adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Mediazione civile e processo sommario di cognizione ex art. 702 – bis c.p.c.

Con le presenti note si intende tornare – a fronte di una questione (in apparenza) mai completamente definita in termini espliciti dal legislatore – sul complesso di ragioni che ci porta a ritenere che, con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, anche ove la domanda giudiziale sia proposta nelle forme del processo sommario di cognizione ex artt. 702 – bis e ss. c.p.c., l’esperimento del tentativo di conciliazione si ponga come condizione di procedibilità.

Come è noto, il problema emerse, sotto la vigenza del testo originario del D.lgs 28/2010, allorchè una sentenza di merito (Trib. Firenze, sent. 22 maggio 2012)   stabilì che il rinvio dell’udienza allo scopo di consentire lo svolgimento della procedura di mediazione, non esperita ante causam, fosse incompatibile con la natura “concentrata” e “rapida” (per l’appunto, sommaria) del processo sommario di cognizione.

Il Giudice, premesso “…che il procedimento sommario di cognizione previsto dall’art 702 bis e 702 ter c.p.c., pur non delineando un procedimento d’urgenza o caute1are nondimeno prevede un procedimento dove viene massimizzata la velocità della trattazione e della decisione della controversia, con evidente premialità per il ricorrente che riesca a manifestare con forte evidenza le ragioni che militano a favore del proprio diritto…”, osserva che l’art. 5, co. 4 del decreto sulla mediazione prevede: “i commi 1 e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.

Da ciò, secondo il Tribunale, discende che “…tale disposizione ben possa essere analogicamente applicata al caso del processo sommario di cognizione per l’ipotesi in cui, non potendosi procedere nelle forme previste dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. per la complessità istruttoria contenutistica della controversia, sia necessario convertire il processo nel rito ordinario di cognizione, nel qual caso, evidentemente dovrà procedersi secondo quanto previsto dal primo comma dell’art. 5D.Lgs 28/2010”.

In sintesi: il processo sommario di cognizione, essendo funzionale agli effetti propri del giudicato, non ha certo natura cautelare, ma mira comunque a velocizzare la trattazione/decisione della controversia, con palese intento premiale per il ricorrente; l’art, 5, co. 4, D.lgs 28/2010 prevede la non applicabilità della mediazione obbligatoria al procedimento di ingiunzione, anch’esso non cautelare, inclusa l’opposizione; di conseguenza, per analogia risulterebbe plausibile l’estensione dell’eccezione relativa al procedimento ingiuntivo, al rito sommario di cognizione (ove, naturalmente, non venga disposta, ai sensi dell’art. 703 – ter c.p.c.,  la transizione al processo ordinario di cognizione con fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c.).

Non sembra che una impostazione siffatta possa convincere.

Ciò non tanto per ragioni funzionali, quali l’aggiramento della mediazione mediante la proposizione ad arte della domanda nelle forme dell’art. 702 – bis c.p.c. (un tale intento potrebbe essere depotenziato, almeno in parte, dal giudice tramite il passaggio al rito ordinario, con conseguente ritorno della condizione di procedibilità rappresentata dalla mediazione stessa), quanto per ragioni di tenore letterale e di logica interpretativa, che portano a ritenere che ove il legislatore, a fortiori in quanto autore di un intervento a riforma di quanto in precedenza disposto, avesse inteso sottrarre all’ambito di operatività della mediazione obbligatoria il processo sommario di cognizione, ebbene lo avrebbe fatto in termini espliciti.

L’intervento del legislatore a seguito del c.d. Decreto del fare sembrerebbe, invece, riaffermare l’applicabilità del tentativo obbligatorio di mediazione alla tipologia processuale in parola, che continua a non essere menzionata tra quelle escluse.

Ora, come è noto, l’art. 14 disp. prel. cod. civ. dispone che “…le leggi…che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.

Ciò posto, appare difficilmente confutabile il fatto che l’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, abbia carattere eccezionale, avendo la funzione di derogare a quanto previsto, in via generale, dal co. 1- bis del medesimo articolo 5. Pertanto, l’elenco contenuto dal co. 4 deve considerarsi tassativo, con la conseguenza che solo nei procedimenti ivi menzionati il tentativo di mediazione non dovrà essere intrapreso pur vertendosi sulle materie di cui all’art. 5 co. 1- bis.

Pertanto, la condizione di procedibilità non opera:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

e) nei procedimenti in camera di consiglio;

f) nell’azione civile esercitata nel processo penale.

Del processo sommario di cognizione non si faceva menzione prima della riforma e continua a non farsi menzione dopo la stessa.

Né sembra potersi applicare, come invece proposto dalla giurisprudenza di merito summenzionata, l’analogia, dal momento che l’art. 12 delle preleggi presuppone, in generale, che a tale criterio possa ricorrersi solo in presenza di una lacuna da colmare, vale a dire di un vuoto normativo che nell’ipotesi in esame non sussiste. Semplicemente il legislatore non ha inteso, manifestamente, ricomprendere il processo sommario di cognizione tra le ipotesi procedimentali escluse, con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, dall’obbligatorietà del tentativo di mediazione.

D’altra parte, detta scelta del legislatore appare non solo chiara, ma anche condivisibile.

Il processo sommario introdotto nel codice di procedura civile con la riforma del 2009, infatti, è un rito in cui la cognizione sommaria, conseguenza di una scelta attorea, può trasformarsi in cognizione piena qualora il giudice adito non ritenga la  causa, per la complessità della controversia e delle difese proposte, compatibile con una trattazione per l’appunto sommaria (il cui svolgimento – come si sa – è mutuato dall’art. 669 – sexies – relativo al procedimento cautelare uniforme), ordinando, dunque, il mutamento di rito con la fissazione dell’udienza di cui all’art. 183.

Non si vede, perciò, come possano scorgersi analogie con il procedimento di ingiunzione (o con quello per convalida di licenza o sfratto), in cui i provvedimenti relativi alla fase sommaria vengono adottati inaudita altera parte e gli stessi sono suscettibili ad acquisire definitività per effetto dell’inerzia dell’ingiunto o dell’intimato. Infatti, in dette ipotesi, il legislatore ha optato a favore dello spostamento dell’obbligo di procedere al tentativo di mediazione ad un momento successivo rispetto alla fase sommaria (e, soprattutto, successivo alla decisione sui provvedimenti provvisori in merito alla concessione dell’efficacia esecutiva al decreto ingiuntivo opposto od all’emissione dell’ordinanza di rilascio dell’immobile con riserva delle eccezioni del convenuto).

Nel processo sommario di cognizione, invece, non si fa altro che agire in giudizio puntando sul fatto che la (asserita) “semplicità” della controversia consentirà al giudice di deciderla con modalità sommaria, eventualità, peraltro, meramente prospettata dall’attore ma della quale, ovviamente, non vi è alcuna certezza ab initio, ben potendo, come detto, il giudice essere di diverso avviso.

Con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, il legislatore precisa che la domanda è condizionata, nella sua procedibilità, dall’esperimento del tentativo di mediazione presso un organismo territorialmente competente, senza nulla specificare, in ultima analisi, circa la forma della domanda stessa, ferme restando, beninteso, le sole eccezioni tassativamente precisate nel successivo co. 4.

Alla luce delle considerazioni che precedono non si vede, pertanto, su quali basi possa predicarsi l’esclusione dell’esperimento della procedura di mediazione, in ordine alle materie in cui la stessa è prevista alla stregua di condizione di procedibilità della domanda giudiziale, per la sola circostanza che, nel caso concreto, la stessa sia proposta nelle forme di cui all’art. 702 – bis c.p.c.

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Mediazione-obbligatoria

Tribunale di Avezzano, ordinanza 29 ottobre 2014.

Commento

Il Tribunale di Avezzano, con l’ordinanza in commento, afferma che il decreto di omologa del verbale di conciliazione, titolo esecutivo alla stregua di quanto disposto dall’art. 12, D.lgs 28/2010, non richiede l’apposizione della formula esecutiva.

Nel caso di specie, l’istanza di sospensione del precetto formulata dalla parte opponente ai sensi dell’art. 615, co. 1, c.p.c., veniva a fondarsi, in buona sostanza, sull’asserita inidoneità del solo decreto presidenziale a costituire titolo sufficiente ai fini dell’avvio della procedura esecutiva, in carenza, per l’appunto, della formula esecutiva.

Il Tribunale, aderendo peraltro ad autorevole e consolidata dottrina, opina invece in senso contrario, muovendo dall’assunto secondo il quale la legge ha inteso indicare espressamente le ipotesi in cui detto ulteriore adempimento formale risulta rivestito dai crismi dell’indispensabilità, con la conseguenza che, nel silenzio del legislatore sul punto, il solo decreto di omologa del verbale di conciliazione deve considerarsi sufficiente per intraprendere la procedura di esecuzione.

In sintesi, il Giudice opera una ricostruzione basata sull’interpretazione sistematica degli artt. 474 e 475 c.p.c., da cui emerge come quest’ultima disposizione, in particolare, mira a disciplinare espressamente le ipotesi nelle quali è richiesta la specifica (e preventiva) apposizione della formula esecutiva.

In altri termini, l’art. 475 c.p.c non ha, come appare condivisibile a chi scrive, la funzione di richiamare integralmente l’ampio genus di atti (nel quale rientra senz’altro il decreto di omologa in parola) cui la legge attribuisce efficacia esecutiva, ma quella ben diversa di “isolare”, per così dire, all’interno della tipologia generale, quelle singole ipotesi per le quali l’adempimento in esame si pone come necessario.

Ne deriva, quindi, che, con riferimento specifico al decreto presidenziale di omologa del verbale di conciliazione, l’apposizione della formula esecutiva deve ritenersi adempimento non indispensabile.

Testo integrale

N. 904/2014 R.G.

Tribunale ordinario di Avezzano

Il Giudice;

Letti gli atti ed in particolare l’istanza di sospensione del precetto formulata ai sensi dell’art 615 comma 1° c.p.c. da parte attrice opponente; sentite le parti, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 29 ottobre 2014;

Premesso che la controversia che ci occupa ha ad oggetto l’opposizione (da qualificarsi correttamente come opposizione all’esecuzione ex art 615 comma 1° c.p.c.) avverso l’atto di precetto notificato al xxxxxxx xxxxx e fondato sul decreto di omologa del verbale di conciliazione ai sensi dell’art 12 D.Lvo 28/2010; che a fondamento della domanda veniva dedotta in buona sostanza l’inidoneità del solo decreto presidenziale a costituire, in assenza della formula esecutiva, titolo sufficiente ai fini dell’inizio della procedura esecutiva; che, inoltre, parte attrice deduceva il difetto della procura alle liti in quanto apposta soltanto in calce all’istanza di omologa del verbale di conciliazione, mentre nel merito, venivano contestate alcune voci (ovvero nello specifico, “variazioni in aumento” o costo della mediazione corrisposta invece dal legale rappresentante della stessa ditta attrice);

Considerato che costituendosi in giudizio la convenuta eccepiva l’incompetenza per valore del giudice adito in favore dell’ufficio del Giudice di Pace di Avezzano;

Rilevato che la giurisprudenza di legittimità (cfr Cass Civ 1372/2000) e di merito, eccetto isolati casi, ha sostenuto che poiché l’inizio della procedura esecutiva si ha con il pignoramento, avendo il precetto la sola funzione di preannunciare il soddisfacimento coatto dell’azionata pretesa, è da considerarsi tamquam non esset il provvedimento di sospensione emanato prima dell’inizio dell’esecuzione;

Considerato che questa soluzione esegetica è stata avvalorata anche dalla giurisprudenza costituzionale avendo la Consulta dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt 615, 623, 624 cpc nella parte in cui, secondo l’interpretazione consolidata, non consentivano la sospensione dell’esecuzione sulla scorta del solo atto di precetto (cfr Corte Costa n. 234/92)

Rilevato tuttavia che con l’entrata in vigore della L. 80/2005 è stata espressamente prevista la possibilità di procedere alla sospensione del precetto ricorrendo gravi motivi;

Considerato che il decreto di omologa del verbale di conciliazione secondo il disposto di cui all’art 12 d.lvo 28/2010 deve intendersi alla stregua di titolo esecutivo; che non risulta pertanto a tal fine indispensabile l’apposizione della formula esecutiva e che tale interpretazione, peraltro suffragata da autorevole dottrina, trae convincimento dall’assunto secondo cui il legislatore ha espressamente indicato i casi in cui è indispensabile tale ulteriore adempimento formale; che, pertanto, va da sé come nel silenzio della legge il solo decreto di omologa possa essere sufficiente per intraprendere la procedura esecutiva; che tale soluzione risulta ulteriormente rafforzata dalla lettura sistematica degli artt 474 e 475 c.p.c.; che, in particolare, tale ultima norma espressamente disciplina le ipotesi residuali in presenza delle quali è richiesta la specifica e preventiva apposizione della formula esecutiva; che dalla circostanza che l’art 475 c.p.c. non richiami la categoria degli atti ai quali la legge attribuisce una specifica efficacia esecutiva deve ritenersi che per il provvedimento di omologa della conciliazione che rientra all’interno di tale ampio genus, non sia necessaria la formula esecutiva; che allo stesso tempo non soddisfano il requisito dei gravi motivi neppure gli altri profili di doglianza in quanto la procura ad litem risulta effettivamente e validamente apposta in calce dell’istanza di omologa ex art 12 e risulta conferita anche per la fase esecutiva e le argomentazioni in punto di merito appaiono, perlomeno allo stato, sfornite di adeguato riscontro probatorio; che, a titolo meramente esemplificativo, è sufficiente considerare che l’inserimento nell’atto di precetto della voce “compenso mediazione” vuole chiaramente alludere alle spettanze maturate dal procuratore della parte per l’attività di assistenza della stessa nella fase stragiudiziale e non di certo, e come di contro ha inteso significare l’attrice, ad un’indebita ripetizione di somme già corrisposte;

Considerato che, esaminando invece la posizione assunta in subiecta materia dalla dottrina, deve osservarsi che la natura cautelare di detta istanza di sospensione comporta che i “gravi motivi”, richiesti dall’art. 615 c.p.c. ai fini del relativo accoglimento, debbano essere individuati nei requisiti propri dell’azione cautelare (fumus boni juris e periculum in mora), con conseguente necessità, da parte del giudice, di valutare sia la presumibile fondatezza delle ragioni dell’opposizione e sia la irreparabilità del pregiudizio che potrebbe derivare all’opponente dal compimento degli atti esecutivi, e di privilegiare, nella comparazione dei contrapposti interessi delle parti, quello del creditore procedente, poiché questi, se dovesse essergli inibita l’esecuzione, “correrebbe il rischio che il soggetto intimato possa rendersi impossidente”

Rilevato che, come già anticipato, la convenuta all’atto della costituzione in giudizio ha tempestivamente sollevato il difetto di competenza per valore del Tribunale adito in favore dell’ufficio del Giudice di Pace; che tale circostanza non appare idonea a riverberare alcuna conseguenza significativa ai fini dell’accoglimento dell’istanza di sospensione posto che la pendenza di una questione in punto di competenza non consente di paralizzare l’esecuzione fondata su un titolo allo stato pienamente legittimo;

Visto l’art 615 comma 1 c.p.c.

P.Q.M

Rigetta l’istanza di sospensione;

Lette le richieste delle parti;

Ritenuto di dover comunque fissare la precisazione delle conclusioni sulla questione pregiudiziale dell’incompetenza per valore;

PQM

rinvia la causa all’udienza del 28 gennaio 2015 per la precisazione delle conclusioni sulla predetta eccezione;

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di rito.

Avezzano, 29 ottobre 2014

IL GIUDICE

(Andrea DELL’ORSO)

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Mediazione civile: l’obbligo di informativa dell’avvocato

L’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010 dispone che “All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Tale disposizione attua quanto previsto nell’art. 60, co. 3, lett. h), della legge delega n. 69/2009, disposizione ispirata, a sua volta, dall’indicazione di cui al n. 25 della Direttiva 2008/52/CE.

Si tratta, dunque, di un’informativa obbligatoria posta a carico degli avvocati, già contemplata nell’originario testo del D.lgs 28/2010 ed a fortiori riconfermata in virtù della previsione legislativa relativa alla necessaria assistenza dell’avvocato in mediazione.

A tale proposito, sembra opportuno sottolineare come debba trattarsi di un’informativa piena e completa, non soltanto, cioè, relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione o al fatto che, nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, essa costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nonché alle correlate agevolazioni fiscali previste dalla legge. Dovranno essere illustrate, altresì, anche (e soprattutto) le caratteristiche del procedimento, a partire – dunque – dalle finalità e dalle modalità del primo incontro.

Informativa piena e completa, si diceva poc’anzi, anche con riguardo alle modalità esplicative in essa contenute: non sarà, ad esempio, sufficiente un mero richiamo alle disposizioni contenute nel D.lgs 28/2010, che risulterebbero ovviamente ben poco comprensibili da parte del cliente, la cui attenzione dovrà invece essere concretamente richiamata sulle caratteristiche e sui vantaggi, oltre che sugli oneri, ricollegati all’istituto della mediazione e al relativo procedimento. Occorrerà, pertanto, un apposito documento che chiaramente illustri gli scopi, il funzionamento, le regole e gli oneri della mediazione.

D’altra parte, già l’art. 40 del Codice deontologico forense prevede l’obbligo, per gli avvocati, di informare i propri assistiti “…all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività espletate, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili”.

Ora, evidentemente, tale obbligo di informativa si estende, a seguito del D.lgs 28/2010, al procedimento di mediazione.

Naturalmente, l’obbligo di cui sopra dovrà essere assolto tanto dall’avvocato della parte istante, quanto da quello della parte chiamata.

Certamente, l’obbligo nasce al momento del conferimento dell’incarico. Pur coincidendo, di fatto, detto momento con quello del conferimento della procura alle liti, appare chiaro come l’allegazione dell’informativa non possa considerarsi effettuata ove meramente inserita nella procura medesima.

Si tratta, infatti, di due atti ben distinti e separati, come peraltro già affermato in giurisprudenza a partire da Trib. Varese, ordinanza 6 maggio 2011, in cui si afferma che “…ai sensi dell’art. 4, comma III, cit., “il documento che contiene l’informazione e’ sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio”: è, dunque, chiaro che deve trattarsi di un atto distinto e individuabile, firmato dal cliente separatamente dagli altri documenti e “allegato” al fascicolo”.

L’informativa, pertanto, esplicita e completa dell’indicazione delle caratteristiche del procedimento di mediazione, dovrà essere contenuta in un atto a sé stante che risulti, ovviamente, sottoscritto dall’assistito.

Sulla base delle valutazioni fin qui svolte, non può sottacersi, ad avviso di chi scrive, il fatto che alla disposizione in esame debba essere attribuita una forte valenza “incentivante”, finalizzata, cioè, a favorire un progressivo incremento della conoscenza della “opportunità mediazione” presso il pubblico, ineludibile premessa allo sviluppo di una reale cultura della mediazione in Italia.

Ciò evidentemente implica che il più ampio rilievo alle potenzialità dell’informativa dovrebbe attribuirsi alle ipotesi in cui la legge non dispone obbligatoriamente la mediazione, nelle quali, tuttavia, la parte, se adeguatamente informata in primis dell’esistenza, ed a seguire dei vantaggi dell’opportunità in parola, ben potrebbe essere “invogliata” ad intraprendere una strada diversa rispetto a quella tradizionale rappresentata dalla scelta di adire direttamente il giudice.

Nell’ottica di una siffatta concezione estensiva, non potrebbe allora escludersi pregiudizialmente l’ipotesi che, anche nelle materie di cui all’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, la parte interessata possa valutare se intraprendere volontariamente il procedimento di mediazione.

Si tratta, come è noto, di procedimenti relativamente ai quali il legislatore – sulla base di una asserita incompatibilità con la mediazione – ha previsto l’inapplicabilità dei co. 1 – bis e 2 del medesimo art. 5. In particolare, la disposizione in parola prevede che la mediazione non sia condizione di procedibilità dell’azione:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell’azione civile esercitata nel processo penale”.

Ebbene, senza che suoni come un paradosso, anche in queste ipotesi, in cui l’obbligatorietà è (ben comprensibilmente) esclusa, una capillare informazione e, quindi, una piena comprensione delle agevolazione e dei vantaggi economici e temporali della mediazione potrebbe portare, un domani, a scelte sorprendenti, ispirate ad una diversa cultura. E proprio l’avvocato risulterebbe, in queste come in ogni altra ipotesi di mediazione “volontaria”, attraverso un utilizzo scrupoloso e, se così si può dire, “valutativo” dell’informativa alla quale è normativamente tenuto nei confronti del cliente, il soggetto ispiratore della eventuale scelta in favore del tentativo di composizione stragiudiziale della lite.

D’altra parte, già oltre quattro anni or sono, proprio in relazione ad un caso di specie rientrante nel novero di quelli richiamati dall’art. 5, co. 4, (ricorso per decreto ingiuntivo) il Tribunale di Varese, decreto 30 giugno 2010, ebbe a precisare che, pur essendo esclusa la mediazione, sia ante causam sia delegata, nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, “…ciò nondimeno correttamente il difensore ha provveduto alla informativa: come questo Tribunale ha già dichiarato (v. Trib. Varese, sez. I, ordinanza 9 aprile 2010) l’obbligo informativo di cui all’art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi sussistente se la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui è possibile (in concreto, perché prevista) l’attività (facoltativa, obbligatoria o su impulso giudiziale) dei mediatori.

Nel caso di specie, già prima del monitorio, pur essendo esclusa la mediazione obbligatoria e quella su impulso giudiziale, è, però, possibile il ricorso alla mediazione cd. Facoltativa e la parte deve esserne messa a conoscenza; inoltre e, comunque, il cliente deve essere avvisato della rilevanza che potrà avere il decreto 28/2010 in prosieguo di giudizio, atteso che la “sospensione” dei commi 1 e 2 dell’art. 5 cessa nel momento in cui il giudice scioglie la sua decisione sulla provvisoria esecuzione”.

Di conseguenza, l’obbligo informativo di cui all’art. 4, co. 3, D.lgs. 28/2010 sembra doversi ritenere sussistente ogniqualvolta la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui risulti possibile (in concreto, perché prevista) l’attività (facoltativa, obbligatoria o su impulso giudiziale) di mediazione.

Occorre a questo punto valutare quali siano le conseguenze che la vigente normativa prevede per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di informativa in commento.

Il legislatore ha inteso considerare una duplice casistica.

In primo luogo, l’omessa informazione all’assistito. In tal caso, a norma dell’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, si determina l’annullabilità del contratto tra avvocato e cliente.

Ben diversa è invece l’ipotesi in cui il documento contenente l’informativa non risulti allegato all’atto introduttivo del giudizio (ovvero, beninteso, alla comparsa di risposta).

Sul punto, il medesimo art. 4, co. 3, all’ultimo periodo prevede che “il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

La disposizione in parola impone, evidentemente, in virtù del richiamo all’art. 5, co. 1 – bis, una netta distinzione tra mediazione obbligatoria e facoltativa.

Nel primo caso, appare evidente che ove alla mancata allegazione si accompagni il mancato esperimento della mediazione, il giudice non potrà che assegnare alle parti il termine di 15 giorni per presentare l’istanza di mediazione presso un organismo territorialmente competente, fissando altresì udienza successivamente allo spirare del termine (tre mesi) di cui all’art. 6, co. 1.

Ove invece il tentativo di mediazione risulti de facto esperito – pur senza allegazione dell’informativa – quest’ultima circostanza non potrà assumere – ovviamente – rilevanza alcuna.

Qualora si tratti, invece, di mediazione facoltativa, il giudice, a seguito dell’accertamento della mancata allegazione dell’informativa, dovrà provvedere egli stesso a rendere le parti edotte circa la facoltà in parola, eventualmente disponendone la comparizione personale.

mediazione obbligatoria conciliazione

Effettività della mediazione delegata. Necessità di idonei poteri di rappresentanza

Tribunale di Cassino: ordinanza 8 ottobre 2014

Commento

Ordinanza del Tribunale di Cassino con la quale, oltre alla (ri)affermazione del principio di “effettività” della mediazione, si mette a fuoco il problema della legittimazione di coloro i quali rappresentino le parti nell’ipotesi in cui le stesse non partecipino personalmente al procedimento.

Nel caso di specie, il Giudice rigetta l’istanza di concessione della clausola di provvisoria esecuzione  del decreto ingiuntivo oggetto di opposizione e, ritenendo la causa comunque non di pronta soluzione, necessitante cioè di adeguata istruttoria in virtù di una opposizione a sua volta fondata su prova scritta, risultando non ancora esperito il tentativo di mediazione, ai sensi dell’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010,  assegna alle parti il previsto termine di 15 gg. per l’avvio del tentativo medesimo presso un organismo territorialmente competente.

Il Giudice avvisa espressamente le parti del fatto che un eventuale verbale negativo in assenza di partecipazione personale delle stesse sarà ritenuto improduttivo di effetti giuridici (vale a dire non risulterà idoneo al soddisfacimento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale), aderendo, quindi, a quella giurisprudenza secondo la quale ove le parti si limitino a comparire innanzi al mediatore senza aderire alla proposta di quest’ultimo di procedere al tentativo, di “mediazione” in senso tecnico non si può proprio parlare (Cfr., ex multis, Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014, Trib Bologna, ord. 5 giugno 2014, Trib. Roma, ord. 30 giugno 2014)

Naturalmente, se è vero, da un lato, che su cosa debba intendersi per “mediazione” non possono sussistere dubbi, in ragione della definizione fornitaci dall’art. 1, co. 1, lett. a) del medesimo D.lgs 28/2010, secondo cui si tratta della “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”, dall’altro, ove si tratti di persone giuridiche (come nel caso di specie) ovvero, in casi che dovrebbero essere eccezionali, anche di persone fisiche, è anche vero che non sempre le parti potranno partecipare “fisicamente” all’incontro con il mediatore. Il Tribunale, con riferimento a detta ipotesi, sottolinea come i legali rappresentanti delle persone giuridiche debbano essere muniti degli idonei poteri, altrimenti la parte sarà considerata non partecipante al procedimento con le conseguenti sanzioni tanto a favore dell’Erario quanto di controparte (chiaro, in quest’ultimo caso, il riferimento all’applicabilità dell’art. 96, co. 3, c.p.c.).

Nei casi di rappresentanza delle parti in mediazione, occorre quindi porsi in concreto il problema della legittimazione del rappresentante. In questa sede basti rammentare che la rappresentanza in esame ha natura negoziale e non processuale, e quindi il rappresentato dovrà conferire adeguata procura ad negotia che autorizzi il rappresentante ad agire in nome e per conto, con idonea puntualizzazione dei poteri e dei limiti. In sostanza, in mediazione, il mediatore e l’altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilità conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di là delle posizioni iniziali. Per queste ragioni, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sembra in grado di fornire le necessarie garanzie in ordine alla sua utilizzabilità nei confronti di terzi.

Testo (estratto)

TRIBUNALE ORDINARIO DI CASSINO

ORDINANZA

Il Giudice, lette le richieste ed allegazioni delle parti;

Rilevato che allo stato non sussistono sufficienti elementi a conforto del provvedimento interdittale opposto, fondato su documenti inidonei, in presenza dell’opposizione, a rendere esecutivo il decreto ingiuntivo de quo;

Che, stante l’articolata opposizione, peraltro fondata in parte su prova scritta, la causa deve ritenersi comunque non di pronta soluzione e necessiterà di adeguata istruzione probatoria,

 P.Q.M.

Rigetta l’istanza di concessione della clausola di provvisoria esecuzione del decreto opposto;

Visto il D.lgs 28/2010 e le successive integrazioni e le attuali modifiche legislative, dichiara improcedibile, allo stato, il presente giudizio di opposizione;

Concede termine, alle parti, di giorni quindici per la presentazione dell’apposita istanza presso Organismo di mediazione costituito nel circondario del Tribunale di Cassino, a decorrere dal giorno 03 novembre 2014;

Avvisa le parti che il verbale di mediazione con esito negativo, senza la partecipazione delle parti personalmente (nella specie i legali rappr.ti delle persone giuridiche muniti degli idonei poteri) o tramite procuratori speciali ad hoc o che comunque abbiano dichiarato di non aderire al procedimento, sarà nell’un caso ritenuto improduttivo di effetti giuridici e nell’altro caso produttivo di sanzioni, a favore dell’Erario e dell’altra parte, come previsto dalla legge;

Nella denegata ipotesi di mancato accordo, ove non sia dipeso da comportamenti sleali delle parti, fissa nuova udienza per il prosieguo al 09 giugno 2015, h.12,00.

Manda alla Cancelleria per la comunicazione alle parti, il riordino del fascicolo cartaceo e l’aggiornamento dei dati telematici.

Cassino, 08/10/2014

Il Giudice 

Dott. Filippo Giuseppe Capuzzi

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