Tribunale di Roma, sez. XIII civile, sentenza 30 ottobre 2014 (RG. 63204-11)
Proposta ex art. 185 bis c.p.c.: rifiuto ingiustificato e condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c.
Commento:
Interessante pronuncia nella quale il Tribunale di Roma, nell’applicare ancora una volta l’art. 185 – bis c.p.c., ha modo di svolgere approfondite valutazioni circa la configurabilità o meno di un giustificato motivo al rifiuto della stessa. Il provvedimento, inoltre, opina per la configurabilità di una responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c.
Nella fattispecie, si trattava di responsabilità professionale di un notaio, nei cui confronti l’attore, suo ex cliente, aveva promosso la domanda giudiziale, infine accolta dal Tribunale, lamentando esborsi effettuati come diretta conseguenza delle erronee indicazione fornitegli dal professionista.
Istruita la causa, il Giudice riteneva di formulare con ordinanza la proposta transattiva o conciliativa di cui all’art. 185 – bis c.p.c. (versamento di 19.424,00 euro da corrispondersi in tre rate nell’arco di 18 mesi), che veniva accolta senza riserve dall’attore. Il notaio convenuto, pur dichiarandosi favorevolmente disposto, aveva avviato – fuori dalla causa – trattative con la sua assicurazione per essere sollevato dagli oneri conseguenti e aveva quindi chiesto, come si rileva nella pronuncia, “...tempo e rinvii, al fine precipuo di non gravarsi con suoi esborsi effettuando una sostanziale partita di giro, dall’assicurazione al cliente”.
L’attore più volte aveva aderito a tale invito, consentendo plurimi rinvii di udienze “...nella fiducia che al momento in cui l’assicurazione avesse fatto pervenire al notaio le somme questi le avrebbe corrisposte per intero e senza rateizzazione al cliente”.
Successivamente, però, il notaio convenuto, pur avendo a disposizione la provvista fornita dall’assicurazione, “...ha dichiarato (in udienza) di voler pagare a rate come previsto dall’ordinanza del giudice. Il rifiuto dell’attore, che è seguito, è giustificato e comprensibile. Si tratta, quella del notaio, di una condotta capziosa che merita adeguata sanzione processuale (…) l’accordo non è stato raggiunto a causa dello scorretto comportamento processuale del notaio, che non aderiva esattamente alla proposta del giudice che prevedeva un termine dal notaio disatteso”.
In altri termini, il notaio convenuto malgrado “...l’assicurazione, non parte in causa, inviasse al medesimo le somme occorrenti per adempiere alla proposta, decideva, quando ricevutele, di trattenerle per sé, versandole (all’attore) nell’arco di diciotto mesi”.
Fin qui le vicende di causa.
Ora, la motivazione affronta due aspetti di estremo interesse.
Il primo, le parti di fronte alla proposta del giudice ex art. 185 bis.
Posto che il legislatore non ha inteso predisporre un sistema sanzionatorio (come nel caso della mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010), deve peraltro muoversi dal presupposto che lo studio richiesto al giudice per giungere alla formulazione di una proposta mirante ad un accordo che risulti in effetti per le parti più vantaggioso della sentenza, “…non sia stato previsto per essere destinato ad essere considerato un mero flatus vocis”.
La proposta non potrà certo produrre, come è ovvio, in capo alle parti una sorta di obbligo cogente in ordine al suo accoglimento, “…ma il fatto stesso che la legge preveda la possibilità che il giudice formuli la proposta implica che non è consentito alle parti di non prenderla in alcuna considerazione”. La proposta, di conseguenza, dovrà essere dai destinatari rispettata e considerata con serietà ed attenzione (la medesima, si intende dire, che è richiesta al giudice nel predisporla e formularla).
In motivazione si rileva come proprio per “…l’importanza e delicatezza della proposta che, impegnando non poco la sensibilità oltre che l’arte del giudice, assolve, nell’ottica del legislatore, ad un importante compito deflattivo e di A.D.R., impedendo che ogni controversia debba necessariamente concludersi con una sentenza, non può ammettersi che le parti possano assumere senza conseguenze, contro di essa, un atteggiamento anodino, di totale disinteresse, deresponsabilizzato, solo ostinatamente ed immotivatamente diretto a coltivare la permanenza e protrazione della controversia.
Le parti hanno invece l’obbligo, derivante sia dalla norma di cui all’art. 88 cpc secondo cui le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, e sia in base al precetto di cui all’art. 116 cpc, norma di carattere generale, di prendere in esame con attenzione e diligenza la proposta del giudice di cui all’art. 185 bis cpc, e di fare quanto in loro potere per aprire ed intraprendere su di essa un dialogo, una discussione fruttuosa e, in caso di non raggiunto accordo, di fare emergere a verbale dell’udienza di verifica, lealmente, la rispettiva posizione al riguardo. Le parti hanno quindi un’alternativa all’accettazione della proposta”. Potranno infatti “…disarticolarne il contenuto, trasformandola secondo i loro più veritieri e non rinunciabili interessi primari. Non è invece ammesso l’accesso alla superficialità, ad un rifiuto preconcetto, ad un pregiudizio astratto, al proposito e all’interesse, non tutelati dalle norme, a protrarre a lungo la durata e la decisione della causa”.
In sostanza, dunque, “…il merito ragionato deve diventare la stella polare della adesione o meno (se del caso con i concordati adattamenti) alla proposta. E correlativamente, ad opera del giudice, misura e metro della valutazione della condotta di chi si è sottratto al dovere di lealtà processuale che la proposta ex art. 185 bis esalta e richiama”.
In secondo luogo, la condanna per responsabilità ex art. 96, co. 3, c.p.c.
Posto che nel caso di specie le spese seguono la soccombenza, il notaio convenuto è altresì condannato nei confronti dell’attore ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., che, come è noto, dispone che “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.
Nella causa in oggetto la somma è stata quantificata nel doppio del compenso di causa liquidato a carico del soccombente (per un totale di euro 9.600,00).
Ora, posto che non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo, con riferimento alla parte a favore della quale viene concesso, o di una punizione, con riguardo allo Stato, per aver inutilmente appesantito il corso della giustizia, posta inoltre la discrezionalità del giudice nella determinazione dell’ammontare della somma e considerato altresì che detta sanzione a carico di parte soccombente non consegue necessariamente ad istanza di parte ma può essere irrogata anche d’ufficio, nella pronuncia in esame si osserva come “…la possibilità di attivazione della norma non è necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e secondo comma. Come rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole. Volendo concretizzare il precetto, vengono in mente i casi in cui la condotta della parte soccombente sia caratterizzata da colpa semplice (ovvero non grave, che è l’unica fattispecie di colpa presa in esame dal primo comma), ovvero laddove una parte abbia agito o resistito senza la normale prudenza (fattispecie diversa da quelle previste dal primo e secondo comma)”.
Nel caso di specie, alla luce di quanto precede, il Tribunale afferma che “…a. la responsabilità nel merito del notaio è conclamata, sicchè la resistenza in giudizio va qualificata già in limine un abuso del diritto (di difesa); b. la condotta processuale descritta (…) proviene da una persona istruita e assai qualificata anche in termini giuridici, e pertanto ancor più grave ed ingiustificata. L’ammontare della somma deve essere proporzionato, fra l’altro, allo stato soggettivo del soggetto che in questo caso è da qualificarsi doloso quanto alla lettera b) e colposo quanto alla lettera a)”.
Testo integrale sentenza 30 ottobre 2014 (RG. 63204-11), Tribunale di Roma, sez. XIII civile.