Mediazione-obbligatoria

In vigore le modifiche al d.m. 180/2010 in tema di mediazione civile

E’ stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 settembre scorso il decreto ministeriale 4 agosto 2014, n. 139, recante modifiche al D.M.180/2010, il cui testo, come è noto, modificato a suo tempo dal D.M. 145/2011, non era stato ancora “ritoccato” all’indomani della riforma della mediazione civile e commerciale conseguente alla conversione in legge del c.d. “decreto del fare” (L. 98/2013).

Diverse le modifiche apportate al testo originario. Vediamole secondo l’ordine seguito dal nuovo regolamento.

-In tema di capacità finanziaria, non si fa più riferimento al “capitale la cui sottoscrizione è necessaria per la costituzione di una società a responsabilità limitata”, ma si prevede espressamente che il richiedente debba garantire un capitale minimo di 10.000 euro.

-E’ aggiunto un nuovo ultimo comma all’art. 8 del D.M. 180, a tenore del quale l’organismo iscritto ha l’obbligo di comunicare al Ministero, alla fine di ogni trimestre, i dati statistici inerenti all’attività di mediazione svolta.

-Il nuovo primo comma dell’art. 10 del decreto prevede invece disposizioni di carattere sanzionatorio per l’ipotesi di inosservanza della disposizione che precede: in prima battuta, infatti, si dispone la sospensione, per un periodo di dodici mesi, dell’organismo che non abbia effettuato le comunicazioni di cui sopra, seguita, poi, dal provvedimento di cancellazione dal registro ove l’organismo medesimo non trasmetta i dati, ivi compreso lo “storico” dei dodici mesi precedenti, entro i tre mesi successivi.

-Per quanto concerne il monitoraggio statistico dei procedimenti di mediazione svolti, sarà effettuato da parte del Ministero con scadenza semestrale e non più annuale.

-E’ introdotto il nuovo art. 14 – bis, concernente le incompatibilità ed i conflitti di interesse relativi al mediatore.

In primis, il mediatore  non può essere parte o rappresentare o in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi all’organismo presso cui e’ iscritto o relativamente al quale e’ socio o riveste una carica a qualsiasi titolo; si badi bene che tale divieto “…si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali”;

inoltre, non può svolgere le funzioni di mediatore chi abbia in corso, o abbia avuto negli ultimi due anni, rapporti di natura professionale con una parte del procedimento;

infine, chi ha svolto la funzione di mediatore in un determinato procedimento non può intrattenere rapporti di natura professionale con una delle parti del medesimo nei successivi due anni.

-Disposizioni innovative anche per quanto riguarda le indennità spettanti agli organismi. Infatti, dopo aver previsto esplicitamente che le spese di avvio sono dovute da ciascuna parte “per lo svolgimento del primo incontro”, si contempla che le medesime aumentino ad euro 80,00 per le controversie di valore superiore a 250.000 euro. Si precisa peraltro in modo espresso che detti importi sono dovuti anche in caso di mancato accordo.

-Si prevede, infine, che gli organismi di mediazione che alla data dell’entrata in vigore del regolamento in commento non siano in possesso di tutti i requisiti di cui all’art. 4, co. 2, lett. a), D.M. 180/2010, dovranno provvedere all’integrazione entro 120 gg. dall’entrata in vigore medesima, a pena di cancellazione. Ciò è espressamente previsto anche per gli organismi di formazione, con riferimento, naturalmente, ai requisiti di cui all’art. 18, co. 2, lett. a), D.M. 180/2010.

Si dispone altresì, con riguardo ai mediatori che alla data di entrata in vigore del decreto non abbiano completato l’aggiornamento professionale (tirocinio assistito) di cui all’art. 4, co. 3, lett. b), D.M. 180/2010, che gli stessi siano tenuti a provvedervi entro il termine di un anno decorrente, per l’appunto, dal 23 settembre 2014.

Si riporta di seguito il testo integrale del decreto.

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 

DECRETO 4 agosto 2014, n. 139

 Regolamento recante modifica al decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, sulla determinazione dei criteri e delle modalita’ di iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione nonche’ sull’approvazione delle indennita’ spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 28 del 2010. (14G00150)

(GU n.221 del 23-9-2014)

Vigente al: 24-9-2014

IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA

di concerto con

IL MINISTRO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Visto l’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali;

Visto l’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69;

Visto il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98;

Visto il decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n. 180 e successive modificazioni e integrazioni;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell’adunanza del 6 febbraio 2014;

Visto l’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Vista la nota del 4 luglio 2014 con la quale lo schema di regolamento e’ stato comunicato al Presidente del Consiglio dei ministri;

Adotta

il seguente regolamento:

 

Art. 1

Disposizione generale

  1. Le disposizioni del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, richiamate nei successivi articoli, sono modificate o integrate secondo quanto disposto negli articoli seguenti.

Art. 2

Modifiche all’articolo 4

  1. All’articolo 4, comma 2, lettera a) del decreto del Ministro della Giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, le parole: «quello la cui sottoscrizione e’ necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata», sono sostituite dalle parole: «10.000,00 euro».

Art. 3

Modifiche all’articolo 8

  1. All’articolo 8 del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, e’ aggiunto, in fine, il seguente comma: «5. L’organismo iscritto e’ obbligato a comunicare al Ministero della giustizia, alla fine di ogni trimestre, non oltre l’ultimo giorno del mese successivo alla scadenza del trimestre stesso, i dati statistici relativi alla attività di mediazione svolta.».

Art. 4

Modifiche all’articolo 10

  1. All’articolo 10, comma 1, del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, e’ aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Nel caso di cui all’articolo 8 comma 5, il responsabile dispone la sospensione per un periodo di dodici mesi dell’organismo che non ha comunicato i dati; ne dispone la cancellazione dal registro se l’organismo non provvede ad inviare i dati, inclusi quelli storici dei dodici mesi precedenti, entro i tre mesi successivi.».

Art. 5

Modifiche all’articolo 11

  1. All’articolo 11, comma 1, primo periodo, del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, la parola «annualmente» e’ sostituita dalle parole «ogni sei mesi».

Art. 6

Integrazioni

  1. Dopo l’articolo 14 del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, e’ inserito il seguente: «Articolo 14-bis (Incompatibilità e conflitti di interesse). – 1. Il mediatore non può essere parte ovvero rappresentare o in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi all’organismo presso cui e’ iscritto o relativamente al quale e’ socio o riveste una carica a qualsiasi titolo; il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali.
  2. Non può assumere la funzione di mediatore colui il quale ha in corso ovvero ha avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti, o quando una delle parti e’ assistita o e’ stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che ha esercitato la professione negli stessi locali; in ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’articolo 815, primo comma, numeri da 2 a 6, del codice di procedura civile.
  3. Chi ha svolto l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non sono decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento. Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitano negli stessi locali.».

Art. 7

Modifiche all’articolo 16

  1. All’articolo 16, comma 2, del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo le parole «da ciascuna parte» sono aggiunte le parole «per lo svolgimento del primo incontro»;

b) dopo le parole «euro 40,00» sono aggiunte le parole «per le liti di valore fino a 250.000,00 euro e di euro 80,00 per quelle di valore                     superiore, oltre alle spese vive documentate;

c) dopo il primo periodo e’ aggiunto il seguente: «l’importo e’ dovuto anche in caso di mancato accordo».

  1. All’articolo 16, comma 4, lettera d) del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, le parole «di cui all’articolo 5, comma 1,» sono sostituite dalle parole «di cui all’articolo 5, comma 1-bis e comma 2,».

Art. 8

Modifiche all’articolo 18

  1. All’articolo 18, comma 2, lettera a) del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, le parole «quello la cui sottoscrizione e’ necessaria alla costituzione di una società a responsabilità limitata», sono sostituite dalle parole: «10.000,00 euro».

Art. 9

Disposizioni finali e transitorie

  1. Gli organismi di mediazione che alla data di entrata in vigore del presente decreto non sono in possesso di tutti i requisiti di cui all’articolo 4, comma 2, lettera a) del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, devono provvedere alla integrazione entro il termine di centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, pena la cancellazione della iscrizione. Entro il medesimo termine, pena la cancellazione della iscrizione, devono provvedere alla integrazione dei requisiti di cui all’articolo 18, comma 2 lettera a) del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, gli organismi di formazione che alla data di entrata in vigore del presente decreto non ne sono già in possesso.
  2. I mediatori che alla data di entrata in vigore del presente regolamento non hanno completato l’aggiornamento professionale in forma di tirocinio assistito di cui all’articolo 4, comma 3, lettera b) del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010, n. 180, e successive integrazioni e modificazioni, devono provvedervi entro il termine di un anno dalla entrata in vigore del presente regolamento.
  3. La tabella con la specifica degli oneri informativi di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 novembre 2012, n. 252, e’ allegata al presente regolamento.

Art. 10 

Entrata in vigore

  1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Roma, 4 agosto 2014

Il Ministro della giustizia

Orlando

Il Ministro dello sviluppo economico

Guidi

Visto, il Guardasigilli: Orlando

Registrato alla Corte dei conti il 16 settembre 2014

Ufficio controllo atti P.C.M. Ministeri giustizia e affari esteri,

reg.ne – prev. n. 2490

 

 Allegato

ELENCO DEGLI ONERI INFORMATIVI INTRODOTTI O ELIMINATI A CARICO DI  CITTADINI E IMPRESE (ART. 2, COMMA 2, DPCM 14  NOVEMBRE 2012 N.  252).

ONERI INTRODOTTI

  1. A) Denominazione

1) Obbligo di comunicazione di dati statistici al Ministero della Giustizia

2) obbligo di monitoraggio statistico

  1. B) Riferimento normativa interno

1) Art. 2 dello schema di DM che modifica l’art. 18 del DM 180/2010

2) art. 4 dello schema di DM che modifica l’art. 11 del DM 180/2010

  1. C) Categoria dell’onere

1) comunicazione

2) altro

  1. D) cosa cambia per il cittadino e/o l’impresa

1) la norma introduce, in capo all’organismo di mediazione, l’obbligo di trasmettere al Ministero della giustizia, ogni tre mesi, i dati statistici relativi alle attività di mediazione. La norma fissa anche il termine: non oltre l’ultimo giorno successivo alla

scadenza del trimestre.

2) L’obbligo di monitoraggio statistico in capo al Ministero era già previsto dall’articolo 11 del DM 180/2010. La norma dello schema di DM in esame si limita a modificare l’intervallo temporale – sei mesi invece di un anno – in modo da intensificare l’attività di monitoraggio.

ONERI ELIMINATI

Nulla da rilevare

 

 

 

adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Decreto legge giustizia

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legge giustizia che contiene una serie di norme che vanno sotto il nome di “Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile. (14G00147) (GU Serie Generale n.212 del 12-9-2014).

Si tratta, sia pure dopo una attesa più lunga del previsto, del primo passo verso quei risultati che, secondo il Governo, dovranno essere raggiunti nei “mille giorni” che dovrebbero condurre al termine della legislatura.

Tra gli aspetti che inevitabilmente comporteranno un serrato dibattito tra gli operatori del diritto, si segnalano quelli relativi a separazione e divorzio, dal momento che i coniugi intenzionati a separarsi consensualmente potranno manifestare il proprio volere mediante una comunicazione scritta e personale all’ufficiale di stato civile, a condizione che essa non contenga trasferimenti di natura patrimoniale; la riduzione delle ferie dei magistrati (da 45 a 30 gg.) e la contestuale riduzione del periodo di sospensione feriale (in precedenza, come è noto, dal primo agosto al quindici settembre, con la nuova normativa dal 3 al 31 agosto); e, dulcis in fundo, l’introduzione della negoziazione assistita, cui è dedicato il Capo II del decreto (artt. 2 – 11). Si tratta di una nuova forma di ricerca di accordo stragiudiziale che, nelle controversie in materia di danni causati dalla circolazione di veicoli e di natanti e nelle domande relative al pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti i cinquantamila euro, assurge a condizione di procedibilità dell’azione, ferma restando, beninteso, a norma dell’art. 3. co. 1, del decreto, l‘obbligatorietà della mediazione civile  nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 132

Ecco il testo ufficiale del decreto legge 12 settembre 2014 tratto dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 77 e 87 della Costituzione;

Ritenuta  la  straordinaria  necessita’  ed  urgenza   di   emanare disposizioni in materia di degiurisdizionalizzazione e adottare altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia  di  processo civile, nonche’ misure  urgenti  per  la  tutela  del  credito  e  la semplificazione e accelerazione del processo di esecuzione forzata;

Considerata la finalita’ di assicurare una  maggiore  funzionalita’ ed efficienza della giustizia civile  mediante  le  predette  urgenti misure;

Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri,  adottata  nella riunione del 29 agosto 2014;

Sulla proposta del Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  e  del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze;

Emana il seguente decreto-legge:

Art. 1 Trasferimento alla sede arbitrale di  procedimenti  pendenti  dinanzi all’autorita’ giudiziaria

1. Nelle cause civili dinanzi al tribunale  o  in  grado  d’appello pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono  in  materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, nelle quali la causa  non e’ stata assunta in  decisione,  le  parti,  con  istanza  congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento  arbitrale  a  norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del  codice di procedura civile.

2. Il giudice, rilevata la sussistenza delle condizioni di  cui  al comma 1, ferme restando le preclusioni e  le  decadenze  intervenute, dispone la trasmissione del fascicolo  al  presidente  del  Consiglio dell’ordine del circondario in cui ha sede  il  tribunale  ovvero  la corte di appello per la nomina del collegio  arbitrale.  Gli  arbitri sono individuati, concordemente dalle parti o dal  presidente  del Consiglio dell’ordine, tra gli avvocati iscritti da almeno  tre  anni all’albo dell’ordine  circondariale  che  non  hanno  avuto  condanne disciplinari  definitive  e  che,  prima   della   trasmissione   del fascicolo,  hanno  reso  una  dichiarazione  di   disponibilita’   al Consiglio stesso.

3. Il procedimento prosegue davanti agli arbitri. Restano fermi gli effetti sostanziali e processuali prodotti dalla domanda giudiziale e il lodo ha gli stessi effetti della sentenza.

4. Quando la trasmissione a norma del comma 2 e’ disposta in  grado d’appello  e  il  procedimento  arbitrale  non  si  conclude  con  la pronuncia del lodo entro centoventi  giorni  dall’accettazione  della nomina del collegio arbitrale,  il  processo  deve  essere  riassunto entro il termine perentorio dei successivi sessanta giorni. Quando il processo e’ riassunto il lodo non puo’ essere  piu’  pronunciato.  Se nessuna  delle  parti  procede  alla  riassunzione  nel  termine,  il procedimento si estingue e si applica l’articolo 338  del  codice  di procedura civile. Quando, a norma dell’articolo  830  del  codice  di procedura  civile,  e’  stata  dichiarata  la   nullita’   del   lodo pronunciato entro il termine di centoventi giorni  di  cui  al  primo periodo o,  in  ogni  caso,  entro  la  scadenza  di  quello  per  la riassunzione, il processo deve essere riassunto entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di nullita’.

5. Nei casi di cui ai commi 1, 2, 3 e 4, con decreto  regolamentare del Ministro della giustizia possono essere stabilite  riduzioni  dei parametri relativi ai compensi degli arbitri. Nei medesimi  casi  non si applica l’articolo 814, primo comma, secondo periodo,  del  codice di procedura civile.

Art. 2  Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato    

1. La convenzione di negoziazione assistita da un  avvocato  e’  un accordo mediante il quale le parti convengono di cooperare  in  buona fede e con lealta’ per risolvere in via  amichevole  la  controversia tramite l’assistenza di avvocati iscritti  all’albo  anche  ai  sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 96.

2. La convenzione di negoziazione deve precisare:

a) il termine concordato dalle  parti  per  l’espletamento  della procedura, in ogni caso non inferiore a un mese;

b) l’oggetto della controversia, che non deve riguardare  diritti indisponibili.

3. La convenzione e’ conclusa per un periodo di  tempo  determinato dalle parti, fermo restando il termine di cui al comma 2, lettera a).

4. La convenzione di negoziazione e’ redatta, a pena  di  nullita’, in forma scritta.

5. La convenzione e’ conclusa con l’assistenza di un avvocato.

6.  Gli  avvocati  certificano  l’autografia  delle  sottoscrizioni apposte alla   convenzione  sotto  la propria   responsabilita’ professionale.

7. E’ dovere  deontologico  degli  avvocati  informare  il  cliente all’atto  del  conferimento  dell’incarico  della   possibilita’   di ricorrere alla convenzione di negoziazione assistita.

Art. 3  Improcedibilita

1. Chi intende esercitare in  giudizio  un’azione  relativa  a  una controversia in materia di risarcimento del danno da circolazione  di veicoli e natanti deve, tramite il  suo  avvocato,  invitare  l’altra parte a stipulare una convenzione  di  negoziazione  assistita.  Allo stesso modo deve procedere,  fuori  dei  casi  previsti  dal  periodo precedente e dall’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo  4 marzo 2010 n. 28, chi intende proporre in  giudizio  una  domanda  di pagamento a qualsiasi titolo di  somme  non  eccedenti  cinquantamila euro. L’esperimento del procedimento  di  negoziazione  assistita  e’ condizione di procedibilita’ della domanda giudiziale. L’improcedibilita’ deve essere eccepita  dal  convenuto,  a  pena  di decadenza, o rilevata d’ufficio  dal  giudice,  non  oltre  la  prima udienza. Il giudice quando rileva che la  negoziazione  assistita  e’gia’ iniziata, ma non si e’ conclusa,  fissa  la  successiva  udienza dopo la scadenza del termine di cui  all’articolo  2  comma  3.  Allo stesso modo provvede quando la negoziazione non  e’ stata  esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di  quindici  giorni per la comunicazione dell’invito. Il presente comma  non  si  applica alle controversie concernenti obbligazioni contrattuali derivanti  da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.

2. Quando l’esperimento del procedimento di negoziazione  assistita e’ condizione  di  procedibilita’ della domanda giudiziale la condizione si considera  avverata  se  l’invito  non  e’ seguito  da adesione o e’ seguito  da  rifiuto  entro  trenta  giorni  dalla  sua ricezione ovvero quando  e’  decorso  il  periodo  di  tempo  di  cui all’articolo 2, comma 2, lettera a).

3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione;

b) nei procedimenti di  consulenza  tecnica  preventiva  ai  fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di opposizione o  incidentali  di  cognizione relativi all’esecuzione forzata;

d) nei procedimenti in camera di consiglio;

e) nell’azione civile esercitata nel processo penale.

4. L’esperimento del procedimento  di  negoziazione  assistita  nei casi di cui al comma 1 non preclude la concessione  di  provvedimenti urgenti e cautelari, ne’ la trascrizione della domanda giudiziale.

5. Restano  ferme   le   disposizioni   che   prevedono   speciali procedimenti obbligatori  di  conciliazione  e  mediazione,  comunque denominati.

6. Quando il procedimento di negoziazione assistita  e’  condizione di procedibilita’ della domanda, all’avvocato non e’ dovuto  compenso dalla parte  che  si  trova  nelle  condizioni  per  l’ammissione  al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi  dell’articolo  76  (L)  del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di  giustizia,  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 e successive modificazioni. A  tale fine  la  parte  e’  tenuta a depositare all’avvocato apposita dichiarazione sostitutiva dell’atto   di notorieta’, la cui sottoscrizione puo’ essere autenticata dal medesimo avvocato, nonche’ a produrre, se l’avvocato lo richiede, la documentazione necessaria a comprovare la veridicita’ di quanto dichiarato.

7. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando la parte puo’ stare in giudizio personalmente.

8. Le disposizioni di cui al presente articolo acquistano efficacia decorsi novanta  giorni  dall’entrata  in  vigore  della  legge di conversione del presente decreto.

Art. 4  Non accettazione dell’invito e mancato accordo

1. L’invito a stipulare  la  convenzione  deve  indicare  l’oggetto della controversia e contenere l’avvertimento che la mancata risposta all’invito entro trenta giorni dalla ricezione o il suo rifiuto  puo’ essere valutato dal giudice ai fini delle spese  del  giudizio  e  di quanto previsto dagli articoli 96 e 642, primo comma, del  codice  di procedura civile.

2. La certificazione dell’autografia della firma apposta all’invito avviene ad opera dell’avvocato che formula l’invito.

3.  La  dichiarazione  di  mancato  accordo  e’ certificata  dagli avvocati designati.

Art. 5  Esecutivita’ dell’accordo raggiunto a  seguito  della  convenzione  e trascrizione

1. L’accordo che compone la controversia, sottoscritto dalle  parti e dagli avvocati che le assistono, costituisce titolo esecutivo e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

2.  Gli  avvocati  certificano  l’autografia  delle  firme e la conformita’ dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico.

3. Se con  l’accordo  le  parti  concludono  uno  dei  contratti  o compiono uno  degli  atti  previsti  dall’articolo  2643  del  codice civile,   per   procedere   alla   trascrizione   dello   stesso   la sottoscrizione  del  processo  verbale   di   accordo   deve   essere autenticata da un pubblico ufficiale a cio’ autorizzato.

4. Costituisce illecito deontologico per  l’avvocato  impugnare  un accordo alla cui redazione ha partecipato.

Art. 6  Convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per le soluzioni  consensuali di separazione personale, di cessazione  degli  effetti  civili  o  di  scioglimento  del  matrimonio,  di  modifica   delle  condizioni di separazione o di divorzio.   

1. La convenzione di negoziazione assistita  da  un  avvocato  puo’ essere conclusa tra coniugi al  fine  di  raggiungere  una  soluzione consensuale di separazione personale,  di  cessazione  degli  effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio nei casi di cui all’articolo 3, primo comma, numero 2), lettera b),  della  legge  10 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, di modifica  delle condizioni di separazione o di divorzio.

2. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano  in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci  o  portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.

3. L’accordo raggiunto a  seguito  della  convenzione  produce  gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali  che  definiscono, nei casi di cui al comma 1, i procedimenti di separazione  personale, di cessazione degli effetti civili del  matrimonio,  di  scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni  di  separazione  o  di divorzio. L’avvocato della parte e’ obbligato a trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del  Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto,  copia,  autenticata dallo  stesso,  dell’accordo  munito  delle  certificazioni  di   cui all’articolo 5.

4. All’avvocato che viola l’obbligo di  cui  al  comma  3,  secondo periodo, e’ applicata la sanzione amministrativa pecuniaria  da  euro 5.000 ad euro 50.000. Alla  irrogazione  della  sanzione  di  cui  al periodo che precede e’ competente il  Comune  in  cui  devono  essere eseguite le annotazioni previste dall’articolo  69  del  decreto  del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.

5. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre  2000,  n.396 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 49, comma 1, dopo la lettera g), e’  aggiunta  la seguente  lettera:«  g-bis)  gli  accordi  raggiunti  a  seguito   di convenzione di negoziazione assistita da  un  avvocato  conclusi  tra coniugi  al  fine  di  raggiungere  una  soluzione   consensuale   di cessazione degli effetti civili del matrimonio e di scioglimento  del matrimonio;»;

b) all’articolo 63, comma 1, dopo la lettera g), e’  aggiunta  la seguente  lettera:«  g-bis)  gli  accordi  raggiunti  a  seguito   di convenzione di negoziazione assistita da  un  avvocato  conclusi  tra coniugi  al  fine  di  raggiungere  una  soluzione   consensuale   di separazione  personale,  di  cessazione  degli  effetti  civili   del matrimonio, di scioglimento del matrimonio,  nonche’ di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.»;

c) all’articolo 69, comma 1, dopo la lettera d), e’  aggiunta  la seguente  lettera:«  d-bis)  gli  accordi  raggiunti  a  seguito   di convenzione di negoziazione assistita da  un  avvocato  conclusi  tra coniugi  al  fine  di  raggiungere  una  soluzione   consensuale di separazione  personale,  di  cessazione  degli  effetti  civili   del matrimonio, di scioglimento del matrimonio;».

Art. 7  Conciliazione avente per oggetto diritti del prestatore di lavoro    

1. All’articolo 2113 del codice civile, al quarto  comma,  dopo  le parole “del codice di procedura civile” sono aggiunte le seguenti: «o conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita  da  un avvocato».

Art. 8  Interruzione della prescrizione e della decadenza  

1. Dal momento della comunicazione  dell’invito  a  concludere  una convenzione di negoziazione  assistita  ovvero  della  sottoscrizione della convenzione si producono sulla prescrizione gli  effetti  della domanda giudiziale. Dalla stessa data e’ impedita, per  una  sola volta, la decadenza, ma se l’invito e’ rifiutato o non e’ accettato nel termine di cui all’articolo 4, comma  1,  la  domanda  giudiziale deve  essere  proposta  entro  il  medesimo  termine   di   decadenza decorrente dal rifiuto, dalla mancata accettazione nel termine ovvero dalla dichiarazione di mancato accordo certificata dagli avvocati.

Art. 9  Obblighi dei difensori e tutela della riservatezza  

1. I  difensori  non  possono  essere  nominati  arbitri  ai  sensi dell’articolo 810 del codice di procedura civile  nelle  controversie aventi il medesimo oggetto o connesse.

2. E’ fatto obbligo agli avvocati e alle parti di  comportarsi  con lealta’ e di  tenere  riservate  le   informazioni   ricevute. Le dichiarazioni  rese  e  le  informazioni  acquisite  nel  corso del procedimento non possono essere utilizzate  nel  giudizio  avente  in tutto o in parte il medesimo oggetto.

3. I difensori delle parti e coloro che partecipano al procedimento non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite.

4. A tutti coloro che partecipano al procedimento si  applicano le disposizioni dell’articolo 200 del codice di procedura penale  e  si estendono le garanzie previste per il  difensore  dalle disposizioni dell’articolo 103 del medesimo codice di procedura penale  in  quanto applicabili.

Art. 10  Antiriciclaggio  

1. All’articolo 12, comma 2, del decreto  legislativo  21  novembre 2007, n. 231, dopo le parole: «compresa la consulenza sull’eventualita’ di  intentare o evitare  un  procedimento,»  sono inserite le seguenti: «anche tramite una convenzione di  negoziazione assistita da un avvocato ai sensi di legge,».

Art. 11  Raccolta dei dati

1. I difensori che sottoscrivono l’accordo raggiunto dalle parti  a seguito  della  convenzione  sono  tenuti  a  trasmetterne  copia  al Consiglio dell’ordine circondariale del luogo ove l’accordo e’ stato raggiunto, ovvero al Consiglio dell’ordine presso cui e’ iscritto uno degli avvocati.

2. Con cadenza annuale il Consiglio nazionale forense  provvede  al monitoraggio delle procedure di negoziazione assistita e ne trasmette i dati al Ministero della giustizia.

Art. 12  Separazione consensuale, richiesta congiunta  di  scioglimento  o  di cessazione degli effetti civili del  matrimonio  e  modifica  delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile.

1. I coniugi possono concludere, innanzi all’ufficiale dello  stato civile del comune di residenza di uno di loro o del comune presso cui e’  iscritto  o  trascritto  l’atto  di  matrimonio,  un  accordo  di separazione personale ovvero, nei casi di cui all’articolo  3,  primo comma, numero 2), lettera b), della legge 10 dicembre 1970,  n.  898, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del  matrimonio, nonche’ di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.

2. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano  in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci  o  portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti.

3. L’ufficiale dello stato civile riceve da  ciascuna  delle  parti personalmente la dichiarazione che esse vogliono separarsi ovvero far cessare gli effetti civili del matrimonio o ottenerne lo scioglimento secondo condizioni tra  di  esse  concordate.  Allo  stesso  modo  si procede  per  la  modifica  delle  condizioni  di  separazione  o  di divorzio. L’accordo  non  puo’  contenere  patti  di   trasferimento patrimoniale. L’atto contenente l’accordo e’ compilato e sottoscritto immediatamente dopo il ricevimento  delle  dichiarazioni  di  cui  al presente comma. L’accordo tiene luogo  dei  provvedimenti  giudiziali che definiscono, nei casi di  cui  al  comma  1,  i  procedimenti  di separazione  personale,  di  cessazione  degli  effetti  civili   del matrimonio, di  scioglimento  del  matrimonio  e  di  modifica  delle condizioni di separazione o di divorzio.

4. All’articolo 3, al secondo capoverso della lettera b) del numero 2 del primo comma della legge 1°  dicembre  1970,  n.  898,  dopo  le parole «trasformato in consensuale» sono  aggiunte  le  seguenti:  «, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione  di  negoziazione  assistita  da  un  avvocato ovvero dalla  data  dell’atto  contenente  l’accordo  di  separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile.».

5. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre  2000,  n. 396 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 49, comma 1, dopo la lettera g-bis), e’  aggiunta la seguente  lettera:«  g-ter)  gli  accordi  di  scioglimento  o  di cessazione   degli   effetti   civili   del    matrimonio  ricevuti dall’ufficiale dello stato civile;»;

b) all’articolo 63, comma 1, dopo la lettera g), e’  aggiunta  la seguente lettera:« g-ter) gli accordi di  separazione  personale,  di scioglimento o di cessazione  degli  effetti  civili  del  matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile, nonche’ di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio;»;

c) all’articolo 69, comma 1, dopo la lettera d-bis), e’  aggiunta la seguente lettera:« d-ter) gli accordi di separazione personale, di scioglimento o di cessazione  degli  effetti  civili  del  matrimonio ricevuti dall’ufficiale dello stato civile;».

6. Alla Tabella D), allegata alla legge 8 giugno 1962, n. 604, dopo il punto 11 delle norme speciali inserire il seguente punto: «11-bis) Il diritto fisso da  esigere  da  parte  dei  comuni  all’atto  della conclusione  dell’accordo  di  separazione   personale,   ovvero   di scioglimento o di cessazione degli  effetti  civili  del  matrimonio, nonche’ di modifica delle condizioni di separazione  o  di  divorzio, ricevuto dall’ufficiale di stato civile del comune  non  puo’  essere stabilito in misura superiore all’imposta fissa di bollo prevista per le pubblicazioni di matrimonio dall’articolo 4 della tabella allegato A) al decreto del Presidente della Repubblica  26  ottobre  1972,  n. 642».

7. Le disposizioni del presente articolo si applicano  a  decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Art. 13   Modifiche al regime della compensazione delle spese

1. All’articolo 92 del codice di procedura civile, il secondo comma e’ sostituito dal seguente: «Se vi e’ soccombenza reciproca ovvero nel caso  di  novita’ della questione trattata o mutamento della giurisprudenza, il giudice  puo’ compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti.».

2. La disposizione di cui al comma 1  si  applica  ai  procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno  successivo  all’ entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Art. 14  Passaggio dal rito ordinario al rito sommario di cognizione

1. Dopo l’articolo 183 del codice di procedura civile  e’  inserito il seguente: «183-bis  (Passaggio  dal  rito  ordinario  al  rito  sommario   di cognizione).  – Nelle  cause  in  cui   il   tribunale   giudica   in composizione monocratica, il  giudice  nell’udienza  di  trattazione,valutata la complessita’ della  lite  e  dell’istruzione  probatoria, puo’ disporre,  previo  contraddittorio  anche  mediante  trattazione scritta, con ordinanza  non  impugnabile,  che  si  proceda  a  norma dell’articolo 702-ter e invita  le  parti  ad  indicare,  a  pena  di decadenza, nella stessa udienza i mezzi  di  prova,  ivi  compresi  i documenti, di cui intendono avvalersi e la relativa prova  contraria. Se richiesto, puo’ fissare una nuova udienza e termine perentorio non superiore a quindici giorni per l’indicazione dei mezzi  di  prova  e produzioni documentali e termine perentorio di ulteriori dieci giorni per le sole indicazioni di prova contraria.».

2. La disposizione di cui al comma 1  si  applica  ai  procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno  successivo  all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Art. 15  Dichiarazioni rese al difensore

1. Al codice  di  procedura  civile,  dopo  l’articolo  257-bis  e’aggiunto il seguente:  «257-ter (Dichiarazioni scritte). – La  parte  puo’  produrre,  sui fatti rilevanti ai fini del giudizio, dichiarazioni di terzi,  capaci di testimoniare, rilasciate al difensore, che, previa identificazione a norma dell’articolo 252, ne attesta l’autenticita’.   Il difensore avverte il terzo  che  la  dichiarazione  puo’  essere utilizzata in giudizio, delle conseguenze di  false  dichiarazioni  e che il giudice puo’ disporre  anche  d’ufficio  che  sia  chiamato  a deporre come testimone.».

Art. 16  Modifiche alla legge 7 ottobre 1969, n. 742 e riduzione  delle  ferie  dei magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato.   

1. All’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, n. 742 le parole «dal 1° agosto al 15 settembre di  ciascun  anno»  sono  sostituite  dalle seguenti: «dal 6 al 31 agosto di ciascun anno».

2. Alla legge 2 aprile 1979, n. 97, dopo l’articolo 8, e’  aggiunto il seguente: «Art. 8-bis (Ferie dei magistrati e degli  avvocati  e  procuratori dello Stato). – Fermo quanto disposto dall’articolo 1 della legge  23 dicembre  1977,  n.  937,  i  magistrati  ordinari, amministrativi, contabili e militari, nonche’ gli avvocati e procuratori dello  Stato hanno un periodo annuale di ferie di trenta giorni.».

3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e  2  acquistano  efficacia  a decorrere dall’anno 2015.

4.  Gli  organi  di  autogoverno  delle  magistrature  e   l’organo dell’avvocatura dello Stato competente provvedono ad adottare  misure organizzative conseguenti  all’applicazione  delle  disposizioni  dei commi 1 e 2.

Art. 17  Misure per il contrasto del ritardo nei pagamenti

1. All’articolo 1284 del codice civile dopo  il  terzo  comma  sono aggiunti i seguenti: «Se le parti non ne hanno  determinato  la  misura,  da  quando  ha inizio un procedimento di cognizione il saggio degli interessi legali e’ pari a quello previsto dalla  legislazione speciale relativa  ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.   La disposizione del quarto comma si applica anche all’atto con  cui si promuove il procedimento arbitrale.».

2. Le disposizioni  del  comma  1  producono  effetti  rispetto  ai procedimenti iniziati a decorrere dal  trentesimo  giorno  successivo all’entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del  presente decreto.

Art. 18  Iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione

1. Al libro terzo del codice di procedura civile sono apportate  le seguenti modificazioni:

a) l’articolo 518, sesto comma, e’ sostituito dal seguente: «Compiute le operazioni, l’ufficiale giudiziario  consegna  senza ritardo al creditore il processo verbale, il titolo  esecutivo  e  il precetto.  Il  creditore  deve  depositare  nella cancelleria del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a  ruolo, con copie conformi degli atti di cui  al  periodo  precedente, entro dieci giorni dalla consegna. Il cancelliere al momento  del  deposito forma il fascicolo dell’esecuzione. Sino alla scadenza del termine di cui  all’articolo  497  copia  del  processo  verbale  e’  conservata dall’ufficiale  giudiziario   a   disposizione   del   debitore.   Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a  ruolo  e le copie degli atti di cui al primo periodo del presente  comma  sono depositate oltre  il  termine  di  dieci  giorni  dalla  consegna  al creditore.»;

b) l’articolo 543, quarto comma, e’ sostituito dal seguente: «Eseguita   l’ultima   notificazione,   l’ufficiale   giudiziario consegna  senza  ritardo  al  creditore  l’originale   dell’atto   di citazione.  Il  creditore  deve  depositare  nella  cancelleria   del tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a  ruolo, con copie conformi dell’atto di citazione, del titolo esecutivo e del precetto, entro trenta  giorni  dalla  consegna.  Il  cancelliere  al momento  del  deposito  forma  il   fascicolo   dell’esecuzione.   Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a  ruolo  e le copie degli atti di cui al primo periodo sono depositate oltre  il termine di trenta giorni dalla consegna al creditore.»;

c) l’articolo 557 e’ sostituito dal seguente: «Art.  557  (Deposito  dell’atto  di  pignoramento).  –  Eseguita l’ultima  notificazione,  l’ufficiale  giudiziario   consegna   senza ritardo al creditore l’atto di pignoramento e la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari. Il creditore deve  depositare  nella  cancelleria  del  tribunale competente per l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con  copie conformi  del  titolo esecutivo,   del   precetto,   dell’atto   di pignoramento e della nota di trascrizione entro  dieci  giorni  dalla consegna dell’atto di pignoramento. Nell’ipotesi di cui  all’articolo 555,  ultimo  comma,  il  creditore  deve  depositare  la   nota   di trascrizione  appena  restituitagli  dal  conservatore  dei  registri immobiliari. Il   cancelliere   forma   il   fascicolo   dell’esecuzione.   Il pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a  ruolo  e le copie dell’atto  di  pignoramento,  del  titolo  esecutivo  e  del precetto sono depositate oltre  il  termine  di  dieci  giorni  dalla consegna al creditore.».

2. Alle disposizioni  per  l’attuazione  del  codice  di  procedura civile, dopo l’articolo 159 e’ inserito il seguente: «Art. 159-bis (Nota d’iscrizione a ruolo del processo esecutivo per espropriazione).  –  La  nota  d’iscrizione  a  ruolo  del   processo esecutivo  per   espropriazione   deve   in   ogni   caso   contenere l’indicazione  delle  parti,  nonche’  le  generalita’  e  il  codice fiscale, ove attribuito, della parte che iscrive la  causa  a  ruolo,del difensore, della cosa o del  bene  oggetto  di  pignoramento.  Il Ministro della giustizia,  con  proprio  decreto  avente  natura  non regolamentare, puo’ indicare ulteriori dati da inserire nella nota di iscrizione a ruolo.»;

3. Le  disposizioni  di  cui  ai  commi  1  e  2  si  applicano  ai procedimenti esecutivi iniziati a  decorrere  dal  trentesimo  giorno successivo all’entrata in  vigore  della  legge  di  conversione  del presente decreto-legge.

4. All’articolo 16-bis, comma 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012,n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre  2012,n. 221, sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «A decorrere dal 31 marzo 2015, il  deposito  nei  procedimenti  di espropriazione forzata della nota di  iscrizione  a  ruolo  ha  luogo esclusivamente  con  modalita’  telematiche,   nel   rispetto   della normativa  anche  regolamentare  concernente  la  sottoscrizione,  la trasmissione e la ricezione  dei  documenti  informatici.  Unitamente alla nota di iscrizione a ruolo  sono  depositati,  con  le  medesime modalita’, le copie conformi degli atti indicati dagli articoli  518,sesto comma, 543, quarto comma e 557, secondo comma,  del  codice  di procedura civile. Ai fini del presente comma, il difensore attesta laconformita’ delle copie agli originali, anche fuori dai casi previstidal comma 9-bis.».

Art. 19    Misure per l’efficienza e la semplificazione del processo esecutivo

1. Al  codice  di  procedura  civile  sono  apportate  le  seguenti modificazioni:

a) l’articolo 26, secondo comma, e’ abrogato;

b) dopo l’articolo 26 e’ inserito il seguente: «Art.  26-bis  (Foro  relativo  all’espropriazione   forzata   di crediti). – Quando il debitore e’ una delle pubbliche amministrazioni indicate  dall’articolo  413,  quinto  comma,  per   l’espropriazione forzata di crediti e’ competente, salvo quanto disposto  dalle  leggi speciali,  il  giudice  del  luogo  dove  il  terzo  debitore  ha  la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.   Fuori dei casi di cui al primo comma, per l’espropriazione  forzata di crediti e’ competente il giudice del luogo in cui il  debitore  hala residenza, il domicilio, la dimora o la sede.»;

c) all’articolo 492 sono apportate le seguenti modificazioni:                                                                                                                                                   1) il settimo comma e’ abrogato;                                                                                                                                                                                                       2) all’ottavo comma, le parole «negli stessi  casi  di  cui  al settimo comma e» sono soppresse;

d) dopo l’articolo 492 e’ inserito il seguente: «Art. 492-bis (Ricerca con  modalita’  telematiche  dei  beni  da pignorare). – Su istanza del creditore procedente, il presidente  del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificato il  diritto  della  parte  istante  a procedere ad esecuzione forzata, autorizza la ricerca  con  modalita’ telematiche  dei  beni  da  pignorare.   L’istanza   deve   contenere l’indicazione dell’indirizzo di posta  elettronica  ordinaria  ed  il numero di fax del  difensore  nonche’,  ai  fini  dell’articolo  547, dell’indirizzo di posta elettronica certificata.   Fermo quanto previsto dalle disposizioni in materia di  accesso  ai dati e alle  informazioni  degli  archivi  automatizzati  del  Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo  8  della  legge  1°   aprile   1981,   n.   121,   con l’autorizzazione di cui al primo comma il presidente del tribunale  o un giudice da lui delegato dispone che l’ufficiale giudiziario acceda mediante collegamento telematico  diretto  ai  dati  contenuti  nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle  quali  le  stesse possono  accedere  e,  in  particolare,   nell’anagrafe   tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari,  nel  pubblico  registro automobilistico  e  in   quelle   degli   enti   previdenziali,   per l’acquisizione   di   tutte    le    informazioni    rilevanti    per l’individuazione di cose  e  crediti  da  sottoporre  ad  esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti  dal  debitore  con istituti di credito e datori di lavoro o  committenti.  Terminate  le operazioni l’ufficiale giudiziario redige un unico  processo  verbale nel quale indica tutte le  banche  dati  interrogate  e  le  relative risultanze.   Se l’accesso ha consentito di individuare cose che  si  trovano  in luoghi appartenenti al debitore compresi nel territorio di competenza dell’ufficiale  giudiziario,  quest’ultimo  accede  agli  stessi  per provvedere d’ufficio agli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520. Se i luoghi non sono compresi nel territorio  di  competenza  di cui al periodo precedente, copia autentica del verbale e’  rilasciata al  creditore  che,  entro  dieci  giorni   dal   rilascio   a   pena d’inefficacia della richiesta, la  presenta,  unitamente  all’istanza per  gli  adempimenti  di  cui  agli  articoli  517,   518   e   520, all’ufficiale giudiziario territorialmente competente. L’ufficiale giudiziario, quando non rinviene una  cosa  individuata mediante l’accesso nelle banche dati di cui al secondo comma,  intima al debitore di indicare entro quindici giorni  il  luogo  in  cui  si trova, avvertendolo che l’omessa o la falsa comunicazione e’ punita a norma dell’articolo 388, sesto comma, del codice penale.   Se l’accesso ha consentito di individuare crediti  del  debitore  o cose  di  quest’ultimo  che  sono  nella  disponibilita’  di   terzi, l’ufficiale giudiziario notifica d’ufficio,  ove  possibile  a  norma dell’articolo 149-bis o a mezzo telefax, al debitore e  al  terzo  il verbale, che dovra’ anche contenere l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del  precetto,  dell’indirizzo  di posta elettronica certificata di cui al primo comma, del luogo in cui il creditore ha eletto domicilio o ha dichiarato di essere residente, dell’ingiunzione, dell’invito e dell’avvertimento al debitore di  cui all’articolo 492, primo, secondo e terzo comma, nonche’ l’intimazione al terzo di non disporre delle cose o delle somme dovute, nei  limiti di cui all’articolo 546. Il verbale  di  cui  al  presente  comma  e’notificato al terzo per estratto, contenente esclusivamente i dati  a quest’ultimo riferibili. Quando l’accesso ha consentito  di  individuare  piu’  crediti  del debitore o piu’ cose di quest’ultimo che sono nella disponibilita’ di terzi l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i  beni  scelti dal creditore.   Quando l’accesso ha consentito di individuare sia cose  di  cui  al terzo comma che crediti o cose di cui al  quinto  comma,  l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.»;

e) all’articolo 543 sono apportate le seguenti modificazioni:                                                                                                                                                   1) al primo comma, la parola “personalmente” e’ soppressa;                                                                                                                                                   2) al secondo comma, il numero 4) e’ sostituito dal seguente:  <<4) la citazione del debitore a comparire  davanti  al  giudice competente, con l’invito al terzo a comunicare  la  dichiarazione  di cui all’articolo 547 al creditore procedente  entro  dieci  giorni  a mezzo raccomandata ovvero a mezzo di posta  elettronica  certificata; con l’avvertimento al terzo che  in  caso  di  mancata  comunicazione della  dichiarazione,  la  stessa  dovra’  essere  resa   dal   terzo comparendo in un’apposita udienza e che quando il terzo  non  compare o, sebbene comparso, non rende la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso di cose di appartenenza del debitore, nell’ammontare  o nei termini indicati dal creditore, si considereranno non  contestati ai fini del procedimento  in  corso  e  dell’esecuzione  fondata  sul provvedimento di assegnazione»;                                                                                                                                                                                                                                   3) dopo il quarto comma e’ inserito il seguente: «Quando procede  a  norma  dell’articolo  492-bis,  l’ufficiale giudiziario consegna senza ritardo al creditore il verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, e si applicano le disposizioni  di  cui  al quarto  comma.  Decorso  il  termine  di  cui  all’articolo  501,  il creditore pignorante e ognuno dei  creditori  intervenuti  muniti  di titolo esecutivo possono chiedere l’assegnazione o la  vendita  delle cose mobili o l’assegnazione dei  crediti.  Sull’istanza  di  cui  al periodo precedente il giudice fissa  l’udienza  per  l’audizione  del creditore e del debitore e provvede a norma degli articoli 552 o 553. Il decreto  con  cui  viene  fissata  l’udienza  di  cui  al  periodo precedente e’ notificato a  cura  del  creditore  procedente  e  deve contenere l’invito e l’avvertimento al terzo di cui al numero 4)  del secondo comma.»;

f) all’articolo 547, il primo comma e’ sostituito dal seguente: «Con dichiarazione a  mezzo  raccomandata  inviata  al  creditore procedente o trasmessa a mezzo di posta elettronica  certificata,  il terzo,  personalmente  o  a  mezzo  di  procuratore  speciale  o  del difensore munito di procura speciale, deve specificare di quali  cose o di quali somme e’ debitore o si trova in possesso e quando ne  deve eseguire il pagamento o la consegna.»;

g) all’articolo 548, sono apportate le seguenti modificazioni:                                                                                                                                                 1) il primo comma e’ abrogato;                                                                                                                                                                                                       2) il secondo comma e’ sostituito dal seguente: «Quando all’udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione,  il   giudice,   con   ordinanza,   fissa   un’udienza successiva. L’ordinanza e’ notificata al terzo  almeno  dieci  giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla  nuova  udienza o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, il credito pignorato o il possesso del bene di  appartenenza  del  debitore,  nei  termini indicati dal creditore, si  considera  non  contestato  ai  fini  del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento  di assegnazione e il giudice provvede  a  norma  degli  articoli  552  o 553.»;

h)  all’articolo  560,   terzo   comma,   le   parole   «provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione dell’immobile» sono  sostituite dalle seguenti «autorizza la vendita»;

i) l’articolo 609 e’ sostituito dal seguente: «Art. 609 (Provvedimenti circa i mobili estranei all’esecuzione).- Quando nell’immobile si trovano beni mobili che non debbono  essere consegnati, l’ufficiale  giudiziario  intima  alla  parte  tenuta  al rilascio ovvero a colui al quale gli stessi risultano appartenere  di asportarli, assegnandogli il relativo  termine.  Dell’intimazione  si da’ atto a verbale ovvero,  se  colui  che  e’  tenuto  a  provvedere all’asporto non e’ presente, mediante atto notificato a  spese  della parte istante. Quando entro il termine  assegnato  l’asporto  non  e’stato eseguito l’ufficiale giudiziario, su richiesta e a spese  della parte istante, determina, anche  a  norma  dell’articolo  518,  primo comma, il presumibile valore  di  realizzo  dei  beni  ed  indica  le prevedibili spese di custodia e di asporto.   Quando puo’ ritenersi che il valore  dei  beni  e’  superiore  alle spese di custodia e di  asporto,  l’ufficiale  giudiziario,  a  spese della parte istante, nomina un custode e lo incarica di trasportare i beni in altro luogo. Il custode e’  nominato  a  norma  dell’articolo 559. In difetto di istanza e di pagamento anticipato  delle  spese  i beni, quando non appare evidente l’utilita’ del tentativo di  vendita di cui al quinto comma, sono considerati  abbandonati  e  l’ufficiale giudiziario, salva diversa richiesta della parte istante, ne  dispone lo smaltimento o la distruzione.   Se sono rinvenuti documenti inerenti lo  svolgimento  di  attivita’ imprenditoriale o professionale che non sono stati asportati a  norma del primo comma, gli stessi sono conservati, per un  periodo  di  due anni, dalla parte istante ovvero, su istanza e  previa  anticipazione delle  spese  da  parte  di  quest’ultima,  da  un  custode  nominato dall’ufficiale giudiziario. In difetto  di  istanza  e  di  pagamento anticipato delle spese si  applica,  in  quanto  compatibile,  quanto previsto dal secondo comma,  ultimo  periodo.  Allo  stesso  modo  si procede alla scadenza del termine biennale di cui al presente comma a cura della parte istante o del custode.   Decorso il termine fissato nell’intimazione di cui al primo  comma, colui al quale i beni appartengono puo’, prima della  vendita  ovvero dello smaltimento o distruzione dei beni a norma del  secondo  comma, ultimo periodo, chiederne la consegna al giudice dell’esecuzione  per il rilascio. Il giudice  provvede  con  decreto  e,  quando  accoglie l’istanza, dispone la riconsegna previa corresponsione delle spese  e compensi per la custodia e per l’asporto.   Il custode provvede alla vendita senza incanto nelle forme previste per la vendita  dei  beni  mobili  pignorati,  secondo  le  modalita’ disposte dal giudice dell’esecuzione per il rilascio.  Si  applicano, in quanto compatibili, gli articoli 530  e  seguenti  del  codice  di procedura civile. La somma ricavata e’  impiegata  per  il  pagamento delle spese e dei compensi per la custodia, per l’asporto  e  per  la vendita, liquidate dal giudice dell’esecuzione per il rilascio. Salvo che i beni appartengano ad un soggetto diverso da colui che e’ tenuto al rilascio, l’eventuale eccedenza e’  utilizzata  per  il  pagamento delle spese di esecuzione liquidate a norma dell’articolo 611.   In caso di infruttuosita’ della vendita  nei  termini  fissati  dal giudice dell’esecuzione, si procede a norma del secondo comma, ultimo periodo.   Se le cose sono pignorate o  sequestrate,  l’ufficiale  giudiziario da’ immediatamente notizia dell’avvenuto  rilascio  al  creditore  su istanza del quale fu eseguito il pignoramento o il  sequestro,  e  al giudice dell’esecuzione per l’eventuale sostituzione del custode.»;

2. Alle  disposizioni  per  l’attuazione  al  codice  di  procedura civile, di cui al regio decreto  18  dicembre  1941,  n.  1368,  sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo l’articolo 155 sono inseriti i seguenti: «Art. 155-bis (Archivio dei rapporti finanziari). – Per  archivio dei rapporti finanziari di cui all’articolo 492-bis, primo comma, del codice si intende la sezione di cui all’articolo 7, sesto comma,  del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605.  Art. 155-ter (Partecipazione del creditore alla ricerca dei  benida pignorare con modalita’  telematiche).  –  La  partecipazione  del creditore alla ricerca dei beni  da  pignorare  di  cui  all’articolo 492-bis del codice ha luogo  a  norma  dell’articolo  165  di  queste disposizioni.   Nei casi di  cui  all’articolo  492-bis,  sesto  e  settimo  comma, l’ufficiale giudiziario, terminate le operazioni di ricerca dei  beni con modalita’ telematiche,  comunica  al  creditore  le  banche  dati interrogate e le informazioni dalle stesse risultanti a mezzo telefax o posta elettronica anche non certificata, dandone atto a verbale. Il creditore entro dieci giorni dalla comunicazione indica all’ufficiale giudiziario i beni  da  sottoporre  ad  esecuzione;  in  mancanza  la richiesta di pignoramento perde efficacia.   Art. 155-quater (Modalita’ di accesso  alle  banche  dati).  –  Con decreto del Ministro della giustizia, di  concerto  con  il  Ministro dell’interno e con  il  Ministro  dell’economia  e  delle  finanze  e sentito il  Garante  per  la  protezione  dei  dati  personali,  sono individuati i casi, i  limiti  e  le  modalita’  di  esercizio  della facolta’  di  accesso  alle  banche  dati  di  cui  al  primo   comma dell’articolo 492-bis del codice, nonche’ le modalita’ di trattamento e conservazione dei dati e le cautele a tutela della riservatezza dei debitori. Con il  medesimo  decreto  sono  individuate  le  ulteriori banche dati delle pubbliche amministrazioni o alle  quali  le  stesse possono  accedere,  che  l’ufficiale  giudiziario  puo’   interrogare tramite collegamento  telematico  diretto  o  mediante  richiesta  al titolare dei dati.   Il Ministro della giustizia puo’ procedere al trattamento dei  dati acquisiti senza provvedere all’informativa di cui all’articolo 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.   E’ istituito, presso ogni ufficio notifiche, esecuzioni e protesti, il registro cronologico denominato “Modello ricerca  beni”,  conforme al modello adottato con il decreto del Ministro  della  giustizia  di cui al primo comma.   L’accesso da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche  dati  di cui all’articolo 492-bis del codice e a  quelle  individuate  con  il decreto di cui al primo comma e’ gratuito. La disposizione di cui  al periodo precedente si applica anche all’accesso  effettuato  a  norma dell’articolo 155-quinquies di queste disposizioni.   Art. 155-quinquies (Accesso alle banche dati tramite i gestori).  -Quando le strutture tecnologiche, necessarie a  consentire  l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati  di  cui all’articolo 492-bis del codice e a quelle individuate con il decreto di cui all’articolo 155-quater, primo comma, non sono funzionanti, il creditore procedente, previa  autorizzazione  a  norma  dell’articolo 492-bis, primo comma, del codice, puo’  ottenere  dai  gestori  delle banche dati previste dal predetto articolo e dall’articolo 155-quater di queste disposizioni le informazioni nelle stesse contenute.».

b) dopo l’articolo 164 e’ aggiunto il seguente:   «Art. 164-bis  (Infruttuosita’  dell’espropriazione  forzata).  -Quando risulta che non e’ piu’ possibile  conseguire  un  ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto  conto  dei costi  necessari  per  la   prosecuzione   della   procedura,   delle probabilita’ di liquidazione del bene e  del  presumibile  valore  di realizzo,  e’  disposta   la   chiusura   anticipata   del   processo esecutivo.».

3. Al decreto del Presidente della Repubblica 30  maggio  2002,  n.115, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo  13,  dopo  il  comma  1-quater  e’  inserito  il seguente:     «1-quinquies. Per il procedimento introdotto con l’istanza di cui all’articolo 492-bis, primo comma, del codice di procedura civile  il contributo dovuto e’ pari ad euro 43 e non si applica l’articolo 30»;

b) all’articolo 14, dopo il comma 1, e’ aggiunto il seguente:     «1-bis. La parte che fa istanza a  norma  dell’articolo  492-bis,primo comma, del codice di procedura civile e’  tenuta  al  pagamentocontestuale del contributo unificato.»;

4. Al decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1959,  n.1229,  sono apportate le seguenti modificazioni:

a) all’articolo 107, secondo comma, dopo le parole «sono addetti»sono aggiunte le seguenti: «, il verbale di cui all’articolo 492-bis del codice di procedura civile»;

b) all’articolo  122,  dopo  il  primo  comma,  sono  aggiunti  i seguenti: «Quando si procede alle operazioni di pignoramento presso terzi a norma dell’articolo 492-bis del  codice  di  procedura  civile  o  di pignoramento mobiliare,  gli  ufficiali  giudiziari  sono  retribuiti mediante  un  ulteriore  compenso,  che  rientra  tra  le  spese   di esecuzione, stabilito dal giudice dell’esecuzione:                                                                   a)  in  una  percentuale  del  5  per  cento  sul   valore   di assegnazione o sul ricavato della vendita dei beni  mobili  pignorati fino ad euro 10.000,00, in  una  percentuale  del  2  per  cento  sul ricavato della vendita o sul valore di assegnazione dei  beni  mobili pignorati  da  euro  10.001,00  fino  ad  euro  25.000,00  e  in  una percentuale del 1 per cento sull’importo superiore;                                                                             b) in una percentuale  del  6  per  cento  sul  ricavato  della vendita o sul valore di assegnazione dei beni e dei crediti pignorati ai sensi degli articoli 492-bis del codice di procedura  civile  fino ad euro 10.000,00, in una percentuale del 4 per  cento  sul  ricavato della vendita o sul valore di assegnazione dei  beni  e  dei  crediti pignorati da  euro  10.001,00  fino  ad  euro  25.000,00  ed  in  una percentuale del 3 per cento sull’importo superiore.   In caso di conversione del pignoramento ai sensi dell’articolo  495 del codice di procedura civile, il compenso e’ determinato secondo le percentuali di cui alla lettera a) ridotte della  meta’,  sul  valore dei beni o dei crediti pignorati o, se maggiore,  sull’importo  della somma versata.   In caso  di  estinzione  o  di  chiusura  anticipata  del  processo esecutivo il compenso e’ posto a carico del creditore  procedente  ed e’ liquidato dal giudice dell’esecuzione nella stessa percentuale  di cui al comma precedente calcolata sul valore dei beni pignorati o, se maggiore, sul valore del credito per cui si procede.   In ogni caso il compenso dell’ufficiale  giudiziario  calcolato  ai sensi dei commi secondo, terzo e quarto non puo’ essere superiore  ad un importo pari al 5 per cento del valore  del  credito  per  cui  si procede.  Le somme complessivamente percepite  a  norma  dei  commi  secondo, terzo, quarto e quinto  sono  attribuite  dall’ufficiale  giudiziario dirigente l’ufficio nella misura del sessanta per cento all’ufficiale o al funzionario che ha proceduto alle operazioni di pignoramento. La residua quota del quaranta per cento  e’  distribuita  dall’ufficiale giudiziario dirigente l’ufficio, in parti uguali, tra tutti gli altri ufficiali  e  funzionari  preposti  al  servizio  esecuzioni.  Quando l’ufficiale o il funzionario  che  ha  eseguito  il  pignoramento  e’ diverso  da  colui  che  ha  interrogato  le  banche  dati   previste dall’articolo 492-bis del codice di procedura civile e dal decreto di cui all’articolo 155-quater delle disposizioni per  l’attuazione  del codice di procedura civile, il compenso di cui al primo  periodo  del presente comma e’ attribuito nella misura  del  cinquanta  per  cento ciascuno.».

5. All’articolo 7, nono comma, del  decreto  del  Presidente  della Repubblica 29 settembre 1973,  n.  605,  e’  inserito,  in  fine,  il seguente periodo:   «Le   informazioni   comunicate    sono    altresi’ utilizzabili dall’autorita’ giudiziaria ai fini della ricostruzione dell’attivo  e del passivo nell’ambito di procedure concorsuali, di procedimenti  in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione  di  patrimoni altrui. Nei casi di cui al periodo precedente l’autorita’ giudiziaria si  avvale  per  l’accesso  dell’ufficiale  giudiziario  secondo   le disposizioni relative alla ricerca con modalita’ telematiche dei benida pignorare.».

6.  Le  disposizioni  del  presente  articolo   si   applicano ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno  dall’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.

Art. 20  Monitoraggio delle procedure esecutive individuali  e  concorsuali  e  deposito  della  nota  di  iscrizione   a   ruolo   con   modalita’  telematiche.  

1. All’articolo 16-bis del decreto-legge 18 ottobre 2012,  n.  179,convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n.  221,dopo il comma 9, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:   «9-ter. Unitamente  all’istanza  di  cui  all’articolo  119,  primocomma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il curatore  depositaun rapporto riepilogativo finale  redatto  in  conformita’  a  quantoprevisto dall’articolo 33, quinto comma, del medesimo regio  decreto.Conclusa l’esecuzione del  concordato  preventivo  con  cessione  deibeni, si procede a  norma  del  periodo  precedente,  sostituendo  illiquidatore al curatore.   9-quater. Il commissario giudiziale della procedura  di  concordatopreventivo di cui all’articolo 186-bis del  regio  decreto  16  marzo1942, n. 267  ogni  sei  mesi  successivi  alla  presentazione  dellarelazione di cui all’articolo 172, primo comma,  del  predetto  regiodecreto redige un  rapporto  riepilogativo  secondo  quanto  previstodall’articolo 33, quinto comma,  dello  stesso  regio  decreto  e  lotrasmette ai creditori a norma dell’articolo 171, secondo comma,  delpredetto regio  decreto.  Conclusa  l’esecuzione  del  concordato  siapplica il comma 9-ter, sostituendo il commissario al curatore.   9-quinquies. Entro dieci giorni dall’approvazione del  progetto  didistribuzione,  il  professionista  delegato  a  norma  dell’articolo591-bis  del  codice  di  procedura  civile  deposita   un   rapportoriepilogativo finale delle attivita’ svolte.   9-sexies. I rapporti riepilogativi periodici e finali previsti  perle procedure concorsuali e il rapporto riepilogativo finale  previstoper i procedimenti di esecuzione forzata devono essere depositati conmodalita’   telematiche   nel   rispetto   della   normativa    ancheregolamentare concernente la sottoscrizione,  la  trasmissione  e  laricezione  dei  documenti   informatici,   nonche’   delle   appositespecifiche  tecniche  del  responsabile  per  i  sistemi  informativiautomatizzati del Ministero della giustizia.  I  relativi  dati  sonoestratti ed elaborati, a cura del Ministero  della  giustizia,  anchenell’ambito di rilevazioni statistiche nazionali.».

2. Al decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, sono apportate  leseguenti modificazioni:     a) all’articolo 40, dopo il comma 1, e’ aggiunto il seguente:     «1-bis. Il commissario straordinario, redige ogni  sei  mesi  unarelazione sulla situazione patrimoniale dell’impresa e sull’andamentodella gestione  in  conformita’  a  modelli  standard  stabiliti  condecreto,  avente  natura  non  regolamentare,  del  Ministero   dellosviluppo economico. La relazione di  cui  al  periodo  precedente  e’trasmessa al predetto Ministero con modalita’ telematiche.».     b) all’articolo 75, al comma 1, dopo il primo periodo e’ inseritoil seguente:     «Il bilancio finale della procedura e  il  conto  della  gestionesono redatti in conformita’ a modelli standard stabiliti con decreto,avente natura non regolamentare, del Ministero di cui al periodo  cheprecede, al quale sono sottoposti con modalita’ telematiche.».

3. I dati risultanti dai rapporti riepilogativi periodici e  finalidi cui agli articoli 40 e 75, comma  1,  del  decreto  legislativo  8luglio 1999, n. 270, sono estratti ed elaborati, a cura del Ministerodello sviluppo  economico,  nell’ambito  di  rilevazioni  statistichenazionali.

4. Per l’attuazione delle disposizioni dei commi 1 e 2 il Ministerocompetente provvede con le risorse umane, strumentali  e  finanziariedisponibili a legislazione vigente.».

5. Le disposizioni di cui  al  comma  1  si  applicano  anche  alleprocedure  concorsuali  ed  ai  procedimenti  di  esecuzione  forzatapendenti, a decorrere  dal  novantesimo  giorno  dalla  pubblicazionenella Gazzetta Ufficiale del provvedimento contenente  le  specifichetecniche di cui all’articolo  16-bis,  comma  9-sexies  del  D.L.  n.179/2012.

6. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano,  anche  alleprocedure di amministrazione straordinaria pendenti, a decorrere  dalnovantesimo giorno dalla pubblicazione nella Gazzetta  Ufficiale  deidecreti previsti all’articolo 40, comma 1-bis, e 75, comma 1, secondoperiodo, del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270.

Art. 21              Disposizioni in tema di tramutamenti successivi dei magistrati

1. Al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, dopo l’articolo  10  e’aggiunto il seguente:   «Art. 10-bis (Termine per l’assunzione delle funzioni  in  caso  ditramutamenti successivi). – Il Consiglio superiore della magistraturaespleta, di regola due volte all’anno, le procedure  di  tramutamentosuccessivo dei magistrati e le definisce entro quattro mesi.   Il Ministro della giustizia adotta un  solo  decreto  per  tutti  imagistrati tramutati nell’ambito della medesima procedura indetta conunica delibera del Consiglio superiore della magistratura.   Il  Consiglio  superiore  della  magistratura,  nel   disporre   il tramutamento che comporta o  rende  piu’  grave  una  scopertura  del trentacinque per  cento  dell’organico  dell’ufficio  giudiziario  di appartenenza del magistrato interessato alla procedura,  delibera  la sospensione dell’efficacia del provvedimento sino  alla  delibera  di copertura del posto lasciato vacante. La  sospensione  dell’efficacia di cui al  periodo  che  precede  cessa  comunque  decorsi  sei  mesi dall’adozione della delibera. Il presente comma non si applica quandol’ufficio di destinazione oggetto della delibera di  tramutamento  hauna scopertura uguale o  superiore  alla  percentuale  di  scoperturadell’ufficio di provenienza.   Si applicano le disposizioni dell’articolo 10.».

2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano alle procedure di tramutamento avviate  con  delibera  del  Consiglio  superiore  della magistratura adottata successivamente  all’entrata  in  vigore  della legge di conversione del presente decreto.

Art. 22      Disposizioni finanziarie

1. All’onere derivante dalle disposizioni di cui agli articoli 18 e20, pari a euro 550.000,00 per l’anno 2014  e  a  euro  100.000,00  a decorrere  dall’anno  2015,  si  provvede   mediante   corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica,di cui all’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre  2004,n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre  2004,n. 307.

2. Alle minori entrate derivanti dalle  disposizioni  di  cui  agli articoli 3, 6 e 12, valutate in euro 4,3 milioni, si provvede con  le maggiori entrate di cui all’articolo 19.

3. Il Ministro dell’economia e  delle  finanze  e’  autorizzato  ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

Art. 23                 Entrata in vigore

1. Il presente decreto entra  in  vigore  il  giorno  successivo  aquello  della  sua  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale   dellaRepubblica italiana e sara’ presentato alle Camere per la conversionein legge.   Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara’ inseritonella  Raccolta  ufficiale  degli  atti  normativi  della  Repubblicaitaliana. E’ fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farloosservare.

Dato a Roma, addi’ 12 settembre 2014                               NAPOLITANO                                     Renzi, Presidente del Consiglio dei  ministri                                    Orlando, Ministro della giustizia                                    Padoan,  Ministro  dell’economia  e  delle finanze

Visto, il Guardasigilli: Orlando

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Mediazione-civile-d.lgs-28-2010

Mediazione civile: tendenze giurisprudenziali

Riflessioni sulla recente giurisprudenza in materia di mediazione civile

Dott. Luigi Majoli

 Introduzione  

Già tempo di bilanci? Prevengo l’obiezione, certamente fondata (e che quindi condivido). Prematuro, dopo meno di un anno dall’entrata in vigore del nuovo modello di mediazione civile, a seguito del c.d. “decreto del fare”.

Eppure, in questi pochi mesi, molto è avvenuto. Dunque, niente bilanci, ma riflessioni sì. Riflessioni che appaiono ineludibili, allo stato attuale, soprattutto – come si analizzerà in seguito – alla luce del contributo della giurisprudenza alla diffusione della mediazione. Già. Proprio questo appare, a mio avviso, il punto fondamentale.

Al di là delle posizioni preconcette che si contrappongono da anni, al di là delle rendite di posizione e dei (presunti) interessi di categoria da difendere, un fatto appare chiaro: l’obbligatorietà della mediazione civile in un (rilevante) novero  di ipotesi – strumento inizialmente inevitabile per il “decollo” dell’istituto –  potrà anche venir meno laddove alla fine “soccombente” (ma per ora non sembra) nella querelle circa la sua costituzionalità; i quattro anni del “periodo di prova” previsto dal legislatore potranno certamente portare a risultati oggi imprevedibili o, semplicemente, il D.lgs 28/2010 ben potrebbe essere nuovamente oggetto di riforma con conseguente venir meno dell’obbligatorietà stessa, ma se la giurisprudenza continuerà a “credere” nell’istituto così come fino ad ora ha mostrato, ebbene la diffusione della mediazione troverà, verosimilmente, un canale parallelo di non minore portata.

Sulle base delle considerazioni che precedono, si analizzeranno di seguito gli spunti di maggiore interesse forniti dal contributo giurisprudenziale successivo alla vigenza della “nuova” mediazione.

Certamente, una considerazione preliminare non può essere sottaciuta: dopo il de profundis seguito alla sentenza dell’ottobre 2012 della Corte costituzionale, l’esigenza  di soluzioni delle controversie civili e commerciali alternative rispetto alla (naturale) sede del giudizio è immediatamente (ri)emersa in tutta la sua allarmante attualità, con conseguente – anche se senz’altro farraginoso e, quindi, perfettibile – intervento del legislatore in materia.

Sennonchè la criticità fondamentale va riscontrata proprio nelle problematiche di ordine interpretativo che le disposizioni di nuovo conio hanno immediatamente generato, favorendo, come subito di seguito si rileverà, posizioni di immutato sfavore verso lo strumento mediazione in sé e per sé considerato, che hanno finito con il sostituirsi alla pregiudiziale di costituzionalità cui si faceva in precedenza riferimento, in vista, però, del medesimo obiettivo.

La realtà normativa e le sue conseguenze sul terreno della pratica

Come è noto, l’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, nel suo testo post riforma, prevede che “Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. L’improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni”.

Non particolarmente rilevanti, dunque, appaiono le modifiche in ordine alle materie soggette all’obbligatorietà della mediazione: tra “tagli” (danni da circolazione di autoveicoli e natanti) ed “aggiunte” (responsabilità sanitaria) la sostanza non cambia.

Ben più incisivo, invece, il dettato dell’art. 5, co. 2,: “Fermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è già stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”.

Mediazione delegata, dunque, non più su invito, ma “disposta” dal giudice. E tale da costituire, in primo grado ed in appello, condizione di procedibilità dell’azione. Innovazione dirompente, come già la realtà giurisprudenziale ha ampiamente dimostrato, in quanto direttamente condizionata unicamente alla volontà applicativa dei giudici. Tanto più, ove si consideri la contestuale entrata in vigore dell’art. 185 – bis c.p.c., che ha introdotto, come è noto, la c.d. mediazione “endoprocedimentale”, con la quale il giudice stesso può formulare una pronuncia transattiva o conciliativa da sottoporre alle parti.

In detto rinnovato contesto, le problematiche attuative di maggior rilievo sono state però cagionate dalla disposizione di cui all’art. 8, co. 1, a tenore della quale “All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari”.

Tale disposizione deve essere collegata all’art. 5, co. 2 – bis, secondo cui “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, e con l’art. 17, co. 5 – ter, per il quale “Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.

Ora, la criticità in assoluto più rilevante sul piano pratico, come ben sa chi pratica professionalmente la mediazione, deriva dall’interpretazione che si è voluta dare del penultimo periodo del primo comma dell’art. 8, laddove si prevede che il mediatore invita le parti ad esprimersi circa la possibilità di “iniziare” il procedimento: se si intende con ciò che la mediazione avrà inizio solo ove le parti manifestino una sorta di volontà in tal senso, risulta chiaro che l’obbligatorietà finirebbe con l’essere tale solo formalmente, ma non di fatto.

Se è vero, come è vero, che un comportamento può definirsi obbligatorio solo se previsto come tale dalla legge o da un provvedimento giurisdizionale che nella legge medesima trovi la sua legittimazione, ne deriva che l’interpretazione di cui sopra determina una asserita obbligatorietà attenuata che – in sostanza – non è tale.

O, meglio ancora: così opinando quello che risulterebbe effettivamente obbligatorio non sarebbe altro che il primo incontro delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) con il mediatore, che il più delle volte varrebbe soltanto ad esprimere la “volontà” delle stesse contraria all’ingresso nel procedimento al fine di addivenire alla formazione di un verbale negativo che consenta di assolvere la condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Insomma, un mero orpello formale. Con conseguente svuotamento di ogni  significato della mediazione sul piano deflattivo e sul quello, in prospettiva ancor più importante, culturale.

Si tratta, di fatto, di un sensibile ridimensionamento (volendo fare uso di un eufemismo) di ciò che la legge – sia pure tra mille “cautele” e compromessi – bene o male prevede.

Da un lato, infatti, si contempla, tanto per la mediazione ex lege quanto per la delegata, l’esperimento di un tentativo destinato a concludere la vicenda in via stragiudiziale, ovvero, nell’ipotesi di fallimento dello stesso (mancato accordo), volto a consentire l’ingresso nella canonica via giudiziale; dall’altro, si impone nella pratica un’interpretazione riduttiva, per la quale la condizione risulterebbe soddisfatta con la mera presenza dinanzi al mediatore, in sede di primo incontro, di soggetti dalla cui “volontà”, in ultima analisi, verrebbe a dipendere l’”inizio” del tentativo stesso.

Ciò appare oggettivamente inquietante.

Se infatti una simile lettura delle disposizioni sopra ricordate sembra contraddittoria rispetto al concetto stesso di mediazione concepita quale condizione di procedibilità della domanda (ossia “obbligatoria”), ancor più sconcertante risulta se rapportata ad una mediazione, quale quella delegata ex art. 5, co. 2, ipotesi in cui la legge attribuisce al giudice il potere di disporre il tentativo. Cosa finirebbe con il disporre il giudice, una tediosa formalità dinanzi al mediatore volta ad accertare la mera volontà di non mediare, con conseguente ulteriore appesantimento dei tempi di giustizia?

In presenza di un siffatto stato di cose non poteva che essere la giurisprudenza a prendere posizione in ordine agli aspetti appena accennati, nell’intendo di dare sostanza alle previsioni legislative, destinate, altrimenti, ad un oblio inevitabile quanto, da molte parti, non certo sgradito.

I contributi della giurisprudenza

 La partecipazione personale delle parti

In primo luogo, i più recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di mediazione delegata sottolineano come sia connaturata al concetto stesso di mediazione la presenza delle parti dinanzi al mediatore (Cfr. Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014; Trib. Roma, sent. 29 maggio 2014 e ord. 30 giugno 2014; Trib. Bologna, ord. 5 giugno 2014).

In sintesi, si osserva come l’assenza della parte determini conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.

Secondo l’ordinanza 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze, ad esempio, posto che “…la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma 1-bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’ ‘assistenza degli avvocati’, e questo implica la presenza degli assistiti”, il giudice osserva che “…i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’ informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa”.

Il fatto che la condizione si avveri con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore appare poi “…particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Anche per il Tribunale di Bologna, ordinanza 5 giugno 2014, la presenza delle parti costituisce presupposto necessario.

Ribadito, in primo luogo, che la natura della mediazione richiede “...che all’incontro (…) siano presenti (anche e soprattutto le parti): l’istituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore”, il giudicebolognese prosegue osservando che “…i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, sono senza dubbio già a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità (come peraltro si desume dal fatto che essi, prima della causa, devono fornire al cliente l’informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010), di talchè non avrebbe senso imporre l’incontro tra i soli difensori ed il mediatore in vista di una (dunque, inutile) informativa”.

In terzo luogo (e soprattutto, ad avviso di chi commenta), il Tribunale rileva il fatto che “…l’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiono i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1 – bis, e dell’art. 8, che prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti (personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore)”.

E ancora, anche nell’ordinanza 30 giugno 2014 del Tribunale di Roma siconferma che le parti inviate in mediazione ai sensi dell’art. 5, co. 2, devono partecipare personalmente (salvo casi eccezionali) al procedimento – a partire dal primo incontro con il mediatore di cui all’art. 8 del decreto legislativo.

In sostanza, dunque, limitandosi per ora alle ipotesi di mediazione disposta dal giudice, la previsione circa la presenza delle parti, assistite dall’avvocato, viene intesa quale volontà legislativa di favorire la partecipazione personale della parte, che rappresenta un indefettibile ed autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi. Senza parti, salvo casi eccezionali, parlare di mediazione diventa arduo.

Nei casi di rappresentanza delle parti in mediazione, occorre poi aprire un diverso capitolo in ordine alla legittimazione del rappresentante. In questa sede basti rammentare che la rappresentanza in esame ha natura negoziale e non processuale, e quindi il rappresentato dovrà conferire adeguata procura ad negotia che autorizzi il rappresentante ad agire in nome e per conto, con idonea puntualizzazione dei poteri e dei limiti.

In sostanza, in mediazione, il mediatore e l’altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilità conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di là delle posizioni iniziali. Per queste ragioni, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sembra in grado di fornire le necessarie garanzie in ordine alla sua utilizzabilità nei confronti di terzi.

L’effettività del tentativo di mediazione

Partecipazione personale delle parti al procedimento, dunque. Ma non solo.

A nulla gioverebbe, infatti, la presenza personale delle parti all’interno di una vuota formalità mirante unicamente all’ottenimento di un verbale negativo, senza alcun tentativo concreto di soluzione stragiudiziale.

Secondo la giurisprudenza citata, infatti, per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.

L’ordinanza 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze, in particolare, pur muovendo dalla premessa di una difficile individuazione del confine tra la fase preliminare e la mediazione vera e propria, osserva, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, come “…ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione,(…) possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile”.

D’altronde, prosegue il giudice fiorentino, “…ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un’ inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione”.

Anche il Tribunale di Roma, nella citata ordinanza 30 giugno 2014, sottolinea con forza come il tentativo di mediazione, con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 5, co. 2, debba svolgersi effettivamente, dal momento che una formale e “burocratica” presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a produrre la condizione di procedibilità della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dell’ordine del giudice, il quale avrà già provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la “mediabilità” della controversia.

In sintesi, quindi: tentativo effettivamente svolto – in ottemperanza all’ordine del giudice, e caratterizzato dalla presenza personale – salvo casi eccezionali – delle parti.

Partecipazione delle parti ed principio di effettività nella mediazione ex lege

La giurisprudenza uniforme che deriva dai provvedimenti or ora presi in considerazione si fonda sull’esigenza di partecipazione personale delle parti e sulla circostanza che il tentativo di mediazione disposto dal giudice deve essere caratterizzato da “effettività”. Per l’appunto, si tratta di pronunce relative ad ipotesi di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, d.lgs 28/2010.

Ma detti principi possono estendersi sic et simpliciter alle ipotesi di cui all’art. 5. co. 1 – bis, vale a dire ai casi, ben più frequenti nella pratica, di mediazione instaurata dalla parte interessata in quanto ex lege condizione di procedibilità della domanda giudiziale?

Occorre, sul piano interpretativo, rilevare immediatamente che la condizione di procedibilità è rappresentata, tanto ai sensi dell’art. 5, co. 1 – bis, quanto dell’art. 5, co. 2, dall’”esperimento del procedimento di mediazione”.

Bene. Su cosa debba intendersi per “mediazione” non possono sussistere dubbi, in ragione della definizione fornitaci dall’art. 1, co. 1, lett. a) del medesimo D.lgs 28/2010, secondo cui si tratta della “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.

Ne consegue che ove le parti si limitino a comparire innanzi al mediatore senza aderire alla proposta di quest’ultimo di procedere al tentativo, di “mediazione” in senso tecnico non si possa proprio parlare. In tal caso, con riferimento alle ipotesi di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, il potere conferito dalla legge al  giudice (di disporre una mediazione che, in primo grado ed in appello, condiziona la procedibilità della domanda) risulterebbe, nella sostanza, indebolito se non completamente vanificato.

Ora, però, se è vero che nelle ipotesi di cui sopra è il giudice a valutare nel caso concreto i margini di “mediabilità” della controversia, è anche vero che nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, detta valutazione risulta già operata in astratto dal legislatore. Non si vede quindi perchè le stesse considerazioni in ordine alla partecipazione personale delle parti al procedimento e soprattutto alla effettività del tentativo non debbano valere anche (ed a maggior ragione) laddove l’esperimento della mediazione condiziona la procedibilità della domanda giudiziale ab inizio.

L’assimilazione in parola, peraltro, è stata già fatta propria dalla giurisprudenza.

Il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza 17 marzo 2014, ha infatti osservato come debba ritenersi che “…le procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lgs. 28/10 (e succ. mod.), sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previsti a pena di improcedibilità dell’azione; che difatti, per espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva”.

Ad avviso del giudice fiorentino, in altri termini, il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, ove le parti si limitino ad esprimere una asserita volontà contraria a procedere, non risulterebbe altrettanto ritualmente condotto a termine e pertanto “…le parti devono essere rimesse dinanzi al mediatore affinché, in ottemperanza all’interpretazione sopra offerta, prosegua e si esaurisca l’esperimento della procedura di mediazione”.

In sostanza, dunque, il Tribunale di Firenze individua le ragioni della “impossibilità di iniziare la procedura”, di cui all’art. 8, co. 1, nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, chiarendo come non sia previsto in alcun modo che le parti manifestino una sorta di volontà di partecipazione al tentativo di mediazione effettivamente inteso.

Sulla stessa lunghezza d’onda, ancor più di recente, il Tribunale di Palermo (sez. I civile, ordinanza 16 luglio 2014).

Il Giudice rileva infatti come sussista “…un nodo interpretativo da risolvere. Il Legislatore ha espressamente regolato il regime giuridico sotteso alla condizione di procedibilità e previsto, all’art. 5 comma 2bis, che «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avveratase il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo». La disposizione, dunque, sembra richiamare espressamente “il primo incontro” di cui all’art. 8 comma I cit.”. Pertanto, “…il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che le mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro. Tuttavia, egli può comunque richiedere che in questo primo incontro il tentativo di  mediazione sia stato effettivo”.

Naturalmente, una lettura frettolosa ed approssimativa dell’art. 8 D.lgs 28/2010  sembrerebbe giustificare un’interpretazione per cui se le parti e i loro avvocati non  intendessero effettuare un vero tentativo di conciliazione (verosimilmente al solo scopo di non versare l’indennità di mediazione prevista per il rispettivo scaglione di riferimento) ben potrebbero esprimere in questa prima parte del primo incontro, di natura preliminare, la loro volontà contraria all’inizio di una mediazione, con conseguente chiusura del procedimento. La disposizione normativa in questione, così interpretata, risulterebbe però a dir poco bizzarra, in quanto rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa.

Ragion per cui, il giudice siciliano ritiene, come anticipato poc’anzi, che “…il mediatore non dovrebbe chiedere, come invece ritenuto da molti, se le parti vogliono andare avanti. Egli non deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma li invita ad esprimersi sulla “possibilitàdi iniziare la procedura di mediazione. E nel punto in cui la norma dice che “nel caso positivo, procede con lo svolgimento” essa non va intesa nel senso che se gli avvocati dicono che c’è tale possibilità si va avanti, mentre se dicono che non sussiste questa possibilità non si procede oltre. È il mediatore che, tenuto conto di quello che dicono le parti e gli avvocati, valuta se sussiste questa possibilità (nella norma, infatti, non si legge “nel caso di risposta positiva”, ma “nel caso positivo”). Si comprende, quindi, il motivo per cui il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 28/10 contempla (come il comma 2 bis dell’art. 5) la possibilità di un accordo tra le parti in sede di primo incontro (prevedendo che in caso di mancato incontro non è dovuto compenso all’organismo)”.

Un ulteriore passo avanti in tal senso è indubbiamente rappresentato dalla recentissima ordinanza 16 luglio 2014 del Tribunale di Rimini in cui, per la prima volta, il principio dell’effettività del tentativo di mediazione è affermato con riferimento ad una ipotesi di mediazione ex lege, depositata, cioè, ai sensi dell’art. 5, co. 1- bis, D.lgs 28/2010.

Nel caso di specie, il Giudice, rilevata la mera formalità del tentativo di mediazione avviato ante causam dalla parte attrice del giudizio, esauritosi nella semplice presenza delle parti in sede di primo incontro all’unico scopo di manifestare una asserita “non volontà” di intraprendere il tentativo conciliativo, ha disposto lo svolgimento di un tentativo effettivo pena l’improcedibilità della domanda giudiziale.

Il Tribunale romagnolo, dunque, ha inteso sottolineare come il carattere dell’”effettività” debba necessariamente contraddistinguere la mediazione tout court, indipendentemente dal fatto che il tentativo sia disposto dal giudice.

Come già si è avuto modo di rilevare in precedenza, se è vero che le pronunce “fiorentine” si riferiscono alla mediazione delegata dal giudice di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, è altrettanto vero però che i principi in esse contenuti appaiono estensibili a tutte le ipotesi di mediazione “obbligatoria”, dal momento che il legislatore non ha inteso configurare modelli procedimentali differenti in funzione del fatto che la mediazione consegua alla (necessaria) iniziativa della parte che intenda proporre una domanda nelle materie di cui all’art. 5. co 1 – bis, ovvero che sia demandata, in primo grado o in appello, dal giudice ex art. 5, co. 2.

Il Tribunale di Rimini ha ritenuto di perseguire una linea interpretativa siffatta, che, allo stato, non può che rappresentare una spinta di inestimabile valore verso l’effettività della mediazione e, quindi, verso lo sviluppo di una cultura nuova, antitetica a quella tradizionale del conflitto ad ogni costo.

Ragioni come la mancanza di una parte necessaria, la carenza di rappresentanza, l’incompetenza dell’organismo presso il quale si è depositata l’istanza etc. sono questioni che possono emergere solo dinanzi al mediatore in sede di primo incontro, tali da configurare l’impossibilità di dare avvio al procedimento.

Non certo la “volontà” di non procedere espressa dalle parti (o dagli avvocati chiamati ad assisterle). In tal caso la condizione dovrà ritenersi non avverata, per inadempimento all’obbligo conseguente dalla legge o dall’ordine del giudice.

Non può, ovviamente, configurarsi alcun “obbligo a conciliare”, ma ad iniziare concretamente un percorso di mediazione certamente sì. In altri termini, è vero che a norma dell’art. 3 D.lgs 28/2010 il procedimento di mediazione non è formalizzato, ma altrettanto certo è che, in assenza di una qualche sequenza di atti e di comportamenti volti a favorire il recupero di un dialogo tra le parti, di svolgimento di una “mediazione” non possa in alcun modo parlarsi.

Di qui, due considerazioni.

Innanzitutto, l’importanza dell’obbligo di informativa posto a carico degli avvocati dall’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, nel quale si prevede che “All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

A prescindere da qualsiasi altra considerazione ed approfondimento, basti osservare, nella presente sede, come debba trattarsi di un’informativa piena e completa, non soltanto, cioè, relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione o al fatto che, nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, essa costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nonché alle correlate agevolazioni fiscali previste dalla legge. Dovranno essere illustrate, altresì, anche (e soprattutto) le caratteristiche del procedimento, a partire – dunque – dalle finalità e dalle modalità del primo incontro.

Sarà dunque l’avvocato, all’atto de conferimento dell’incarico, che dovrà esplicare all’assistito – tra le altre cose – l’importanza della sua partecipazione personale ed il concetto di effettività del tentativo.

In secondo luogo, il fatto che il (famigerato) art. 17, co. 5 – ter, preveda che nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun compenso sia dovuto per l’organismo nulla implica in ordine al fatto che il tentativo debba comunque svolgersi effettivamente ai fini del rispetto della condizione di procedibilità della domanda.

Chiunque operi nella mediazione conosce gli effetti devastanti della disposizione in esame. Anche a non voler ulteriormente insistere sul punto, non è chi non veda che per potersi parlare di “mancato accordo” un tentativo di mediazione deve necessariamente essersi svolto: per giungere alla redazione di un verbale negativo per mancato raggiungimento dell’accordo tra le parti il mediatore deve pur sempre entrare nel merito della controversia dinanzi a lui pendente.

Se, però, a tale risultato si perviene all’esito del primo incontro, il tentativo risulta espletato, salvo che il mediatore ha operato gratuitamente (sic), previsione circa la legittimità, anche sul piano costituzionale, della quale sembra possano sollevarsi non poche riserve (a volersi esprimere con un eufemismo).

 Mediazione delegata e mediazione endoprocedimentale

Fin qui sui contributi giurisprudenziali in tema di partecipazione delle parti e di effettività del tentativo di mediazione.

Naturalmente, però, non può essere sottaciuto, in questa sede, l’impatto dell’ulteriore “spinta” che il legislatore ha inteso fornire alla diffusione di una cultura della mediazione finora carente, vale a dire l’introduzione dell’art. 185 – bis c.p.c.

Come è noto, al disposizione prevede che “Il giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice”.

Non si intende qui disquisire sulle ombre, che certamente non possono essere aprioristicamente negate, che detta novella suscita. Certamente, la formulazione “attenuata” che il legislatore ha (saggiamente) adottato in sede di conversione, rispetto all’imperatività – obiettivamente insostenibile – di quanto disposto dall’originario testo del c.d. “decreto del fare” va salutata positivamente.

Ciò su cui, però, si intende porre l’accento è l’immediato favore mostrato dai Giudici nei confronti dell’istituto (nonché nei confronti del modificato art. 420 c.p.c., per ciò che concerne il rito del lavoro).

Occorre innanzitutto rilevare che la L. 98/2013, appunto di conversione del D.L. 69/2013, mentre disponeva l’entrata in vigore delle norme relative alla nuova mediazione obbligatoria ex lege e a quella delegata a partire dal 20 settembre 2013, stabiliva, come data di inizio della vigenza dell’art. 185 – bis (e 420 modificato, cui si è fatto cenno poc’anzi) il 21 giugno dello stesso 2013.

Ebbene, in questo anno abbondante appena trascorso, la giurisprudenza ha fornito spunti davvero interessanti.

Immediatamente, infatti, il Tribunale di Milano, (sez. IX civ., decreto 26 giugno 2013), premesso che trattandosi di norma processuale risulta applicabile, in base al principio tempus regit actum, anche ai giudizi già pendenti alla data di entrata in vigore della stessa, ha inteso chiarire come si tratti della espressione “…di un principio generale (anche nell’art. 420 c.p.c. come riformato), anche per il fatto di distinguere espressamente tra proposta transattiva e conciliativa e per la difficoltà di ammettere settori o comparti divisi dell’ordinamento in cui il giudice possa o non possa aiutare i litiganti a pervenire ad un assetto condiviso per la soluzione pacifica della causa”, con conseguente applicabilità anche a controversie relative a materie non ricomprese nell’ambito di previsione dell’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Poco dopo, il Tribunale di Nocera Inferiore (sez. I civ., ordinanza 27 agosto 2013), nell’applicare l’art. 185 – bis ad un campo “incandescente” come quello dell’anatocismo bancario, dopo aver osservato che la proposta di soluzione formulata dal giudice era giustificata (anche) dalla circostanza che i costi delle rispettive spettanze legali, di un eventuale supplemento di C.T.U. e di altri eventuali eventuali adempimenti connessi avevano già superato il valore della controversia, ha affermato, tra l’altro, che il giudice stesso “…se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 92”.

Ma è dopo l’entrata in vigore del riformato D.lgs 28/2010 che la situazione, dal punto di vista giurisprudenziale, ha iniziato ad evolversi verso scenari sempre più innovativi.

Infatti, il Tribunale di Roma (sez. XIII civ., ordinanza 24 ottobre 2013) ha immediatamente dato il via all’orientamento per il quale la mediazione endoprocedimentale ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c. è cumulabile con la mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Nel provvedimento in esame, infatti, il giudice capitolino, formulata la proposta e assegnato un congruo termine per la valutazione della medesima, dispone che “…dalla eventuale infruttosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg. 15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche dal punto di vista economico e fiscale (cfr. artt. 17 e 20 del decr. legisl. 4.3.2010 n. 28), della controversia in atto.

Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo  le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni a riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai fini degli artt. 91 e 96 III° cpc”.

In altri casi, la cumulabilità tra i due istituti è stata affermata “in due tempi”, disponendo cioè la mediazione ex art. 5, co. 2, a seguito della mancata accettazione di una delle parti della proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice.

Ad esempio, il Tribunale di Milano (sez. spec. in materia di impresa, ordinanza 11 novembre 2013), avendo formulato una proposta transattiva ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., a fronte della quale “...il convenuto dichiara di essere disponibile a chiudere la lite con tale versamento da parte sua. L’attore dichiara che tale soluzione non è per lui accettabile(…)visto l’art.5 secondo comma del d.lgs. n.28/2010 nell’attuale sopravvenuta formulazione; valutata la natura della lite, i rapporti familiari tra le parti e il comportamento delle stesse anche all’odierna udienza; ritenutane in base a tali elementi l’utilità;

dispone l’esperimento del procedimento di mediazione, assegnando alle parti il termine di quindici giorni per dare inizio alla mediazione e fissando per la prosecuzione del giudizio l’udienza del (…) riservato ogni altro provvedimento”.

E non solo.

Con la successiva ordinanza 5 dicembre 2013, il Tribunale di Roma,  sez. XIII civ., osserva come la circostanza “…che l’attore abbia proposto prima e fuori dalla causa una domanda di mediazione (non ha rilevanza – ai fini che qui interessano – la natura

volontaria o obbligatoria), non sia impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art. 5 co. II del decr. legisl. 28/2010 nella versione riformata dal D.L.69/13 cit.”.

Con la pronuncia in parola si afferma dunque non solo l’utilizzabilità della mediazione delegata, eventualmente preceduta da una proposta transattiva o conciliativa ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., laddove un tentativo di mediazione sia già stato infruttuosamente esperito ante causam, ma anche la medesima possibilità laddove si tratti di materia non assoggettata al regime di obbligatorietà del tentativo conciliativo (nella quale ipotesi – quindi – una fattispecie originariamente “a mediazione non obbligatoria” diviene condizionata all’esperimento del tentativo in via successiva, a seguito, cioè,  dell’ordine del giudice di cui all’art, 5, co. 2).

Nella medesima ordinanza, il Tribunale evidenzia la sostanziale libertà (nei limiti – ovviamente – della tempistica processuale fissata dal legislatore) per il giudice in ordine alla scelta del momento più idoneo alla formulazione della proposta e sottolinea, altresì, l’importanza del ruolo rivestito dai difensori a fronte della proposta stessa: “…Il momento in cui il Giudice invia le parti in mediazione è svincolato da rigidità processuali se non quelle molto avanzate del giudizio (conclusioni/discussione), consentendogli di individuare e di scegliere il momento più propizio in relazione alle circostanze ed agli sviluppi della causa (e ciò anche in relazione alle difese articolate dalle parti).

La possibilità (…) di rappresentare pacatamente, con equidistanza ed imparzialità, i punti di debolezza e di forza delle rispettive posizioni, consente di esaltare la sensibilità culturale e giuridica dei difensori, che tanto ruolo hanno nella mediazione riformata. E, tramite essi, parlare alle parti che pertanto dovranno essere informate nel modo più ampio e sostanziale dai difensori circa il contenuto del provvedimento,

al fine che esse possano, esattamente come in ambito sanitario, determinarsi verso la scelta migliore da assumere, in ordine alla quale è precondizione una adeguata consapevolezza.

Compito dei difensori è quello di evocare la possibilità per le parti, cogliendo le potenzialità del provvedimento del Giudice, di trovare ragionevoli soluzioni e punti di accordo, non celando, in mancanza, i possibili sviluppi negativi delle aspettative che l’inevitabile antagonismo insito nella avviata contesa giudiziaria tende, per ciascuna delle parti, a radicare ed esaltare.

Con la mediazione demandata si evita di intraprendere percorsi spesso già condannati in partenza (si pensi ad una mediazione obbligatoria prima della causa nella quale saranno protagonisti necessari soggetti terzi, come assicurazioni successivamente chiamate; ovvero a situazioni in ordine alle quali le risultanze della consulenza tecnica disposta dal giudice sono determinanti per meglio fissare l’ubi consistam della lite); e ciò perché è il Giudice che sceglie, con oculatezza, il momento migliore per disporne l’avvio”.

Si tratta di orientamenti ormai largamente condivisi.

Una sorta di sintesi degli approdi cui la giurisprudenza sembra essere ormai pervenuta in tema di cumulabilità tra mediazione endoprocedimentale e mediazione delegata e, soprattutto, con riferimento ai temi appena trattati della partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione dell’effettivo svolgimento del medesimo, è rintracciabile nell’ampia e chiarissima motivazione della poc’anzi ricordata ordinanza del 16 luglio 2014 del Tribunale di Palermo, sez. I civile.

Sotto il primo profilo, il Giudice, premesso che sussistono nel caso di specie tutti i presupposti per la formulazione di una proposta ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c. (e con gli effetti, aspetto quest’ultimo di particolare rilevanza, di cui all’art. 91 c.p.c.), anticipa che “…comunque, in caso di mancata accettazione della proposta in questione, questo giudice disporrà la mediazione ex officio iudicis”, strumento quest’ultimo espressione del vero e proprio potere attribuito dalla legge al giudice di “…imporre alle parti di intraprendere un procedimento di mediazione nel corso del processo (in passato, invece, il giudice poteva solo invitarle a svolgere un tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo l’eventuale risposta positiva delle parti), in tal modo creando una nuova condizione di procedibilità (sopravvenuta) per ordine del giudice. Si tratta di una norma che rimette al giudice l’effettività di tale canale di accesso alla mediazione (che opera non quale filtro preventivo alle liti, ma successivo e non per questo meno utile ed efficace) e può operare in ogni lite, purché abbia ad oggetto diritti disponibili”.

Per quanto concerne poi gli aspetti relativi alle modalità del tentativo di mediazione, premesso che occorre domandarsi che cosa occorra in realtà che risulti espletato dalle parti affinchè l’ordine del giudice possa considerarsi adempiuto, il Tribunale mostra di aderire all’impostazione esaustivamente esplicata dai giudici fiorentini nelle    citate ordinanze del 17 e 19 marzo 2014, in base alla quale il tentativo deve essere effettivo.

Il Tribunale, dunque, ribadisce che non avrebbe alcuna ragion d’essere una dilazione del processo civile per un mero adempimento burocratico, non potendosi in altro modo definire un tentativo che si risolva esclusivamente nella comparizione delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) dinanzi al mediatore per esprimere il proprio “no” aprioristico ad aprire un tavolo di discussione.

Ciò, evidentemente, finirebbe con lo svilire il concetto stesso di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Pertanto, occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione, ponendosi, altrimenti, un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione.

In sostanza, dunque, non può non sottolinearsi il ruolo fondamentale che il nuovo quadro normativo ha inteso assegnare alla figura del giudice al fine della ricerca di soluzioni conciliative che effettivamente possano rappresentare il massimo vantaggio ottenibile dalle parti in lite.

Da un lato, infatti, il Legislatore ha potenziato detto ruolo  prevedendo per il giudice la possibilità di formulare una proposta conciliativa, fondata – dunque – sulla natura della controversia, sullo stato dell’istruzione e  – last but not least, sul comportamento delle parti; dall’altro ha trasformato la mediazione delegata in uno strumento forte, con il quale il giudice può “spingere” (e non più meramente invitare) le parti ad instaurare la procedura dinanzi ad un organismo territorialmente competente.

Si è visto quale considerazione – fin dal principio – una consistente parte della Magistratura abbia riservato alle nuove potenzialità attribuitele: basti pensare alla possibilità di cumulo dei due istituti, in forza della quale la proposta formulata dal giudice ex art. 185 – bis, ove non accolta dalle parti, potrà comunque rappresentare una valida base di partenza per il successivo tentativo presso l’organismo adito “d’ordine” del giudice stesso.

Lo “sviluppo autonomo” della proposta, dunque.

Ben potrà, infatti, il mediatore, anche sulla base dell’eventuale proposta formulata dal giudice e dei motivi per i quali una delle parti (o entrambe) non abbia ritenuto di accoglierla, estendere la mediazione a profili emersi successivamente alla formulazione della proposta stessa o, comunque, se già esistenti, non entrati nel thema decidendum, superando così il vincolo rappresentato, nel giudizio, dalla corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

D’altra parte, si tratta di aspetti che la giurisprudenza ha sottolineato già in sede di prime esperienze applicative.

Basti pensare a passaggi come “Sotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilità che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilità dall’ausilio, nella ricerca di un accordo,  ed anche alla luce della proposta del Giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalità e di serietà, è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del Giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistrato” (cfr. Tribunale di Roma, sez. XIII civ., ord. 24 ottobre 2013); o, ancora,  “…i mediatori ben potrebbero estendere la «trattativa (rectius: mediazione)» ai crediti maturati successivamente alla instaurazione dell’odierna lite e non fatti valere in questo processo, così essendo evidente che l’eventuale soluzione conciliativa potrebbe definire il conflitto, nel suo complesso, mentre la sentenza di appello potrebbe definire, tout court, solo una lite, in modo parziale” (cfr. Tribunale di Milano, sez. IX civ., ord. 29 ottobre 2013).

La giurisprudenza ha, allo stato attuale, la chiave (unica?) per la diffusione delle soluzioni alternative delle controversie civili. Non rimane che sperare che i giudici continuino ad applicare, in forma sempre più estesa, gli strumenti che il legislatore, al di là delle critiche “tecniche” ha comunque fornito loro.

Le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione

Occorre a questo punto soffermarsi su un ulteriore aspetto nel quale il contributo della giurisprudenza può rivelarsi non meno determinante.

Mi riferisco alle conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione (ovvero  della partecipazione – escamotage, vale a dire semplicemente finalizzata ad esprimere la “volontà” di non esperire il tentativo).

Come è noto, l’art. 8, ult. co., D.lgs 28/2010 prevede che dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo il giudice possa trarre argomento di prova ai sensi dell’art. 116, co. 2, c.p.c., condannando, altresì, la parte costituita che non abbia partecipato al procedimento di mediazione, sempre senza valide giustificazioni, al versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.

Il giudice, per l’appunto.

Il mediatore, dal canto suo, dovrà limitarsi a dare atto, nel verbale, della mancata partecipazione. Allo stesso modo il mediatore ben potrà dare atto del mancato svolgimento del tentativo in presenza di entrambe le parti, senza poter entrare nel merito delle eventuali motivazioni rappresentate dalla parte invitata, come agevolmente si può evincere dal disposto degli artt. 9 e 10 D.lgs 28/2010, relativi, come è noto, al “Dovere di riservatezza” e “Inutilizzabilità e segreto professionale”.

Pertanto, in tale seconda ipotesi, il mediatore darà atto nel verbale che la procedura si è avviata, che le comunicazioni sono state ritualmente effettuate e che le parti si sono presentate al primo incontro, senza però che alcun tentativo di mediazione abbia potuto effettivamente svolgersi.

Ora, già da tempo si è affermato in giurisprudenza il principio secondo cui il mancato esperimento del tentativo di mediazione, senza giustificato motivo, oltre beninteso le conseguenze di cui all’art. 8, ult. co., cui si è appena fatto cenno, possa configurare la c.d. responsabilità processuale aggravata, di cui all’art. 96, co. 3, c.p.c., secondo il quale “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Si tratta, come è noto, di una sanzione che tende a punire l’abuso degli strumenti processuali. In altri termini, la condanna inflitta ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c. assume una doppia valenza: da un lato costituisce un risarcimento (coprendo un danno “presunto” della parte) e dall’altro ha la funzione di una vera e propria sanzione (il giudice pronuncia la condanna consapevole degli importanti effetti che essa avrà anche al di là del giudizio in cui la stessa è resa, ossia per sottolineare la disapprovazione per l’utilizzo emulativo dello strumento processuale).

Non può, evidentemente, sfuggire la portata che può avere l’applicazione (sistematica) di detta disposizione alle ipotesi in questione, vale a dire di mancata partecipazione o di “partecipazione  fittizia” al procedimento di mediazione.

A tale proposito, ad esempio, il Tribunale di S.Maria Capua Vetere, con sent. 23 dicembre 2013, ha accolto la richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., ove sia ravvisabile l’elemento soggettivo della mala fede in capo ad una delle parti la quale “…anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale”.

Secondo la pronuncia in esame, infatti, detto comportamento andrebbe ad evidenziare un’ottica conflittuale antitetica alla nuova prospettiva alla quale sembra decisamente orientato il legislatore nell’attuale fase storica, come dimostrato peraltro, dalle reintroduzione dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione a seguito del c.d. “decreto del fare” e relativa conversione.

Secondo il giudice, tale nuova prospettiva non può non attribuire al difensore un ruolo fondamentale, prima ancora che nella fase giudiziale, nell’attività di mediazione delle controversie, muovendosi ormai verso una concezione del ricorso al tribunale quale “…extrema ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili”.

Né si tratta dell’unica pronuncia che muova da premesse del genere. Tutt’altro.

Anche per il Tribunale di Firenze (sez. III civ., sent. 17 marzo 2014) deve essere accolta la richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c. “…qualora si ravvisi l’elemento soggettivo della mala fede in capo alla parte che, anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale. La condanna ex art. 96 cpc può essere infatti legata al comportamento tenuto non solo nella fase prettamente processuale, ma anche in quella della mediazione e, in particolare, al fatto che la parte non si presenti (senza giustificarsi) in mediazione e che abbia poi agito in giudizio pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute”.

Una pronuncia successiva (Trib. Roma, sent. n. 4140/2014), ha altresì condannato ai sensi dell’art. 96 c.p.c. un’assicurazione in considerazione dei comportamenti da questa tenuti, tanto nella fase della mediazione quanto in quella del giudizio.

Osserva in fatti il giudice che detta parte “da un lato, non si era presentata, e senza giustificarsi, nella fase mediatoria; dall’altro, aveva resistito alla domanda attorea “pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto dellanormale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa”.

L’applicazione giudiziale della sanzione in parola, estesa dunque ad un momento pre – processuale (ove si tratti di mediazione ex lege) ovvero extra – processuale (ove, invece, si tratti di mediazione delegata dal giudice), può rappresentare, come risulta agevole rilevare, un congruo deterrente alla “desertificazione” e allo “svuotamento” dei procedimenti di mediazione.

Si tratta, pertanto, di un profilo che non può e non deve essere sottovalutato nel momento in cui la parte invitata in mediazione è chiamata ad effettuare le proprie scelte. Pertanto, non potrà non essere compreso tra gli aspetti che l’avvocato, in sede di informazione preventiva all’assistito, dovrà esplicare in modo dettagliato ed esaustivo.

Beninteso, occorre poi chiarire – e qui il contributo giurisprudenziale non può che essere determinante – cosa debba intendersi per “giustificati motivi” che effettivamente legittimino la diserzione del procedimento.

Certamente, non potrà ritenersi giustificata la mancata partecipazione fondata sull’asserita fondatezza della propria tesi (Tizio mi invita in mediazione, ma io, siccome “ho ragione” sono giustificato nel non partecipare al procedimento…).

A tale proposito, il Tribunale di Roma, sez. XIII civ., nella recente sentenza 29 maggio 2014, ha precisato, traslando dalla fattispecie concreta al piano generale dei principi, che in questo modo “…si potrebbe infatti affermare che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che l’ha convocata in mediazione (come in questo caso), e pertanto inutile la sua partecipazione all’esperimento di mediazione, essa sia validamente dispensata dal comparirvi.

L’esponente non si avvede nell’aporia in cui incorre posto che così ragionando sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione, se è vero com’è vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione d’essere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontà, di intenti, di interpretazioni etc., che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo l’avvicinamento delle posizioni delle parti fino alraggiungimento di un accordo amichevole”.

Non può che condividersi.

Resta però da capire quali possano essere motivi tali da giustificare la mancata partecipazione (e non – ovviamente – la richiesta all’organismo di rinviare la data del primo incontro ad es. per malattia o per gravi necessità sopravvenute), dal momento che l’unica, certa ragione legittimante l’assenza, vale a dire l’istanza presentata ad un organismo geograficamente “impossibile”, è stata eliminata in radice con l’introduzione della competenza territoriale ai sensi del novellato art. 4 D.lgs 28/2010.

La cultura della mediazione ed il contributo giurisprudenziale

Alcune considerazioni finali, alla luce di quanto finora analizzato, si impongono.

Che nel nostro paese la cultura della mediazione sia ad uno stadio di sviluppo embrionale è una verità sotto gli occhi di tutti.

D’altra parte il legislatore, dovendo necessariamente perseguire la strada degli interventi drastici, inevitabili nell’attuale situazione della giustizia civile, ha optato (rectius, dovuto optare) per l’obbligatorietà, in una vasta gamma di materie, per garantire il “decollo” dell’istituto e la medesima via ha ribadito a seguito dell’intervento della Corte costituzionale datato autunno 2012.

Al tempo stesso, però, c’è stato il coinvolgimento “formale” dell’Avvocatura e, soprattutto, il potenziamento degli strumenti a disposizione dei giudici per produrre la fuoriuscita delle liti dai giudizi già instaurati.

Si può dunque affermare che, come nella realtà anglosassone, l’avvento di una vera cultura della mediazione in luogo di quella del conflitto che, ad avviso di scrive, tanti danni ha fin qui provocato, sia oggi nelle mani dei giudici.

In particolare, la nuova mediazione delegata dal giudice sembra aprire scenari del tutto innovativi per l’ordinamento giuridico italiano, i cui effetti potranno positivamente riflettersi, se l’istituto sarà assistito dal consolidarsi dei principi finora emersi in giurisprudenza, sugli interessi dei cittadini e delle imprese, che, non dimentichiamolo mai, sono i soggetti quotidianamente esposti ai nefandi effetti della crisi della giustizia civile.

Ciò che emerge dalla più illuminata giurisprudenza è il graduale (ma costante) affermarsi di un nuovo modello di gestione del contenzioso, tale da far emergere gli interessi realmente sottesi a situazioni spesso sedimentatesi nel lungo periodo in luogo delle posizioni, preconcette ed apparentemente immutabili, proprie dell’approccio delle parti  alla vicenda  giudiziale.

Il conflitto può essere gestito solo comprendendone le ragioni più profonde, attraverso uno studio che deve necessariamente muovere da presupposti radicalmente diversi da quelli su cui poggia la cultura tradizionale del conflitto, volti all’obiettivo della creazione di soluzioni conformi, nella misura massima possibile, alla realizzazione dell’interesse di tutte le parti coinvolte nella vicenda  contenziosa.

Valori sociali, dunque, tra cui quello, ormai non più differibile, della deflazione dei carichi della giustizia civile, i cui costi, in termini di competitività del sistema paese, sono ormai a tutti ben noti.

La mediazione delegata, così come strutturata a seguito della conversione del “decreto del fare”, unitamente alla mediazione endoprocedimentale di cui all’art. 185 – bis c.p.c., può veramente rappresentare la chiave per la diffusione di un diverso approccio che consenta, nel tempo, al pubblico di apprezzare in profondità i pregi della soluzione condivisa delle liti, così da fungere da volano per la più piena affermazione della mediazione tout court quale strumento “normale” di risoluzione di numerose tipologie di controversie civili e commerciali.

In tema di mediazione disposta dal giudice e, in particolare, di proposta transattiva e conciliativa formulata dallo stesso, già nell’autunno del 2013 il Tribunale di Fermo (ordinanza 17 ottobre 2013) ebbe modo di formulare quelle che furono opportunamente definite, in dottrina, vere e proprie “linee guida” (cfr. Giovanni Matteucci, Conciliazione endoprocessuale e mediazione delegata: tenetele d’occhio, in www.blogconciliazione.com): “…rilevato che, a seguito dell’ultima novella al c.p.c., sono stati tra l’altro ulteriormente promossi gli istituti finalizzati alla fuoriuscita dal processo, rispetto ai quali, per quello che qui interessa, occorre sottolineare la presenza dei seguenti dati:

1) riconoscimento ope legis a tutti gli avvocati dell’idoneità ad essere mediatori, riconoscimento il quale, seppure specificamente previsto con riferimento alla legge speciale sulla cosiddetta media-conciliazione, non può non essere preso come caratteristica della stessa professione di avvocato

2) riconoscimento al giudice di un forte potere-dovere conciliativo (o “transattivo”), già anticipato, peraltro, da questo stesso giudice in via d’interpretazione sistematica della pregressa normativa

3) libertà/informalità della metodologia con la quale si svolge il tentativo di composizione, con l’unico limite del coinvolgimento paritario delle parti

4) tendenziale ricaduta sul regime delle spese in caso di proposta conciliativa fallita.

Considerato che, se questi sono i punti salienti che individuano il nuovo assetto delle possibilità di conciliazione/transazione, ne discende la necessità, più che la possibilità, di iniziare sistematicamente una composizione secondo le seguenti direttive:

a) responsabilizzazione dei difensori che, sia pure su impulso ed indirizzo del giudice, si vedono investiti di una proposta che possono gestire ulteriormente con i loro assistiti , ai fini di una composizione;

b) necessità di attivare programmi sistematici di fuoriuscita dal processo nelle controversie di modesto valore, inferiore ad euro 10.000, salvo casi particolari da individuare con criteri predeterminati;

c) necessità che non si protragga un contenzioso praticamente inutile in quanto in tutto o in parte si tratta di questioni ‘seriali’ su cui il giudice si è già pronunciato, magari con sentenze “pilota” (es., rapporti bancari in materia di anatocismo)”.

Se i giudici mostreranno di ispirarsi ad una logica siffatta anche nel prossimo futuro, come sembra probabile alla luce degli sviluppi che si sono in precedenza evidenziati, ciò rappresenterà molto probabilmente uno dei contributi più rilevanti in vista della costruzione e dello sviluppo, nel nostro paese, di un sistema di giustizia civile più efficiente e più rispondente alle concrete (e sempre più pressanti) istanze dei cittadini e del mondo produttivo.

In una parola, l’obiettivo – ormai indifferibile – è quello di una giustizia civile più giusta. L’occasione, occorre conclusivamente ribadirlo, è di quelle da non perdere: i rimpianti, in caso contrario, sarebbero davvero troppi.

 

mediazione obbligatoria conciliazione

Tribunale di Palermo – sez. I civile: Ordinanza 16 luglio 2014

Il Tribunale di Palermo conferma l’orientamento favorevole all’effettività della mediazione

Commento

Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Palermo oltre a riproporre l’ormai consueto schema fondato sull’utilizzo combinato degli strumenti che il legislatore ha ritenuto di fornire ai giudici per favorire al massimo la fuoriuscita dai processi pendenti, torna con forza sull’esigenza di effettività del tentativo di mediazione delegata (e, per estensione, di qualsiasi tentativo di mediazione…) originariamente affermata dalla c.d. giurisprudenza fiorentina (cfr. ordd. 17 e 19 marzo 2014).

Sotto il primo profilo, il Giudice, premesso che sussistono nel caso di specie tutti i presupposti per la formulazione di una proposta ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c. (e con gli effetti, aspetto quest’ultimo di particolare rilevanza, di cui all’art. 91 c.p.c.), anticipa che “…comunque, in caso di mancata accettazione della proposta in questione, questo giudice disporrà la mediazione ex officio iudicis”, strumento quest’ultimo che deveritenersi espressione del potere attribuito dalla legge al giudice di “…imporre alle parti di intraprendere un procedimento di mediazione nel corso del processo (in passato, invece, il giudice poteva solo invitarle a svolgere un tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo l’eventuale risposta positiva delle parti), in tal modo creando una nuova condizione di procedibilità (sopravvenuta) per ordine del giudice. Si tratta di una norma che rimette al giudice l’effettività di tale canale di accesso alla mediazione (che opera non quale filtro preventivo alle liti, ma successivo e non per questo meno utile ed efficace) e può operare in ogni lite, purché abbia ad oggetto diritti disponibili”.

Per quanto concerne poi gli aspetti relativi alle modalità del tentativo di mediazione, premesso che occorre domandarsi che cosa occorra in realtà che risulti espletato dalle parti affinchè l’ordine del giudice possa considerarsi adempiuto, il Tribunale mostra di aderire all’impostazione esaustivamente esplicata dai giudici fiorentini nelle ben note ordinanze 17 e 19 marzo, in base alla quale il tentativo deve essere effettivo.

Il Tribunale, dunque, ribadisce che non avrebbe alcuna ragion d’essere una dilazione del processo civile per un mero adempimento burocratico, non potendosi in altro modo definire un tentativo che si risolva esclusivamente nella comparizione delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) dinanzi al mediatore per esprimere il proprio “no” aprioristico ad aprire un tavolo di discussione.

Ciò, evidentemente, finirebbe con lo svilire il concetto stesso di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Pertanto, occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione, ponendosi, altrimenti, un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione.

In sostanza, dunque, come da ormai consolidata giurisprudenza, si individuano le ragioni della “impossibilità di iniziare la procedura”, di cui all’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, avendo cura di ribadire come non sia previsto in alcun modo che le parti manifestino una sorta di volontà di partecipazione al tentativo di mediazione effettivamente inteso.

Infatti, il Tribunale rileva come sussista “…un nodo interpretativo da risolvere. Il Legislatore ha espressamente regolato il regime giuridico sotteso alla condizione di procedibilità e previsto, all’art. 5 comma 2bis, che «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avveratase il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo». La disposizione, dunque, sembra richiamare espressamente “il primo incontro” di cui all’art. 8 comma I cit.”. Pertanto, “…il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che le mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro. Tuttavia, egli può comunque richiedere che in questo primo incontro il tentativo di  mediazione sia stato effettivo”.

Naturalmente, una lettura frettolosa ed approssimativa dell’art. 8 D.lgs 28/2010  sembrerebbe giustificare un’interpretazione per cui se le parti e i loro avvocati non  intendessero effettuare un vero tentativo di conciliazione (verosimilmente al solo scopo di non versare l’indennità di mediazione prevista per il rispettivo scaglione di riferimento) ben potrebbero esprimere in questa prima parte del primo incontro, di natura preliminare, la loro volontà contraria all’inizio di una mediazione, con conseguente chiusura del procedimento. La disposizione normativa in questione, così interpretata, sarebbe però a dir poco assai discutibile, in quanto rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa.

Ragion per cui, il giudice siciliano ritiene, come anticipato poc’anzi, che “…Il mediatore non dovrebbe chiedere, come invece ritenuto da molti, se le parti vogliono andare avanti. Egli non deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma li invita ad esprimersi sulla “possibilitàdi iniziare la procedura di mediazione. E nel punto in cui la norma dice che “nel caso positivo, procede con lo svolgimento” essa non va intesa nel senso che se gli avvocati dicono che c’è tale possibilità si va avanti, mentre se dicono che non sussiste questa possibilità non si procede oltre. È il mediatore che, tenuto conto di quello che dicono le parti e gli avvocati, valuta se sussiste questa possibilità (nella norma, infatti, non si legge “nel caso di risposta positiva”, ma “nel caso positivo”). Si comprende, quindi, il motivo per cui il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 28/10 contempla (come il comma 2 bis dell’art. 5) la possibilità di un accordo tra le parti in sede di primo incontro (prevedendo che in caso di mancato incontro non è dovuto compenso all’organismo)”.

 

Testo integrale

TRIBUNALE DI PALERMO  –  Sezione prima civile

Il Giudice

sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 23.7.2014;

OSSERVA

Parte attrice ha avanzato domanda di risarcimento danni (per € 30.000) nei confronti dell’Università degli Studi di …… lamentando una negligenza ed un’imperizia professionale di personale sanitario dell’Università in questione, personale che, nel rimuovere un catetere venoso precedentemente applicato nella mano destra, avrebbe compiuto un’errata manovra causando la rottura dell’agocannula all’interno della vena, con conseguente necessità di intervento chirurgico di asportazione del tratto venoso trombizzato.

Costituendosi, l’Università convenuta ha dedotto l’inesistenza di alcun comportamento colposo del suo personale sanitario e parasanitario, che si sarebbe scrupolosamente attenuto, nel praticare la terapia infusionale oggetto del giudizio, a quella che è la tecnica generalmente seguita in casi analoghi.

In fase istruttoria è stata disposta CTU. Nell’elaborato depositato dal consulente d’ufficio si legge che “è da censurare il mancato riconoscimento della rottura dell’agocannula, da cui è derivato il realizzarsi di una tromboflebite che ha costretto l’attrice, dopo circa un mese, a far rientro presso il pronto soccorso ed essere sottoposta alla rimozione chirurgica del corpo estraneo. Sulla base di quanto riferito è evidente la sussistenza del nesso di causalità materiale tra l’evento dannoso occorso in occasione del trattamento sanitario presso il Policlinico universitario di ….. (frammento di catetere venoso erroneamente lasciato in vena) in data 12.09.1998 e le lesioni accertate nei giorni seguenti (algia e gonfiore a causa dell’infiammazione instauratasi)… La condotta del sanitario che ha rimosso A.V.P.(accertamento venoso periferico) appare censurabile per non avere appurato la integrità dell’AVP all’atto della rimozione. Il tempestivo riconoscimento della rottura del catetere avrebbe infatti permesso di attivare la procedura di rimozione chirurgica nell’immediatezza, impedendo di fatto l’oltremodo perdurare della sintomatologia algico disfunzionale a carico dell’arto destro sino al 29.10.2008, in occasione del secondo accesso al Pronto soccorso allorquando venne rimosso chirurgicamente il corpo estraneo”.

Il CTU ha poi accertato la sussistenza di un’inabilità temporanea assoluta di giorni 20 e di un’inabilità temporanea assoluta di altri giorni 20, nonché (in considerazione di un esito cicatriziale chirurgico in prossimità del polso destro di circa 3 cm di lunghezza e di una sintomatologia algica) di un danno biologico del 2%.

Ed a conclusioni sostanzialmente identiche era già arrivato altro consulente d’ufficio nel giudizio in passato instaurato dall’attrice per gli stessi fatti nei confronti di altro ente convenuto e conclusosi con sentenza di questa Sezione del 27.4.2007 dichiarativa del difetto di legittimazione passiva di tale convenuto.

Orbene, ciò premesso, si ritiene adesso opportuno formulare alle parti, ex art. 185 bisc.p.c. e con effetti ex art. 91 c.p.c., la seguente proposta conciliativa:

art. 1) pagamento ad opera di parte attrice in favore di parte convenuta della somma di € 7.032,60 (somma calcolata tenendo conto di quanto accertato dal CTU, dei valori risultanti dalle tabelle del Tribunale di Milano sulla liquidazione del danno non patrimoniale, nonché della rivalutazione monetaria e degli interessi);

art. 2) rinunzia ad opera delle parti a tutte le domande, eccezioni e difese di cui al presente giudizio;

art. 3) pagamento ad opera di parte convenuta in favore di parte attrice della somma di € 1.620,43 a titolo di spese di lite.

L’accettazione della detta proposta conciliativa comporterebbe per parte attrice il vantaggio di conseguire integralmente quanto riconosciuto dal CTU (sebbene ciò non corrisponda a quanto dalla stessa parte attrice richiesto) e di ottenere il rimborso delle spese di lite fino ad oggi sostenute e comporterebbe, altresì, per parte convenuta, il vantaggio di non corrispondere somme ulteriori rispetto a quelle oggetto dell’accertamento del CTU e di bloccare ad oggi (escludendo quindi le spese per la fase decisoria del presente processo e le spese per eventuali gradi successivi del giudizio) le spese di lite da pagare in favore di parte attrice.

Va quindi fissata apposita udienza al fine di verificare la posizione delle parti sulla detta proposta conciliativa.

Comunque, in caso di mancata accettazione della proposta in questione, questo giudice disporrà la mediazione ex officio iudicis.

Sul punto è bene ricordare che, al di là dei casi di mediazione obbligatoria ex lege, la legge 98/13 ha pure stabilito che il giudice può – anche in grado di appello e valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti – disporre l’esperimento del procedimento di mediazione a pena di improcedibilità della domanda. La legge 98/13 attribuisce quindi al giudice il potere di imporre alle parti di intraprendere un procedimento di mediazione nel corso del processo (in passato, invece, il giudice poteva solo invitarle a svolgere un tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo l’eventuale risposta positiva delle parti), in tal modo creando una nuova condizione di procedibilità (sopravvenuta) per ordine del giudice. Si tratta di una norma che rimette al giudice l’effettività di tale canale di accesso alla mediazione (che opera non quale filtro preventivo alle liti, ma successivo e non per questo meno utile ed efficace) e può operare in ogni lite, purché abbia ad oggetto diritti disponibili;

Peraltro, la mediazione ex officio iudicis può essere disposta anche per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge 98/13 (e ciò in forza del principio per cui tempus regit actum ed in quanto il nuovo comma 2 dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 attribuisce un nuovo potere discrezionale al magistrato che va considerato come una nuova facoltà processuale e quindi applicabile dal momento dell’entrata in vigore della norma a tutti i procedimenti, compresi quelli pendenti) nonché pure per le materie diverse da quelle assoggettare a mediazione obbligatoria ex lege in base al comma 1 bis dell’art. 5 del d.lgs. 28/10 (il che sembra del tutto evidente se si considera che per le materie di cui al citato comma 1 bis è già prevista una forma di mediazione obbligatoria ed a nulla varrebbe la mediazione ex officio iudicis).

Con particolare riferimento ai giudizi pendenti, va poi osservato che nelle materie già selezionate dal Legislatore per la mediazione obbligatoria ex lege (come la responsabilità medico-sanitaria rivendicata nel presente giudizio) può ritenersi sussistente una “presunzione semplice” di opportunità, avendo già la normativa formulato ex ante una prognosi favorevole quanto all’efficacia del procedimento di mediazione.

A ciò si aggiunga che la mediazione ex officio iudicis può poi essere disposta anche se una delle parti del processo è una Amministrazione Pubblica. Nelle fonti normative non si rinvengono, infatti, disposizioni che escludono le pubbliche amministrazioni dall’ambito di applicazione della disciplina introdotta. Pertanto, la normativa in materia di mediazione in ambito civile e commerciale trova applicazione anche in riferimento al settore pubblico, come pure si legge nella circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 9/2012.

È bene adesso svolgere qualche considerazione in relazione alle conseguenze derivanti dalla mancata attivazione ad opera delle parti della mediazione prescritta dal giudice. La soluzione preferibile è quella che ritiene necessaria l’emissione di una sentenza di improcedibilità della domanda, restando però da chiarire se tale tipo di decisione sia da ritenere non adottabile ogniqualvolta venga instaurato il procedimento di mediazione disposto dal giudice o se occorra qualcosa di più per ritenere adempiuto l’ordine giudiziale.

Secondo Trib. Firenze, sez. II civile, 19.3.2014 le condizioni verificatesi le quali può ritenersi correttamente eseguito l’ordine del giudice e può quindi considerarsi formata la condizione di procedibilità sono: 1) che vi sia stata la presenza personale delle parti; 2) che le parti abbiano effettuato un tentativo di mediazione vero e proprio (ed anche per Trib. Firenze, sez. spec. impresa, 17.3.2014 occorre la comparizione personale delle parti).

Nel suo articolato e ben strutturato ragionamento il giudice fiorentino (ord. 19.3.2014) parte dalla considerazione per cui l’art. 5 e l’art. 8 del d.lgs. 28/10 sono formulati in modo ambiguo, posto che nell’art. 8 sembra che il primo incontro sia destinato solo alle informazioni date dal mediatore ed a verificare la volontà di iniziare la mediazione (l’art. 8 prevede, infatti, che “durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”). Tuttavia, nell’art. 5, comma 5 bis, si parla di “primo incontro concluso senza l’accordo”. Sembra dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vera e propria. Non avrebbe molto senso, secondo il Tribunale di Firenze, parlare di ‘mancato accordo’ se il primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria. Ciò a prescindere dalle difficoltà di individuare con precisione scientifica il confine tra la fase c.d. preliminare e la mediazione vera e propria (difficoltà ben nota a chi ha pratica della mediazione), data la non felice formulazione della norma.

Pertanto, il Tribunale di Firenze ha ritenuto necessario, al fine di spiegare la detta ambiguità interpretativa, ricostruire la regola avendo presente lo scopo della disciplina, anche alla luce del contesto europeo in cui si inserisce (direttiva 2008/52/CE).

Sei sono gli argomenti che hanno portato il Tribunale di Firenze a ritenere necessaria, per la formazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale dopo la mediazione ex officio iudicis, la presenza effettiva delle parti nel procedimento di mediazione e l’effettivo avvio di un sostanziale tentativo di mediazione:

1) i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa;

2) la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma 1 bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti;

3) ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione vuol dire in realtà ridurre ad un’inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata un’effettiva chancedi raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione;

4) l’informazione sulle finalità della mediazione e le modalità di svolgimento ben possono in realtà essere rapidamente assicurate in altro modo: 1. Dall’informativa che i difensori hanno l’obbligo di fornire ex art. 4 cit., come si è detto; 2. dalla possibilità di sessioni informative presso luoghi adeguati (v. direttiva europea) e, per quanto concerne il Tribunale di Firenze, presso l’URP (v. articolo 11 del protocollo Progetto Nausica 2 ) e da ultimo, sempre nell’ambito di tale Progetto, presso l’ufficio di orientamento gestito dal Laboratorio Unaltromodo dell’Università di Firenze;

5) l’ipotesi che la condizione si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione. Come si vede, dunque, sono previsti plurimi livelli informativi e non è pensabile che il processo venga momentaneamente interrotto per un’ulteriore informazione anziché per un serio tentativo di risolvere il conflitto;

6) l’art. 5 della direttiva europea 2008/52/CE distingue le ipotesi in cui il giudice invia le parti in mediazione rispetto all’invito (sempre da parte del giudice) per una semplice sessione informativa: un ulteriore motivo per ritenere che nella mediazione disposta dal giudice viene chiesto alle parti (e ai difensori) di esperire la mediazione e cioè l’attività svolta dal terzo imparziale finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole (secondo la definizione  data dall’art. 1 del d.lgs. n. 28/2010) e non di acquisire una mera informazione e di rendere al mediatore una dichiarazione sulla volontà o meno di iniziare la procedura mediativa.

Alla luce delle considerazioni che precedono il giudice fiorentino ha considerato quale criterio fondamentale la ragion d’essere della mediazione, che ruota attorno all’esigenza di tentare realmente di pervenire ad una soluzione non giudiziale della controversia, ed ha affermato la necessità che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.

Un’altra strada interpretativa è quella seguita (allo stato) dal Tribunale di Milano (strada, però, inaugurata prima della presa di posizione di Firenze): la condizione di procedibilità è soddisfatta anche quanto sia tenuto solo il primo incontro di mediazione senza accordo(l’incontro di cui all’art. 8 comma I d.lgs. 28/2010). Le differenze non sono di scarsa rilevanza. Nel primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Si tratta, dunque, secondo il Tribunale di Milano, dell’incontro dedicato alla cd. valutazione di mediabilità e, cioè, dell’anticamera del procedimento mediativo.

Secondo il primo indirizzo illustrato (Tribunale di Firenze), per soddisfare la condizione di procedibilità questo primo incontro non basta: occorre dare effettivamente inizio alla procedura. Per il secondo indirizzo segnalato (Tribunale di Milano) questa prima relazione al tavolo di mediazione è già sufficiente.

La lettura che conferisce maggiore razionalità all’istituto è certamente quella fiorentina e ciò almeno per quanto riguarda l’effettivo tentativo di mediazione, considerato che è invece difficile sostenere che le parti debbano essere personalmente presenti, essendo loro diritto conferire eventualmente una procura di carattere sostanziale ad un altro soggetto (che può pure essere l’avvocato difensore).

Sussiste, però, un nodo interpretativo da risolvere. Il Legislatore ha espressamente regolato il regime giuridico sotteso alla condizione di procedibilità e previsto, all’art. 5 comma 2 bis, che «quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo». La disposizione, dunque, sembra richiamare espressamente “il primo incontro” di cui all’art. 8 comma I cit.

Il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che le mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro.

Tuttavia, egli può comunque richiedere che in questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo.

Certo, è vero che può sembrare che in questo primo incontro il mediatore potrebbe non avere neppure la possibilità di tentare un accordo se le parti non vogliono che ciò accada. Infatti, secondo quanto previsto dall’art. 8 del nuovo d.lgs. 28/10, “durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.

Una prima lettura delle disposizioni normative pare giustificare un’interpretazione per cui se le parti e i loro avvocati non vogliono effettuare un vero tentativo di conciliazione (magari per non pagare il compenso all’organismo di mediazione) ben possono esprimere in questa prima parte del primo incontro, di natura preliminare, la loro volontà contraria all’inizio di una mediazione e il tutto finisce lì. La disposizione normativa in questione, così interpretata, sarebbe molto discutibile in quanto rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa. Il mediatore potrebbe pure pensare, alla luce di tale disposizione normativa, di non potere neppure tentare di verificare se effettivamente le posizioni delle parti sono inconciliabili. Se, infatti, in quest’ultimo caso si può parlare di un fallimento della mediazione, nel caso teoricamente consentito dal legislatore di manifestazione (anche ad opera di una sola delle parti) della sua volontà contraria alla mediazione vi sarebbe un aborto legale della mediazione. Peraltro, se si ritiene che ogni parte può impedire fin dall’inizio l’effettivo svolgimento del procedimento di mediazione, ognuno dei partecipanti sarebbe titolare di un diritto potestativo alla chiusura del procedimento e gli altri sarebbero tutti in una posizione di soggezione. Ed è da credere che tale diritto potestativo verrebbe spesso esercitato se si considera che, come accennato, è stato aggiunto il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 28/10, secondo cui nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione.

Tuttavia, una corretta interpretazione (in linea con la ratio della direttiva europea – ed è noto che gli operatori nazionali sono tenuti, secondo la Corte di giustizia UE, a tentare un’interpretazione delle disposizioni nazionali conforme alle norme europee – che mira ad agevolare il più possibile la soluzione delle controversie in modo alternativo a quello giudiziario) è quella che ritiene che il mediatore, nell’invitare le parti e i loro procuratori a esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, deve verificare se vi siano i presupposti per poter procedere nell’effettivo svolgimento della mediazione (il cui procedimento comunque già inizia con il deposito dell’istanza di mediazione). Tali presupposti sono, ad esempio, l’esistenza di una delibera che autorizza l’amministratore di condominio a stare in mediazione (così come previsto dalla legge 220/12) o l’esistenza di un’autorizzazione del giudice tutelare se a partecipare alla mediazione deve anche essere un minore ovvero la presenza di tutti i litisconsorti necessari. Il mediatore non dovrebbe chiedere, come invece ritenuto da molti, se le parti vogliono andare avanti. Egli non deve verificare la “volontà” delle parti e dei procuratori, ma li invita ad esprimersi sulla “possibilità”di iniziare la procedura di mediazione. E nel punto in cui la norma dice che “nel caso positivo, procede con lo svolgimento” essa non va intesa nel senso che se gli avvocati dicono che c’è tale possibilità si va avanti, mentre se dicono che non sussiste questa possibilità non si procede oltre. È il mediatore che, tenuto conto di quello che dicono le parti e gli avvocati, valuta se sussiste questa possibilità (nella norma, infatti, non si legge “nel caso di risposta positiva”, ma “nel caso positivo”). Si comprende, quindi, il motivo per cui il comma 5 ter dell’art. 17 del d.lgs. 28/10 contempla (come il comma 2 bis dell’art. 5) la possibilità di un accordo tra le parti in sede di primo incontro (prevedendo che in caso di mancato incontro non è dovuto compenso all’organismo).

In conclusione, in caso di mancata accettazione della proposta conciliativa formulata dal giudice, verrà disposta la mediazione ex officio iudicis quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, condizione che si riterrà formata soltanto se nel primo incontro il tentativo di mediazione sarà effettuato dalle parti in modo effettivo.

Né rileva che la mediazione sia già stata tentata in via preventiva, in forza del d.lgs. 28/2010 nella versione antecedente la declaratoria di illegittimità costituzionale da parte della Consulta, in quanto parte convenuta non si è presentata in quella procedura (mentre dovrà presentarsi nella futura, eventuale mediazione ex officio iudicis) e poiché, dopo l’espletamento della CTU, vi sono ora maggiori possibilità di addivenire ad una soluzione transattiva basata sulle risultanze dell’accertamento peritale.

P.Q.M.

formula alle parti la proposta conciliativa indicata in parte motiva;

fissa per la verifica della posizione delle parti sulla detta proposta conciliativa l’udienza del giorno 29.9.2014, ore 12.00, riservandosi di disporre nell’indicata udienza, in caso di mancata accettazione della proposta conciliativa, l’esperimento del procedimento di mediazione ex officio iudicis quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, che si riterrà formata soltanto se nel primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettuato dalle parti in modo effettivo.

Si comunichi.

Palermo, 16.7.2014

Il Giudice

Michele Ruvolo

 

 

 

 

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