Commissione Europea: nulla osta alla obbligatorietà della mediazione ed alle sanzioni per la mancata adesione
La Commissione Europea, tramite il proprio servizio giuridico, ha presentato le osservazioni scritte alla Corte di giustizia, chiamata a esprimersi sulla causa C-492/11. Si tratta della ormai ”celebre” istanza di pronuncia pregiudiziale proposta, ex art. 267 TFUE, dal Giudice di Pace di Mercato San Severino in relazione ad una controversia in materia assicurativa e pertanto assoggettata, all’epoca dei fatti, al previo esperimento della mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Muovendo dalle problematiche inerenti ai profili sanzionatori, la Commissione ritiene, in via generale, che le sanzioni previste dal D. lgs n. 28/2010 per l’ipotesi della mancata partecipazione al procedimento di mediazione, senza giustificato motivo, debbano considerarsi NON ostative rispetto all’accesso alla giustizia e, pertanto, del tutto da condividersi.
Sottolinea infatti il documento come “non osta ad una normativa nazionale come quella oggetto della presente causa che prevede che la parte che ingiustificatamente non partecipa al procedimento di mediazione sia sanzionata con la possibilità per il giudice successivamente investito della controversia di desumere argomenti di prova dalla mancata partecipazione e con la condanna al pagamento di una somma corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. Tali sanzioni, non risultano tali da ostacolare o rendere particolarmente difficile l’accesso al giudice”.
Diversa la situazione per quanto concerne le sanzioni derivanti dalla mancata accettazione della eventuale proposta formulata dal mediatore che, nell’ipotesi di mediazione obbligatoria, vengono considerate dalla Commissione come effettivamente limitative dell’accesso alla giustizia. Si rileva, infatti, come “un sistema di mediazione quale quello istituito dal D.lgs. 28/2010, il quale prevede che il mediatore possa e a volte debba, senza che le parti possano opporvisi, (qui stranamente la Commissione non considera che il mediatore deve fare la proposta solo ove le parti gliene fanno concorde richiesta, ex art. 11, co. 1, D. lgs n. 28/2010, n. d. a.) formulare una proposta di conciliazione che le parti sono indotte ad accettare per evitare di incorrere in determinate sanzioni economiche, non é in grado di consentire alle parti di esercitare il diritto di decidere liberamente quando chiudere il procedimento di mediazione e pertanto non appare in linea con la ricerca consensuale dell’accordo di mediazione”, osservando inoltre che ”effettivamente tale meccanismo appare in grado di produrre un forte condizionamento delle scelte delle parti che sono spinte ad acconsentire alla mediazione (mettersi d’accordo amichevolmente o accettare la proposta del mediatore) e di conseguenza sono scoraggiate dall’introduzione del processo in sede giudiziaria. Tuttavia, nel caso in cui tale meccanismo opera nell’ambito della mediazione di tipo facoltativo, il condizionamento da esso prodotto non appare tale da incidere sull’esercizio del diritto d’accesso al giudice. Nelle ipotesi di mediazione facoltativa, infatti, sussiste sempre la possibilità per le parti di adire direttamente il giudice”.
Per quanto riguarda il punto cruciale della obbligatorietà del tentativo di mediazione, da espletarsi nel termine di quattro mesi, per la Commissione nulla da eccepire: “non osta, in linea di principio, ad una normativa nazionale come quella oggetto della presente causa che prevede per l’esperimento della mediazione obbligatoria un termine di quattro mesi che in determinate circostanze sia destinato ad aumentare. Questa misura non appare tale da comportare un ritardo nell’introduzione e nella definizione di un successivo giudizio che possa essere tale da risultare manifestamente sproporzionato rispetto all’obiettivo di garantire una composizione più rapida delle controversie. Spetta, tuttavia, al giudice nazionale stabilire caso per caso se il ritardo che l’esperimento della mediazione obbligatoria comporta rispetto al diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva non sia tale da comportare una compressione dì questo diritto suscettibile di ledere la sostanza stessa del diritto”.
In particolare, la Commissione osserva che “l’art. 5, comma 2, della direttiva 2008/52/CE fa salva la legislazione nazionale che rende il ricorso alla mediazione obbligatorio oppure soggetto a incentivi o sanzione, sia prima che dopo l’inizio del procedimento giudiziario, purché tale legislazione non impedisca alle parti di esercitare il diritto di accesso al sistema giudiziario”. Inoltre sottolinea che “riguardo alla mediazione obbligatoria, la Commissione ritiene che valgano le stesse considerazioni in quanto, come il tentativo obbligatorio di conciliazione extragiudiziale, anch’essa persegue lo scopo di ridurre i tempi processuali per la risoluzione delle controversie e quello di far diminuire quantitativamente il contenzioso giudiziario, migliorando indirettamente l’efficienza dell’amministrazione pubblica. In questo modo, la mediazione obbligatoria, pur ponendosi come misura restrittiva rispetto all’accesso al giudice, è giustificata dal fatto che essa realizza legittimi obiettivi d’interesse generale, tra cui quello della composizione più rapida delle controversie, che é fissato specificatamente nell’interesse delle parti. La mediazione obbligatoria appare pertanto come una misura idonea e non manifestamente sproporzionata a perseguire i suddetti obiettivi”.
Per quanto concerne infine le valutazioni in ordine all’onerosità della mediazione, occorre rilevare come la Commissione non abbia ritenuto di censurare a priori tale aspetto, ma abbia inteso demandare alla valutazione effettuata volta per volta dal giudice nazionale se il peso economico della mediazione possa in concreto ritenersi eccessivamente oneroso rispetto alle possibili alternative.
In ogni caso, in ordine al profilo da ultimo considerato, non sembra potersi prescindere dai rilievi che seguono:
1) Costi di mediazione puramente simbolici, o addirittura un regime di gratuità, non sarebbero confacenti al principio,posto dalla Direttiva, in base al quale gli Stati sono tenuti a garantire la qualità del servizio.
2) Una comparazione effettuata sic et simpliciter tra costi di mediazione e ammontare del contributo unificato non è realistica perché non tiene conto della circostanza per cui in giudizio devono essere considerate le spese per l’onorario dell’avvocato e per l’eventuale CTU.
3) Inoltre la Commissione, con riferimento alle spese di mediazione, sembra considerare soltanto le tabelle e i criteri di cui al DM n. 180/2010, senza tener conto delle modifiche arrecate in tale ambito dal DM n. 145/2011 che, come è noto, ha ridotto ulteriormente le indennità e introdotto i tetti massimi (e non minimi).