adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Mediazione civile e processo sommario di cognizione ex art. 702 – bis c.p.c.

Con le presenti note si intende tornare – a fronte di una questione (in apparenza) mai completamente definita in termini espliciti dal legislatore – sul complesso di ragioni che ci porta a ritenere che, con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, anche ove la domanda giudiziale sia proposta nelle forme del processo sommario di cognizione ex artt. 702 – bis e ss. c.p.c., l’esperimento del tentativo di conciliazione si ponga come condizione di procedibilità.

Come è noto, il problema emerse, sotto la vigenza del testo originario del D.lgs 28/2010, allorchè una sentenza di merito (Trib. Firenze, sent. 22 maggio 2012)   stabilì che il rinvio dell’udienza allo scopo di consentire lo svolgimento della procedura di mediazione, non esperita ante causam, fosse incompatibile con la natura “concentrata” e “rapida” (per l’appunto, sommaria) del processo sommario di cognizione.

Il Giudice, premesso “…che il procedimento sommario di cognizione previsto dall’art 702 bis e 702 ter c.p.c., pur non delineando un procedimento d’urgenza o caute1are nondimeno prevede un procedimento dove viene massimizzata la velocità della trattazione e della decisione della controversia, con evidente premialità per il ricorrente che riesca a manifestare con forte evidenza le ragioni che militano a favore del proprio diritto…”, osserva che l’art. 5, co. 4 del decreto sulla mediazione prevede: “i commi 1 e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.

Da ciò, secondo il Tribunale, discende che “…tale disposizione ben possa essere analogicamente applicata al caso del processo sommario di cognizione per l’ipotesi in cui, non potendosi procedere nelle forme previste dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. per la complessità istruttoria contenutistica della controversia, sia necessario convertire il processo nel rito ordinario di cognizione, nel qual caso, evidentemente dovrà procedersi secondo quanto previsto dal primo comma dell’art. 5D.Lgs 28/2010”.

In sintesi: il processo sommario di cognizione, essendo funzionale agli effetti propri del giudicato, non ha certo natura cautelare, ma mira comunque a velocizzare la trattazione/decisione della controversia, con palese intento premiale per il ricorrente; l’art, 5, co. 4, D.lgs 28/2010 prevede la non applicabilità della mediazione obbligatoria al procedimento di ingiunzione, anch’esso non cautelare, inclusa l’opposizione; di conseguenza, per analogia risulterebbe plausibile l’estensione dell’eccezione relativa al procedimento ingiuntivo, al rito sommario di cognizione (ove, naturalmente, non venga disposta, ai sensi dell’art. 703 – ter c.p.c.,  la transizione al processo ordinario di cognizione con fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c.).

Non sembra che una impostazione siffatta possa convincere.

Ciò non tanto per ragioni funzionali, quali l’aggiramento della mediazione mediante la proposizione ad arte della domanda nelle forme dell’art. 702 – bis c.p.c. (un tale intento potrebbe essere depotenziato, almeno in parte, dal giudice tramite il passaggio al rito ordinario, con conseguente ritorno della condizione di procedibilità rappresentata dalla mediazione stessa), quanto per ragioni di tenore letterale e di logica interpretativa, che portano a ritenere che ove il legislatore, a fortiori in quanto autore di un intervento a riforma di quanto in precedenza disposto, avesse inteso sottrarre all’ambito di operatività della mediazione obbligatoria il processo sommario di cognizione, ebbene lo avrebbe fatto in termini espliciti.

L’intervento del legislatore a seguito del c.d. Decreto del fare sembrerebbe, invece, riaffermare l’applicabilità del tentativo obbligatorio di mediazione alla tipologia processuale in parola, che continua a non essere menzionata tra quelle escluse.

Ora, come è noto, l’art. 14 disp. prel. cod. civ. dispone che “…le leggi…che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.

Ciò posto, appare difficilmente confutabile il fatto che l’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, abbia carattere eccezionale, avendo la funzione di derogare a quanto previsto, in via generale, dal co. 1- bis del medesimo articolo 5. Pertanto, l’elenco contenuto dal co. 4 deve considerarsi tassativo, con la conseguenza che solo nei procedimenti ivi menzionati il tentativo di mediazione non dovrà essere intrapreso pur vertendosi sulle materie di cui all’art. 5 co. 1- bis.

Pertanto, la condizione di procedibilità non opera:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

e) nei procedimenti in camera di consiglio;

f) nell’azione civile esercitata nel processo penale.

Del processo sommario di cognizione non si faceva menzione prima della riforma e continua a non farsi menzione dopo la stessa.

Né sembra potersi applicare, come invece proposto dalla giurisprudenza di merito summenzionata, l’analogia, dal momento che l’art. 12 delle preleggi presuppone, in generale, che a tale criterio possa ricorrersi solo in presenza di una lacuna da colmare, vale a dire di un vuoto normativo che nell’ipotesi in esame non sussiste. Semplicemente il legislatore non ha inteso, manifestamente, ricomprendere il processo sommario di cognizione tra le ipotesi procedimentali escluse, con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, dall’obbligatorietà del tentativo di mediazione.

D’altra parte, detta scelta del legislatore appare non solo chiara, ma anche condivisibile.

Il processo sommario introdotto nel codice di procedura civile con la riforma del 2009, infatti, è un rito in cui la cognizione sommaria, conseguenza di una scelta attorea, può trasformarsi in cognizione piena qualora il giudice adito non ritenga la  causa, per la complessità della controversia e delle difese proposte, compatibile con una trattazione per l’appunto sommaria (il cui svolgimento – come si sa – è mutuato dall’art. 669 – sexies – relativo al procedimento cautelare uniforme), ordinando, dunque, il mutamento di rito con la fissazione dell’udienza di cui all’art. 183.

Non si vede, perciò, come possano scorgersi analogie con il procedimento di ingiunzione (o con quello per convalida di licenza o sfratto), in cui i provvedimenti relativi alla fase sommaria vengono adottati inaudita altera parte e gli stessi sono suscettibili ad acquisire definitività per effetto dell’inerzia dell’ingiunto o dell’intimato. Infatti, in dette ipotesi, il legislatore ha optato a favore dello spostamento dell’obbligo di procedere al tentativo di mediazione ad un momento successivo rispetto alla fase sommaria (e, soprattutto, successivo alla decisione sui provvedimenti provvisori in merito alla concessione dell’efficacia esecutiva al decreto ingiuntivo opposto od all’emissione dell’ordinanza di rilascio dell’immobile con riserva delle eccezioni del convenuto).

Nel processo sommario di cognizione, invece, non si fa altro che agire in giudizio puntando sul fatto che la (asserita) “semplicità” della controversia consentirà al giudice di deciderla con modalità sommaria, eventualità, peraltro, meramente prospettata dall’attore ma della quale, ovviamente, non vi è alcuna certezza ab initio, ben potendo, come detto, il giudice essere di diverso avviso.

Con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, il legislatore precisa che la domanda è condizionata, nella sua procedibilità, dall’esperimento del tentativo di mediazione presso un organismo territorialmente competente, senza nulla specificare, in ultima analisi, circa la forma della domanda stessa, ferme restando, beninteso, le sole eccezioni tassativamente precisate nel successivo co. 4.

Alla luce delle considerazioni che precedono non si vede, pertanto, su quali basi possa predicarsi l’esclusione dell’esperimento della procedura di mediazione, in ordine alle materie in cui la stessa è prevista alla stregua di condizione di procedibilità della domanda giudiziale, per la sola circostanza che, nel caso concreto, la stessa sia proposta nelle forme di cui all’art. 702 – bis c.p.c.

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mediazione obbligatoria conciliazione

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 27 novembre 2014

Mediazione delegata: tutte le domande che caratterizzano il giudizio sono soggette a mediazione

Commento:

Il Tribunale di Roma, sez. XIII civ., ha pronunciato – il 27 novembre scorso – una interessante sentenza, che di seguito si riporta, importante in quanto affronta la dibattuta questione della mediazione demandata dal giudice in presenza di domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.

Il messaggio – all’esito di una motivazione certamente apprezzabile per la sua esaustività – suona forte e chiaro: nella mediazione delegata, dato che la condizione di procedibilità prescinde dalla materia oggetto di lite, tutte le domande, dell’attore, del convenuto e di eventuali terzi intervenuti, debbono essere portate dinanzi al mediatore, con la conseguenza che, ove il thema della mediazione venga ad essere limitato ad una parte soltanto dell’ambito oggettivo della controversia, l’improcedibilità andrà a colpire tutte le domande.

Nella causa in esame, a fronte della domanda attorea (restituzione somme versate, per prestazioni professionali, a tre avvocati dei quali gli attuali attori erano al tempo dei fatti clienti) uno dei convenuti spiegava domanda riconvenzionale (per attività difensive asseritamente svolte e non retribuite).

In tale contesto, nel novembre 2013 il giudice formulava una proposta ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., stabilendo il periodo entro il quale le parti avrebbero potuto riflettere sui contenuti della stessa (28 febbraio 2014), fissando peraltro ex ante, come da consolidata giurisprudenza della sezione, il termine di 15 gg. per l’espletamento, in caso di mancato accoglimento della proposta, della mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, presso un organismo territorialmente competente.

All’udienza del 22 settembre 2014 veniva eccepita dai convenuti l’improcedibilità delle domande degli attori per  inottemperanza nei confronti dell’ordine del giudice di introdurre la domanda di mediazione. Risultava infatti, dal verbale redatto dal mediatore, come effettivamente fosse stata avanzata domanda di mediazione da parte dell’avvocato XXX, convenuto, mentre nessuna istanza di mediazione fosse stata depositata a propria volta dagli attori.

Secondo la pronuncia in esame, “…i problemi che vanno affrontati e risolti sono i seguenti:

a)se, al fine  di  renderla  procedibile, vada  proposta una  domanda  di  mediazione dal soggetto  che  ha  avanzato  domanda  riconvenzionale  in  una  materia rientrante fra quelle  di  cui al  comma  1  bis  dell’art.5  del  decr. lgsl. 28/10 e  quindi  prevista  quale condizione di procedibilità, allorché nessuna altra delle domande avanzate dalle altre parti rientri in tali materie, e quali conseguenze scaturiscano dalla  mancata proposizione della domanda di mediazione;

b)se, ove non richiesta congiuntamente, nel caso in cui sia la domanda dell’attore che quella riconvenzionale del convenuto afferiscano alle materie di cui al comma 1 bis del decr. lgsl. 28/10, mediazione obbligatoria, la richiesta di mediazione vada proposta non solo dall’attore, ma  anche dalla parte che ha proposto la domanda riconvenzionale. O, per contro, se la introduzione da parte di una qualsiasi delle parti, attore o convenuto in riconvenzionale, della procedura di mediazione sia sufficiente a ritenere realizzata positivamente per tutte le parti la condizione di procedibilità (la fattispecie in esame riguarda il primo caso con riferimento a mediazione demandata dal giudice)

c)quali siano gli oneri relativi alla proposizione della richiesta di mediazione in capo all’attore ed in capo al convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, in caso di mediazione demandata dal giudice ai sensi del secondo comma dell’art. 5 del decr. lgsl. 28/10”.

Muovendo da tali premesse, nella sentenza si afferma, in primo luogo “…per il momento accantonando il contesto della mediazione demandata dal giudice, e senza che possano residuare ragionevoli dubbi, che laddove la domanda dell’attore non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1° bis, mentre lo sia quella riconvenzionale del convenuto per avere ad oggetto una delle materie fra quelle indicate nella norma suddetta, costituisce ineludibile onere di quest’ultimo proporre rituale e tempestiva istanza di mediazione al fine di rendere procedibile la sua domanda riconvenzionale.

In mancanza, la domanda riconvenzionale (ed essa sola, attingendo esclusivamente tale domanda alle materie di cui al comma 1 bis dell’art.5) va dichiarata improcedibile”.

D’altra parte, la domanda riconvenzionale è cosa ben diversa dalle eccezioni che a vario titolo possono essere sollevate dal convenuto, dal momento che queste ultime non hanno vita propria, risultando intrinsecamente collegate alle domande di parte avversa cui mirano ad opporsi. La domanda riconvenzionale, invece, contiene la richiesta di una pronuncia che ha per oggetto un bene della vita che la parte richiede al giudice.

Essa, pertanto, è idonea a supportare un’autonoma causa e come tale, ove previsto o ordinato dal giudice, è soggetta alle regole di procedibilità previste dall’art. 5 D.lgs 28/2010, che si riferiscono ad ogni domanda giudiziale, da qualsiasi parte provenga, purchè sia tale e non mera eccezione.

Per quanto concerne il punto b. la situazione è più ardua.

Da un lato, infatti, si potrebbe ritenere che una volta che l’attore abbia introdotto la procedura di mediazione, ciò valga a ritenere realizzata la condizione di procedibilità per tutte le domande, ivi comprese le eventuali riconvenzionali, e che eguale effetto produca l’introduzione della domanda di mediazione da parte del solo convenuto in relazione alla propria riconvenzionale. Si tratta di una interpretazione che semplifica, in quanto la mediazione potrebbe ritenersi espletata, e la condizione di procedibilità soddisfatta, purché tutte le parti vi abbiano, nei modi di legge, partecipato.

Dall’altro, potrebbe invece opinarsi che ciascuna delle parti titolari di un diritto azionato sotto forma di domanda vera e propria, come lo è la domanda riconvenzionale, sia onerata al fine di realizzare la condizione di procedibilità (che sussiste ratione materiae nei casi di cui all’art. 5, co. 1 –  bis, ovvero nel caso di mediazione demandata dal giudice a prescindere dalla materia e riferibile a tutte le parti e domande, senza distinzione) di proporre, ove non congiunta, istanza di mediazione, salva la opportuna riunione delle procedure di mediazione a cura dell’organismo preventivamente compulsato.

Tale impostazione, evidentemente più farraginosa, secondo il provvedimento in parola non può essere accolta, dovendosi quindi privilegiare, nel silenzio del legislatore, la prima ricostruzione, muovendo peraltro, a tal fine, da alcune fondamentali premesse.

Il Tribunale, infatti, richiama l’art. 4, D.lgs 28/2010, osservando come tale disposizione preveda nel primo comma, che “…la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza”, e nel secondo comma, che “… l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”.

Risulta agevole comprendere perchè il legislatore imponga l’indicazione dell’oggetto e delle ragioni della pretesa: ai fini dell’individuazione esatta del petitum e della causa petendi.

Quindi, senza che l’istanza di mediazione debba essere una surrettizia trasposizione dei contenuti della domanda introduttiva del giudizio, dovrà comunque sussistere “…corrispondenza fra il contenuto della controversia che si porta in mediazione e la domanda con la quale si introduce la mediazione di tale controversia”, tale corrispondenza dovrà “…essere valutata con una certa ampia latitudine (nel senso che non è opportuno pretendere una perfetta geometrica corrispondenza proprio per la ricordata informalità della procedura di mediazione)” e, infine, “…la corrispondenza deve essere riferita ai fatti più che alla loro definizione giuridica”.

Ai fini della soddisfazione della condizione di procedibilità la corrispondenza in parola dovrà necessariamente sussistere.

D’altronde, la legge impone che la mediazione si svolga fra le parti su ciò che è il reale oggetto del loro contendere, altrimenti ne deriverebbe una mediazione fuori asse rispetto alla controversia, e quindi verosimilmente inefficace perché non calibrata sull’oggetto ed sulle ragioni effettive del conflitto.

La stessa legge, peraltro, “...individuando materie per le quali la mediazione è obbligatoria o autorizzando il giudice ad incanalare la controversia nella procedura di mediazione, impulso assistito dalla stessa sanzione di improcedibilità per l’inosservanza, presuppone necessariamente la necessità della positiva verifica di tale corrispondenza al fine di affermare l’avvenuta realizzazione della condizione.
Infine è stesso esito, che non può che auspicarsi, nello spirito della legge, positivo, con l’accordo delle parti, che induce a ritenere necessario o quanto meno utile, che i soggetti convocati debbano avere preventivamente e chiaramente esplicitato l’oggetto della procedura di mediazione alla quale sono invitati a partecipare
”.

Su queste basi, nella fattispecie in commento, potrebbe sostenersi che la mediazione non si sia affatto svolta sulle sole domande degli attori, e che, viceversa, la riconvenzionale proposta da uno dei convenuti sia perfettamente procedibile avendo  quest’ultimo introdotto una procedura di mediazione il cui oggetto (riscontrabile tramite il verbale) risultava espressamente limitato al petitum della riconvenzionale stessa.

Ma ragionando in questi termini non si terrebbe conto del fatto che, in piena armonia con il dettato dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, l’ordinanza con la quale il Giudice formulava la proposta prevedendo al tempo stesso, per l’ipotesi di mancato accoglimento della stessa, il ricorso alla mediazione delegata, ordinava la devoluzione in mediazione dell’intera controversia.

Ne consegue, evidentemente, che “…al fine di soddisfare al tempo stesso l’ordine del giudice e la previsione di procedibilità condizionata all’adempimento a tale ordine, era necessario che le parti congiuntamente o una qualsiasi delle parti attivassero una procedura di mediazione su tutta la controversia in modo che tutte le questioni dedotte sia con le domande principali e sia con quella riconvenzionale potessero trovare ingresso, confronto e discussione davanti al mediatore”.

Emerge dunque una sostanziale differenza tra mediazione ante causam, in cui è necessario, in presenza di più domande, procedere all’esame di quali fra esse riguardino le materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, e mediazione delegata ai sensi del secondo comma dell’art. 5 medesimo, che involge tutta la controversia e tutte le domande avanzate dalle parti (attore, convenuto, terzi).

Nel caso di specie, “…l’avvocato convento ha equivocato in modo riduttivo la portata, perspicua, dell’ordinanza, introducendo una mediazione limitata alla sola sua domanda riconvenzionale di pagamento dei compensi professionali.
Gli attori non hanno promosso, dal loro canto, alcuna procedura di mediazione che allargasse il tema dell’incontro al contenuto delle loro domande, né risulta dal verbale del mediatore che ciò sia stato fatto, pur senza una domanda autonoma e separata, nel corso dell’incontro di mediazione
”.

In sostanza, dunque, appare evidente che, a prescindere dalla natura della mediazione, essa deve sempre e comunque avere ad oggetto l’intera controversia insorta tra le parti, dal momento che non avrebbe alcun senso postulare una qualche possibilità di accordo conciliativo laddove si ammettesse che determinate domande possano essere lasciate fuori dal tavolo di discussione, riguardando il procedimento solo alcune delle questioni controverse.

Alla stregua delle considerazioni che precedono appaiono altresì chiare le conseguenze di un eventuale errore nell’instaurazione del procedimento dinanzi all’organismo di mediazione.

Osserva infatti la sentenza in esame come “...nella mediazione obbligatoria per talune soltanto delle domande (ad esempio perché la sola domanda riconvenzionale attinge a materie di cui all’art.5 co. 1 bis) l’aver proposto incompiutamente la domanda di mediazione, confinandola alla sola trattazione di tale riconvenzionale, condanna all’improcedibilità solo tale domanda, non propagandosi il vizio alle domande degli attori che soggette non vi siano.
Nel caso della mediazione demandata dal giudice la situazione è diversa.
In questo caso, nel quale la condizione di procedibilità prescinde dalla materia, tutte le domande, indifferentemente, quelle degli attori, quelle dei convenuti e quelle dei terzi, sono soggette a mediazione, e in questo caso aver confinato l’oggetto della mediazione ad una parte soltanto della controversia (il che equivale ad avere introdotto, violando in difetto la disposizione impartita dal giudice, una mediazione monca), comporta che l’improcedibilità si propaga a tutte le domande
”.

Nel contesto dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, quindi, al fine di evitare quest’ultima conseguenza, è necessario che almeno una delle parti proponga un’istanza di mediazione rituale e compiuta, ossia tale da riferirsi alla controversia nella sua interezza.

Proprio ciò che non si è verificato nella controversia in esame.

Infatti, la mediazione introdotta da uno dei convenuti aveva ad oggetto unicamente la sua domanda riconvenzionale, non avendo, d’alta parte, nessuno dei restanti soggetti processuali depositato a sua volta un’istanza che involgesse l’intera controversia, con la conseguenza che “…l’ordine del giudice non è stato ritualmente ottemperato e che la mediazione è stata inefficacemente introdotta e svolta”.

Ne consegue, pertanto, ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, l’improcedibilità di tutte le domande, sia quelle degli attori sia quella riconvenzionale del convenuto.

Testo integrale:

TRIBUNALE di ROMA SEZIONE Sez.XIII°
n. RG. 43423-11 + 43425-11 + 43427-11 riunite
REPUBBLICA ITALIANA
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
nella causa
tra
A,B,C ,D,E (avv.to xxxx)
attori
E
Avvocati 1,2 e 3 (avv.to yyyy)
convenuti

ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art.281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 27.11.2014 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente

S E N T E N Z A

SINTESI:
1.Anche la domanda riconvenzionale del convenuto, in quanto idonea a supportare un’autonoma controversia, è soggetta a condizione di procedibilità, se afferente alle materie di cui al comma 1° bis decr.lgsl.28/10 ovvero nella mediazione demandata dal giudice
2.La domanda di mediazione, da chiunque proposta, deve avere ad oggetto l’intera controversia, come evincibile dalla/e domanda/e di mediazione o dal contenuto del verbale di mediazione
3.L’improcedibilità nella mediazione obbligatoria attinge solo a quelle domande, introduttive dell’attore o del convenuto in riconvenzionale, che afferiscano alle materie di cui al comma 1° bis decr.lgsl.28/10
4.L’improcedibilità nella mediazione demandata attinge a tutte le domande, introduttive dell’attore o del convenuto in riconvenzionale, laddove non rispettata la regola sub 2

letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:
-1-
Gli attori, eredi di GP investita da un’automobile e poi deceduta il 2.9.2007, conferivano mandato agli avvocati 1, 2 e 3 di assisterli e rappresentarli nella richiesta di risarcimento dei danni derivati dalla morte del familiare.
Secondo quanto asserito dagli attori l’avvocato 2 convocava presso il suo studio Del. (cioé la dante causa di A,B e C), D ed E informandoli che l’assicurazione L. aveva inviato tre assegni di €.190.000 per ciascuno dei tre eredi e che ognuno degli assegni era comprensivo degli onorari per i tre avvocati pari ad €.30.000 ciascuno.
Gli ignari clienti, così espongono gli attori, adempivano non avendo neppure visto la lettera dell’assicurazione, peraltro senza ricevere fattura alcuna dei pagamenti.
Successivamente gli stessi avvocati 1 e 3 iniziavano presso il tribunale di Roma una causa per la differenza ritenuta ancora dovuta, controversia che veniva transatta, con la ricezione delle ulteriori somme indicate in citazione.
Agli avvocati 1, 2 e 3 venivano corrisposti gli onorari (€.20.000 ciascuno) direttamente dalla L.
Gli stessi avvocati, così lamentavano gli attori, richiedevano infine ulteriori €.100.446 come da parcella inviata loro.
Sostenendo quindi di essere stati oggetto di una truffa gli attori richiedevano nei confronti degli avvocati convenuti la restituzione della somma di €.30.000 X 3 oltre al risarcimento dei danni.
Ben diversa era la ricostruzione dei fatti articolata dai convenuti, secondo i quali:
a. l’avvocato 2 era il vero dominus della situazione (l’affiancamento a sé degli altri avvocati evoca strategie connesse ai rapporti con le assicurazioni ed alla più conveniente trattazione economica delle pratiche e degli onorari);
b. il solo avvocato 2 consegnava i tre assegni di €.190.000 concordando liberamente con i clienti il pagamento di €.30.000 per ciascuna delle tre pratiche; il tutto nell’ambito di percentuali normali per gli importi capitali di cui trattasi;
c. l’avvocato 2, anche dopo l’inizio della causa di cui non era patrono, essendolo gli altri due suoi colleghi, continuava a coltivare le trattative stragiudiziali con la compagnia assicuratrice che in effetti si concludevano positivamente con l’abbandono della causa;
d. la parcella di €.100.446 lungi da rappresentare una ulteriore richiesta di onorari era solo la dimostrazione pratica dell’entità del lavoro svolto ed il valore dell’attività difensiva;
e. con la transazione finale, accettata dai clienti, ai tre avvocati pervenivano da parte dell’assicurazione ulteriori €.60.000.
L’avvocato 3 inoltre spiegava domande riconvenzionali con le quali:
1. chiedeva, nei confronti di tutti gli attori, la somma di €.14.889 per l’attività difensiva svolta a favore di Del, D ed E nell’ambito del procedimento penale aperto a seguito dell’omicidio colposo di G.P. presso la Procura della Repubblica di Roma, come indagini difensive, colloqui, partecipazione alla consulenza affidata al medico legale dal PM etc..
2. chiedeva, nei confronti di Del. e per essa deceduta, nei confronti di A,B e C quali suoi eredi, il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nella cura di un ricorso per separazione personale dei coniugi;
3. chiedeva nei confronti di B il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nell’assistenza stragiudiziale in una questione di risoluzione di un contratto di locazione;
4. chiedeva nei confronti di B il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nell’assistenza stragiudiziale in una questione commerciale relativa alla risoluzione di un contratto di forniture di beni mobili;
5. chiedeva nei confronti di A il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nell’assistenza stragiudiziale in una questione relativa al diritto di visita della figlia nei confronti della madre.
In caso di condanna chiedeva inoltre di essere manlevato dall’avv.2
Con ordinanza del 25.11.2013 il giudice formulava, oltre ad una proposta ex art.185 bis cpc , l’avvio di un esperimento di mediazione ai sensi del novellato art.5 co.II° del decr.lgsl.28/10.
Il senso della proposta era che la percezione della somma di €.20.000 da parte dell’avv.2 dall’assicurazione a seguito di transazione di una causa per la quale, a differenza degli altri due avvocati convenuti non aveva ricevuto procura ed alla quale non aveva partecipato, non appariva suffragata da alcun ragionevole titolo, avendo peraltro il predetto professionista ricevuto già, per la fase stragiudiziale, €.30.000 da parte dell’assicurazione.
E pertanto la proposta, non accogliendo (come rendeva edotta la frase a titolo non restitutorio) la prospettazione attorea consistente della richiesta di restituzione della somma cioè €.30.000 X 3 (comunque dovuta ai tre difensori in ragione del beneficio economico ad essi procurato), invitava l’avvocato 2 a corrispondere agli attori la somma percepita senza titolo (€.20.000) non condividendosi la non provata causale addotta per tale percezione dal medesimo.
Quanto alla domanda riconvenzionale, l’unica che si ritiene ammissibile nei confronti degli attori quella sub n.1 che precede, sulla base degli atti si ritenuto che la somma di €.3.700 fosse del tutto satisfattiva della prestazione stragiudiziale svolta, dalla quale esulano le più rilevanti attività penalistiche proprie dell’avvocato non essendovi stata neppure assistenza a dibattimenti o udienze davanti al GIP e non presentando la fattispecie alcuna caratteristica di specialità.
Preliminare però ad ogni altra indagine e valutazione di merito, è la verifica relativa alla procedibilità delle domande (degli attori e riconvenzionale dell’avv.3).
-2-
Nel provvedimento oltre ad un proposta del giudice formulata ai sensi dell’art.185 bis, in caso di non raggiungimento dell’accordo veniva concesso un termine fino al 28.2.2014 per depositare presso un organismo di mediazione la relativa domanda
All’udienza del 22.9.2014 veniva eccepita dai convenuti l’improcedibilità delle domande degli attori per inottemperanza dell’invito del giudice di introdurre la domanda di mediazione.
Invero risulta che sia stata avanzata domanda di mediazione da parte dell’avvocato 3, mentre nessuna istanza di mediazione è stata depositata dagli attori.
Il verbale di mediazione del 14.3.2014 è del seguente tenore:
Organismo di Mediazione Forense di Roma istanza depositata il 14.3.2014 parte istante avv.3 parti chiamate: A,B,C,D,E,, nonché avv. 1 e 2.
Oggetto della controversia: pagamento compensi professionali e domanda di manleva.
Il mediatore dava atto che erano comparsi: l’avvocato yyyy anche quale procuratore speciale della parte istante munito di procura speciale che deposita e tutte le parti chiamate, non avvocati, assistite dall’avv.xxxx.
Il mediatore informava le parti in ordine alle modalità alle regole ed alle finalità della procedura di mediazione. L’avv. yyyy produceva altresì due email trasmesse dai colleghi che assistono gli avv.ti 2 e 3 nelle quali risulta che il primo tramite l’avvocato B. non è interessato alla procedura mentre il secondo tramite l’avvocato C. pur avendo ricevuto la convocazione non è comparso. IL mediatore procede all’audizione congiunta all’esito della quale anche in ragione dell’assenza delle altre due parti lo stesso mediatore dichiara chiusa la procedura di mediazione per mancato accordo.
-3.1.-
I problemi che vanno affrontati e risolti sono i seguenti:
a. se, al fine di renderla procedibile, vada proposta una domanda di mediazione dal soggetto che ha avanzato domanda riconvenzionale in una materia rientrante fra quelle di cui al comma 1 bis dell’art.5 del decr.lgsl.28/10 e quindi prevista quale condizione di procedibilità, allorché nessuna altra delle domande avanzate dalle altre parti rientri in tali materie, e quali conseguenze scaturiscano dalla della mancata proposizione della domanda di mediazione;
b. se, ove non richiesta congiuntamente, nel caso in cui sia la domanda dell’attore che quella riconvenzionale del convenuto afferiscano alle materie di cui al comma 1 bis del decr.lgsl.28/10, mediazione obbligatoria, la richiesta di mediazione vada proposta non solo dall’attore, ma anche dalla parte che ha proposto la domanda riconvenzionale. O, per contro, se la introduzione da parte di una qualsiasi delle parti, attore o convenuto in riconvenzionale, della procedura di mediazione sia sufficiente a ritenere realizzata positivamente per tutte le parti la condizione di procedibilità (la fattispecie in esame riguarda il primo caso con riferimento a mediazione demandata dal giudice)
c. quali siano gli oneri relativi alla proposizione della richiesta di mediazione in capo all’attore ed in capo al convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, in caso di mediazione demandata dal giudice ai sensi del secondo comma dell’art. 5 del decr.lgsl.28/10.
Chi scrive ha già preso in esame, parzialmente, taluna delle questioni che precedono con un’ordinanza che interveniva in una controversia di locazione (materia nella quale il previo esperimento della mediazione era già nel testo di legge iniziale previsto come obbligatorio), dichiarando la necessità, per la procedibilità della domanda riconvenzionale dell’intimato nella fase ordinaria successiva a quella sommaria, dell’esperimento della procedura di mediazione non attivata dal locatore attore.
Quella che segue è la motivazione dell’ordinanza del 2012.
Le domande riguardanti materie soggette a mediazione obbligatoria sono sottoposte alla disciplina per tale procedimento prevista quale che sia la parte proponente e la fase del giudizio nella quale la domanda viene introdotta.
Più specificamente, nulla (se non imperfezioni di tecnica legislativa) autorizza a ritenere il contrario.
La legge non distingue fra domanda dell’attore e domanda riconvenzionale del convenuto (o del terzo).
L’art. 5 del decr.lgsl. 28/2010 prevede infatti che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad ….. e’ tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ….”
La domanda giudiziale, quella dell’attore, come pure quella del convenuto (o del terzo) in via riconvenzionale, si qualifica come tale e ciò è sufficiente, ove avente ad oggetto una delle materie di cui al primo comma dell’art. 5 del decr.lgsl 28/11, a ritenerla soggetta alla disciplina della mediazione obbligatoria.
Non è sufficiente prova in contrario il richiamo, che si legge nell’art. 5, al convenuto, quale soggetto che può eccepire, ferma restando la pari potestà del giudice, in limine litis, il mancato esperimento del procedimento di mediazione.
Ciò in quanto non è la collocazione della parte (sul fronte dell’attore o in quello del convenuto) a decidere se la mediazione è obbligatoria, ma il contenuto della domanda giudiziale, domanda che come è noto può essere dispiegata sia dall’attore e sia, in via riconvenzionale, dalle altre parti del giudizio (convenuto e terzo chiamato).
La imprecisione dell’espressione convenuto del resto si ricava anche da altri indizi rilevatori come ad esempio la inadeguatezza del termine a regolare le fattispecie di opposizione a decreto ingiuntivo.
Evidente esigenza di garanzia di pari diritti per ogni parte processuale impone una interpretazione, costituzionalmente orientata, della norma che riduca a mera imperfezione tecnica il predetto riferimento, in modo tale da assicurare che ogni domanda giudiziale in subiecta materia, quale che sia la parte che la propone, debba essere preceduta da tentativo di mediazione.
L’eventuale improcedibilità in questo caso sarà riferita non all’intero giudizio ma solo a quella parte di esso relativa alla domanda carente per omessa mediazione.
-3.2.-
Tale giurisprudenza merita di essere, alla luce dell’esperienza fin qui maturata, precisata ed integrata, nel senso di chiarire meglio, con adeguata motivazione, le soluzioni che si ritengono giuste ed appropriate al contesto normativo.
Va quindi affermato in primo luogo e per il momento accantonando il contesto della mediazione demandata dal giudice, e senza che possano residuare ragionevoli dubbi, che laddove la domanda dell’attore non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1° bis, mentre lo sia quella riconvenzionale del convenuto per avere ad oggetto una delle materie fra quelle indicate nella norma suddetta, costituisce ineludibile onere di quest’ultimo proporre rituale e tempestiva istanza di mediazione al fine di rendere procedibile la sua domanda riconvenzionale.
In mancanza, la domanda riconvenzionale (ed essa sola, attingendo esclusivamente tale domanda alle materie di cui al comma 1 bis dell’art.5) va dichiarata improcedibile
Va ricordato che la domanda riconvenzionale è cosa ben diversa dalle eccezioni, variamente qualificate che possono essere sollevate dal convenuto. Queste ultime non hanno vita propria, possono al contrario vivere solo all’interno della causa ed in relazione alle domande avversarie alle quali si oppongono.
Ben altra cosa la domanda riconvenzionale la quale, come dimostra il prosieguo questa causa, può essere dispiegata anche autonomamente altrove, in un altro procedimento, anche assumendo se del caso forma e veste di domanda attorea.
La domanda riconvenzionale contiene la richiesta di una pronuncia che ha per oggetto un bene della vita (in senso lato) che la parte richiede al giudice.
Essa è idonea a supportare un’autonoma causa e controversia e come tale, ove previsto o ordinato dal giudice, è soggetta alle regole di procedibilità previste dall’art. 5 decr.lgsl.28/10.
Come conferma testualmente il secondo periodo del comma 1 bis dell’art. 5 l.cit. allorché prevedendo che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale riferisce tale sanzione alla DOMANDA giudiziale.
Da qualsiasi parte provenga, purché sia un vera e propria domanda (non eccezione o altro).
Più complesso è rispondere al quesito sub B.
Il problema che in questo caso si pone può essere valutato in vari modi.
Si potrebbe ritenere che una volta che l’attore abbia introdotto la procedura di mediazione, ciò valga a ritenere realizzata la condizione di procedibilità per tutte le domande sia essa quella dell’attore, sia quella riconvenzionale del convenuto.
E che eguale effetto produca l’introduzione della domanda di mediazione da parte del solo convenuto in riconvenzionale.
Interpretazione che ha l’indubbio vantaggio di semplificare, in un contesto nel quale il legislatore è rimasto silente, lo svolgimento della procedura di mediazione, che potrebbe in tale modo ritenersi espletata, e la condizione di procedibilità soddisfatta, purché tutte le parti vi abbiano, nei modi di legge, partecipato.
Altra e diversa ipotesi è quella di ritenere che ciascuna delle parti titolari di un diritto azionato sotto forma di domanda vera e propria (non di eccezione, non di eccezione riconvenzionale), come lo è la domanda riconvenzionale, sia onerata al fine di realizzare la condizione di procedibilità (che sussiste ratione materiae nei casi di cui all’art.1 bis cit. ovvero nel caso di mediazione demandata dal giudice a prescindere dalla materia e riferibile a tutte le parti e domande, senza distinzione) di proporre, ove non congiunta, istanza di mediazione, salva la opportuna riunione delle procedure di mediazione a cura dell’organismo preventivamente compulsato.
Questa seconda tesi risulta all’evidenza più farraginosa e non merita di essere accolta.
Ed in effetti si può evitare di ritenerla percorribile ma a determinate condizioni.
In sintesi che nel caso in cui sia la domanda dell’attore che quella del convenuto in riconvenzionale abbiano ad oggetto le materie di cui all’art.5 coma 1 bis del decr.lgsl.28/20, così come nel caso di impulso del giudice ai sensi del secondo comma di tale articolo (mediazione demandata) almeno una delle parti abbia introdotto una valida e completa domanda di mediazione.
Per comprendere meglio il significato di ciò che si è affermato, occorre fare un passo indietro e precisamente riandare all’art.4 del decreto lgs.28/10.
Tale norma prevede al primo comma che
la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza.
Ed al secondo comma, che specificamente interessa, che
l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa
Qual’è la ragione per cui la domanda che introduce il procedimento di mediazione deve indicare, come dice la legge, l’oggetto …della pretesa ?
La risposta è agevole e intuitiva.
E riguarda la necessità della individuazione della causa petendi e del petitum.
Non vi è il proposito, che sarebbe errato e fuori luogo vista la informalità che ispira la procedura di mediazione, di procedimentarla a guisa di una surrettizia imitazione o trasposizione in essa di regole che attengono al contenzioso giudiziario ed alla procedura civile.
Deve piuttosto contenerlo perché se viene proposta, ad esempio, una domanda con la quale si richiede il ristoro dei danni a seguito di una caduta causata da una sconnessione del marciapiede, non si può ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità prevista per la domanda relativa al risarcimento per un investimento ad opera di un veicolo.
In altre parole, se è condivisibile predicare che:
a. deve esistere corrispondenza fra il contenuto della controversia che si porta in mediazione e la domanda con la quale si introduce la mediazione di tale controversia,
b. e che tale corrispondenza debba essere valutata con una certa ampia latitudine (nel senso che non è opportuno pretendere una perfetta geometrica corrispondenza proprio per la ricordata informalità della procedura di mediazione), e infine
c. che la corrispondenza deve essere riferita ai fatti più che alla loro definizione giuridica,
non può essere revocato in dubbio che la condizione di procedibilità potrà ritenersi rimossa solo dove tale corrispondenza nella sostanza, sussista.
La ragione di tale necessaria corrispondenza è intuitiva.
La legge impone che la mediazione si svolga fra le parti su ciò che è il reale concreto oggetto del loro contendere, altrimenti sarebbe una mediazione sfasata, monca, disassata rispetto alla controversia. E quindi probabilmente inefficace perché non attingerebbe all’oggetto ed alle ragioni effettive del conflitto.
La stessa legge individuando materie per le quali la mediazione è obbligatoria o autorizzando il giudice ad incanalare la controversia nella procedura di mediazione, impulso assistito dalla stessa sanzione di improcedibilità per l’inosservanza, presuppone necessariamente la necessità della positiva verifica di tale corrispondenza al fine di affermare l’avvenuta realizzazione della condizione.
Infine è stesso esito, che non può che auspicarsi, nello spirito della legge, positivo, con l’accordo delle parti, che induce a ritenere necessario o quanto meno utile, che i soggetti convocati debbano avere preventivamente e chiaramente esplicitato l’oggetto della procedura di mediazione alla quale sono invitati a partecipare.
Così stando le cose, potrebbe sostenersi – nel caso in esame- che la mediazione non si sia efficacemente (anzi, e per l’esattezza, che non si sia affatto) svolta sulle sole domande introdotte dagli attori. E che l’inefficacia della mediazione solo ad essa attinga.
E che per contro la domanda riconvenzionale dell’avvocato 3 contro tutti gli attori sia perfettamente procedibile avendo il medesimo introdotto su di essa una procedura di mediazione il cui oggetto è stato così delineato dallo stesso mediatore nel verbale surriportato: Oggetto della controversia: pagamento compensi professionali e domanda di manleva.
Occorre, però, per una disamina più approfondita, partire dall’ordinanza del giudice del 25.11.2013 e fissarne il contenuto in parte qua
Ebbene, non vi possono essere dubbi che l’ordinanza, coerentemente con la dizione dell’art.5 comma secondo del decr.Lgsl.28/10 , ordinava la mediazione dell’intera controversia
Ne consegue che al fine di soddisfare al tempo stesso l’ordine del giudice e la previsione di procedibilità condizionata all’adempimento a tale ordine, era necessario che le parti congiuntamente o una qualsiasi delle parti attivassero una procedura di mediazione su tutta la controversia in modo che tutte le questioni dedotte sia con le domande principali e sia con quella riconvenzionale potessero trovare ingresso, confronto e discussione davanti al mediatore.
Con ciò emergendo una radicale sostanziale differenza fra mediazione obbligatoria (che necessita l’esame di quali domande siano afferenti alle materie di cui all’art.5 comma 1 bis del decr.lgsl.28/10, potendo esserlo solo alcune di esse, e mediazione demandata che involge tutta la controversia e tutte le domande avanzate dalle parti (attore, convenuto, terzi).
In realtà l’avvocato 3 ha equivocato in modo riduttivo la portata, perspicua, dell’ordinanza, introducendo una mediazione limitata alla sola sua domanda riconvenzionale di pagamento dei compensi professionali.
Gli attori non hanno promosso, dal loro canto, alcuna procedura di mediazione che allargasse il tema dell’incontro al contenuto delle loro domande, né risulta dal verbale del mediatore che ciò sia stato fatto, pur senza una domanda autonoma e separata, nel corso dell’incontro del 14.3.2014.
Occorre aver ben chiaro che, quale che sia la tipologia della mediazione, sia essa quella di cui al comma 1 bis dell’art.5 sia quella di cui al successivo secondo comma, essa deve sempre involgere l’intera controversia (sarebbe infatti un non senso postulare una qualche possibilità di successo e di accordo laddove si ammettesse che la procedura di mediazione possa tenere fuori una parte, ad esempio le domande dell’attore, dalla trattativa, in tal modo confinata alle sole domande riconvenzionali del convenuto; e se è cosi – ed è così- è da escludere che la norma possa essere interpretata in questo modo).
Alla stregua di tali considerazioni emerge la diversificazione della mediazione obbligatoria rispetto a quella demandata dal giudice, anche per quanto concerne le conseguenze dell’errore.
Nella mediazione obbligatoria per talune soltanto delle domande (ad esempio perché la sola domanda riconvenzionale attinge a materie di cui all’art.5 co. 1 bis) l’aver proposto incompiutamente la domanda di mediazione, confinandola alla sola trattazione di tale riconvenzionale, condanna all’improcedibilità solo tale domanda, non propagandosi il vizio alle domande degli attori che soggette non vi siano.
Nel caso della mediazione demandata dal giudice la situazione è diversa.
In questo caso, nel quale la condizione di procedibilità prescinde dalla materia, tutte le domande, indifferentemente, quelle degli attori, quelle dei convenuti e quelle dei terzi, sono soggette a mediazione, e in questo caso aver confinato l’oggetto della mediazione ad una parte soltanto della controversia (il che equivale ad avere introdotto, violando in difetto la disposizione impartita dal giudice, una mediazione monca), comporta che l’improcedibilità si propaga a tutte le domande.
In questo contesto, art. 5 secondo comma, per evitare tale conseguenza è necessaria la proposizione da almeno una delle parti di una domanda di mediazione che possa ritenersi, in quanto riferita all’intera controversia ed al contenuto di tutte le domande che la intersecano, rituale e compiuta.
Nel caso in esame, poiché la procedura di mediazione demandata introdotta da uno dei convenuti aveva ad oggetto solo la sua domanda riconvenzionale ed era quindi irrituale per la ragione dianzi spiegata, e poiché nessuna delle altre parti ha introdotto una rituale istanza di mediazione che involgesse l’intera controversia e poiché si verte in tema di mediazione demandata dal giudice in ambito diverso da quello di cui all’art.5 comma 1° bis, deve coerentemente concludersi che l’ordine del giudice non è stato ritualmente ottemperato e che la mediazione è stata inefficacemente introdotta e svolta.
Dalla previsione dell’art. 5 co. II° consegue la improcedibilità di tutte le domande.
Sia quelle degli attori che quella del convenuto.
Vista l’assoluta novità della decisione è giusto compensare per intero fra le parti le spese di causa.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
1. DICHIARA inammissibili le domande riconvenzionali dell’avv.3 di cui ai numeri 2-5 del punto 1 di cui in motivazione;
2. DA’ ATTO della mancata rituale attivazione della procedura di mediazione demandata che doveva riguardare l’intera controversia e tutte le domande delle parti;
3. DICHIARA improcedibile sia la domanda riconvenzionale di cui al numeri 1 del punto 1 di cui in motivazione dell’avv.3 e sia quelle degli attori;
4. COMPENSA per intero le spese di causa.-
Roma 27.11.2014 Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi

 

sentenze mediazione civile

Tribunale di Monza, I sez. civile, ordinanza 20 ottobre 2014.

Ancora sull’effettività della mediazione delegata dal giudice ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010

Commento:

Ancora una pronuncia nella quale, in tema di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, si evidenziano i principi di effettività del tentativo e di partecipazione personale delle parti all’incontro di mediazione che rappresentano i tratti salienti del c.d. “orientamento fiorentino”, originato dalle ordinanze 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale del capoluogo toscano.

Come è noto, secondo la giurisprudenza citata per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.

In altri termini, il tentativo di mediazione, con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 5, co. 2, deve svolgersi effettivamente, dal momento che una formale e “burocratica” presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dell’ordine del giudice, il quale avrà già provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la “mediabilità” della controversia.

In sintesi, quindi: tentativo effettivamente svolto – in ottemperanza all’ordine del giudice, e caratterizzato dalla presenza personale – salvo casi eccezionali – delle parti.

Si osserva infatti come l’assenza della parte determini conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla ben diversa logica delle reciproche rinunce.

Testo integrale:

R.G. 13253/2013

TRIBUNALE ORDINARIO DI MONZA I SEZIONE CIVILE

VERBALE DI  UDIENZA

 nella causa vertente tra xxx

OPPONENTI

BANCA xxx

CONVENUTA OPPOSTA

Oggi 20 ottobre 2014, alle ore 9.30, innanzi al dott. Leopoldo Litta Modignani, sono comparsi,

– per gli opponenti l’avv. YYY, il quale insiste per la richiesta di CTU tecnico contabile volta a ricalcolare il rapporto dare e avere.

Rileva che controparte ha depositato in giudizio gli estratti conto a far data dal 01.01.2007 e non dall’ inizio del rapporto (1997); richiama la giurisprudenza della Cassazione n. 10692 del 2007 (obbligo della banca di produrre tutti gli estratti conto del rapporto, altrimenti si dovrà ricalcolare il dare e avere partendo dal “saldo zero”).

Produce il decreto in data 24 luglio 2014 con il quale il Tribunale di Monza ha omologato il concordato preventivo della xxx.

L’avv. ZZZ per la convenuta osserva che la Banca opposta è stata ammessa al voto sulla proposta concordataria per il valore di 175.047,00 Euro, ovvero in misura pari al credito azionato in questa sede. Contesta integralmente quanto dedotto dalla controparte e rinnova l’opposizione alla CTU.

IL GIUDICE

– ritenuto che l’esistenza di una procedura concordataria omologata dal Tribunale, nella quale sono considerati anche i crediti della Banca xxx, renda possibile l’esperimento di una procedura di mediazione tra le parti, nella quale possa essere complessivamente riconsiderata anche la posizione dei garanti, sotto la vigilanza degli organi della procedura;

PTM

-letto ed applicato l’art. 5, comma II, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, dispone l’ esperimento della mediazione e assegna agli opponenti termini di trenta giorni per depositare la domanda di mediazione dinanzi a un organismo abilitato, avuto riguardo ai criteri dell’art. 4 I comma del d.lgs. 28/2010, salva la facoltà delle parti di scegliere concordemente un Organismo avente sede in luogo diverso da quello indicato nell’art. 4 citato;

– fissa nuova udienza in data15 aprile 2015, ore 12.00, per verificare l’esito della procedura di mediazione.

– precisa che le parti dovranno essere presenti dinanzi al mediatore personalmente e con l’assistenza legale di un avvocato iscritto all’Albo.

– precisa altresì che per ”mediazione disposta dal Giudice” si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti anziché limitarsi al formale primo incontro adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla conseguente procedura di mediazione.

IL GIUDICE

dott. Leopoldo Litta Modignani

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Tribunale di Verona, sez. III Civile, ordinanza 15 settembre 2014.

Connessione oggettiva e soggettiva: domande in parte soggette a mediazione obbligatoria in parte no.

Commento:

Pronuncia interessante in quanto affronta un problema delicato, vale a dire l’ipotesi in cui, nell’ambito di un giudizio caratterizzato da domande cumulate sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo, soltanto alcune delle stesse investano le materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Il caso di specie prende le mosse da un decreto ingiuntivo emesso su ricorso di una banca nei confronti di due società, l’una debitrice principale, l’altra in qualità di fideiussore della prima, al fine di pervenire alla restituzione di uno scoperto di conto e di un mutuo chirografario.

Il giudizio nasce dall’opposizione al decreto promossa dalle società di cui sopra.

Nel processo in esame, quindi, da un lato si rientra nell’ipotesi di cui all’art. 104 c.p.c., trattandosi di domande tra loro non altrimenti connesse (connessione soggettiva, da cui cumulo oggettivo), dall’altro, invece, si hanno domande contro più soggetti, ricadendosi dunque nell’art. 103 c.p.c. (connessione oggettiva, da cui cumulo soggettivo).

La particolarità è data dalla circostanza che mentre la domanda inerente allo scoperto di conto corrente deve essere collocata all’area dei “contratti bancari”, e pertanto assoggettata al regime dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione ai fini della procedibilità della domanda giudiziale, la domanda concernente la restituzione del mutuo chirografario, invece, non  è in alcun modo riconducibile all’ambito delle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Nel giudizio di opposizione l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto opposto formulata dalle attrici viene rigettata, ponendosi a quel punto il problema dell’ulteriore corso del giudizio.

Rileva infatti il Giudice “…come sicuramente la controversia tra l’attrice Gruppo G. (la società debitrice principale) e la convenuta relativa al rapporto di conto corrente sia una controversia relativa a contratti bancari e rientri quindi tra quelle per le quali l’art. 5, comma 1 bis d.Lgs. 28/2010 prevede la mediazione quale condizione di procedibilità. Infatti con la predetta espressione si devono intendere le controversie relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alle domande svolte, sempre dalla attrice Gruppo G. che si fondano sul contratto di mutuo chirografario, atteso che la sola qualità di istituto di credito di una delle parti di tale rapporto non è elemento sufficiente a farlo qualificare come contratto bancario nel senso di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/2010
”.

Analoga considerazione”, aggiunge il Tribunale, “vale rispetto alle difese svolte da G.M. (fideiussore della società debitrice principale) poiché, sebbene esse coincidano con quelle del soggetto garantito, e riguardino quindi anche il rapporto di conto corrente (il garante essendo a ciò legittimato dal disposto dell’art. 1945 c. c.), il titolo di esse è costituito da un contratto che trova la sua disciplina nel codice civile”.

Ciò posto, “…occorre rilevare, sotto il profilo processuale come già con il ricorso monitorio siano state svolte una pluralità di domande tra loro non altrimenti connesse (art. 104 c.p.c.) e contro più soggetti (art. 103 c.p.c.) solo alcune delle quali sono soggette a mediazione obbligatoria.

Pertanto per dar modo alle parti di esperire, nel caso di specie, il procedimento di mediazione occorrerebbe separare la controversia riguardante il contratto di conto corrente tra la Gruppo G. e la convenuta da quella relativa al contratto di mutuo chirografario e da quella tra G.M. e convenuta relativa al contratto di fideiussione”.

Occorrerebbe dunque procedere alla revoca del decreto opposto, ma detto effetto potrebbe derivare soltanto da una sentenza, che finirebbe con il complicare alquanto il quadro processuale, dal momento che, ove poi il procedimento di mediazione non approdasse ad un esito positivo, la banca convenuta sarebbe giocoforza costretta ad instaurare un nuovo giudizio in ordine ai rapporti già dedotti.

Per tali ragioni, il Giudice ritiene preferibile la devoluzione in mediazione di tutte le domande. Come? Ricorrendo alla mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Infatti, “…per favorire appieno la prospettiva conciliativa propria del procedimento di mediazione è estremamente opportuno che ad esso le parti devolvano tutte le controversie di cui si è detto, giovandosi del disposto dell’art. 5 comma 2° D.Lgs. 28/2010.
E’ evidente infatti che, stante la stretta connessione fattuale, esistente tra le controversie è estremamente opportuno, al fine di rendere utilmente esperibile il procedimento di mediazione, demandare ad esso entrambe le controversie…
”.

Il Tribunale, peraltro, “…al fine di prevenire possibili dubbi o contestazioni delle parti, connessi alle posizioni che hanno assunto…”, si sofferma anche sulla competenza territoriale dell’organismo di mediazione, individuandola nel proprio circondario, anche perchè le attrici avevano sollevato eccezione di incompetenza per continenza del Tribunale di Verona ad emettere il decreto opposto in quanto già pendente, al tempo del deposito del ricorso, altro giudizio, dinanzi al Tribunale di Brescia, caratterizzato da coincidenza parziale di causa petendi e di petitum.

Sul punto, nell’ordinanza si osserva che, pur essendo indubbiamente sussistente la relazione di continenza di cui sopra, dalla stessa “…non può però conseguire, contrariamente a quanto sostenuto dalle attrici, l’adozione del provvedimento di cui all’art. 39, comma 2. c.p.c. perché, dovendo questo Giudice procedere ad una verifica della competenza del giudice bresciano rispetto alla causa sopra citata, in conformità alle indicazioni espresse dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 13 luglio 2006 n. 15905, tale competenza va esclusa”.

Ciò chiarito, ai fini dell’individuazione dell’organismo di mediazione territorialmente competente, il Giudice veronese puntualizza che, con riguardo alle mediazioni che si svolgano in pendenza di giudizio, “…si è sostenuto, sia pure con riguardo alla disciplina originaria del d.Lgs. 28/2010, che vi è una “attrazione” del luogo di svolgimento del procedimento di mediazione davanti ad un organismo che abbia la propria sede nel circondario del tribunale o nel distretto della corte d’appello nel quale la controversia è pendente, sulla falsariga di quanto dispone l’art. 669 quater c.p.c. per la competenza per la trattazione dei procedimenti cautelari in corso di causa, ma, in mancanza di una espresso richiamo a tale criterio, quella soluzione non pare consentita.

Occorre poi evidenziare che l’art. 4, comma 1, d.Lgs. 28/2010 non attribuisce rilievo, ai fini della determinazione della competenza per territorio dell’organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sezione III del titolo primo del c.p.c., cosicché non rilevano, al fine suddetto, eventi processuali come competenza per connessione o la litispendenza o continenza prospettate nel caso di specie, tanto più che esse, a rigore, non costituiscono ipotesi di incompetenza. E’ quindi possibile affermare che nel caso di specie competente a trattare il procedimento di mediazione è un organismo di mediazione sito nel circondario di questo Tribunale sulla base della considerazione che, avuto riguardo alla fase di opposizione, esso è competente a decidere ai sensi dell’art. 645, primo comma c.p.c. mentre con riguardo alla fase monitoria era competente in virtù dei criteri sopra esposti”.

 

Testo integrale:

Tribunale di Verona, sez. III Civile, ordinanza 12 – 15 settembre 2014

Giudice Vaccari

Rilevato che

Le attrici hanno proposto opposizione al decreto con il quale il giudice designato di questo Tribunale ha ingiunto alla Gruppo G. in qualità di debitrice principale, e alla G.M. s.r.l. in qualità di fideiussore della prima, di pagare alla società oggi convenuta la somma di Euro 1.337.311,23 di cui Euro 577.048,18 a titolo di scoperto del conto corrente nn.(…), intestato alla Gruppo G. ed Euro 760.263,50 per mancato rimborso di un mutuo chirografario di originari euro 1.000.000,00.

A sostegno della opposizione le attrici hanno eccepito, in via pregiudiziale di rito, l’incompetenza per territorio del Tribunale di Verona ad emettere il decreto opposto, sulla scorta del duplice rilievo che è attualmente pendente davanti al Tribunale di Brescia altro giudizio, instaurato prima del presente ma con i medesimi petitum e causa petendi, e nel quale le attuali attrici nonché gli altri garanti M. M.S. e G.G. e S.F. attori hanno chiesto l’accertamento negativo del credito di controparte derivante dai medesimi rapporti che essa ha azionato in via monitoria davanti al Tribunale di Verona.

In via subordinata hanno eccepito l’incompetenza per territorio del Tribunale di Verona ad emettere il decreto ingiuntivo, quanto meno nei confronti della opponente, nonché fideiussore della Gruppo G. G.M. s.r.l., sulla scorta dell’assunto che per questa vi sarebbe la deroga pattizia esclusiva in favore del Tribunale di Brescia.

Con riguardo al merito le opponenti hanno dedotto l’insussistenza del credito azionato in via monitoria sulla base degli stessi argomenti svolti davanti al tribunale di Brescia (con riguardo al rapporto di mutuo chirografario: indeterminatezza del reale costo del finanziamento, mancata segnalazione e quantificazione dell’opzione floor, presenza di interessi anatocistici illegittimi; con riguardo al rapporto di conto corrente tra gli altri:
illegittimità degli addebiti per interessi passivi per superamento del tasso soglia e per mancato rispetto della forma scritta ad substantiam della relativa previsione; illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle altre remunerazioni a titolo di c.m.s.; illegittimità del lucro per valuta).

L’eccezione di incompetenza per continenza sollevata dalle attrici è fondata.
Infatti non è contestato, ed è comunque dimostrato, che il giudizio attualmente pendente davanti al Tribunale di Brescia sia stato promosso prima del deposito del decreto monitorio qui opposto. Infatti l’atto introduttivo del primo è stato inviato per la notifica a mezzo posta in data 26 novembre 2013 mentre il ricorso monitorio è stato depositato in data 16 dicembre 2013.
E’ poi indubbio che vi sia una relazione di continenza tra le due cause, tenuto conto che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. VI, 14 luglio 2011, n. 15532), tale relazione sussiste “anche quando tra due cause pendenti contemporaneamente davanti a giudici diversi, vi sia una coincidenza parziale di causae petendi, ovvero qualora le questioni dedotte in una causa costituiscano il presupposto logico-giuridico necessario par la decisione dell’altra causa, o siano in tutto o in parte comuni alla decisione di entrambe, avendo le rispettive domande origine dal medesimo rapporto negoziale, risultando tra loro interdipendenti o contrapposte, cosicché la soluzione dell’una interferisce con quella dell’altra (c.d. continenza per specularità)”.

A fronte dei succitati tratti comuni non è sufficiente a far escludere la relazione di continenza tra le due cause il fatto che vi possa essere una parziale diversità tra i soggetti dell’una e quelli dell’altra, come nel caso di specie.

Peraltro nel caso di specie la presenza in giudizio della garante G.M. è dovuta al fatto che l’ingiunzione di pagamento è stata emessa anche nei suoi confronti.
Ciò detto, ai predetti rilievi non può però conseguire, contrariamente a quanto sostenuto dalle attrici, l’adozione del provvedimento di cui all’art. 39, comma 2. c.p.c. perché, dovendo questo Giudice procedere ad una verifica della competenza del giudice bresciano rispetto alla causa sopra citata, in conformità alle indicazioni espresse dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 13 luglio 2006 n. 15905, tale competenza va esclusa.
Infatti, con riguardo alle deduzioni che sono fondate sul rapporto di conto corrente, deve trovare applicazione la clausola derogativa della competenza per territorio (art. 26) che è contenuta nel relativo contratto (doc. 2 del fascicolo monitorio) e che individua, quale foro esclusivo per le controversie che dovessero insorgere tra correntista e istituto di credito, quello di Verona, tanto più che la sottoscrizione di tale contratto non è stata disconosciuta dall’attrice Gruppo G.

Per converso, con riguardo al contratto di fideiussione sulla base del quale, davanti al Tribunale di Brescia, hanno agito i garanti M. M. S. e G.G. e S.F. deve osservarsi come le clausole derogative alla competenza per territorio in essi contenute, che individuano nel circondario della tribunale ove ha sede la convenuta il foro competente, non sono idonee a determinare uno spostamento di competenza, atteso che tale deroga non è stata prevista in via esclusiva come richiesto dall’art. 28 c.p.c.

Conseguentemente possono trovare applicazione i principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza 7 gennaio 2013 n. 180 secondo il quale “in tema di competenza per territorio il foro convenzionalmente stabilito dalle parti nel contratto principale…si applica anche al contratto di fideiussione, “atteso che lo stretto legame esistente con l’obbligazione principale ed il rischio che, in caso di separazione dei giudizi, si formino due diversi giudicati in relazione ad un giudizio sostanzialmente unico”.

Ancora, relativamente alla controversia sul contratto di mutuo, in difetto di deroghe convenzionali, la competenza del Tribunale di Verona ad emettere il decreto va affermata sulla base del criterio di cui all’art. 19 c.p.c.v Alla luce delle superiori considerazioni la istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto opposto avanzata dalle attrici va rigettata. Con riguardo all’ulteriore corso del giudizio occorre rilevare come sicuramente la controversia tra l’attrice Gruppo G. e la convenuta relativa al rapporto di conto corrente sia una controversia relativa a contratti bancari e rientri quindi tra quelle per le quali l’art. 5, comma 1 bis d.Lgs. 28/2010 prevede la mediazione quale condizione di procedibilità. Infatti con la predetta espressione si devono intendere le controversie relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari (in tali termini cfr. Paragrafo 2 D del protocollo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione dell’osservatorio valore prassi di questo Tribunale).

A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alle domande svolte, sempre dalla attrice Gruppo G. che si fondano sul contratto di mutuo chirografario, atteso che la sola qualità di istituto di credito di una delle parti di tale rapporto non è elemento sufficiente a farlo qualificare come contratto bancario nel senso di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/2010.

Analoga considerazione vale rispetto alle difese svolte da G.M. poiché, sebbene esse coincidano con quelle del soggetto garantito, e riguardino quindi anche il rapporto di conto corrente (il garante essendo a ciò legittimato dal disposto dell’art. 1945 c. c.), il titolo di esse è costituito da un contratto che trova la sua disciplina nel codice civile (per tale soluzione si veda sempre il protocollo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione dell’osservatorio valore prassi di questo Tribunale).

Ciò chiarito occorre rilevare, sotto il profilo processuale come già con il ricorso monitorio siano state svolte una pluralità di domande tra loro non altrimenti connesse (art. 104 c.p.c.) e contro più soggetti (art. 103 c.p.c.) solo alcune delle quali sono soggette a mediazione obbligatoria.
Pertanto per dar modo alle parti di esperire, nel caso di specie, il procedimento di mediazione occorrerebbe separare la controversia riguardante il contratto di conto corrente tra la Gruppo G. e la convenuta da quella relativa al contratto di mutuo chirografario e da quella tra G.M. e convenuta relativa al contratto di fideiussione.
A tal fine sarebbe necessario revocare il decreto ingiuntivo opposto ma un simile effetto potrebbe essere prodotto solo con sentenza, eventualità questa che complicherebbe l’iter del giudizio, poiché, se il procedimento di mediazione non si concludesse positivamente, parte convenuta sarebbe costretta a promuovere un nuovo giudizio relativo ai succitati rapporti.
Proprio per evitare una simile eventualità e, al contempo, per favorire appieno la prospettiva conciliativa propria del procedimento di mediazione è estremamente opportuno che ad esso le parti devolvano tutte le controversie di cui si è detto, giovandosi del disposto dell’art. 5 comma 2° D.Lgs. 28/2010.

E’ evidente infatti che, stante la stretta connessione fattuale, esistente tra le controversie è estremamente opportuno, al fine di rendere utilmente esperibile il procedimento di mediazione, demandare ad esso entrambe le controversie tanto più se si considera che in esso potrebbero essere definite, per adesione volontaria delle parti, le questioni agitate nel giudizio bresciano.

Al fine di prevenire possibili dubbi o contestazioni delle parti, connessi alle posizioni che hanno assunto, è opportuno indicare l’organismo di mediazione territorialmente competente al quale le stesse potranno rivolgersi.

L’art. 84. comma 1. lett. a) del d.l. 69/2013, integrando il primo comma dell’art. 4 del D.Lgs. 28/2010, ha infatti introdotto un criterio determinativo della competenza per territorio dell’organismo di mediazione prevedendo che: “La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”
Alla luce dei chiarimenti forniti dal Ministero della giustizia con la circolare 27 novembre 2013 è poi sufficiente che nel circondano del Tribunale territorialmente competente per la controversia si trovi una sede secondaria dell’organismo di mediazione, regolarmente comunicata e iscritta presso il dicastero della giustizia, perché il procedimento possa considerarsi correttamente radicato presso di essa.

Ciò detto si tratta di individuare l’organismo di mediazione territorialmente competente nel caso di specie.

Orbene, per le mediazioni che si svolgano nella pendenza del giudizio in dottrina si è sostenuto, sia pure con riguardo alla disciplina originaria del d.Lgs. 28/2010, che vi è una “attrazione” del luogo di svolgimento del procedimento di mediazione davanti ad un organismo che abbia la propria sede nel circondario del tribunale o nel distretto della corte d’appello nel quale la controversia è pendente, sulla falsariga di quanto dispone l’art. 669 quater c.p.c. per la competenza per la trattazione dei procedimenti cautelari in corso di causa, ma, in mancanza di una espresso richiamo a tale criterio, quella soluzione non pare consentita
Occorre poi evidenziare che l’art. 4, comma 1, d.Lgs. 28/2010 non attribuisce rilievo, ai fini della determinazione della competenza per territorio dell’organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sezione III del titolo primo del c.p.c., cosicché non rilevano, al fine suddetto, eventi processuali come competenza per connessione o la litispendenza o continenza prospettate nel caso di specie, tanto più che esse, a rigore, non costituiscono ipotesi di incompetenza

E’ quindi possibile affermare che nel caso di specie competente a trattare il procedimento di mediazione è un organismo di mediazione sito nel circondario di questo Tribunale sulla base della considerazione che, avuto riguardo alla fase di opposizione, esso è competente a decidere ai sensi dell’art. 645, primo comma c.p.c. mentre con riguardo alla fase monitoria era competente in virtù dei criteri sopra esposti.

 P.Q.M.

Rigetta l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto avanzata dalle attrici;

assegna alle parti il termine di quindici giorni dalla comunicazione del provvedimento per presentare l’istanza di mediazione, in relazione a tutte le controversie per cui è causa, davanti ad un organismo di mediazione sito nel circondario di questo Tribunale.

Mediazione-obbligatoria

Approfondimento sulla Circolare CNF 6/C/2014

Riteniamo opportuno, con il presente articolo, richiamare l’attenzione di tutti gli    interessati sulle regole “semplificate” che il Consiglio Nazionale Forense, con la  Circolare 6 – C – 2014, del 21 febbraio 2014, ha stabilito per la formazione e l’aggiornamento degli avvocati mediatori.

Come è noto, con l’entrata in vigore della legge 98/2013 (che ha convertito, con emendamenti, il c.d. “decreto del fare”), l’avvocato iscritto all’albo può essere iscritto come mediatore presso un numero massimo di cinque organismi di mediazione “di diritto”, ossia senza sottostare all’obbligo generale di seguire un percorso formativo di 50 ore prescritto, dalla normativa primaria e secondaria, per le altre categorie di interessati.

Il professionista, tuttavia, ai sensi dell’art. 16, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, deve avere acquisito una “adeguata formazione” e curare il proprio aggiornamento professionale nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55-bis cod. deontologico forense, ed in particolare: “L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice. L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza”.

La previsione risulta confermata dall’art. 62 del nuovo codice deontologico forense.

In sostanza, gli avvocati, mediatori di diritto, devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione attraverso percorsi di aggiornamento teorico – pratici, nel rispetto, per l’appunto, del codice deontologico forense.

Il rinvio, contenuto del D.lgs 28/2010, alla disciplina forense implica che gli obblighi di formazione e aggiornamento per l’avvocato mediatore debbano avvenire all’interno dei percorsi formativi professionali forensi. Come è noto, l’organizzazione degli stessi è demandata al Consiglio Nazionale Forense e agli ordini circondariali dall’art. 11 L. 247/2012 (riforma della professione forense).

Sulla base delle ragioni che precedono il Consiglio nazionale forense, con la Circolare 6 – C – 2014,  ha previsto un percorso più snello strutturato in  15 ore teorico-pratiche integrate da un tirocinio.

Secondo la suddetta  Circolare 6 – C – 2014, con riferimento alla formazione, il percorso deve dipanarsi attraverso due fasi:

I Step: di 15 ore, teorico pratiche, da svolgersi in classi di 30 partecipanti al massimo.

Il programma può essere concentrato sui soli aspetti specifici della mediazione dedicando un numero minore di ore all’analisi della disciplina di settore e uno maggiore alle tecniche di gestione del conflitto, la quali non rientrano normalmente nel bagaglio culturale dell’avvocato:

quindi, indicativamente, 5 ore sull’analisi del D.lgs. 28/2010 e relativa disciplina di attuazione (ai sensi del D.M. 180/2010: normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore);

10 ore sulla gestione del conflitto e le competenze pratiche del mediatore (ai sensi del D.M. 180/2010: metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e le relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa (anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice)

II Step: partecipazione ad almeno 2 procedure di mediazione condotte da altri, non limitate però al primo incontro, vale a dire non potranno essere conteggiati primi incontri che si concludano con verbale negativo per mancata partecipazione della parte chiamata ovvero per impossibilità, emersa nell’incontro medesimo, di entrare nel merito della questione, con conseguente verbale negativo all’esito della fase filtro.

Potranno essere esonerati gli Avvocati che hanno già acquisito la qualifica di mediatore secondo il percorso generale, dovendosi, peraltro, tenere nel dovuto conto il fatto che il percorso indicato nella circolare potrebbe certamente consigliarsi comunque, alla luce del fatto che verosimilmente il percorso generale, con il relativo conseguimento della qualifica di mediatore, sarà stato frequentato sotto la vigenza dell’originario modello di mediazione introdotto dal D. lgs 28/2010, successivamente, come si sa, radicalmente modificato nel 2013.

Per quanto concerne invece l’aggiornamento professionale, la  Circolare 6 – C – 2014 propone un numero di 8 ore nel biennio dedicate principalmente allo studio di casi.

Tale percorso, più snello di quello “ordinario”, sarà logicamente applicabile anche agli avvocati che abbiamo conseguito la qualifica nel previgente sistema.

Infine, per quanto concerne i soggetti autorizzati ad erogare la formazione e l’aggiornamento, la Circolare 6 – C – 2014 precisa che, al fine di non incorrere in atteggiamenti anticoncorrenziali, i COA e/o il CNF, oltre a poter ovviamente fornire il servizio in proprio, possano accreditare singoli corsi così come avviene per la formazione permanente.

Soltanto in questo senso, naturalmente,  può essere interpretata la circolare integrativa del Ministero della Giustizia del 9 dicembre 2013 atteso che “le associazioni professionali e i terzi” possono fornire servizi di formazione valevole ai fini dell’aggiornamento professionale e deontologico soltanto passando per il meccanismo di accreditamento in capo a COA e CNF”.

Si allega, di seguito, il testo integrale della  Circolare 6 – C – 2014.

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

 FORMAZIONE AVVOCATI MEDIATORI DI DIRITTO

 

La norma:

Art. 16, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010

4-bis. Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica

.La circolare del Min. Giustizia del 27 novembre 2013:

In base a tale disposizione, proprio il riferimento alla suddetta previsione regolamentare forense deve condurre a ritenere che gli obblighi di formazione e aggiornamento per il mediatore avvocato debbano avvenire nell’ambito dei percorsi formativi professionali forensi, la cui organizzazione è demandata al consiglio nazionale forense e agli ordini circondariali dall’art. 11 legge 31 dicembre 2012 n. 247.

Il 9 dicembre è stata emanata una circolare integrativa

«A integrazione e chiarimento del contenuto della circolare del 27 novembre 2013 si specifica che il richiamo all’art. 11 legge 31 dicembre 2012 n. 247, contenuto nel paragrafo “Avvocati e Mediazione”, deve intendersi effettuato all’intera disposizione, e, quindi, anche alle competenze ivi attribuite alle “associazioni forensi e ai terzi” in materia di formazione professionale forense».

La questione:

– L’avvocato iscritto all’albo può essere iscritto come mediatore presso un numero massimo di cinque organismi di mediazione «di diritto», ossia senza sottostare all’obbligo generale di seguire un percorso formativo di 50 ore prescritto, dalla normativa primaria e secondaria, per le altre categorie di interessati.

– Deve tuttavia avere acquisito una «adeguata formazione» e curare il proprio aggiornamento professionale nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55-bis cod. deontologico forense, ed in particolare: «L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice.

L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza».

La previsione risulta confermata dall’art. 62 del nuovo codice deontologico forense in corso di pubblicazione in gazzetta ufficiale.

Il percorso di formazione dell’Avvocato mediatore

Non va dimenticato che l’Organismo di mediazione non è obbligato ad accettare tutte le domande di iscrizione che riceve, con la conseguenza che prevedere un percorso di formazione costituisce una garanzia innanzitutto per chi ha intenzione di dedicarsi a questa attività.

Per tale motivo il Consiglio nazionale forense propone un percorso più snello pari a 15 ore teorico-pratiche integrate da un tirocinio:

I Step: di 15 ore, teorico pratiche, da svolgersi in classi di 30 partecipanti al massimo.

Il programma può essere concentrato sui soli aspetti specifici della mediazione dedicando un numero minore di ore all’analisi della disciplina di settore e uno maggiore alle tecniche di gestione del conflitto, la quali non rientrano normalmente nel bagaglio culturale dell’avvocato:

5 ore sull’analisi del d.lgs. n. 28/2010 e relativa disciplina di attuazione (ai sensi del d.m. n.180/2010: normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione -forma,

contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore);

10 ore sulla gestione del conflitto e le competenze pratiche del mediatore (ai sensi del d.m. 180/2010: metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e le relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa (anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice)

II Step: partecipazione ad almeno 2 procedure di mediazione condotte da altri (non limitate però al primo incontro).

Dovranno essere esonerati gli Avvocati che hanno già acquisito la qualifica di mediatore secondo il percorso generale.

Aggiornamento professionale

Il Consiglio nazionale propone un numero di 8 ore nel biennio dedicate principalmente allo studio di casi.

Tale percorso, più snello di quello “ordinario”, sarà applicabile anche agli avvocati che abbiamo conseguito la qualifica nel previgente sistema.

Soggetti autorizzati ad erogare la formazione e all’aggiornamento

Il d.lgs. n. 28/2010 rimette il compito ai COA e al CNF. Per evitare di assumere atteggiamenti anticoncorrenziali si prevedere che i COA e/o il CNF, oltre a poter fornire in proprio il servizio, accreditino singoli corsi al pari di quanto avviene per la formazione permanente.

Soltanto in questo senso può essere interpretata la circolare integrativa del dicembre 2013 atteso che «le associazioni professionali e i terzi» possono fornire servizi di formazione valevole ai fini dell’aggiornamento professionale e deontologico soltanto passando per il meccanismo di accreditamento in capo a COA e CNF.

Il Consiglio nazionale forense auspica una particolare attenzione dei soggetti erogatori a contenere i costi dei percorsi sopra delineati.

 Roma, 21 febbraio 2014

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