Pronuncia, emessa in sede cautelare dal Tribunale di Parma, che tocca un aspetto di particolare interesse all’interno del procedimento di mediazione, vale a dire quello della utilizzabilità, nel giudizio successivo al tentativo di mediazione non coronato da successo, della perizia esperita da un tecnico nominato dall’Organismo di mediazione.
In una procedura in materia bancaria, in cui la parte istante chiamava in mediazione (obbligatoria) la Banca contestando l’ammontare dei crediti vantati da quest’ultima, che da parte sua disertava il procedimento, il mediatore nominava un consulente tecnico per la verifica delle contestazioni formulate dall’istante in ordine all’applicazione di interessi superiori al tasso soglia al tempo vigente.
Il consulente nominato dal mediatore, rilevava che “il totale degli addebiti legittimi a carico del correntista è compreso tra un minimo di euro
22.687,43 e un massimo di euro 41.188,82”; evidenziando, inoltre, addebiti oltre la soglia di usura per euro 22.687,43 ed allegando il prospetto dei singoli trimestri analizzati dal 2005 al 2009.
Con provvedimento emesso inaudita altera parte il 22 dicembre 2014 il Tribunale di Parma autorizzava il sequestro giudiziario (di cambiali) richiesto dalla ricorrente; a quel punto, la Banca si costituiva in giudizio, contestando la domanda cautelare, asserendo, in particolare, l’irritualità della perizia disposta in sede di mediazione, in quanto svolta in mancanza di contraddittorio con la banca stessa (sic!), che, come evidenziato in precedenza, aveva ritenuto di non partecipare alla mediazione.
Detta contestazione, così come le altre sollevate dalla banca e che in questa sede non rivestono specifico interesse, è ritenuta priva di fondamento da parte del Giudice, che nell’ordinanza osserva come “…la circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia l’attendibilità dell’esame condotto dal Prof. XYXY, il quale veniva a ciò incaricato non dalla parte ma da un terzo estraneo alla lite, quale è l’organismo di mediazione”.
Ora, premesso che nessuna norma attualmente in vigore interdice l’utilizzabilità in giudizio delle perizie formatesi all’interno del procedimento di mediazione, e ribadito, naturalmente, che il sul perito gravano gli stessi obblighi di riservatezza riguardanti gli altri protagonisti della mediazione, il problema reale è rappresentato dal rispetto del principio del contraddittorio.
Quest’ultimo, però, non potrà ritenersi carente solo perchè, a seguito di una scelta volontaria, unilaterale e comunque sanzionabile ex lege, in assenza di giustificati motivi, nel successivo giudizio, una delle parti abbia ritenuto di disertare la procedura volta al tentativo di conciliazione; una tale opzione, in tal modo, ben potrebbe mirare proprio a garantirsi l’inutilizzabilità di eventuali perizie (pressochè inevitabili in determinate tipologie di controversie, come ad esempio quelle in materia bancaria) in un successivo giudizio, il che appare quantomeno paradossale.
In altri termini: le relazioni tecniche stese da perito incaricato dall’organismo, per poter essere utilizzate nel futuro giudizio, certamente presuppongono il rispetto del principio del contraddittorio. Non potrà però sostenersi il mancato rispetto di quest’ultimo per la sola circostanza della mancata partecipazione, salvo giustificato motivo da valutarsi caso per caso da parte del Giudice.
Non è certamente sostenibile che le perizie realizzate nel corso del procedimento di mediazione non siano utilizzabili in causa sulla base di una asserita collisione con le previsioni di cui agli artt. 9 e 10 D.lgs 28/2010 (obbligo di riservatezza e inutilizzabilità delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite in mediazione).
Sul punto, peraltro all’interno di una assai articolata motivazione, si era già espresso il Tribunale di Roma, con l’ordinanza 17 marzo 2014, nella quale, premesso che ai sensi dell’art. 8, co. 4, D.lgs 28/2010, la possibilità di nomina di un consulente tecnico esterno sussiste “…solo laddove siano assenti o carenti non solo nel mediatore titolare ma anche in quello eventuale, ausiliario, le competenze tecniche specifiche e necessarie per il caso oggetto del procedimento”, si considera necessario procedere all’analisi delle possibilità in concreto esistenti – alla luce dell’esigenza di rispetto dei principi di riservatezza propri della mediazione – circa l’utilizzabilità processuale delle risultanze peritali acquisite nel corso del procedimento conciliativo.
Osservava, un anno or sono, il Giudice romano come “…riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell’accordo. E’ sufficiente evidenziare, per dimostrarlo, che le parti in mediazione possono essere tentate, per il timore della sua circoscritta utilità, di rifiutarsi (e sicuramente ciò accade di frequente) di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato nella materia potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto.
Si pensi all’accertamento, a mezzo di una consulenza medica, dei danni alla persona in presenza di una domanda di risarcimento a seguito di un qualsiasi evento (RCA, responsabilità medico-sanitaria e via dicendo).
In questi casi farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all’esperto in mediazione potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell’esperto nella causa che potrà seguire al mancato raggiungimento dell’accordo.
Ritiene il giudice, alla luce delle precedenti considerazioni ed in un’ottica di equilibrato contemperamento fra l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento, di poter dichiarare legittima ed ammissibile la produzione nella causa alla quale pertiene la mediazione, dell’elaborato del consulente tecnico esterno.
Limitatamente, ove occorra rilevarlo, agli aspetti ed ai contenuti che siano strettamente corrispondenti al compito accertativo che gli sia stato affidato.
Il consulente, nel perimetro di ciò che le parti attraverso il mediatore, gli hanno demandato di accertare, esegue e svolge il suo incarico redigendo una relazione. Quale sia esattamente l’attività espletabile dal consulente tecnico nella mediazione è agevolmente predicabile facendo riferimento a quanto lo stesso consulente, in quel caso nominato dal giudice, può effettuare nella causa, nell’adempimento dell’incarico”.
Considerazioni, oggi riprese nella pronuncia del Tribunale di Parma in commento, che appaiono pienamente condivisibili.
Un’opportunità da tener presente, in mediazione, anche e soprattutto in presenza di atteggiamenti ostruzionistici messi in atto dalla parte invitata.
L’eventuale mancata partecipazione di quest’ultima non impedisce alla parte istante di richiedere al mediatore la nomina di un tecnico al fine di esperire un accertamento peritale che sarà dunque pienamente utilizzabile all’interno del successivo giudizio, e che, ovviamente, consentirà al procedimento di mediazione, seppur limitatamente alla parte istante, di entrare nel merito della controversia, evitando una altrimenti ineludibile conclusione negativa, all’esito del primo incontro, per mancata partecipazione della parte chiamata.
Testo integrale:
Tribunale di Parma
Sezione civile 1°
Il GU dott. Angela Chiari
Esaminato il ricorso presentato a norma degli artt. 670 e 700 c.p.c. da …. ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
– Considerato che la ricorrente ha chiesto in via principale il sequestro giudiziario di dieci cambiali dell’importo unitario di euro 1.600,00 in possesso della Banca resistente, emesse da XX a seguito di un piano di rientro stipulato tra le parti a fronte di un’esposizione debitoria di … nei confronti della Banca, dell’ammontare complessivo di euro 27.200,00 derivante da rapporto di conto corrente bancario e di finanziamento.
– Rilevato che XX Ha allegato di avere corrisposto gli importi concordati fino al dicembre
2014, di avere contestato l’ammontare del credito vantato dalla resistente e di avere promosso la procedura di mediazione obbligatoria;
– Osservato che nel corso della procedura di mediazione, a cui la banca non si è presentata, il mediatore nominava un consulente tecnico per la verifica delle contestazioni formulate dall’attrice in ordine all’applicazione di interessi superiori al tasso soglia tempo per tempo vigente;
– Rilevato che il consulente nominato dal mediatore, Prof. Mattia Iotti, ha rilevato che “il totale degli addebiti legittimi a carico del correntista è compreso tra un minimo di euro
687,43 e un massimo di euro 41.188,82”;
– Osservato, in particolare, che il consulente ha evidenziato addebiti oltre la soglia di usura per euro 22.867,43 ed ha allegato il prospetto dei singoli trimestri analizzati dal 2005 al 2209;
– Considerato specificamente che il tecnico nominato dal mediatore indica come superato il tasso soglia già nel secondo trimestre 2015 e il contratto di conto corrente risulta stipulato il 18 aprile 2005;
– Rilevato che con provvedimento emesso inaudita altera parte il 22 dicembre 2014 lo scrivente giudice ha autorizzato il sequestro giudiziario delle cambiali;
– Osservato che Banca si è costituita in giudizio ed ha contestato la domanda cautelare, rilevando in particolare che :
– il credito della Banca era stato riconosciuto dalla ricorrente, la quale si era impegnata a
corrispondere …. euro in base ad un piano di rientro concordato tra le parti;
– la perizia disposta in sede di mediazione era irrituale, in quanto svolta in mancanza di contraddittorio con la banca, la quale non aveva partecipato alla mediazione;
– la formula utilizzata dal perito nominato dal mediatore per il calcolo del tasso effettivo
globale era differente rispetto a quella indicata nelle istruzioni della Banca d ‘Italia emanate fino al 2009, istruzioni che escludevano dal calcolo del TEG la commissione di massimo scoperto;
– Rilevato che, benché la ricorrente non abbia esplicitamente indicato petitum e causa petendi delle domande oggetto dell’instaurando giudizio di merito, pare evidente dal contesto del ricorso che la ricorrente intende proporre domanda volta all’accertamento dell’illegittima applicazione di interessi ultra soglia e alla rideterminazione del credito vantato dalla banca, con condanna della resistente alla restituzione delle cambiali emesse in base al citato accordo a garanzia del credito della banca;
– Osservato che la domanda cautelare appare dunque ammissibile e che in ordine all’ ammissibilità nessun rilievo ha svolto la resistente che si è, invero, difesa solo nel merito;
– Considerato che “ in tema di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti” (Cass. Sez. I, n. 19792 del 19.9.2014);
– Osservato che pertanto il riconoscimento di debito contenuto con il pano di rientro non impedisce alla ricorrente di contestare l’eventuale usurarietà degli interessi applicati;
– Rilevato che la circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia l’attendibilità dell’esame condotto dal Prof. Iotti, il quale veniva a ciò incaricato non dalla parte ma da un terzo estraneo alla lite, quale è l’organismo di mediazione;
– Rilevato che, alla luce della perizia in atti, appare sussistere il fumus boni jurus;
– Osservato in particolare che la tesi della resistente in rodine alla non computabilità della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso soglia fino all’agosto 2009 (data a partire dalla quale la Banca d’Italia ha iniziato a ricomprendere la commissione di massimo scoperto nella rilevazione dei tassi soglia ai fini dell’usura), pure sostenuta dea autorevole giurisprudenza di merito, è sconfessata dalla Cassazione penale, la quale afferma che “Nella determinazione del tasso di interesse ai fini di verificare se sia stato posto in essere il delitto di usura, occorre tener conto, ove il rapporto obbligazionario rilevante sia con istituto di credito, di tutti gli oneri imposti all’utente in connessione con l’utilizzazione del credito e quindi anche della ‘commissione di massimo scoperto’, che è costo indiscutibilmente legato all’erogazione del credito” (Cass. Pen. Sez. 2, n. 28743 del 14.05.2010; conf. Cass. Pen. Sez. 2, n. 12028 del 19.02.2010);
– Rilevato pertanto che, alla luce della cognizione sommaria propria della presente fase cautelare , a fronte della perizia in atti che attesta come indebitamente applicati tassi ultra soglia per almeno 22.800,oo euro, appare sussistere il fumus boni juris della dedotta insussistenza del credito a garanzia del quale sono state emesse le cambiali per un importo complessivo di 16.000,00 euro.
– Rilevato che presupposto del sequestro giudiziario non è il pericolo di danno grave come previsto per i provvedimenti d’urgenza ex art. 7000 c.p.c., bensì l’opportunità di provvedere alla custodia o gestione temporanea di un bene (nella specie, cambiali) nelle more del giudizio di merito in considerazione del rischio, sia pure astratto che i convenuto compia atti di disposizione dei beni controversi.
– Ritenuto che deve ritenersi ammissibile il sequestro giudiziario di titoli di credito (cfr. Tribunale Verona, 23 agosto 2001; Tribunale Monza, 12 aprile 2001; Tribunale Foggia, 10 febbraio 2004; Tribunale Milano, 6 febbraio 2002; Tribunale Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte –BG-, ordinanza 21 novembre 2000; Tribunale di Nocera Inferiore, sez. II, 17 febbraio 2010, n. 187; Tribunale di Roma, sez. fer. 23 luglio 2003);
– Rilevato, invero, che la controversia sull’appartenenza di essi, quale presupposto per la concessione di un sequestro giudiziario, sussiste non solo quando siano esperite azioni dirette specificamente a far valere il diritto alla restituzione di titoli emessi, ma anche in presenza di un’azione contrattuale o personale che, se accolta, importi la condanna alla restituzione dei beni controversi (Tribunale Venezia, 27 marzo 2002; cfr. anche Tribunale di Milano, 6 febbraio 2002 a mente del quale “l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato accoglie, nell’ipotesi prevista dall’art. 670 c.p.c. una nozione estensiva di controversia sulla proprietà e sul possesso che vi comprende anche le azioni di natura diversa da quella reale, tra cui azioni personali e basate su semplici diritti di credito dalle quali possa derivare una condanna alla restituzione o al rilascio”);
– Considerato infatti che il termine possesso, utilizzato dal legislatore nel testo normativa dell’ art. 670 c.p.c. non va inteso in senso letterale, rientrandovi anche l’ipotesi di detenzione (cassazione, 16 novembre 1995, n. 9645, 28 aprile 1994, n. 4039);
– Rilevato in particolare che deve ritenersi ammissibile il sequestro laddove il titolo sia, come nella fattispecie, nel possesso diretto del contraente (cfr. Tribunale Foggia, 10 febbraio 2004);
– Rilevato che la resistente non contesta di essere nella detenzione dei titoli in questione, sicché l’autorizzazione ad eseguire la misura non appare idonea ad incidere sulla legge di circolazione del titolo;
– Osservato che il ricorrente si trova esposto non solo al rischio che il titolo venga incassato, ma anche che venga girato a terzi, ai quali non saranno opponibili le eccezioni della resistente in ordine al rapporto sottostante
P . Q . M .
Conferma il provvedimento ex art. 670 cpc adottato con decreto del 22.12.2014. Dispone con la presente ordinanza la trasmissione degli atti alla Procura della repubblica in sede per gli eventuali accertamenti di competenza in ordine al reato di usura, richiamando le considerazioni di cui in parte motiva.
Manda alla Cancelleria affinché trasmetta alla Procura copia del presente provvedimento unitamente a copia del doc. 1 e del doc. 8 di parte corrente.
Spese al merito.
Così deciso in Parma il 13.03.2015
Il Giudice
Dr.ssa Angela Chiari