Tempi di giustizia: misure acceleratorie in vista?
Interessanti novità emergono, con riferimento alla tematica del contenimento dei tempi di giustizia, dalla bozza del decreto relativo a ”Misure urgenti per il riordino degli incentivi, la crescita e lo sviluppo sostenibile”, che sarà all’esame del Consiglio dei Ministri verosimilmente nel corso della settimana entrante.
In sintesi, due appaiono gli interventi allo studio di maggior impatto:
1) La previsione di un termine di durata massima del processo fissato in 6 anni (3 anni per il primo grado, 2 per il secondo e 1 per il giudizio di Cassazione); tali termini rileverebbero dunque per il riconoscimento dell’equo compenso derivante dall’eccesiva durata del processo. L’entità dell’indennizzo sarebbe determinata dal giudice, in misura non inferiore a 500 euro e non superiore a 1500 per ciascun anno o frazione di anno, purchè superiore a sei mesi, che ecceda il termine di ragionevole durata; peraltro, il giudice potrebbe condannare al versamento di una somma a favore della cassa delle ammende non inferiore a 1000 € e non superiore a 10000 € nel caso in cui la domanda di accesso all’indennizzo risultasse inammissibile o manifestamente infondata.
2) Inoltre, la previsione di un vero e proprio filtro in appello, in base al quale il giudice dello stesso potrebbe dichiarare inammissibile l’impugnazione per la quale non ravvisi una ragionevole probabilità di accoglimento: come si vede, una autentica ”prognosi”, in ordine all’accoglibilità dell’appello. La pronuncia del giudice sarebbe comunque ricorribile in Cassazione, sia pure nei limiti dei motivi specifici dedotti in appello, e l’innovazione non opererebbe nelle cause in cui è previsto l’intervento obbligatorio del P.M. e, ovviamente, nell’ambito dei processi sommari di cognizione ex artt. 702-bis segg. c.p.c.