10 Novembre
Redazione
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Commento:
Si riapre la querelle relativa alla vexata quaestio delle conseguenze della omessa mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Come è noto, l’art. 5, co. 2 bis, D. lgs 28/2010 prevede che “… il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
Va altresì rammentato che, a norma del co. 4 del medesimo art. 5, i commi 1 bis e 2, vale a dire quelli che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “ ...nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.
Il legislatore ha evidentemente ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità risulta contingentato dall’art. 641 c.p.c.
In conseguenza di quanto premesso, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione diviene possibile solo quando sia stata proposta opposizione, e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.
Ora, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. 2, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la improcedibilità della domanda giudiziale, è assai discusso in dottrina e giurisprudenza chi abbia l’onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in caso di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.
Nella giurisprudenza sul punto, due sono gli orientamenti che si contrappongono.
Secondo un primo indirizzo, che valorizza la consolidata giurisprudenza circa l’oggetto del giudizio di opposizione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.
Il ricorrente opposto, formalmente convenuto nel relativo giudizio, è da considerarsi attore sotto il profilo sostanziale, mentre l’opponente, che formalmente ha agito, sempre sotto il profilo sostanziale deve ritenersi convenuto.
Pertanto l’opposto, titolare della pretesa sostanziale azionata, divenuta oggetto del giudizio di opposizione, avrà l’onere di promuovere il tentativo di mediazione, subendo, in mancanza, la declaratoria di improcedibilità della domanda, che implicherebbe il venir meno della pretesa sostanziale proposta in via monitoria.
Alla base di una siffatta ricostruzione si pone la ricorrente considerazione secondo cui, diversamente opinando, si finirebbe con il produrre un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore (cfr., ex multis, Trib. Varese, 18 maggio 2012, est. Buffone).
Secondo un diverso orientamento, invece, muovendo da una lato da una asserita scarsa chiarezza obbiettiva delle espressioni letterali utilizzate dal legislatore e dall’altro dall’intento di valorizzare la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, si è sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del decreto opposto (cfr., ad es., Trib. Prato, 18 luglio 2011, est. Iannone; o, più recentemente, Trib. Rimini, 5 agosto 2014 est. Bernardi).
Nel caso di specie, secondo il Tribunale di Firenze, “...pur consapevole della obbiettiva controvertibilità della questione...”, va privilegiata la seconda tesi, in quanto unica tale da armonizzarsi con i principi generali in materia di inattività delle parti, dato che, in fondo, la mancata attivazione della mediazione altro non sarebbe che una forma qualificata di inattività delle parti, avendo le stesse omesso di dare attuazione ad un ordine del giudice.
Ciò premesso, il Giudice osserva che l’inattività delle parti di regola produce l’estinzione del processo e che, se è vero che l’art. 310 c.p.c. prevede che “l’estinzione del processo non estingue l’azione”, è anche vero che detta regola non può valere con riferimento all’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
L’art. 653, co. 1, c.p.c., dispone infatti che, nella ipotesi in esame, “Il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva”.
Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l’estinzione del giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l’incontrovertibilità propria del giudicato (cfr. Corte Cassaz,. n. 4294/2004). Non sarà pertanto possibile riproporre l’opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr. Corte Cassaz. 15178/2000).
Evidente l’analogia di ratio e di disciplina tra l’estinzione dell’opposizione a decreto ingiuntivo e quella del processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui “…l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”).
Conseguentemente, dall’omessa mediazione deriverà l’improcedibilità del giudizio di opposizione, l’estinzione del medesimo ed il successivo passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto.
Non sembra possano esservi dubbi sul fatto che la questione tornerà presto al centro del dibattito….attendiamo fiduciosi!
Testo integrale:
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Terza sezione CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandro Ghelardini
pronuncia la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. (…omissis…)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
La A———— ha proposto opposizione avanti alla sezione distaccata di Empoli avverso il D.I., emesso in quella sede, n. —– R.I., con il quale le è stato ingiunto il pagamento in favore della B—— dell’importo di € 22.003,59, oltre interessi legali ex D. Lgs. 231/02 e spese, a titolo di corrispettivo per fornitura di merce (truciolo per cavalli).
A sostegno della opposizione la stessa ha eccepito, in rito, la incompetenza per territorio di questo Ufficio, per essere competente il Tribunale di Milano in applicazione degli artt. 19 e 20 c.p.c., e, nel merito, il grave inadempimento della parte opposta, per avere la medesima cessato arbitrariamente ogni fornitura dopo la prima consegna di materiale.
La A—–, pertanto, ha chiesto la revoca del D.I. nonché, in via riconvenzionale, disporsi la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento di B——; con il favore delle spese. Quest’ultima si costituita in giudizio, resistendo alla opposizione ed alla domanda riconvenzionale, evidenziandone l’infondatezza. Assumendo la temerarietà dell’opposizione, la stessa ha quindi chiesto la condanna di parte opponente per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., oltre la condanna alle spese. Con ordinanza 13.7.10 l’ufficio ha concesso la provvisoria esecuzione del D.I.
La causa stata istruita su base documentale, con l’interrogatorio formale del legale rappresentante della convenuta opposta, cui lo stesso non si è presentato, con prova per testi e mediante ordine di esibizione documentale.
A seguito della soppressione della sede distaccata di Empoli il processo è stato trattato in sede centrale ed assegnato a questo giudice (cfr provv. Presidenziale 6.11.2013). Con decreto 13.1.2014, comunicato via PEC in pari data, questo Giudice ha fissato udienza all’8.7.2014 per la prosecuzione del processo avanti a s?? e la precisazione delle conclusioni, ed ha disposto la mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, II co. D. Lgs. N. 28/10, così come novellato dal D.L. n. 69/13 conv. con modif. dalla L. n. 98/2013, assegnando all’uopo termine di gg 15 per la proposizione della relativa istanza.
All’udienza suddetta il difensore di parte opponente ha chiesto la remissione in termini per introdurre la mediazione, in quanto per un disguido, costituito dalla mancata lettura dell’allegato alla comunicazione di cancelleria contenente la copia del provvedimento 13.1.2014, la parte non aveva appreso della mediazione delegata. Respinta l’istanza di remissione in termini, stata quindi rilevata d’ufficio la improcedibilità della domanda e le parti, autorizzate, hanno depositato note difensive sul punto.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza 30.9.2014 sulle conclusioni precisate dalle parti come da rispettivi atti introduttivi.
Non sono stati concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c., per avervi le parti rinunciato.
1.Questione di competenza.
La questione è inammissibile.
Il Tribunale condivide quel consolidato orientamento della S.C. secondo cui “In tema di competenza territoriale derogabile, per la quale sussistano più criteri concorrenti (nella specie, quelli indicati negli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ., trattandosi di causa relativa a diritti di obbligazione), grava sul convenuto che eccepisca l’ incompetenza del giudice adito (trattandosi di eccezione in senso proprio) l’onere di contestare specificamente l’applicabilità di ciascuno dei suddetti criteri e di fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a sostegno di tale contestazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale contestazione e di detta prova, l’ eccezione deve essere rigettata, restando, per l’effetto, definitivamente fissato il collegamento indicato dall’attore, con correlativa competenza del giudice adito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15996 del 21/07/2011; N. 14236 del 1999).
Nella fattispecie parte opponente, convenuta in senso sostanziale, ha eccepito la incompetenza per territorio esclusivamente con riferimento al foro generale del convenuto (art. 19 c.p.c) evidenziando di avere sede in Milano, ed al luogo ove l’obbligazione avrebbe dovuto essere eseguita (Milano, attuale sede della creditrice).
Nulla è invece detto circa il luogo in cui la pretesa di pagamento azionata è sorta.
Tale omissione rende pertanto irrituale l’eccezione, con conseguente conferma della competenza di questo giudice.
Ad abundantiam si osserva che la competenza si radicherebbe presso questo ufficio ai sensi degli artt. 1182, III co., c.c. e 20 c.p.c.
Il decreto ingiuntivo è infatti fondato su fatture relative a forniture eseguite sino al marzo 2009, epoca in cui la B——– ha trasferito la propria sede legale da STABBIA (FI), località rientrante nel territorio di questo Circondario, a Milano.
Poiché la stragrande maggioranza del credito era diventata esigibile prima del trasferimento della sede sociale, ne segue che correttamente il D.I. è stato richiesto presso questo Tribunale, posto che “l’obbligazione che ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al momento della scadenza”.
Il tutto senza considerare che non è mai stata contestata l’affermazione secondo cui il contratto di fornitura è stato concluso a Stabbia (FI).
2) Il mancato esperimento della mediazione delegata
Premesso che è pacifico il mancato esperimento nel termine assegnato del procedimento di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, II co. D. Lgs 28/2010 e s.m.i., deve valutarsi in questa sede la conseguenza di tale omissione, avuto riguardo alla particolare natura del giudizio qui instaurato (opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 645 e ss c.p.c., con proposizione di domanda riconvenzionale e con riconventio riconventionis ai sensi dell’art. 96 c.p.c. della parte opposta).
La disposizione citata prevede che “… il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
Il comma 4 della medesima disposizione prescrive inoltre che i commi 1 bis e 2, e cioè quelli che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “ nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione” (lett. a).
Ad avviso del giudicante con tale disposizione si è inteso escludere sia che la proposizione del ricorso monitorio o della opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la necessaria mediazione ante causam, siano condizionate da tale incombente, sia che in tali procedimenti e nel susseguente giudizio di opposizione sino a quando siano stati adottati i provvedimenti, ritenuti evidentemente urgenti ed incompatibili con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., possa essere disposta la mediazione delegata dal giudice.
La ratio di tale disciplina è evidente. Si è cioè ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità ?? contingentato dall’art. 641 c.p.c.
Alla luce di tale disposizione ne segue che, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione possibile solo quando proposta opposizione, e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.
Ciò posto, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale”, è assai discusso in dottrina e giurisprudenza chi abbia l’onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in caso di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.
E’ evidente infatti che, in una causa ordinaria, l’interesse a promuovere la mediazione sarà sempre dell’attore, in quanto parte che mira ad ottenere sentenza di merito sulla domanda proposta.
Il convenuto potrà infatti avere interesse ad eseguire la mediazione solo laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, ovvero comunque confidi nella probabile emissione di una pronuncia di merito favorevole, come tale idonea al giudicato sostanziale ai sensi dell’art. 2909 c.c.
Negli altri casi, l’eventuale declaratoria di improcedibilità non pregiudica direttamente il convenuto, che anzi vede allontanarsi il rischio di una pronuncia di merito sfavorevole.
Controversa è invece la questione, ove la mediazione omessa attenga ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Secondo un primo indirizzo che, valorizza la consolidata giurisprudenza circa l’oggetto del giudizio di opposizione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.
Viene infatti richiamato in proposito il principio, peraltro condivisibile, secondo cui il processo di esecuzione verte sul rapporto dedotto in giudizio dal creditore e non esclusivamente sulla legittimità del D.I., e che l’onere probatorio e le relative facoltà processuali vanno valutate non avendo riguardo alla qualità formale di attore e convenuto in opposizione, bensì con riferimento alla rilevanza sostanziale della rispettiva posizione processuale (per cui il ricorrente in monitorio, formalmente convenuto in opposizione, è da considerarsi attore in senso sostanziale, mentre l’opponente è convenuto sostanziale).
Ne segue che il convenuto opposto, titolare delle pretesa creditoria azionata ed oggetto del giudizio di opposizione, sarebbe l’unico soggetto che, al di fuori dei casi di domanda riconvenzionale, propone la “domanda giudiziale” e che pertanto dovrebbe subire gli effetti della declaratoria di improcedibilità.
Tale soggetto, pertanto, concludono i fautori di tale tesi, avrà l’onere di promuovere la mediazione, subendo, in alternativa , gli effetti deteriori della relativa omissione.
Diversamente argomentando, si osserva, “vi sarebbe un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore” (Trib. Varese sentenza 18.5.2012, est. Buffone, reperibile su siti internet specializzati; analoga opzione interpretativa è stata accolta anche da questa stessa sezione del Tribunale nell’ordinanza 17.3.2014, NRG 15408/13, est. Scionti, reperibile su internet, e nella Sent. 24.9.2014, NRG 16792/13, est. Guida, inedita).
Secondo invece un diverso orientamento, che muove della ritenuta scarsa chiarezza obbiettiva delle disposizioni letterali utilizzate e che valorizza la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, è stata sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del D.I. opposto (Trib. Prato, sent. 18.7.2011, est. IANNONE; Trib. Rimini sent. 5.8.14 est. BERNARDI in sito MONDO ADR, Trib. Siena 25.6.2012, est. Caramellino).
Ad avviso di questo Giudice, pur consapevole della obbiettiva controvertibilità della questione, la tesi corretta la seconda. Essa, infatti, l’unica che si armonizza con i principi generali in materia di effetti della inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la stessa ratio deflattiva del procedimento di mediazione.
Va premesso che la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, al di là della terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all’ordine del giudice.
E’ noto che secondo la legge processuale l’inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta, di regola, l’estinzione del processo (si pensi all’inosservanza all’ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione del processo, alla mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive – artt.102, 181, 307 e 309 c.p.c.).
L’estinzione non produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche decadenza o prescrizione di natura sostanziale.
Recita, infatti, l’art. 310, I co. c.p.c. che “l’estinzione del processo non estingue l’azione”.
In buona sostanza, la parte, che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito.
Tale regola, però, non vale in caso di estinzione riguardante il giudizio di opposizione a D.I..
E’ infatti previsto che, in tal caso, “il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva” giusto il disposto di cui all’art. 653, I co. c.p.c..
Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l’estinzione del giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l’incontrovertibilità tipica del giudicato. (CASS. N. 4294/2004; n. 849/00).
Non sarà pertanto possibile riproporre l’opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr sul punto, tra le altre, Cass. 15178/00).
Evidente l’analogia di ratio e di disciplina tra l’estinzione dell’opposizione a D.I. e quella del
processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui “l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”).
Si pensi, ancora, alla sanzione processuale prevista in caso di tardiva costituzione in giudizio dell’opponente.
Sul punto è consolidata la giurisprudenza di legittimità nel senso di ritenere che in tal caso l’opposizione improcedibile (tra le tante, CASS. N. 15727/06; nello stesso senso Cass. n. 25621/08), con passaggio in giudicato del D.I. (così come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 647 e 656 c.p.c.).
Trattasi di disposizione che trova il suo corrispondente in fase di appello nell’art. 348, I co. c.p.c., il quale espressamente prevede la sanzione dell’improcedibilità dell’appello, se l’appellante non si costituisce nei termini. E’ pacifico che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato.
Ancora, si pensi all’inammissibilità dell’opposizione, perch?? proposta dopo il termine di cui all’art. 641 c.p.c., ed alla analogia di trattamento rispetto al mancato rispetto in fase di impugnazione dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.
Tale disciplina risponde all’elementare esigenza di porre a carico della parte opponente/appellante, che si avvale dei rimedi previsti per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la revoca/riforma, l’onere di proporre e coltivare ritualmente il processo di opposizione/ di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso necessari.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che la interpretazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. N. 28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell’omessa mediazione non possa prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce, e segnatamente dalle peculiarità del giudizio di opposizione a D.I., che presenta i suddetti aspetti di analogia con i giudizi impugnatori.
Al fine di non optare per una interpretazione dell’art. 5, II co. D. Lgs citato, incoerente e dissonante con le suddette peculiarità, deve pertanto ritenersi che nell’opposizione a D.I., così come per i procedimenti di appello, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’opposizione (o dell’impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo.
Invero, la tesi per prima indicata appare fondata essenzialmente, al di là delle suggestioni relative allo scollamento tra qualità formale e sostanziale delle parti, peraltro costituente anch’esso caratteristica di tale tipo di procedimento, su una mera interpretazione letterale della disciplina, secondo cui “l’improcedibilità della domanda giudiziale” sarebbe senz’altro da individuare, anche ai sensi dell’art. 39 ultimo comma c.p.c., nell’originario ricorso monitorio.
Peraltro, così argomentando, si verrebbe a configurare, come è stato evidenziato in dottrina, una singolare “improcedibilità postuma” che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale, già definitivamente emesso, ancorché sub judice.
Si tratterebbe, in sostanza, di sanzione processuale che non consta abbia uguali nell’ordinamento processuale.
Il tutto senza considerare l’inopportunità di porre nel nulla una pretesa che già stata scrutinata positivamente dall’autorità giudiziaria, sia pure non nel contraddittorio delle parti, con provvedimento idoneo al giudicato sostanziale.
Si aggiunga che in tal caso, ove la domanda sia una pretesa creditoria di condanna, dovrebbe allora ritenersi, con riferimento al giudizio di appello, che la inosservanza della mediazione disposta dal giudice dovrebbe comportare, ove la sentenza di primo grado abbia interamente accolto la domanda ed il gravame sia stato proposto dal debitore condannato che non abbia avanzato alcuna riconvenzionale, l’integrale travolgimento non solo del giudizio di appello, ma anche di quello di primo grado e della sentenza impugnata.
Fare riferimento alla domanda sostanziale, ed alla nozione di attore in senso sostanziale, porterebbe ciò all’inevitabile conseguenza, sempreché nelle more non siano maturate decadenze o prescrizioni, che il processo potrebbe ricominciare da zero (nuovo ricorso monitorio, conseguente opposizione ecc.).
Dove sia la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione delegata, così interpretata, resta incomprensibile.
In realtà in caso di omessa mediazione nell’opposizione a D.I. non si avrebbe alcun deflaziona mento effettivo, bensì il raddoppio dei processi e degli adempimenti. Il creditore che non ottiene soddisfazione dal processo “improcedibile” non esiterà, nella maggior parte dei casi, a riproporre in via giudiziale la medesima domanda.
Si aggiunga che la soluzione interpretativa proposta esalta la portata e l’efficacia deflattiva dell’istituto, essendo evidente che il formarsi del giudicato rende non più ulteriormente discutibile il rapporto controverso, con conseguente rigetto in rito dell’eventuale riproposizione della medesima domanda (o di altre con questa incompatibili).
Le questioni poste a base dell’opposizione a DI, come nel caso dell’appello, una volta dichiarate “improcedibili”, non potrebbero essere più utilmente riproposte.
Né d’altra parte può ritenersi, così come sostenuto nella citata pronuncia dal Tribunale di Varese, che tale soluzione circa l’opposizione a D.I., creerebbe “un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore”.
Invero, non può ravvisarsi alcuna disparità irragionevole nella circostanza che la scelta tra i diversi strumenti processuali attivabili dall’attore sostanziale possa comportare oneri e costi diversi per la parte convenuta.
D’altra parte non seriamente contestabile la piena legittimità e compatibilità del rito monitorio e della disciplina codicistica dell’opposizione con i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e ciò anche se è indubbio che la scelta tra le diverse opzioni possibili di esercizio del diritto di azione, e segnatamente quella del rito monitorio, pone a carico della parte ingiunta oneri diversi ed ulteriori (si pensi solo al termine più breve per proporre l’opposizione, rispetto a quello di cui all’art. 163 bis c.p.c., e di costituzione in giudizio, ovvero ai costi di iscrizione a ruolo e di notifica della causa di opposizione) rispetto a quelli che la stessa deve assolvere, ove evocata in giudizio in via ordinaria.
Ciò che è certo è che i costi della promozione della mediazione, che consistono in sostanza nella mera redazione ed invio della richiesta all’organismo di mediazione con pagamento delle spese di segreteria per poche decine di euro, per la loro obbiettiva modestia, non possono certo considerarsi di per sé tali da far valutare irragionevole la scelta legislativa in questione.
D’altra parte va richiamato il combinato disposto di cui agli artt. 5 comma 2 bis e 17, comma 5 ter D. Lgs. N. 28/10, così come introdotti dal DL 69/13 conv. L. 98/13, da cui si evince, da un lato, che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale “si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore si conclude senza l’accordo” e, dall’altro, che “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Non sembra pertanto che porre l’onere dell’avvio della mediazione a carico del debitore opponente comporti alcun sacrificio economicamente apprezzabile.
Si aggiunga che tale opzione interpretativa, che pone a carico della parte opponente l’onere della proposizione della mediazione, dovrà applicarsi, ovviamente, non solo nei giudizi ex art. 645 c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un provvedimento idoneo al giudicato ex art. 2909 c.c.. (es. ordinanze ex art. 186 bis e ter c.p.c. ecc.).
Anche in tal caso la omessa mediazione comporterà la intangibilità del provvedimento adottato, con le inevitabili conseguenze circa gli antecedenti logici della decisione e l’oggetto del giudicato
In tutti gli altri casi, ovviamente, non può che prendersi atto della scelta legislativa circa la sanzione processuale applicata, di mero rito, e della conseguente possibilità di riproposizione della domanda senza limiti, salva l’eventuale maturazione di decadenze o prescrizioni.
Conclusioni
Va pertanto dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione e della domanda riconvenzionale proposta.
Analogamente va sanzionata la domanda ex art. 96 c.p.c. avanzata da parte opposta.
Resta assorbita ogni questione di merito.
Spese del giudizio Considerata la complessità della questione, la mancanza di precedenti di legittimità, e la presenza di orientamenti giurisprudenziali di merito e dottrinali difformi, anche di questo Ufficio, le spese di lite vanno interamente compensate.
P.Q.M.
Visto l’art. 281 quinquies c.p.c.
Il Tribunale di Firenze, III Sez. Civ., definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa, così provvede:
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