mediazione obbligatoria conciliazione

Tribunale di Firenze, sez. III civile, ordinanza 3 giugno 2015.

Commento:
Il Tribunale di Firenze ancora in prima linea nell’intento di garantire l’effettività della mediazione nel momento in cui la stessa si pone come condizione di procedibilità della domanda.
Con l’ordinanza in commento, in applicazione dell’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, non soltanto il Giudice provvede alla condanna, nei confronti della Banca convenuta costituitasi in giudizio che aveva disertato senza giustificato motivo il procedimento di mediazione, al versamento a favore dell’erario di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, ma dispone altresì detta condanna direttamente nell’ordinanza con la quale conclude la prima udienza.
Traspare chiaramente l’intenzione di rafforzare l’effetto deterrente caratterizzante la sanzione in parola, anticipandola alla prima udienza invece di disporla, come di regola avviene – nei casi in cui venga effettivamente comminata – beninteso – in sede di pronuncia sulle spese all’interno della decisione finale della causa.
Come è noto, l’art. 8, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, prevede che “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.
Appare evidente, nella disposizione sopra riportata, come l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio, non potendosi, pertanto, ritenere la stessa necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia.
Il Tribunale di Firenze, di conseguenza, ritiene che la sanzione pecuniaria in questione ben può essere irrogata anche in corso di causa, vale a dire in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.
Certamente, in tal modo, l’effetto deterrente insito nella previsione della sanzione in esame, risulta rafforzato, dal momento che la parte convenuta in giudizio, in precedenza chiamata in mediazione senza che circostanziati motivi ne giustificassero la mancata adesione, si trova, del tutto indipendentemente dagli esiti futuri del processo, tenuta a versare una somma pari al contributo unificato dovuto già all’esito dell’udienza di cui all’art. 183 c.p.c.
Naturalmente, se una tale impostazione sembra “reggere” sulla base del dettato normativo, nel quale – giova ribadirlo – non è presente alcuna precisazione circa il tempus della condanna ivi prevista, il problema rimane quello inerente alla configurabilità di un “giustificato motivo”.
La discrezionalità del giudice, in effetti, non sembra trovare adeguati contrappesi in criteri oggettivi legislativamente determinati.
Si tratta di un problema che, a più riprese, si è posto fin dall’introduzione, da parte dell’art. 2, co. 35 – sexies, L. 148/2011, di un nuovo periodo all’allora art. 8, co. 5, D.lgs 28/2010 (poi trasformatosi, a seguito del c.d. “Decreto del fare”, convertito in L. 98/2013, nell’attuale art. 8, co. 4 – bis).
In sostanza, quindi, competerà al giudice la valutazione discrezionale di eventuali e comprovate motivazioni che siano tali da giustificare l’assenza della parte al procedimento di mediazione. Ciò in quanto, in assenza di tali motivi, il legislatore ha evidentemente ritenuto doversi presumere una volontà di pregiudicare, o comunque ostacolare, la potenziale positiva conclusione del tentativo di conciliazione, il che, nelle materie in cui la mediazione si pone come condizione di procedibilità – le uniche, peraltro, in cui la sanzione in oggetto possa trovare applicazione – significherebbe attenuare in partenza, ed in misura certamente rilevante, la portata deflattiva dell’istituto.
Insomma. Il “giustificato motivo” della non adesione dovrà essere valutato caso per caso, ma, necessariamente, con una certa severità insita nelle finalità deflattive proprie della mediazione, altrimenti troppo spesso svuotate di significato.
Rimane sempre, peraltro, la genericità e l’astrattezza della previsione legislativa.
Non si può certo dire che il legislatore abbia fornito al giudice un qualche strumento interpretativo, anche sotto forma di canone generale, tale da poterlo coadiuvare nel suo giudizio discrezionale, in relazione al quale i pericoli di eccessivo soggettivismo non sembrano certamente scongiurati.
Un’indagine intorno al concetto di “giustificato motivo” si presenta quanto mai ardua, soprattutto dopo la (opportuna) introduzione, da parte della riforma del 2013, di un criterio di competenza territoriale che rende impossibile la convocazione in mediazione del chiamato presso un Organismo territorialmente distante, costringendolo ad una trasferta i cui tempi ed i cui costi avrebbero, certamente, costituito giustificato motivo della mancata partecipazione.
Ma, superata l’ipotesi in esame dall’introduzione della competenza per territorio, non è dato riscontrare altri criteri predeterminati, risultando, dunque, l’identificazione dell’area del “giustificato motivo” interamente rimessa alla valutazione discrezionale del giudice.
Quel che è certo, e provvedimenti come quello in commento non fanno che ribadirlo,
la parte chiamata in mediazione non può pretendere di porre a sostegno della propria mancata partecipazione al procedimento, la circostanza di una asserita infondatezza delle ragioni avanzate dalla parte istante: ciò, evidentemente, vanificherebbe a monte ogni possibilità di introdurre un modello di mediazione fondato sul concetto di condizione di procedibilità della domanda.
Come evidenziato nella pronuncia che può considerarsi capostipite in ordine al punto in oggetto, Trib Roma, sez. XIII, 29 maggio 2014, “…così ragionando sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione, se è vero com’è vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione d’essere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni etc., che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino al raggiungimento di un accordo amichevole”.

Testo integrale:

Verbale di prima udienza n. cronol. XXX/2015 del 03/06/2015
RG n. XXX/2015
TRIBUNALE ORDINARIO DI FIRENZE
Terza sezione CIVILE
Verbale della causa n.r.g. XXX/2015
tra
XXXXXXXX Attrice
e
Banco XXXXXXXX Convenuta

Oggi 3 giugno 2015, innanzi al Giudice dott. Riccardo Guida, sono comparsi:
Per XXXXXXXXX l’avv. Katia Ventura, oggi sostituito dall’avv. Sabatino Iovino il quale deposita l’originale dell’atto di citazione notificato.
Per Banco XXXXXXX l’avv. XXXXXX
L’avv. Iovino contesta il contenuto della comparsa di costituzione e risposta e chiede la concessione dei termini ex art. 183 VI comma c.p.c.

Il Giudice

rilevato che dal verbale di mediazione risulta che il Banco XXXXX non ha partecipato al procedimento di mediazione; senza giustificato motivo;
visto l’art. 8 comma 4 bis D. Lvo n. 28/2010 (e successive modificazioni);

condanna

il Banco XXXXX al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di uno somma pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, mandando in cancelleria per quanto di competenza;
assegna alle parti i termini ex art. 183 VI comma, numeri 1, 2 e 3 c.p.c.
rinviala causa all’udienza del 09/03/2016, ore 12.15, per provvedere sulle richieste istruttorie.
Il Giudice
dott. Riccardo Guida

Mediazione-obbligatoria

Tribunale di Parma, I sez. civile, ordinanza 13 marzo 2015.

Pronuncia, emessa in sede cautelare dal Tribunale di Parma, che tocca un aspetto di particolare interesse all’interno del procedimento di mediazione, vale a dire quello della utilizzabilità, nel giudizio successivo al tentativo di mediazione non coronato da successo, della perizia esperita da un tecnico nominato dall’Organismo di mediazione.

In una procedura in materia bancaria, in cui la parte istante chiamava in mediazione (obbligatoria) la Banca contestando l’ammontare dei crediti vantati da quest’ultima, che da parte sua disertava il procedimento, il mediatore nominava un consulente tecnico per la verifica delle contestazioni formulate dall’istante in ordine all’applicazione di interessi superiori al tasso soglia al tempo vigente.

Il consulente nominato dal mediatore, rilevava che “il totale degli addebiti legittimi a carico del correntista è compreso tra un minimo di euro
22.687,43 e un massimo di euro 41.188,82”; evidenziando, inoltre, addebiti oltre la soglia di usura per euro 22.687,43 ed allegando il prospetto dei singoli trimestri analizzati dal 2005 al 2009.

Con provvedimento emesso inaudita altera parte il 22 dicembre 2014 il Tribunale di Parma autorizzava il sequestro giudiziario (di cambiali) richiesto dalla ricorrente; a quel punto, la Banca si costituiva in giudizio, contestando la domanda cautelare, asserendo, in particolare, l’irritualità della perizia disposta in sede di mediazione, in quanto svolta in mancanza di contraddittorio con la banca stessa (sic!), che, come evidenziato in precedenza, aveva ritenuto di non partecipare alla mediazione.

Detta contestazione, così come le altre sollevate dalla banca e che in questa sede non rivestono specifico interesse, è ritenuta priva di fondamento da parte del Giudice, che nell’ordinanza osserva come “…la circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia l’attendibilità dell’esame condotto dal Prof. XYXY, il quale veniva a ciò incaricato non dalla parte ma da un terzo estraneo alla lite, quale è l’organismo di mediazione”.

Ora, premesso che nessuna norma attualmente in vigore interdice l’utilizzabilità in giudizio delle perizie formatesi all’interno del procedimento di mediazione, e ribadito, naturalmente, che il sul perito gravano gli stessi obblighi di riservatezza riguardanti gli altri protagonisti della mediazione, il problema reale è rappresentato dal rispetto del principio del contraddittorio.

Quest’ultimo, però, non potrà ritenersi carente solo perchè, a seguito di una scelta volontaria, unilaterale e comunque sanzionabile ex lege, in assenza di giustificati motivi, nel successivo giudizio, una delle parti abbia ritenuto di disertare la procedura volta al tentativo di conciliazione; una tale opzione, in tal modo, ben potrebbe mirare proprio a garantirsi l’inutilizzabilità di eventuali perizie (pressochè inevitabili in determinate tipologie di controversie, come ad esempio quelle in materia bancaria) in un  successivo giudizio, il che appare quantomeno paradossale.

In altri termini: le relazioni tecniche stese da perito incaricato dall’organismo, per poter essere utilizzate nel futuro giudizio, certamente presuppongono il rispetto del principio del contraddittorio. Non potrà però sostenersi il mancato rispetto di quest’ultimo per la sola circostanza della mancata partecipazione, salvo giustificato motivo da valutarsi caso per caso da parte del Giudice.

Non è certamente sostenibile che le perizie realizzate nel corso del procedimento di mediazione non siano utilizzabili in causa sulla base di una  asserita collisione con le previsioni di cui agli artt. 9 e 10 D.lgs 28/2010 (obbligo di riservatezza e inutilizzabilità delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite in mediazione).

Sul punto, peraltro all’interno di una assai articolata motivazione, si era già espresso il Tribunale di Roma, con l’ordinanza 17 marzo 2014, nella quale, premesso che ai sensi dell’art. 8, co. 4, D.lgs 28/2010, la possibilità di nomina di un consulente tecnico esterno sussiste “…solo laddove siano assenti o carenti non solo nel mediatore titolare ma anche in quello eventuale, ausiliario, le competenze tecniche specifiche e necessarie per il caso oggetto del procedimento”, si considera necessario procedere all’analisi delle possibilità in concreto esistenti – alla luce dell’esigenza di rispetto dei principi di riservatezza propri della mediazione – circa l’utilizzabilità processuale delle risultanze peritali acquisite nel corso del procedimento conciliativo.

Osservava, un anno or sono, il Giudice romano come “…riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell’accordo. E’ sufficiente evidenziare, per dimostrarlo, che le parti in mediazione possono essere tentate, per il timore della sua circoscritta utilità, di rifiutarsi (e sicuramente ciò accade di frequente) di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato nella materia potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto.

Si pensi all’accertamento, a mezzo di una consulenza medica, dei danni alla persona in presenza di una domanda di risarcimento a seguito di un qualsiasi evento (RCA, responsabilità medico-sanitaria e via dicendo).

In questi casi farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all’esperto in mediazione potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell’esperto nella causa che potrà seguire al mancato raggiungimento dell’accordo.

Ritiene il giudice, alla luce delle precedenti considerazioni ed in un’ottica di equilibrato contemperamento fra l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento, di poter dichiarare legittima ed ammissibile la produzione nella causa alla quale pertiene la mediazione, dell’elaborato del consulente tecnico esterno.

Limitatamente, ove occorra rilevarlo, agli aspetti ed ai contenuti che siano strettamente corrispondenti al compito accertativo che gli sia stato affidato.

Il consulente, nel perimetro di ciò che le parti attraverso il mediatore, gli hanno demandato di accertare, esegue e svolge il suo incarico redigendo una relazione. Quale sia esattamente l’attività espletabile dal consulente tecnico nella mediazione è agevolmente predicabile facendo riferimento a quanto lo stesso consulente, in quel caso nominato dal giudice, può effettuare nella causa, nell’adempimento dell’incarico”.

Considerazioni, oggi riprese nella pronuncia del Tribunale di Parma in commento, che appaiono pienamente condivisibili.

Un’opportunità da tener presente, in mediazione, anche e soprattutto in presenza di atteggiamenti ostruzionistici messi in atto dalla parte invitata.

L’eventuale mancata partecipazione di quest’ultima non impedisce alla parte istante di richiedere al mediatore la nomina di un tecnico al fine di esperire un accertamento peritale che sarà dunque pienamente utilizzabile all’interno del successivo giudizio, e che, ovviamente, consentirà al procedimento di mediazione, seppur limitatamente alla parte istante, di entrare nel merito della controversia, evitando una altrimenti ineludibile conclusione negativa, all’esito del primo incontro, per mancata partecipazione della parte chiamata.

Testo integrale:

Tribunale di Parma
Sezione civile 1°
Il GU dott. Angela Chiari

Esaminato il ricorso presentato a norma degli artt. 670 e 700 c.p.c. da …. ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

– Considerato che la ricorrente ha chiesto in via principale il sequestro giudiziario di dieci cambiali dell’importo unitario di euro 1.600,00 in possesso della Banca resistente, emesse da XX a seguito di un piano di rientro stipulato tra le parti a fronte di un’esposizione debitoria di … nei confronti della Banca, dell’ammontare complessivo di euro 27.200,00 derivante da rapporto di conto corrente bancario e di finanziamento.
– Rilevato che XX Ha allegato di avere corrisposto gli importi concordati fino al dicembre
2014, di avere contestato l’ammontare del credito vantato dalla resistente e di avere promosso la procedura di mediazione obbligatoria;
– Osservato che nel corso della procedura di mediazione, a cui la banca non si è presentata, il mediatore nominava un consulente tecnico per la verifica delle contestazioni formulate dall’attrice in ordine all’applicazione di interessi superiori al tasso soglia tempo per tempo vigente;
– Rilevato che il consulente nominato dal mediatore, Prof. Mattia Iotti, ha rilevato che “il totale degli addebiti legittimi a carico del correntista è compreso tra un minimo di euro
687,43 e un massimo di euro 41.188,82”;
– Osservato, in particolare, che il consulente ha evidenziato addebiti oltre la soglia di usura per euro 22.867,43 ed ha allegato il prospetto dei singoli trimestri analizzati dal 2005 al 2209;
– Considerato specificamente che il tecnico nominato dal mediatore indica come superato il tasso soglia già nel secondo trimestre 2015 e il contratto di conto corrente risulta stipulato il 18 aprile 2005;
– Rilevato che con provvedimento emesso inaudita altera parte il 22 dicembre 2014 lo scrivente giudice ha autorizzato il sequestro giudiziario delle cambiali;
– Osservato che Banca si è costituita in giudizio ed ha contestato la domanda cautelare, rilevando in particolare che :
– il credito della Banca era stato riconosciuto dalla ricorrente, la quale si era impegnata a
corrispondere …. euro in base ad un piano di rientro concordato tra le parti;
– la perizia disposta in sede di mediazione era irrituale, in quanto svolta in mancanza di contraddittorio con la banca, la quale non aveva partecipato alla mediazione;
– la formula utilizzata dal perito nominato dal mediatore per il calcolo del tasso effettivo
globale era differente rispetto a quella indicata nelle istruzioni della Banca d ‘Italia emanate fino al 2009, istruzioni che escludevano dal calcolo del TEG la commissione di massimo scoperto;
– Rilevato che, benché la ricorrente non abbia esplicitamente indicato petitum e causa petendi delle domande oggetto dell’instaurando giudizio di merito, pare evidente dal contesto del ricorso che la ricorrente intende proporre domanda volta all’accertamento dell’illegittima applicazione di interessi ultra soglia e alla rideterminazione del credito vantato dalla banca, con condanna della resistente alla restituzione delle cambiali emesse in base al citato accordo a garanzia del credito della banca;
– Osservato che la domanda cautelare appare dunque ammissibile e che in ordine all’ ammissibilità nessun rilievo ha svolto la resistente che si è, invero, difesa solo nel merito;
– Considerato che “ in tema di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti” (Cass. Sez. I, n. 19792 del 19.9.2014);
– Osservato che pertanto il riconoscimento di debito contenuto con il pano di rientro non impedisce alla ricorrente di contestare l’eventuale usurarietà degli interessi applicati;
– Rilevato che la circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia l’attendibilità dell’esame condotto dal Prof. Iotti, il quale veniva a ciò incaricato non dalla parte ma da un terzo estraneo alla lite, quale è l’organismo di mediazione;
– Rilevato che, alla luce della perizia in atti, appare sussistere il fumus boni jurus;
– Osservato in particolare che la tesi della resistente in rodine alla non computabilità della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso soglia fino all’agosto 2009 (data a partire dalla quale la Banca d’Italia ha iniziato a ricomprendere la commissione di massimo scoperto nella rilevazione dei tassi soglia ai fini dell’usura), pure sostenuta dea autorevole giurisprudenza di merito, è sconfessata dalla Cassazione penale, la quale afferma che “Nella determinazione del tasso di interesse ai fini di verificare se sia stato posto in essere il delitto di usura, occorre tener conto, ove il rapporto obbligazionario rilevante sia con istituto di credito, di tutti gli oneri imposti all’utente in connessione con l’utilizzazione del credito e quindi anche della ‘commissione di massimo scoperto’, che è costo indiscutibilmente legato all’erogazione del credito” (Cass. Pen. Sez. 2, n. 28743 del 14.05.2010; conf. Cass. Pen. Sez. 2, n. 12028 del 19.02.2010);
– Rilevato pertanto che, alla luce della cognizione sommaria propria della presente fase cautelare , a fronte della perizia in atti che attesta come indebitamente applicati tassi ultra soglia per almeno 22.800,oo euro, appare sussistere il fumus boni juris della dedotta insussistenza del credito a garanzia del quale sono state emesse le cambiali per un importo complessivo di 16.000,00 euro.
– Rilevato che presupposto del sequestro giudiziario non è il pericolo di danno grave come previsto per i provvedimenti d’urgenza ex art. 7000 c.p.c., bensì l’opportunità di provvedere alla custodia o gestione temporanea di un bene (nella specie, cambiali) nelle more del giudizio di merito in considerazione del rischio, sia pure astratto che i convenuto compia atti di disposizione dei beni controversi.
– Ritenuto che deve ritenersi ammissibile il sequestro giudiziario di titoli di credito (cfr. Tribunale Verona, 23 agosto 2001; Tribunale Monza, 12 aprile 2001; Tribunale Foggia, 10 febbraio 2004; Tribunale Milano, 6 febbraio 2002; Tribunale Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte –BG-, ordinanza 21 novembre 2000; Tribunale di Nocera Inferiore, sez. II, 17 febbraio 2010, n. 187; Tribunale di Roma, sez. fer. 23 luglio 2003);
– Rilevato, invero, che la controversia sull’appartenenza di essi, quale presupposto per la concessione di un sequestro giudiziario, sussiste non solo quando siano esperite azioni dirette specificamente a far valere il diritto alla restituzione di titoli emessi, ma anche in presenza di un’azione contrattuale o personale che, se accolta, importi la condanna alla restituzione dei beni controversi (Tribunale Venezia, 27 marzo 2002; cfr. anche Tribunale di Milano, 6 febbraio 2002 a mente del quale “l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato accoglie, nell’ipotesi prevista dall’art. 670 c.p.c. una nozione estensiva di controversia sulla proprietà e sul possesso che vi comprende anche le azioni di natura diversa da quella reale, tra cui azioni personali e basate su semplici diritti di credito dalle quali possa derivare una condanna alla restituzione o al rilascio”);
– Considerato infatti che il termine possesso, utilizzato dal legislatore nel testo normativa dell’ art. 670 c.p.c. non va inteso in senso letterale, rientrandovi anche l’ipotesi di detenzione (cassazione, 16 novembre 1995, n. 9645, 28 aprile 1994, n. 4039);
– Rilevato in particolare che deve ritenersi ammissibile il sequestro laddove il titolo sia, come nella fattispecie, nel possesso diretto del contraente (cfr. Tribunale Foggia, 10 febbraio 2004);
– Rilevato che la resistente non contesta di essere nella detenzione dei titoli in questione, sicché l’autorizzazione ad eseguire la misura non appare idonea ad incidere sulla legge di circolazione del titolo;
– Osservato che il ricorrente si trova esposto non solo al rischio che il titolo venga incassato, ma anche che venga girato a terzi, ai quali non saranno opponibili le eccezioni della resistente in ordine al rapporto sottostante

P . Q . M .

Conferma il provvedimento ex art. 670 cpc adottato con decreto del 22.12.2014. Dispone con la presente ordinanza la trasmissione degli atti alla Procura della repubblica in sede per gli eventuali accertamenti di competenza in ordine al reato di usura, richiamando le considerazioni di cui in parte motiva.
Manda alla Cancelleria affinché trasmetta alla Procura copia del presente provvedimento unitamente a copia del doc. 1 e del doc. 8 di parte corrente.
Spese al merito.

Così deciso in Parma il 13.03.2015
Il Giudice

Dr.ssa Angela Chiari

Mediazione-obbligatoria

Tribunale di Taranto, ordinanza 16 aprile 2015.

Il Tribunale di Taranto, con l’ordinanza in commento, torna a soffermarsi sul concetto di effettività del tentativo di mediazione, sottolineando, in particolare, come nell’espressione mancata partecipazione al procedimento debba intendersi compresa non solo l’ipotesi dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, in quanto si è comunque in presenza di condotte omissive nella sostanza equivalenti, volte in ogni caso a frustrare la possibilità stessa di tentare una soluzione stragiudiziale della lite, coerentemente, tra l’altro, con quanto previsto dall’art. 88 c.p.c. in tema di dovere di lealtà.

Rileva infatti il Giudice che “…per quel che concerne la disciplina della mediazione, quando sia disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità, e non vi sia quindi possibilità di rinnovarla in caso di inerzia, dovendosi dichiarare l’improcedibilità della domanda, un’ interpretazione giurisprudenziale tende a far sì che il suo esperimento sia effettivo, e non si esaurisca alla fin fine in una forma di rallentamento ulteriore del processo.
Questo risultato viene perseguito affermandosi che l’obbligo di esperire la mediazione gravi su entrambe le parti”.

Occorre però intendersi sulla portata applicativa di detto obbligo.

Ovviamente, solo nel caso di inerzia dell’attore potrà configurarsi l’improcedibilità della domanda, non certo quando vi incorra il convenuto, dal momento che si applicherebbe nei confronti dell’attore una sanzione processuale per un fatto addebitabile ad altri.

Il fatto che però sussista un obbligo di mediazione effettiva a carico di entrambe le parti “…si desume dal disposto ex art. 8, co. 4 bis (dopo l’abrogazione del successivo comma 5 da parte della C.C.), del d.lgs. n. 28 del 2010: si sanziona infatti la mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo.
E nell’espressione mancata partecipazione si deve intendere compresa non solo l’ipotesi dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, trattandosi di condotte omissive equivalenti, in quanto idonee entrambe a frustrare la stessa possibilità di tentare la mediazione (in coerenza anche con l’art. 88 c.p.c. sul dovere di lealtà
”.

Naturalmente, il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione“…non può tuttavia (…) spingersi sino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando l’attore si rifiuti di partecipare immotivatamente alla mediazione sin dalla fase preliminare (“non voglio mediare…voglio invece proseguire con la causa”)”.

D’altra parte, l’espressione “senza l’accordo”, contenuta nell’art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, comprende anche l’ipotesi in cui la parte non intenda superare il primo incontro del procedimento di mediazione.

D’altronde, il fatto che la legge abbia previsto, con riferimento alla mancata partecipazione al procedimento senza giustificato motivo, la sanzione di cui all’art. 116, co. 2, c.p.c., nonché quella della condanna al versamento di una somma di importo pari al contributo unificato dovuto per il giudizio, implica necessariamente la prosecuzione del processo, il che non si concilia, evidentemente, con la declaratoria di improcedibilità.

In sostanza, dunque, secondo il Tribunale “…l’obbligo di effettiva mediazione grava sì su entrambe le parti costituite, ma nel senso che se anche vi sia un rifiuto ingiustificato, oltre che l’assenza ingiustificata, possono seguire le sanzioni tassativamente previste dalla legge.

Non può però l’effettività dell’obbligo spingersi fino al punto da sanzionare con l’ improcedibilità della domanda l’attore (o il convenuto qualora abbia spiegato riconvenzionale), quando si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore”.

 

Testo integrale:

Tribunale di Taranto
II Sezione
Ordinanza

Le domande proposte dal ricorrente si fondano pur sempre su di un contratto di locazione, anche se risolto: si fa valere cioè una forma di responsabilità contrattuale e non ad altro titolo;
quindi si applica il rito locatizio, correttamente introdotto.
Le domande riconvenzionali deve ritenersi che siano assoggettate alla mediazione obbligatoria ex d.lgs. n. 28 del 2010, non potendosi ammettere un regime diverso per le domande giudiziali a seconda che sia fatta valere dall’attore o dal convenuto, in mancanza peraltro di disposizione di legge contraria.
Ciò non toglie che possa assicurarsi il simultaneus processus, rinviando la trattazione di tutte le cause ad una udienza successiva, piuttosto che disporre la loro separazione (arg. ex art. 127, II co., c.c. ed estens. ex art. art. 274 c.p.c.).
Ma nel caso di specie va disposta la mediazione – c.d. delegata, ex art. 5, co. 2 del d.lgs. n.
28.2010, per come modificato dal d.l. 21-06-2013 e legge di conversione del 09.08.2013, n. 98 – anche per le domande principali (sebbene sia stata già esperita, ma invano, la mediazione prima dell’introduzione del giudizio) alla luce della avvenuta proposizione della domanda riconvenzionale e delle valutazioni contenute in questo provvedimento sul tema decisorio e sulle prove.
Per l’azione di riduzione del canone e di risarcimento dei danni proposta dall’attore non dovrebbe operare la decadenza del semestre prevista dall’art. 79 della legge 392/78: nel primo caso di tratta di azioni derivanti da norme del codice civile; nel secondo di azioni che trovano la loro fonte nella stessa legge speciale, all’interno delle quali ipotesi è prevista la sanzione della decadenza (arg. ex art. 14 delle Preleggi).
La disciplina dei fatti costitutivi della domanda potrebbe essere quella ex art. 1581- 1578 c.c., e cioè per vizio sopravvenuto e conseguente riduzione del canone; ovvero quella ex art. 1576 c.c. – 1575, n. 2, ossia inadempimento contrattuale e conseguente risarcimento dei danni.
Questa seconda disciplina dovrebbe preferirsi se si considera che la domanda è incentrata dallo stesso attore soprattutto su di una forma di inadempimento colpevole: il non aver il locatore adempiuto l’obbligazione di effettuare le riparazioni necessarie ex art. 1576 c.c.- E questa domanda non sembra che possa essere preclusa dall’aver il conduttore sanato la morosità in un precedente giudizio di convalida di sfratto, iniziato successivamente al manifestarsi dei fenomeni di umidità; che sarebbero attestati soprattutto dalla evocata CTU svolta nell’accertamento tecnico preventivo, e che secondo la prospettazione dell’attore avrebbero reso inservibile una parte dei posti auto e moto disponibili nell’autorimessa aziendale.
Si tratta per lo più di valutare se i vizi – o il pregiudizio all’immobile locato derivante dal contestato inadempimento – da cui sembra essere stato colpito, peraltro denunziati già con missiva del luglio 2006, in concreto abbiano comportato la ridotta attività commerciale ed in che misura, nel periodo considerato, ossia dal luglio 2006 al maggio 2011.
Ammesso per ipotesi che sia provato l’inadempimento (con la CTU soprattutto) e la riduzione della ricettività dell’autorimessa (verbale dei vigili del fuoco), occorrerebbe a rigore, trattandosi di impresa, che il quantum del mancato guadagno sia consacrato dal raffronto tra la contabilità degli anni precedenti al 2006 e quella degli anni successivi, avuto particolare riguardo al più ridotto reddito ricavato; contabilità che tuttavia non risulta essere stata prodotta in giudizio, In mancanza potrebbe farsi riferimento alle presunzioni e quindi all’equità.
I capitoli di prova sub 1, 2, 36-6/a-8-9 (e l’ulteriore contenuto in citazione e gli altri nella
memoria integrativa) o sono superflui o contengono valutazioni frammiste a circostanze di fatti, e come tali ritenuti inammissibili, o risultano tardivi.
Superflua di conseguenza anche la prova articolata da controparte.
Per quel che concerne la disciplina della mediazione, quando sia disposta dal giudice, e cioè quando si atteggia come condizione di procedibilità, e non vi sia quindi possibilità di rinnovarla in caso di inerzia, dovendosi dichiarare l’improcedibilità della domanda, un’ interpretazione giurisprudenziale tende a far sì che il suo esperimento sia effettivo, e non si esaurisca alla fin fine in una forma di rallentamento ulteriore del processo.
Questo risultato viene perseguito affermandosi che l’obbligo di esperire la mediazione gravi su entrambe le parti.
Occorre però intendersi sulla portata applicativa del predetto obbligo.
In primo luogo solo nel caso di inerzia dell’attore potrà seguire l’improcedibilità della domanda e non di certo quando vi incorra la sola controparte.
Non può ovviamente applicarsi all’attore una sanzione processuale per un fatto addebitale ad altri.
Che vi sia però un obbligo di mediazione effettiva a carico di entrambe le parti si desume
dal disposto ex art. 8, co. 4 bis (dopo l’abrogazione del successivo comma 5 da parte della C.C.), del d.lgs. n. 28 del 2010: si sanziona infatti la mancata partecipazione della parte al procedimento di mediazione senza giustificato motivo.
E nell’espressione mancata partecipazione si deve intendere compresa non solo l’ipotesi
dell’assenza ma anche il rifiuto ingiustificato di partecipare alla mediazione, trattandosi
di condotte omissive equivalenti, in quanto idonee entrambe a frustrare la stessa possibilità di tentare la mediazione (in coerenza anche con l’art. 88 c.p.c. sul dovere di lealtà).
E le sanzioni sono rappresentate dalla possibilità per il giudice di desumere argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. e dal versamento di una somma pari al contributo unificato, in questo secondo quando però la parte sia costituita (ossia euro 660,00 nel caso in esame, pur se iscritto a debito per la provvisoria ammissione al gratuito patrocinio dell’attore).
Non può tuttavia il perseguimento dello scopo dell’effettività della mediazione spingersi sino al punto di ritenere che si applichi la sanzione dell’improcedibilità anche quando l’attore si rifiuti di partecipare immotivatamente alla mediazione sin dalla fase preliminare (“non voglio mediare…voglio invece proseguire con la causa”).
Allo scopo non può essere dirimente il disposto ex art. 5, comma 2 bis d.lgs. n. 28/2010:
“Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
L’espressione “senza l’accordo” infatti comprende anche il caso in cui la parte non voglia
comunque mediare.
Peraltro l’aver la legge previsto per la mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo, nel senso lato precisato, la sanzione ex art. 116 c.p.c., ossia il trarre argomenti di prova, e quella pecuniaria sopra precisata, implica necessariamente la prosecuzione del processo, che evidentemente non si concilia con la ipotizzata improcedibilità.
In terzo luogo l’art. 8, I co. , citato, quando regola il passaggio dalla fase preliminare della
mediazione al suo effettivo esperimento, presuppone che nel c.d. primo incontro le parti debbano acconsentire alla mediazione: “.. il mediatore .. invita poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.
E non può trattarsi della sola possibilità tecnica (diritti indisponibili, litisconsorte pretermesso, etc.), posto che l’invito ad avere il placet è indirizzato dal mediatore anche alle parti e non solo agli avvocati.
Pertanto l’obbligo di effettiva mediazione grava sì su entrambe le parti costituite, ma nel senso che se anche vi sia un rifiuto ingiustificato, oltre che l’assenza ingiustificata, possono seguire le sanzioni tassativamente previste dalla legge.
Non può però l’effettività dell’obbligo spingersi fino al punto da sanzionare con l’ improcedibilità della domanda l’attore (o il convenuto qualora abbia spiegato riconvenzionale), quando si rifiuti senza giustificato motivo di partecipare al procedimento di mediazione nel c.d. primo incontro davanti al mediatore.
E’ opportuno poi che le parti siano messe a conoscenza delle sanzioni cui andrebbero incontro, in caso di mancata partecipazione alla mediazione disposta dal giudice.

P.T.M.

Rigetta la richiesta di mutamento del rito da locatizio ad ordinario.
Dichiara inammissibile la prova orale articolata dall’attore e quindi quella contraria di parte resistente.
Visto l’art. 5, co. 1 bis, del d.lgs. 28/2010 assegna alle parti il termine di giorni 15 per la presentazione della domanda di mediazione con riguardo alle riconvenzionali spiegate.
Visto l’art. 5, co., II, dispone l’esperimento della mediazione, anche per le domande proposte dal ricorrente, ed assegna alle parti eguale termine di quindici giorni.
Avverte che si intende realizzata la condizione di procedibilità quando le parti sono comparse davanti al mediatore ed un accordo comunque non sia stato raggiunto.
La predetta attività, svolta dal mediatore ai sensi dell’art. 1, co I, lett. a) del d.lgs. n. 28
del 2010, deve essere consacrata nel verbale dallo stesso redatto, pur se in maniera sommaria.
L’assenza senza giustificato motivo della parte costituita, al pari di un rifiuto ingiustificato alla mediazione, sarà suscettibile di essere sanzionata nei modi di legge (art. 8, IV bis e cioè possibilità di trarre argomenti di prova ex art. 116 c.p.c. e sanzione pari al contributo unificato, ossia nel caso di specie euro 660,00; potranno poi rilevare in caso di proposta rivelatasi congrua nel corso del processo le ulteriori sanzioni previste dall’art. 13 del d.lgs. 28 / 2010 ed art. 96, III co. c.p.c.).
Beninteso in caso di assenza della parte che abbia proposto una domanda, potrà seguire
la sanzione dell’improcedibilità.
Fissa per la verifica dell’esito della mediazione l’udienza del 14-10-2015, ore di rito.
Riserva di accertare, disponendo – come di rito – informative alla Guardia di Finanza, la ricorrenza delle condizioni di reddito utili per l’ottenimento del beneficio del gratuito patrocinio, sia al momento della proposizione della richiesta di liquidazione del compenso, sia la loro permanenza nel periodo successivo.
Taranto, 16-04-2015

F.to Dott. Claudio Casarano

 

ordinanza consiglio di stato mediazione civile

Ordinanza Consiglio di Stato: ripristinate le spese di avvio

Il Consiglio di Stato ripristina le spese di avvio del procedimento di mediazione anche laddove il primo incontro non venga superato

Le spese di avvio relative al procedimento di mediazione, e, ovviamente, le spese vive documentate dall’Organismo, sono legittime e risultano pertanto sempre dovute, anche nell’ipotesi in cui la mediazione si arresti al primo incontro tra le parti ed il mediatore, ai sensi dell’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010.

E’ quanto emerge dall’ordinanza 22 aprile 2015 della IV sez. del Consiglio di Stato, che ha accolto l’istanza cautelare in ordine alla provvisoria esecutività della sentenza del TAR Lazio n. 1351/2015, nell’ambito dell’appello avverso la medesima proposto dal Ministero della Giustizia e dal Ministero dello sviluppo Economico.

Osserva infatti il Consiglio di Stato come, muovendo dalla estrema genericità del termine “compenso” utilizzato nell’art. 17, co. 5 – ter, D.lgs 28/2010,  “...quanto alle spese di avvio – le quali a tenore del censurato comma 2 dell’art. 16 comprendono, a loro volta, da un lato le “spese vive documentate” e dall’altro le spese generali sostenute dall’organismo di mediazione – queste ad avviso della Sezione effettivamente non appaiono prima facie riconducibili alla nozione di “compenso” di cui alla disposizione di fonte primaria dianzi citata;
quanto sopra, in particolare, è di palmare evidenza quanto alle spese vive documentate, ma vale anche per le residue spese di avvio, che sono quantificate in misura forfettaria e configurate quale onere connesso all’accesso a un servizio obbligatorio ex lege per tutti i consociati che intendano accedere alla giustizia in determinate materie, come confermato dal riconoscimento in capo alle parti, ex art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010, di un credito di imposta commisurato all’entità della somma versata e dovuto – ancorché in misura ridotta – anche in caso di esito negativo del procedimento di mediazione (e, quindi, anche in ipotesi di esito negativo del primo incontro per il quale le spese di avvio sono dovute)
”.

Pertanto, quantomeno fino alla definizione nel merito dell’appello, la situazione torna ad essere quella sussistente prima della pronuncia TAR, con conseguente piena legittimazione, in capo gli organismi di mediazione, alla richiesta di versamento delle spese di avvio e di ristoro delle spese vive documentate sostenute nell’interesse delle parti del procedimento.

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso in appello nr. 2156 del 2015, proposto dal MINISTERO DELLA GIUSTIZIA e dal MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore, rappresentati e difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliati presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

l’UNIONE NAZIONALE DELLE CAMERE CIVILI (UNCC), in persona del legale rappresentante pro tempore,rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonio De Notaristefani di Vastogirardi e Francesco Storace, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via Crescenzio, 20,

e con l’intervento di

ad adiuvandum:

– signori Roberto NICODEMI, Maria AGNINO, Antonio D’AGOSTINO, Alessandra GULLO, Gemma SURACI, Monica MAZZENGA, Gabriella SANTINI, Laura NICOLAMARIA, Nicola PRIMERANO, Luigi RAPISARDA, Elisabetta ZENONI, Alessandra TOMBOLINI, Sabina MARONCELLI, Stefano AGAMENNONE, Silvia MONTANI, Elena ZAFFINO, Elisabetta Carla PICCIONI, Luciano CAPOGROSSI GUARNA, Giuliana SCROCCA, Maurizio FERRI, Matilde ABIGNENTE, Guido CARDELLI, Marco Fabio LEPPO, Alessandra ROMANINI, Claudio DRAGONE, Roberta D’UBALDO, Corrado DE MARTINI, Arnaldo Maria MANFREDI, Eugenio GAGLIANO, Fabio CAIAFFA e Daniela BERTES, rappresentati e difesi dall’avv. Gemma Suraci, con domicilio eletto presso la stessa in Roma, via degli Scipioni, 237,
– ASSOCIAZIONE PRIMAVERA FORENSE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Marco Benucci, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via corso d’Italia, 29;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. del Lazio nr. 1351/2015, notificata in data 5 marzo 2015.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’art. 98 cod. proc. amm.;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Unione Nazionale delle Camere Civili (UNCC) e gli atti di intervento dei soggetti in epigrafe indicati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Vista la domanda di sospensione dell’efficacia della sentenza del Tribunale amministrativo regionale di parziale accoglimento del ricorso di primo grado, presentata in via incidentale dalla parte appellante;

Relatore, alla camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015, il Consigliere Raffaele Greco;
Uditi gli avv.ti Storace e De Notaristefani per la appellata, l’avv. Suraci e l’avv. Benucci per gli intervenienti ad adiuvandum e l’avv. dello Stato De Carlo per le Amministrazioni appellanti;

Ritenuto, quanto al profilo della legittimazione processuale della ricorrente in primo grado, che l’indicazione di quest’ultima nell’epigrafe della sentenza impugnata è frutto di evidente fraintendimento, essendo fuori discussione il carattere nazionale (e non meramente locale), e conseguentemente la rappresentatività, dell’associazione che ha proposto il ricorso introduttivo del giudizio;

Ritenuto, nei limiti della sommaria delibazione propria della fase cautelare, che l’appello risulta assistito da sufficiente fumusnella parte in cui censura l’integrale annullamento dei commi 2 e 9 dell’art. 16 del d.m. 18 ottobre 2010, nr. 180, atteso che:

– l’uso del termine “compenso” nel comma 5-ter dell’art. 17 del d.lgs. 4 marzo 2010, nr. 28 (introdotto dalla “novella” del 2013), è manifestamente generico e improprio, non trovando detta terminologia riscontro in alcuna altra parte della normativa primaria e secondaria de qua, nella quale si parla invece di “indennità di mediazione”, che a sua volta si compone di “spese di avvio” e “spese di mediazione” (art. 16, d.lgs. nr. 28/2010);

– ciò premesso, nulla quaestio essendovi per le spese di mediazione, nelle quali è ricompreso “anche l’onorario del mediatore per l’intero procedimento di mediazione” (art. 16, comma 10), il problema si pone per le spese di avvio, le quali in virtù del decisum qui contestato sarebbero anch’esse del tutto non dovute per il primo incontro di cui all’art. 8, comma 1, del medesimo d.lgs. nr. 28/2010;

– quanto alle spese di avvio – le quali a tenore del censurato comma 2 dell’art. 16 comprendono, a loro volta, da un lato le “spese vive documentate” e dall’altro le spese generali sostenute dall’organismo di mediazione – queste ad avviso della Sezione effettivamente non appaiono prima facie riconducibili alla nozione di “compenso” di cui alla disposizione di fonte primaria dianzi citata;

– quanto sopra, in particolare, è di palmare evidenza quanto alle spese vive documentate, ma vale anche per le residue spese di avvio, che sono quantificate in misura forfettaria e configurate quale onere connesso all’accesso a un servizio obbligatorio ex lege per tutti i consociati che intendano accedere alla giustizia in determinate materie, come confermato dal riconoscimento in capo alle parti, ex art. 20 del d.lgs. nr. 28/2010, di un credito di imposta commisurato all’entità della somma versata e dovuto – ancorché in misura ridotta – anche in caso di esito negativo del procedimento di mediazione (e, quindi, anche in ipotesi di esito negativo del primo incontro per il quale le spese di avvio sono dovute);

Ritenuto, pertanto, che l’istanza cautelare è meritevole di accoglimento limitatamente all’esclusione del rimborso delle spese di avvio, le quali per le ragioni dette non sono riconducibili al concetto di “compenso” ex art. 17, comma 5-ter, d.lgs. nr. 28/2010, potendo invece essere devoluta alla sede del merito la trattazione di tutti i residui profili oggetto di causa (ivi comprese le questioni di legittimità costituzionale riproposte dall’originaria ricorrente con l’appello incidentale);

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) accoglie in parte l’istanza cautelare (Ricorso numero: 2156/2015) e la respinge per il resto, e, per l’effetto, sospende l’esecutività della sentenza impugnata nei limiti di cui in motivazione.
Tenuto conto della complessità e della novità delle questioni esaminate, compensa tra le parti le spese della presente fase del giudizio d’appello.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 aprile 2015 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Numerico, Presidente

Nicola Russo, Consigliere

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Silvestro Maria Russo, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 22/04/2015

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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Convegno Garbagnate Milanese

MEDIAZIONE CIVILE: COME RISOLVERE FACILMENTE IL CONTENZIOSO

RELATORI:

Dott. Salvatore Zambrino – Responsabile ADR Intesa

Dott.ssa Simona Maria Travagliati – Responsabile ADR Intesa sede di Garbagnate Milanese

Dott. Luigi Majoli – Formatore e Mediatore ADR Intesa

Dott. Salvatore Primiceri – Formatore e Mediatore ADR Intesa, Esperto in Tecniche di Comunicazione

AVV. Simone Ferrari  – Direttivo Proloco Garbagnate Milanese

 

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SALA CONFERENZE AGRIMANIA – Via Milano n. 170

INFORMAZIONE E ADESIONI: formazione@adrintesa.it

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