svolta, essendo presente non la parte di persona, ma un sostituto del difensore di quest’ultima.
All’esito della discussione con i difensori e alla luce della natura della causa, osserva quanto segue.
1. La causa in esame rientra tra quelle per cui è prevista la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, del D.lgs 28/2010, trattandosi di domanda di usucapione (diritti reali).
Nel caso di specie, la parte attrice ha prodotto un verbale del 12/02/2013 relativo all’incontro con il mediatore da cui risulta la presenza di un difensore in sostituzione dell’avvocato Di Rocco, che difende l’attore in giudizio, e non la presenza della parte di persona. Per la parte invitata nessuno è comparso.
2. Il Giudice ritiene che, per ritenere avverata la condizione di procedibilità, anche nei casi di cui all’art.5, co. 1 bis, cit., devono essere osservati due importanti profili:
I. la mediazione deve svolgersi con la presenza personale delle parti;
II. Deve essere esperita effettivamente la mediazione.
3. A tale conclusione si giunge in base ad un’interpretazione teleologica delle norme che vengono in campo, già affermata in precedenti ordinanze del Giudice, e in particolare, nell’ordinanza del 19/3/2014, r.g. 5210/2010 . In tale provvedimento, si argomentava nel modo seguente, con riferimento alla mediazione demandata dal Giudice:
<< L’art. 5, comma 5 bis d.lgs. n. 28/2010, dispone: ”Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
L’art. 8 , in tema di ‘ procedimento’, dispone :”1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.
Come si vede le due norme sono formulate in modo ambiguo: nell’art. 8 sembra che il primo incontro sia destinato solo alle informazioni date dal mediatore e a verificare la volontà di iniziare la mediazione. Tuttavia, nell’art. 5, comma 5 bis, si parla di “primo incontro concluso senza l’accordo”. Sembra dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vera e propria: non avrebbe molto senso parlare di ‘mancato accordo’ se il primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria.
A parte le difficoltà di individuare con precisione scientifica il confine tra la fase cd preliminare e la mediazione vera e propria (difficoltà ben nota a chi ha pratica della mediazione), data la non felice formulazione della norma, appare necessario ricostruire la regola avendo presente lo scopo della disciplina, anche alla luce del contesto europeo in cui si inserisce (direttiva 2008/52/CE)
In tale prospettiva, ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione (chiarimenti per i quali i regolamenti degli organismi prevedono tutti un tempo molto limitato), possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile.
Si specificano di seguito i motivi:
A. i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’ informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa.
B. la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma 1-bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’ ‘assistenza degli avvocati’, e questo implica la presenza degli assistiti.
C. ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un’ inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori.
Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione.
D. L’informazione sulle finalità della mediazione e le modalità di svolgimento ben possono in realtà essere rapidamente assicurate in altro modo: 1. dall’informativa che i difensori hanno l’obbligo di fornire ex art. 4 cit., come si è detto; 2. dalla possibilità di sessioni informative presso luoghi adeguati (v. direttiva europea) e, per quanto concerne il Tribunale di Firenze, presso l’URP (v. articolo 11 del protocollo Progetto Nausicaa2 ) e da ultimo, sempre nell’ambito di tale Progetto, presso l’ufficio di orientamento gestito dal Laboratorio Unaltromodo dell’Università di Firenze al piano V, stanza 9 del Palazzo di Giustizia;
E. L’ipotesi che la condizione si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione. Come si vede dunque, sono previsti plurimi livelli informativi e non è pensabile che il processo venga momentaneamente interrotto per un’ulteriore informazione anziché per un serio tentativo di risolvere il conflitto.
F. Da ultimo, può ricordarsi che l’art. 5 della direttiva europea citata distingue le ipotesi in cui il giudice invia le parti in mediazione rispetto all’invio per una semplice sessione informativa: un ulteriore motivo per ritenere che nella mediazione disposta dal giudice, viene chiesto alle parti (e ai difensori) di esperire la mediazione e cioè l’attività svolta dal terzo imparziale finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole (secondo la definizione data dall’art. 1 del d.lgs. n. 28/2010) e non di acquisire una mera informazione e di rendere al mediatore una dichiarazione sulla volontà o meno di iniziare la procedura mediativa>>.
4. Per la mediazione demandata dal giudice è particolarmente evidente la necessità che la mediazione sia effettivamente esperita (per i motivi indicati alla lettera E del provvedimento riportato); tuttavia, anche per quella che precede il giudizio, è necessario giungere alla medesima conclusione.
E’ vero che nella mediazione demandata il giudice ha già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ in concreto del conflitto, mentre la mediazione che precede il giudizio è imposta dal legislatore sulla base di una valutazione di mediabilità in astratto, in base alla tipologia delle controversie.
Tale differenza, però, non incide minimamente sulla natura della mediazione e quindi non appare rilevante per ritenere che la condizione di procedibilità possa ritenersi svolta con un mero incontro “preliminare” in cui le parti dichiarano la mancanza di volontà di svolgere la mediazione. Anche per la mediazione preprocessuale vale quanto già rilevato circa l’esistenza di informazioni che precedono l’incontro in mediazione già fornite alla parte dal difensore o tramite il difensore; inoltre anche per la mediazione preprocessuale, ciò che l’art.5, co. 1 bis, impone è la mediazione e non una sessione informativa.
Va sottolineato che l’art.8, quando prevede che “Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”, fa riferimento alla possibilità di iniziare il procedimento (con riferimento a eventuali situazioni preliminari che possano ostacolare l’esperimento di mediazione) e non alla volontà delle parti di proseguire, (in tal senso, si sono espressi anche numerosi giudici di merito: Trib. Firenze, sez. specializzata imprese, ord. 17/3/2014 e ord. 18/3/2014, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, ord., 30.06.2014, in www.101mediatori.it; Trib. Bologna, ord., 5.6.2014 in www.adrmaeremma.it; Trib. Rimini, ord. 16 luglio 2014).
In particolare il tribunale di Palermo (ord. 16.7.2014) ha approfondito il nodo interpretativo posto dall’art. 5, c. 2 bis del d. lgs. 28/2010, che sembra richiamare espressamente <<il primo incontro >> di cui all’art. 8 c. 1 cit.. Il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che la mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro. Il tribunale sottolinea, tuttavia, che ben potrebbe il giudice richiedere che in questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo. La disposizione normativa in questione, secondo il giudice, se diversamente interpretata, rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa, perché ognuno dei partecipanti sarebbe titolare di un diritto potestativo alla chiusura del procedimento. Secondo tale giudice, pertanto, il mediatore deve verificare la possibilità di iniziare la procedura con riferimento a impedimenti particolari (autorizzazioni e simili) e non alla volontà delle parti.
Le argomentazioni riportate valgono anche per la mediazione obbligatoria che precede il giudizio e non solo per la mediazione demandata dal giudice.
5. Se dunque, il legislatore impone lo svolgimento di una mediazione effettiva anche per la mediazione di cui all’art. 5, co. 1 bis, è necessario che le parti siano presenti di persona (v. sopra punto B).
Nella mediazione è fondamentale, infatti, la percezione delle emozioni nei conflitti e lo sviluppo di rapporti empatici ed è pertanto indispensabile un contatto diretto tra il mediatore e le persone parti del conflitto. Il mediatore deve comprendere quali siano i bisogni, gli interessi, i sentimenti dei soggetti coinvolti, e questi sono profili che le parti possono e debbono mostrare con immediatezza, senza il filtro dei difensori (che comunque assistono la parte).
D’altronde, il principale significato della mediazione è proprio il riconoscimento della capacità delle persone di diventare autrici del percorso di soluzione dei conflitti che le attraversano e la restituzione della parola alle parti per una nuova centratura della giustizia, rispetto ad una cultura che le considera ‘poco capaci’ e, magari a fini protettivi, le pone ai margini.
Il giudice ritiene, per questi motivi, che non sia possibile applicare analogicamente le norme che, ‘nel processo’, consentono alla parte di farsi rappresentare dal difensore o le norme sulla rappresentanza negli atti negoziali. La mediazione può dar luogo ad un negozio o ad una transazione, ma l’attività che porta all’accordo ha natura personalissima e non è delegabile (il giudice, naturalmente, valuterà caso per caso se la mancata presenza personale sia giustificata).
6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il giudice ritiene che anche per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio ex art. 5, co. 1 bis d.lgs.n. 28/2010, è necessario che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.
7. Nel caso in esame, nel procedimento di mediazione non è comparsa la parte attrice, ma un sostituto del difensore di quest’ultima.
Pertanto, occorre rilevare d’ufficio il mancato avveramento della condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 5 c.1 bis cit. e assegnare alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Oltretutto può rilevarsi che nel caso in esame appare particolarmente adeguato il ricorso a soluzioni amichevoli della medesima in quanto l’interresse della parte attrice potrebbe contemperarsi con quello della parte convenuta, come emerso anche dalla discussione orale, se si considera la vicenda relativa al preliminare di vendita del 2000, con cui la figlia dell’attore si impegnava ad acquistare i terreni di cui si tratta.
La causa va, quindi, rinviata all’udienza sotto indicata ex art 183 cpc.
P.Q.M.
Rilevata l’improcedibilità della domanda ex art. 5, comma 1 bis, d.lgs 28/2010;
dispone
l’esperimento della mediazione ex art.5, co.1 bis, D. lgs. 28/2010 e assegna termine alle parti di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione dinanzi a un organismo scelto dalle parti, avuto riguardo ai criteri dell’art. 4, I comma del d.lgs. 28/2010, salva la facoltà delle parti di scegliere concordemente un organismo avente sede in luogo diverso da quello indicato nell’art. 4 citato;
fissa
nuova udienza ex art. 183 cpc per il giorno 29/4/2015 ore 9.30 all’esito della procedura di mediazione;
precisa
che per “mediazione” si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti – anziché limitarsi ad incontrarsi e informarsi, non aderendo poi alla proposta del mediatore di procedere – adempiano effettivamente partecipando alla vera e propria procedura di mediazione,
precisa
che le parti dovranno essere presenti dinanzi al mediatore personalmente e munite di assistenza legale di un avvocato iscritto all’Albo.
Invita
Le parti a comunicare preventivamente al Giudice l’eventuale esito positivo della mediazione per favorire l’organizzazione del ruolo.
Il Giudice
Luciana Breggia