AVVIA UNA MEDIAZIONE: PER AVVIARE UN PROCEDIMENTO OCCORRE PRESENTARE UNA SPECIFICA ISTANZA.

AVVIA UNA MEDIAZIONE

L’esito negativo del tentativo di conciliazione ex art. 696 – bis non esime dall’istanza di mediazione

Commento

Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza in commento, torna a d esprimersi sulla vexata quaestio del rapporto tra consulenza tecnica preventiva ex art. 696 – bis c.p.c. e tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Inoltre, nella pronuncia in esame, il giudice formula comunque una proposta conciliativa, in applicazione dell’art. 185 – bis c.p.c., pur non trattandosi, come meglio si evidenzierà oltre, di un’ipotesi di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Occorre procedere con ordine.

Il caso di specie può considerarsi paradigmatico.

Nell’ambito di una controversia relativa a responsabilità medica (danna da omessa diagnosi di carcinoma mammario), infatti, da un lato il convenuto, costituitosi in giudizio, ha eccepito l’improcedibilità della domanda in forza del mancato esperimento del tentativo di mediazione; dall’altro, l’attore ha ritenuto detta eccezione priva di fondamento dal momento che risultava già utilizzato, con esito negativo, lo strumento della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’art. 696 – bis c.p.c., a tenore del quale, come è noto, “L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.
Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione.
Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Il processo verbale è esente dall’imposta di registro.

Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.

Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili”.

Ora, la riforma della mediazione civile operata nel 2013, modificando l’art 5, co. 4, D.lgs 28/2010, ha provveduto ad includere nell’elenco dei procedimenti esclusi dall’obbligatorietà della mediazione ante causam la consulenza tecnica finalizzata alla conciliazione di cui sopra, con ciò risolvendo, sul piano del diritto positivo, un contrasto che in precedenza era emerso in giurisprudenza.

Peraltro occorre rilevare che il legislatore, sul punto, non ha fatto altro che aderire a quello che era l’orientamento già prevalente tanto in dottrina quanto in giurisprudenza[1], del resto agevolmente spiegabile sul piano della logica interpretativa, ove si consideri sia la finalità almeno in parte comune che la consulenza di cui all’art. 696 – bis c.p.c. presenta rispetto alla mediazione civile, sia, soprattutto, la sua indubitabile natura di mezzo di istruzione preventiva, vale a dire intrinsecamente cautelare.

Nell’ordinanza in commento, posta l’”alternatività” degli strumenti in parola, si perviene alla conclusione – condivisibile ad avviso di chi scrive – per la quale “…una volta esperito l’accertamento tecnico preventivo anche per la conciliazione della lite non sarebbe necessario instaurare la procedura di mediazione nemmeno nelle materie per le quali ne è prevista l’obbligatorietà ai fini della procedibilità dell’azione di merito”.

Al netto delle valutazioni che precedono, però, analizzando la normativa vigente, il Tribunale osserva come non risulti possibile estendere al giudizio di merito la summenzionata esclusione.

Ciò, secondo il Giudice, non soltanto per il fatto che la mediazione è esclusa dalla legge, in tema di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 – bis c.p.c., da una disposizione, quale l’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010 che presenta oggettivamente tutti i caratteri propri della tassatività, ma anche e soprattutto sulla base del fatto che “…il rischio di duplicazione di una attività conciliativa in contrasto con i principi di ragionevole durata del procedimento si paleserebbe recessivo rispetto all’evidente e più grave elusione della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1 – bis, Dlgs 28/2010”.

In conclusione, quindi, essendo stata proposta la domanda giudiziale senza il previo esperimento della mediazione, riguardando la causa una delle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, secondo il giudice va accolta l’eccezione di improcedibilità fatta valere dalla parte convenuta.

Contestualmente, però, il giudice formula una proposta ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., prevedendo peraltro che, ove non pervengano ad una accordo conciliativo, le parti rendano esplicite le proprie ragioni, naturalmente con esclusivo riferimento alla proposta giudiziale.

Si tratta di un’opzione che si fonda, evidentemente, sull’assunto per cui la proposta giudiziale ex art. 185 – bis sia cumulabile con la mediazione indipendentemente dalla circostanza che quest’ultima sia delegata dal giudice, ai sensi del secondo comma dell’art 5 del D.lgs 28/2010, quindi in base ad una valutazione da parte del giudice circa la “mediabilità” della lite[2], ovvero che essa sia disposta dal giudice in conseguenza del fatto che le parti, tenute ad esperirla ex lege, in effetti abbiano omesso di operare in tal senso, rendendo la domanda improcedibile.

Dunque, riassumendo:

La domanda giudiziale relativa ad una controversia rientrante nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010 è improcedibile, per omessa mediazione, anche nell’ipotesi in cui sia stata precedentemente intrapresa, con esito negativo, la strada prevista dall’art. 696 – bis c.p.c.

L’esclusione dell’esperimento della mediazione rispetto all’istanza di consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della causa deve essere interpretata restrittivamente, non potendosi, quindi, estendere al giudizio di merito, per il quale, come appena ricordato, devono applicarsi le regole previste in generale dalla legge sulla mediazione.

Il fatto che la domanda venga dichiarata improcedibile e che, per l’effetto, le parti vengano inviate in mediazione ai sensi dell’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010 non impedisce affatto al Tribunale di formulare contestualmente una proposta, transattiva o conciliativa, ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., data la cumulabilità, ormai pacifica in giurisprudenza, tra detta proposta giudiziale ed il tentativo di conciliazione da esperire presso un organismo territorialmente competente.

[1] Cfr., ex multis, per la chiarezza e l’esaustività dell’apparato motivazionale, Trib. Varese, sez. I, decr. 24 luglio 2012, in cui si afferma che “…l’ambito dell’articolo 696-bis Cpc è escluso dall’obbligatorietà della mediazione sancita dall’articolo 5 comma I d.lgs. 28/2010 per almeno tre diverse ragioni. In primo luogo, l’istituto, almeno secondo l’indirizzo delle Sezioni Unite civili della Cassazione, conserva natura “cautelare formale” e trova quindi applicazione l’esclusione ex lege prevista dall’articolo 5, comma terzo, del decreto. Inoltre, in adesione ai puntuali rilievi della dottrina, l’istituto disciplinato dall’articolo 696 bis Cpc non introduce, a norma dell’articolo 2 del decreto legislativo 28/2010, «una controversia in materia di diritti disponibili» e, dunque, non trova applicazione l’articolo 5, comma 1, del medesimo decreto (mediazione obbligatoria) in ragione dell’articolo 2, comma 1, del decreto («chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili»). In ogni caso, la consulenza tecnica preventiva, pur non avendo “sostanziale” carattere cautelare, conserva una relazione di accessorietà rispetto all’eventuale futuro giudizio di merito, posto che se la conciliazione non riesce, «ciascuna delle parti può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito» (articolo 696-bis, comma quinto, Cpc). Incidendo, pertanto, sui tempi di definizione dell’eventuale futuro giudizio di merito, se ne deve quantomeno riconoscere il carattere “urgente”, in adesione alla collocazione formale dell’istituto nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva, pur là dove non si voglia attibuire alla Ctu preventiva la natura “cautelare formale”, proposta dalle Sezioni unite civili. Ne discende l’esclusione dell’articolo 5, comma 1, d.lgs. 28/2010 in ragione della deroga di cui al successivo terzo comma della medesima disposizione. Sul piano squisitamente logico-giuridico, non può poi, comunque, non segnalarsi l’aporia del “mediare per chiedere di mediare” posto che con il ricorso ex articolo 696-bis Cpc la parte non chiede la distribuzione di torti e ragioni ma di sperimentare un tentativo di risoluzione della lite con modalità alternative”.

[2] Va rilevato come, finora, la proposta ex art. 185 – bis c.p.c. è stata più volte cumulata con la mediazione demandata dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010. Può considerarsi paradigmatica, in tal senso, l’ordinanza 24 ottobre 2013 del Trib. Di Roma, XIII sez., “capostipite” di molti altri provvedimenti analoghi, nella quale  il giudice capitolino, formulata la proposta e assegnato un congruo termine per la valutazione della medesima, dispone che “…dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg. 15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche dal punto di vista economico e fiscale della controversia in atto. Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo  le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni a riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai fini degli artt. 91 e 96 III° cpc”. In altri casi, la cumulabilità tra i due istituti è stata affermata “in due tempi”, disponendo cioè la mediazione ex art. 5, co. 2, a seguito della mancata accettazione di una delle parti della proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice (cfr., ad es., Tib. Milano, sez. spec. in materia di impresa, ordinanza 11 novembre 2013). Ma sempre di mediazione delegata si trattava, e non di omessa attivazione della mediazione ante causam come nel caso in commento.