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Tribunale di Siracusa, II sez. civile, ordinanza 11 settembre 2015

Il Tribunale di Siracusa, confermando il proprio orientamento sul punto (cfr. ord. 30 marzo 2013), torna a formulare l’espresso invito al mediatore affinché formuli una proposta conciliativa, anche in mancanza di istanza congiunta delle parti.
Né si tratta dell’unico precedente rintracciabile in giurisprudenza.
In effetti, già il Tribunale di Firenze, con ordinanza 30 giugno 2014, seppur in sede di mediazione demandata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, dopo aver evidenziato la necessità “…che al primo incontro l’attività di mediazione sia concretamente espletata (ferma la gratuità di cui all’art 17 V co. ter in caso di mancato accordo ed indisponibilità delle parti ad ulteriore incontro)”, aveva invitato “…il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti (art. 11, co. 1, D.lgs. cit.)”.
Nel caso di specie oggi in commento, a fronte dell’opposizione del correntista intimato al decreto ingiuntivo ottenuto dalla Banca, in sede di udienza fissata per i provvedimenti cautelari il Giudice, negata la provvisoria esecutività, disponeva il termine di legge per l’instaurazione del procedimento di mediazione (dunque, non delegata, ma obbligatoria data l’opposizione a decreto ingiuntivo in materia bancaria), richiamando, in primis, “…la necessità che al primo incontro l’attività di mediazione sia certamente espletata”, con conseguente improcedibilità della domanda in caso di mancato effettivo svolgimento della stessa, e, per l’appunto, invitando il mediatore a formulare la proposta conciliativa anche in difetto di istanza congiunta delle parti in tal senso.
Ora, chi scrive ha già avuto modo di esprimere le proprie perplessità in ordine all’adozione di provvedimenti siffatti.
Ciò, fondamentalmente, per due ordini di ragioni.
Innanzitutto, il Giudice può formulare l’invito de quo al mediatore? A me sembra di no, se non, per l’appunto, sotto forma di mero invito, come tale disattendibile.
Il Mediatore non è un ausiliario del giudice, dunque sembra arduo riconoscere una qualche portata vincolante all’invito; se così fosse, peraltro, ciò andrebbe ad incidere anche sulla scelta dell’Organismo ad opera della parte diligente, dal momento che numerosi sono quelli in cui il Regolamento non consente al Mediatore di formulare proposte fuori dalle ipotesi di istanza congiunta in tale senso delle parti.
D’altronde, se l’invito si risolvesse in un mero “suggerimento”, non si comprenderebbe l’ulteriore invito, egualmente rintracciabile nell’ordinanza in commento, ad informare tempestivamente il Giudice, ai fine della “…statuizione sulle spese processuali del giudizio, in caso di ingiustificato rifiuto delle parti della proposta di conciliazione formulata dal mediatore”.
In secondo luogo, anche a considerarlo ammissibile, l’invito in parola potrebbe, a mio avviso, produrre conseguenze tutt’altro che positive. Certamente provvedimenti così strutturati possono “spingere” ad una soluzione conciliativa della controversia che, in molti casi, appare decisamente auspicabile, ma occorrerebbe, forse, una più dettagliata formulazione dell’invito.
Ove si tenga conto di quanto disposto dall’art. 11, co. 1, D.lgs 28/2010,in ordine all’aumento (lieve, ma pur sempre previsto) dei costi a carico delle parti nel caso di formulazione della proposta conciliativa (aumento perfettamente giustificabile nel caso di istanza congiunta, molto meno se frutto della iniziativa unilaterale del mediatore) e delle possibili conseguenze connesse al rifiuto della stessa, la considerazione che precede non appare peregrina.
Né va sottovalutato il fatto che il mediatore deve essere in grado di approfondire adeguatamente la conoscenza dei reali interessi delle parti, correndosi altrimenti il rischio di una proposta – inevitabilmente di natura transattiva – che difficilmente potrà incontrare il favore di entrambe le parti ma che, verosimilmente, sarà vista come un “prendere o lasciare” e, pertanto, accettata obtorto collo al solo fine di evitare eventuali pesanti conseguenze negative sul piano processuale.
Resta poi da precisare come dovrebbe comportarsi il mediatore nell’ipotesi, improbabile ma pur sempre possibile, di mancata adesione al procedimento della parte “non diligente”: fermo il fatto che in tal caso il mediatore, non avendo un contraddittorio, non sarebbe in grado di formarsi una propria opinione e rischierebbe, quindi, di assecondare troppo le richieste dell’unica parte presente in mediazione, potrebbe quest’ultima, forte dell’invito del giudice, chiedere comunque la formulazione della proposta?
In caso di risposta affermativa al quesito da ultimo proposto, il pericolo di “proposta creativa” appare, francamente, troppo forte.
Dott. Luigi Majoli

Testo integrale:

Tribunale di Siracusa
II Sezione Civile

Il Giudice, dott. Alessandro Rizzo, nel procedimento sub ___/2014 R.G., a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 3 giugno 2015, osserva quanto segue:
1. a fronte dell’istanza di concessione della provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c., il Giudice deve provvedere “in prima udienza”, di modo che l’istanza di parte opponente di concessione di termine per il deposito di note è inammissibile.
2. Ai sensi dell’art. 2697 c.c. la banca che domanda il pagamento del saldo debitore del conto corrente, come attrice, o quale parte opposta – ma attrice in senso sostanziale – nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ha l’onere di fornire la prova dei fatti costitutivi posti a base della propria pretesa creditoria.
L’istituto di credito, quindi, ha l’onere di dimostrare l’esistenza e la consistenza del preteso credito, mediante la produzione del titolo genetico, ovvero del contratto posto a base della domanda, nonché delle scritture contabili di riferimento, vale a dire degli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto, dall’apertura alla estinzione del conto, atteso che soltanto attraverso una compiuta e integrale valutazione continuativa dei singoli saldi trimestrali può pervenirsi all’accertamento dell’ipotetico saldo debitore finale (tra le tante, Cass. 9695/2011).
Ciò premesso in diritto,_____ha versato in atti tanto la copia dei contratti di conto corrente ordinario n. ___/___/___ del 6 giugno 2008 e di conto corrente anticipi n. 0__/1___/___ del 21 ottobre 2011, oltre ai relativi estratti conto a far tempo dalla stipula e sino “al passaggio a sofferenza” dei rapporti, senza che risulti tuttavia dagli atti l’intercorsa estinzione degli stessi alla data della proposizione della domanda monitoria (refluendo tale ultimo profilo sull’esigibilità del credito), di modo che, valutato come parziale l’apparente riconoscimento del debito di cui al doc. 5 di parte opposta – ad ogni modo, sottoscritto dalla sola società opponente – deve denegarsi la richiesta concessione della clausola di provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
3. Non avendo le parti domandato concedersi i termini ex art. 183, co. VI c.p.c., deve ritenersi la causa matura per la decisione, previa rimessione delle parti in mediazione
ex art.5, D.Lgs. 28/2010.

P.Q.M.

Visto l’art. 648 c.p.c.

RIGETTA l’istanza di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto;
DISPONE che le parti, assistite dai rispettivi difensori, promuovano il procedimento di mediazione, con deposito della domanda di mediazione presso organismo abilitato, entro il termine di 15 giorni a decorrere dalla comunicazione della presente ordinanza;
EVIDENZIA la necessità che al primo incontro l’attività di mediazione sia certamente espletata;
INVITA il mediatore ad avanzare proposta conciliativa, pur in assenza di congiunta richiesta delle parti ex art. 11, co. 1 D.L.gs 28/2010;
RAMMENTA che il mancato, effettivo esperimento della suddetta procedura è sanzionato a pena di improcedibilità della domanda;
INVITA le parti ad informare tempestivamente il Giudice, anche mediante comunicazione presso l’indirizzo alessandro.rizzo01@giustizia.it, anche in relazione a quanto stabilito dagli artt. 8, co. IVbis e 13 D.Lgs. 28/2010, rispettivamente per l’ipotesi della mancata partecipazione delle parti (sostanziali),
senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, ed in tema di statuizione sulle spese processuali del giudizio, in caso di ingiustificato rifiuto delle parti della proposta di conciliazione formulata dal mediatore;
attesa la necessità di progressiva riorganizzazione del ruolo ed, in particolare, l’esigenza di riorganizzazione delle udienze di discussione e di precisazione delle conclusioni, al fine di garantire il tempestivo deposito dei provvedimenti, avuto riguardo anche all’aggravio del ruolo dello scrivente per l’effetto della migrazione di n.200 fascicoli (gran parte dei quali già chiamati per l’udienza di precisazione delle conclusioni) dal ruolo di altro magistrato della Sezione, di cui al
provvedimento medio tempore adottato di variazione urgente della tabella organizzativa del Tribunale di Siracusa ai sensi del par. 14.1 della circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli ufficio giudicanti per il triennio 2012-2014 (prot__________ del 7 aprile 2014);
ritenuto, in specie, che debba farsi applicazione del criterio oggettivo della priorità di trattazione e decisione dei procedimenti con data di iscrizione a ruolo più risalente, anche alla luce delle indicazioni di cui al programma di gestione ex art. 37 D.L. n. 98/2011 del Tribunale di Siracusa per l’anno 2015;
rilevato che occorre, quindi, procedere ad una razionale e graduale riorganizzazione del ruolo secondo i criteri sopra individuati ed avuto riguardo anche agli effetti della variazione tabellare urgente medio tempore disposta, di cui sopra;
rilevato che la presente causa reca n. R.G. 6446/2014,

FISSA

l’udienza del 14 febbraio 2018, ore 11 per la precisazione delle conclusioni;
si comunichi alle parti.

Siracusa, 11/09/2015.
Il Giudice
Dott. Alessandro Rizzo

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Tribunale di Chieti, Sez. civile, sentenza 8 settembre 2015.

Ancora un provvedimento, nella fattispecie ad opera del Tribunale di Chieti, con il quale si conferma l’orientamento “sistematico – evolutivo” in relazione alle conseguenze della mancata instaurazione del procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Viene al vaglio dello scrivente la questione, pregiudiziale rispetto ad ogni altra, relativa alla pretesa (da parte dell’Istituto opposto) improcedibilità dell’opposizione per omesso esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio da parte dei garanti, persone fisiche (unica questione tempestivamente eccepita dalla parte e rilevata dallo scrivente in sede di prima udienza) nonché per mancata comparizione personale di tutte le parti opponenti dinanzi al mediatore (questione in verità non eccepita dalla parte e non rilevata entro quel rigoroso termine preclusivo, ma solo nell’ambito delle conclusionali ex art. 190 cpc); nonostante il precedente assegnatario, adottati i provvedimenti sulle istanze c.d. cautelari, avesse appunto disposto per la presentazione dell’istanza di mediazione.
Secondo il Giudice, “…non può esserci dubbio in ordine alla affermazione che l’interesse concreto alla presentazione della istanza di mediazione debba essere individuato in capo alla parte opponente, quale parte appunto “interessata” ad evitare il prospettabile “passaggio in giudicato” dell’opposto decreto nell’ipotesi, in ogni caso, di mancato avveramento della condizione”.
Sembra opportuno ricostruire le posizioni successivamente emerse in giurisprudenza.
Come è noto, l’art. 5, co. 2 – bis, D. lgs 28/2010, prevede che “… il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
Va altresì rammentato che, a norma dell’art. 5, co. 4, i commi 1 – bis e 2 del medesimo articolo 5, vale a dire le disposizioni che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “ …nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.
Il legislatore ha evidentemente ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità risulta contingentato dall’art. 641 c.p.c.
In conseguenza di quanto premesso, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione diviene possibile solo quando sia stata proposta opposizione, e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.
Ora, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. 2, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la improcedibilità della domanda giudiziale, ha costituito oggetto di vivace dibattito, in dottrina e giurisprudenza, il punto relativo a chi abbia l’onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, per l’appunto con riferimento all’ipotesi di mediazione in presenza di opposizione a decreto ingiuntivo.
In ordine alla problematica in esame, due diversi orientamenti si sono successivamente contrapposti.
Secondo un primo indirizzo, che valorizza la consolidata giurisprudenza circa l’oggetto del giudizio di opposizione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.
Il ricorrente opposto, formalmente convenuto nel relativo giudizio, è da considerarsi attore sotto il profilo sostanziale, mentre l’opponente, che formalmente ha agito, sempre sotto il profilo sostanziale deve ritenersi convenuto.
Pertanto l’opposto, titolare della pretesa sostanziale azionata, divenuta oggetto del giudizio di opposizione, avrà l’onere di promuovere il tentativo di mediazione, subendo, in mancanza, la declaratoria di improcedibilità della domanda, che implicherebbe il venir meno della pretesa sostanziale proposta in via monitoria.
Alla base di una siffatta ricostruzione si pone la ricorrente considerazione secondo cui, diversamente opinando, si finirebbe con il produrre un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore (cfr., ex multis, Trib. Varese, 18 maggio 2012, est. Buffone).
Secondo un diverso orientamento, invece, muovendo da una lato da una asserita scarsa chiarezza obbiettiva delle espressioni letterali utilizzate dal legislatore e dall’altro dall’intento di valorizzare la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, si è sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del decreto opposto (cfr., ad es., Trib. Prato, 18 luglio 2011, est. Iannone; Trib. Rimini, 5 agosto 2014, est. Bernardi; e, più recentemente, Trib. Firenze, 30 ottobre 2014, est. Ghelardini).
Tale opzione ermeneutica è quella che appare più in armonia con il contesto normativo in cui si inserisce il giudizio di opposizione e, in particolare, con il sistema di sanzioni previste dall’ordinamento a fronte dell’inattività del debitore ingiunto.
Occorre innanzitutto fare riferimento alla disciplina di cui al combinato disposto degli artt. 647 e 650 c.p.c. in virtù del quale, dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione tardiva, il decreto acquista esecutività.
La medesima sanzione è prevista, poi, dal richiamato art. 647 c.p.c. per l’ipotesi di costituzione tardiva dell’opponente.
Viene in rilievo, infine, il dettato dell’art. 653 c.p.c. che, per il caso di dichiarazione dell’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 307 c.p.c. , stabilisce che “il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia esecutiva”.
D’altro canto, ritenere che la mancata instaurazione del procedimento di mediazione conduca alla revoca del decreto ingiuntivo comporterebbe che, in contrasto con le regole processuali proprie del rito, si porrebbe in capo all’originario ingiungente l’onere di coltivare il giudizio di opposizione per garantirsi la salvaguardia del decreto opposto, con ciò contraddicendo la ratio propria del giudizio di opposizione, che ha la propria peculiarità nel rimettere l’instaurazione del giudizio – e, quindi, la sottoposizione al vaglio del giudice della fondatezza del credito oggetto d’ingiunzione – alla libera scelta del debitore.
Del resto, se solo si considera che l’opposto è già munito di un titolo che, come detto, è destinato a consolidarsi nel caso di mancata opposizione, appare evidente che è proprio l’opponente la parte più interessata all’esito del giudizio di opposizione.
D’altra parte, con riferimento a quanto previsto dall’art. 653 c.p.c., è opportuno sottolineare che secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l’estinzione del giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l’incontrovertibilità propria del giudicato (cfr. Corte Cassaz,. n. 4294/2004). Non sarà pertanto possibile riproporre l’opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr. Corte Cassaz. 15178/2000).
Evidente l’analogia di ratio e di disciplina tra l’estinzione dell’opposizione a decreto ingiuntivo e quella del processo di appello (art. 338 c.p.c. ,secondo cui “…l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”).
Inoltre, la soluzione interpretativa in parola appare maggiormente coerente anche con la finalità deflattiva che ha accompagnato l’introduzione da parte del legislatore dell’istituto della mediazione: il formarsi del giudicato sul decreto ingiuntivo opposto, infatti, esclude che possa mettersi nuovamente in discussione tra le parti il rapporto controverso mediante la riproposizione della medesima domanda.
Pertanto, sulla base del complesso di considerazioni finora svolte, il Tribunale di Chieti ha ritenuto di dichiarare improcedibile l’opposizione e, per l’effetto, esecutivo il decreto ingiuntivo opposto, con spese del giudizio che, ovviamente, seguono la soccombenza.

Testo integrale:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CHIETI
Sezione Civile
in composizione monocratica in persona del Giudice dott. Federico Ria ha pronunciato la seguente:

SENTENZA NON DEFINITIVA
nella controversia civile in primo grado, iscritta al nr. 2656/13 R.A.C.C., vertente
TRA

C. . srl – (FRNNNT50H52H424N) – rapp.ti e difesi dall’avv. P.Borrelli ed el.te dom.to in Francavilla al Mare Chieti, alla via dei Sabelli, nr. 2, presso lo studio Cozza, giusta procura speciale in atti;
OPPONENTI
CONTRO
BANCA DI CREDITO COOPERATIVA SANGRO TEATINA di ATESSA soc.coop. a r.l. (00086890696), in persona l.r. pro-tempore, rapp.to e difeso dall’avv. L.Carinci ed el.te dom.to presso lo studio sito in Chieti, alla via Toppi, nr. 22, giusta procura speciale in atti;
OPPOSTO
oggetto: opposizione a d.i. nr. 690/13 in materia di rapporti bancari; conclusioni: come da relativo verbale d’udienza, da ritenersi materialmente allegato alla presente sentenza
MOTIVI DELLA DECISIONE
Viene al vaglio dello scrivente la questione, pregiudiziale rispetto ad ogni altra, relativa alla pretesa (da parte dell’Istituto opposto) improcedibilità dell’opposizione per omesso esperimento del tentativo di mediazione obbligatorio da parte dei garanti, persone fisiche (unica questione tempestivamente eccepita dalla parte e rilevata dallo scrivente in sede di prima udienza) nonché per mancata comparizione personale di tutte le parti opponenti dinanzi al mediatore (questione in verità non eccepita dalla parte e non rilevata entro quel rigoroso termine preclusivo, ma solo nell’ambito delle conclusionali ex art. 190 cpc); nonostante il precedente assegnatario, adottati i provvedimenti sulle istanze c.d. cautelari, avesse appunto disposto per la presentazione dell’istanza di mediazione. L’eccezione è comunque in ogni caso infondata. Nella valutazione di fondatezza della proposta eccezione, occorre, a parere dello scrivente distinguere i profili inerenti da un lato l’interesse concreto allo svolgimento della procedura di mediazione nella specifica ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo e dall’altro il maturarsi della condizione di procedibilità, che consente ed anzi impone al giudice di procedere nella trattazione del procedimento. In relazione al primo profilo, non può esserci dubbio, a parere dello scrivente, in ordine alla affermazione che l’interesse concreto alla presentazione della istanza di mediazione debba essere individuato in capo alla parte opponente, quale parte appunto “interessata” ad evitare il prospettabile “passaggio in giudicato” dell’opposto decreto nell’ipotesi, in ogni caso, di mancato avveramento della condizione. L’art. 5, 4 co. D. Lgs 28/2010 prescrive che i commi 1 bis e 2, e cioè quelli che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “ nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione” (lett. a). Ad avviso anche di questo giudicante (si veda sul punto tra le tante Trib. Firenze III^ 30.10.2004 che di seguito si riporta) con tale disposizione si è inteso escludere sia che la proposizione del ricorso monitorio o della opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la necessaria mediazione ante causam, siano condizionate da tale incombente, sia che in tali procedimenti e nel susseguente giudizio di opposizione sino a quando siano stati adottati i provvedimenti, ritenuti evidentemente urgenti ed incompatibili con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., possa essere disposta la mediazione delegata dal giudice. La ratio di tale disciplina è evidente. Si è cioè ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità è contingentato dall’art. 641 c.p.c.. Alla luce di tale disposizione ne segue che, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione è possibile solo quando è proposta opposizione, e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso. Ciò posto, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale”, è assai discusso in dottrina e giurisprudenza chi abbia l’onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in caso di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. E’ evidente infatti che, in una causa ordinaria, l’interesse a promuovere la mediazione sarà sempre dell’attore, in quanto parte che mira ad ottenere sentenza di merito sulla domanda proposta. Il convenuto potrà infatti avere interesse ad eseguire la mediazione solo laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, ovvero comunque confidi nella probabile emissione di una pronuncia di merito favorevole, come tale idonea al giudicato sostanziale ai sensi dell’art. 2909 c.c. Negli altri casi, l’eventuale declaratoria di improcedibilità non pregiudica direttamente il convenuto, che anzi vede allontanarsi il rischio di una pronuncia di merito sfavorevole. Controversa è invece la questione, ove la mediazione omessa attenga ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Secondo un primo indirizzo che, valorizza la consolidata giurisprudenza circa l’oggetto del giudizio di opposizione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria. Viene infatti richiamato in proposito il principio, peraltro condivisibile, secondo cui il processo di esecuzione verte sul rapporto dedotto in giudizio dal creditore e non esclusivamente sulla legittimità del D.I., e che l’onere probatorio e le relative facoltà processuali vanno valutate non avendo riguardo alla qualità formale di attore e convenuto in opposizione, bensì con riferimento alla rilevanza sostanziale della rispettiva posizione processuale (per cui il ricorrente in monitorio, formalmente convenuto in opposizione, è da considerarsi attore in senso sostanziale, mentre l’opponente è convenuto sostanziale). Ne segue che il convenuto opposto, titolare delle pretesa creditoria azionata ed oggetto del giudizio di opposizione, sarebbe l’unico soggetto che, al di fuori dei casi di domanda riconvenzionale, propone la “domanda giudiziale” e che pertanto dovrebbe subire gli effetti della declaratoria di improcedibilità. Tale soggetto, pertanto, concludono i fautori di tale tesi, avrà l’onere di promuovere la mediazione, subendo, in alternativa , gli effetti deteriori della relativa omissione. Diversamente argomentando, si osserva, “vi sarebbe un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore” (Trib. Varese sentenza 18.5.2012, est. Buffone, reperibile su siti internet specializzati). Secondo invece un diverso orientamento, che muove della ritenuta scarsa chiarezza obbiettiva delle disposizioni letterali utilizzate e che valorizza la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, è stata sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del D.I. opposto (Trib. Prato, sent. 18.7.2011, est. IANNONE; Trib. Rimini sent. 5.8.14 est. BERNARDI in sito MONDO ADR, Trib. Siena 25.6.2012, est. Caramellino). Ad avviso di questo Giudice, pur consapevole della obbiettiva controvertibilità della questione, la tesi corretta è la seconda. Essa, infatti, è l’unica che si armonizza con i principi generali in materia di effetti della inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la stessa ratio deflattiva del procedimento di mediazione. Va premesso che la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, al di là della terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all’ordine del giudice. E’ noto che secondo la legge processuale l’inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta, di regola, l’estinzione del processo (si pensi all’inosservanza all’ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione del processo, alla mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive – artt 102, 181, 307 e 309 c.p.c.). L’estinzione non produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche decadenza o prescrizione di natura sostanziale. Recita, infatti, l’art. 310, I co. c.p.c. che “l’estinzione del processo non estingue l’azione”. In buona sostanza, la parte, che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito. Tale regola, però, non vale in caso di estinzione riguardante il giudizio di opposizione a D.I.. E’ infatti previsto che, in tal caso, “il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva” giusto il disposto di cui all’art. 653, I co. c.p.c.. Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l’estinzione del giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l’incontrovertibilità tipica del giudicato. (CASS. N. 4294/2004; n. 849/00). Non sarà pertanto possibile riproporre l’opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr sul punto, tra le altre, Cass. 15178/00). Evidente è l’analogia di ratio e di disciplina tra l’estinzione dell’opposizione a D.I. e quella del processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui “l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”). Si pensi, ancora, alla sanzione processuale prevista in caso di tardiva costituzione in giudizio dell’opponente. Sul punto è consolidata la giurisprudenza di legittimità nel senso di ritenere che in tal caso l’opposizione è improcedibile (tra le tante, CASS. N. 15727/06; nello stesso senso Cass. n. 25621/08), con passaggio in giudicato del D.I. (così come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 647 e 656 c.p.c.). Trattasi di disposizione che trova il suo corrispondente in fase di appello nell’art. 348, I co. c.p.c., il quale espressamente prevede la sanzione dell’improcedibilità dell’appello, se l’appellante non si costituisce nei termini. E’ pacifico che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato. Ancora, si pensi all’inammissibilità dell’opposizione, perché proposta dopo il termine di cui all’art. 641 c.p.c., ed alla analogia di trattamento rispetto al mancato rispetto in fase di impugnazione dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c.. Tale disciplina risponde all’elementare esigenza di porre a carico della parte opponente/appellante, che si avvale dei rimedi previsti per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la revoca/riforma, l’onere di proporre e coltivare ritualmente il processo di opposizione/ di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso necessari. Alla luce di quanto sopra, si ritiene che la interpretazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. N. 28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell’omessa mediazione non possa prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce, e segnatamente dalle peculiarità del giudizio di opposizione a D.I., che presenta i suddetti aspetti di analogia con i giudizi impugnatori. Al fine di non optare per una interpretazione dell’art. 5, II co. D. Lgs citato, incoerente e dissonante con le suddette peculiarità, deve pertanto ritenersi che nell’opposizione a D.I., così come per i procedimenti di appello, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’opposizione (o dell’impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo. Invero, la tesi per prima indicata appare fondata essenzialmente, al di là delle suggestioni relative allo scollamento tra qualità formale e sostanziale delle parti, peraltro costituente anch’esso caratteristica di tale tipo di procedimento, su una mera interpretazione letterale della disciplina, secondo cui “l’improcedibilità della domanda giudiziale” sarebbe senz’altro da individuare, anche ai sensi dell’art. 39 ultimo comma c.p.c., nell’originario ricorso monitorio. Peraltro, così argomentando, si verrebbe a configurare, come è stato evidenziato in dottrina, una singolare “improcedibilità postuma” che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale, già definitivamente emesso, ancorché sub judice. Si tratterebbe, in sostanza, di sanzione processuale che non consta abbia uguali nell’ordinamento processuale. Il tutto senza considerare l’inopportunità di porre nel nulla una pretesa che è già stata scrutinata positivamente dall’autorità giudiziaria, sia pure non nel contraddittorio delle parti, con provvedimento idoneo al giudicato sostanziale. Si aggiunga che in tal caso, ove la domanda sia una pretesa creditoria di condanna, dovrebbe allora ritenersi, con riferimento al giudizio di appello, che la inosservanza della mediazione disposta dal giudice dovrebbe comportare, ove la sentenza di primo grado abbia interamente accolto la domanda ed il gravame sia stato proposto dal debitore condannato che non abbia avanzato alcuna riconvenzionale, l’integrale travolgimento non solo del giudizio di appello, ma anche di quello di primo grado e della sentenza impugnata. Fare riferimento alla domanda sostanziale, ed alla nozione di attore in senso sostanziale, porterebbe cioè all’inevitabile conseguenza, sempreché nelle more non siano maturate decadenze o prescrizioni, che il processo potrebbe ricominciare da zero (nuovo ricorso monitorio, conseguente opposizione ecc.). Dove sia la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione delegata, così interpretata, resta incomprensibile. In realtà in caso di omessa mediazione nell’opposizione a D.I. non si avrebbe alcun deflazionamento effettivo, bensì il raddoppio dei processi e degli adempimenti. Il creditore che non ottiene soddisfazione dal processo “improcedibile” non esiterà, nella maggior parte dei casi, a riproporre in via giudiziale la medesima domanda. Si aggiunga che la soluzione interpretativa proposta esalta la portata e l’efficacia deflattiva dell’istituto, essendo evidente che il formarsi del giudicato rende non più ulteriormente discutibile il rapporto controverso, con conseguente rigetto in rito dell’eventuale riproposizione della medesima domanda (o di altre con questa incompatibili). Le questioni poste a base dell’opposizione a DI, come nel caso dell’appello, una volta dichiarate “improcedibili”, non potrebbero essere più utilmente riproposte. Né d’altra parte può ritenersi, così come sostenuto nella citata pronuncia dal Tribunale di Varese, che tale soluzione circa l’opposizione a D.I., creerebbe “un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore”. Invero, non può ravvisarsi alcuna disparità irragionevole nella circostanza che la scelta tra i diversi strumenti processuali attivabili dall’attore sostanziale possa comportare oneri e costi diversi per la parte convenuta. D’altra parte non è seriamente contestabile la piena legittimità e compatibilità del rito monitorio e della disciplina codicistica dell’opposizione con i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e ciò anche se è indubbio che la scelta tra le diverse opzioni possibili di esercizio del diritto di azione, e segnatamente quella del rito monitorio, pone a carico della parte ingiunta oneri diversi ed ulteriori (si pensi solo al termine più breve per proporre l’opposizione, rispetto a quello di cui all’art. 163 bis c.p.c., e di costituzione in giudizio, ovvero ai costi di iscrizione a ruolo e di notifica della causa di opposizione) rispetto a quelli che la stessa deve assolvere, ove evocata in giudizio in via ordinaria. Ciò che è certo è che i costi della promozione della mediazione, che consistono in sostanza nella mera redazione ed invio della richiesta all’organismo di mediazione con pagamento delle spese di segreteria per poche decine di euro, per la loro obbiettiva modestia, non possono certo considerarsi di per sé tali da far valutare irragionevole la scelta legislativa in questione. D’altra parte va richiamato il combinato disposto di cui agli artt. 5 comma 2 bis e 17, comma 5 ter D. Lgs. N. 28/10, così come introdotti dal DL 69/13 conv. L. 98/13, da cui si evince, da un lato, che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale “si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore si conclude senza l’accordo” e, dall’altro, che “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”. Non sembra pertanto che porre l’onere dell’avvio della mediazione a carico del debitore opponente comporti alcun sacrificio economicamente apprezzabile. Si aggiunga che tale opzione interpretativa, che pone a carico della parte opponente l’onere della proposizione della mediazione, dovrà applicarsi, ovviamente, non solo nei giudizi ex art. 645 c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un provvedimento idoneo al giudicato ex art. 2909 c.c.. (es. ordinanze ex art. 186 bis e ter c.p.c. ecc.). Anche in tal caso la omessa mediazione comporterà la intangibilità del provvedimento adottato, con le inevitabili conseguenze circa gli antecedenti logici della decisione e l’oggetto del giudicato. In tutti gli altri casi, ovviamente, non può che prendersi atto della scelta legislativa circa la sanzione processuale applicata, di mero rito, e della conseguente possibilità di riproposizione della domanda senza limiti, salva l’eventuale maturazione di decadenze o prescrizioni (Tribunale Firenze, sez. III, 30/10/2014 cit.) L’individuazione della parte interessata alla instaurazione del procedimento di mediazione e quindi onerata dell’attivazione della procedura, secondo una valutazione ex ante, non va tuttavia confuso con la verifica “a valle” che deve essere poi che deve essere compiuta dal giudice, essendo la condizione di procedibilità costituita, ex art. 5, 2 co. bis cit, dalla conclusione del primo incontro “senza l’accordo”. A norma infatti dell’art. 5 2 bis “quando l’esperimento del procedimento di mediazione e’ condizione di procedibilita’ della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”. L’esito negativo dell’incontro allora, nel senso tra l’altro su cui oltre, costituisce la condizione di procedibilità che il giudice è chiamato a verificare essersi consumata; onde l’accertamento sull’iniziativa originante quell’incontro, laddove poi allo stesso si sia in concreto pervenuti, resta in verità del tutto irrilevante. E così, se certamente è interesse specifico dell’opponente, per le ragioni già esposte, di introdurre esso stesso la procedura di mediazione (ad evitare che altri non provvedano e che pertanto non si addivenga all’incontro davanti al mediatore), alcun dubbio può esservi in ordine alla affermazione che la declaratoria di improcedibilità resti radicalmente preclusa al giudice ove in ipotesi all’incontro con esito negativo, integrante la condizione de qua, si sia pervenuti per iniziativa non dell’opponente (che pure vi ha l’interesse specifico ed immediato) ma per iniziativa dell’opposto. Di fronte cioè all’avverarsi della condizione (esito negativo dell’incontro) ex art. 5, 2° co- bis, resta del tutto irrilevante lo scendere a verificare su iniziativa di quale delle parti si sia addivenuti alla maturazione di quella fase. Tanto ciò è vero, che per prassi ormai invalsa in diversi uffici giudiziari (si veda tra gli altri Tribunale Pavia III^ 9.3.2015), il giudice manda alla “parte più diligente” per l’attivazione del procedimento di mediazione, restando appunto indifferente l’aspetto relativo alla parte che poi a tanto provveda; ciò a fronte di quel chiaro disposto normativo (art. 5 secondo comma bis cit.), che, ai fini della procedibilità della domanda, connette ogni effetto solo all’esito negativo dell’incontro e dell’ulteriore norma (art. 8) che impone poi al mediatore di convenire davanti a sé l’altra parte. Così ricostruito sommariamente il sistema, appare evidente come della richiesta di attivazione del procedimento di mediazione, presentata da una sola delle parti (peraltro nello specifico dal condebitore in solido) possano senz’altro giovarsi, in relazione al capo di domanda che le individua come tali, anche le parti non controparti della stessa (controparte che come detto senz’altro potrebbe giovarsene), al fine di consumare quella condizione di procedibilità costituita dall’esito negativo del procedimento. D’altra parte a norma dell’4 1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 e’ presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di piu’ domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale e’ stata presentata la prima domanda. Questa ipotesi è stata proprio introdotta per scongiurare il rischio di procedimenti di mediazione paralleli, pur in presenza della stesa lite, e per offrire una chiave regolatrice della competenza e ciò conferma che, presentata l’istanza da parte di una delle parti, l’iniziativa di questa estende i suoi effetti a tutte le parti già presenti nel procedimento con specifico riguardo alla domanda in relazione alla quale rivestono il ruolo di parti interessate e non solo controinteressate; assunto che spiega anche l’obbligo la convocazione di tutte dinanzi al mediatore ex art. 8 cit.. Come più volte accennato poi, è l’esito negativo dell’incontro a costituire condizione di procedibilità e, a giudizio dello scrivente, tale esito negativo non può che essere costituito, oltre che da un mancato accordo su una proposta tra parti comnparse, anche dal c.d. verbale negativo per mancata comparizione di una o di entrambe le parti, ivi inclusa la parte c.d. litigante. Ai sensi dell’art. 5 comma 1 d.lg. n. 28 del 2010, in caso di mediazione obbligatoria, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La condizione che rende procedibile la domanda si realizza, quindi, quando il procedimento di mediazione è stato esperito. Ai sensi dell’art. 11 comma 4 d.lg. n. 28 del 2010, poi: «nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione». Infine, ai sensi dell’art. 8 comma 5 d.lg. n. 28 del 2010: «dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’art. 116 comma 2 c.p.c. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.». A ben vedere, come evidenziato dagli interpreti più sensibili alla riaffermazione forte del diritto ad adire l’AG, l’articolato normativo sin qui richiamato, anche nelle modifiche subite a seguito dell’intervento del 2013, non vieta affatto (ma neppure espressamente abilita) l’ipotesi della mancata partecipazione di entrambi i litiganti al procedimento di mediazione e ciò significa che anche il c.d. verbale negativo (per mancata comparizione delle parti) integra la condizione di procedibilità de qua. Come anticipato infatti, la legge espressamente prevede quali conseguenze discendano dall’inottemperanza anche del litigante all’«obbligo di cooperazione» con i mediatori: valutazione, in sede processuale, del comportamento ex art. 116 comma 2 c.p.c. e condanna al pagamento di quella somma. In secondo luogo, «esperire il tentativo di mediazione significa semplicemente e solo presentare la domanda di mediazione» e di ciò ve ne è conferma nell’art. 5 d.lg. n. 28 del 2010 in cui si prevede che «il giudice assegna un termine per «la presentazione della domanda di mediazione» (quando questa non è stata esperita), non per la comparizione davanti al mediatore. La Corte costituzionale infine ha ripetutamente affermato che le norme ordinarie che prevedono una giurisdizione cd. Condizionata sono di stretta interpretazione (v. ex multis, C. cost., sentenza n. 403 del 2007); sono, cioè, norme eccezionali che, in quanto di deroga al principio del libero accesso al giudice, non possono essere interpretate in senso estensivo e non possono beneficiare del procedimento analogico. Ciò vuol dire che, nel silenzio legislativo, la previsione che preclude l’accesso diretto al giudice va interpretata nel suo significato minore, quello, cioè, che utilmente (e sufficientemente) realizza il fine preso di mira dalla norma. La sufficienza del verbale negativo, quale condizione di procedibilità, è anche l’interpretazione della normativa più conforme al diritto comunitario. Quanto alla direttiva comunitaria 2008/52/CE, il considerando n. 13 prevede che la mediazione sia «un procedimento di volontaria giurisdizione nel senso che le parti gestiscono esse stesse il procedimento e possono organizzarlo come desiderano e porvi fine in qualsiasi momento». Quanto alla raccomandazione 98/257/CE, il capo V prevede espressamente il «principio di libertà», quale condicio sine qua non del tentativo stragiudiziale. Un sintetico articolato normativo che costruisce, però, una chiara direttrice ermeneutica: nel dubbio, le norme interne vanno interpretate nel senso in cui maggiormente garantiscono libertà di scelta in capo al litigante. Se pertanto anche il verbale negativo (pure per assenza del litigante) costituisce condizione di procedibilità, se cioè, salvo le conseguenze sanzionatorie di cui all’art. 8, 5 comma (ed a parte le questioni relative al compenso del mediatore che qui non vengono in rilievo), ogni parte resta libera di comparire o meno davanti al mediatore, davvero resta incomprensibile l’eccezione di improcedibilità sollevata dall’opposta, attraverso un non sempre lucida valorizzazione di termini utilizzati in altre disposizioni ed il disconoscimento invece di quel chiaro disposto (art. 8, 5 comma), sul presupposto che le parti non sono comparse personalmente davanti al mediatore; tanto in un incontro nell’ambito del quale peraltro alcune delle stesse, tramite il procuratore già costituito in giudizio ed ivi comparso, addirittura formulavano un’offerta rifiutata invece dal procuratore dell’istituto. Per tutti i motivi sin qui esposti, va pertanto rigettata l’eccezione di improcedibilità sollevata dall’Istituto opposto. Spese, sul presupposto della totale soccombenza dell’Istituto sul punto, al definitivo. Si dispone in dispositivo per la prosecuzione del giudizio.

P.Q.M.

rigetta l’eccezione di improcedibilità;
spese al definitivo;
fissa per il prosieguo l’udienza del 28.10.2015.
Si comunichi
Così deciso in data IL GIUDICE
Federico Ria

Tribunale di Verona, ordinanza 21 settembre 2015.

Nella pronuncia in esame trova una ulteriore conferma l’orientamento, che deve considerarsi ormai largamente prevalente, in base al quale la mera presenza degli avvocati dinanzi al mediatore non è sufficiente ai fini del soddisfacimento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Il Tribunale di Verona, infatti, in un procedimento di convalida di sfratto, disposto il mutamento di rito ed assegnato alle parti il termine di 15 gg. dalla comunicazione del provvedimento per procedere all’avvio del tentativo di mediazione ai sensi dell’art. 5, D.lgs 28/2010, precisa “… sin d’ora che la condizione di procedibilità non si considererà avverata ove avanti al mediatore non compaiano personalmente le parti ex art. 8 d.lgs cit. ma soltanto i difensori (cfr. Trib. Firenze Sez. II, 19-03-2014 e Trib. Bologna Sez. I, 05-06-2014) e che dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo il Giudice potrà trarre argomenti di prova utili ai fini della decisione ex art. 116 c.p.c. ed in ogni caso condannare la parte al pagamento di una somma pari al contributo unificato in favore dello Stato ex art. 8 d.lgs 28/10”.
Il tentativo di mediazione, in sostanza, deve essere effettivamente avviato, ossia le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, sono tenute ad adempiere effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.
Affinché possa parlarsi di tentativo “effettivo”, però, occorre ovviamente la partecipazione personale delle parti, assistite dai propri avvocati e non “sostituite” da questi ultimi, salvo – beninteso – situazioni eccezionali, nelle quali, peraltro, occorrerà che i legali risultino dotati di idonei poteri di rappresentanza sostanziale.
L’assenza delle parti, infatti, determina conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti di una vicenda destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.
I principi appena riassunti sono stati configurati con riferimento alla mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, ma da più parti si è osservato, come gli stessi possano a buon diritto essere estesi anche alla mediazione ante causam di cui all’art. 5, co. 1 – bis, del medesimo decreto legislativo 28/2010, dato che in entrambe le ipotesi il tentativo costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Testo integrale:

Tribunale di Verona
SEZIONE PROCEDIMENTI SPECIALI

IL GIUDICE

Dott. Chiavegatti Francesco

N.R.G.____/ 2015

Letti gli atti e sciogliendo la riserva assunta all’udienza del 8.9.2015,

– ritenuta in via preliminare la regolare instaurazione del contraddittorio essendo l’atto di intimazione in rinnovazione stato compiutamente notificato alla XX S.R.L. via PEC e, trattandosi di società di capitali, dovendosi ritenere che la stessa sia dotata di un’organizzazione minima idonea a garantirne la continuità anche in caso di decesso dell’amministratore;
– ritenuta la concorrente e solidale responsabilità del contraente cessionario con il conduttore cedente per le obbligazioni rimaste inadempiute del contratto di locazione sia in forza della disposizione di cui all’art. 36 L. 392/78, che prevede un’ipotesi di solidarietà, sia in applicazione del principio di cui a Cass. civ. Sez. III, 01-06-2004, n. 10485 (1) (ma vedi anche Cass. civ. Sez. III Sent., 21-03-2008, n. 7686, Cass. civ. Sez. III Sent., 20-04-2007, n. 9486 Cass. civ. Sez. III, 09-11- 2006, n. 23914), sia perché in caso contrario sarebbero ingiustamente frustrate le ragioni del locatore che subisca, non potendovisi opporre, la cessione;
– ritenuto peraltro che l’eccezione di parte resistente di cui all’art. 2560 c.c. non sia nemmeno fondata su prova scritta;
– ritenuto come l’assegno bancario di € 8.000 depositato in atti da parte intimata non possa ritenersi imputabile al pagamento delle spese condominiali residue (di € 7.487,36 a detta della stessa resistente, cfr. pag. 5 comparsa) essendo tale assegno stato emesso in favore di altro soggetto (M.T.) e trovando esso la propria corrispondente causale nell’adempimento (parziale) all’atto di transazione del 29.1.2014 (doc. prodotto all’udienza) che prevedeva proprio un credito in favore di tale soggetto;
– Ritenuto che l’intimata ha proposto opposizione e che, quindi, è preclusa la possibilità di convalidare lo sfratto;
– rilevato che l’opposizione non è fondata su prova scritta e che non si rilevano dagli atti gravi motivi che contrastino con l’emissione della richiesta ordinanza ex art. 665 c.p.c. secondo quanto indicato in premessa;
– dato atto del carico del ruolo, delle scoperture di sezione e degli obiettivi di gestione con riferimento allo smaltimento dell’arretrato pendente,

P.Q.M.

Visti gli artt. 665, 667, 426 e 447 bis c.p.c.,
– Ordina alle parti intimate il rilascio dell’immobile meglio descritto nell’intimazione;
– Fissa per l’esecuzione la data del. 31.12.2015;
– Dispone che il giudizio prosegua con lo speciale rito locatizio e fissa per la comparizione delle parti l’udienza del 1.3.2016 ore 10.00;
– Assegna alle parti costituite termine perentorio sino a 30 giorni prima dell’udienza per deposito di memorie integrative degli atti introduttivi e contenti eventuali istanze istruttorie e documenti;
– Si avverte il convenuto che, per la prosecuzione del giudizio, dovrà farsi necessariamente assistere da un difensore e che, per proporre eventuali domande riconvenzionali o per procedere a chiamata di terzo in causa, dovrà fare apposita istanza – tramite difensore munito di procura ad hoc – almeno 10 giorni prima dell’udienza fissata.
– Onera la parte interessata alla prosecuzione del giudizio a procedere al tentativo di media conciliazione ex art. 5 dlgs 28/10 entro 15 giorni dalla comunicazione del presente provvedimento pena l’improcedibilità del giudizio – rappresentando sin d’ora che la condizione di procedibilità non si considererà avverata ove avanti al mediatore non compaiano personalmente le parti ex art. 8 d.lgs cit. ma soltanto i difensori (cfr. Trib. Firenze Sez. II, 19-03-2014 e Trib. Bologna Sez. I, 05-06-2014) e che dalla mancata partecipazione al procedimento di mediazione senza giustificato motivo il Giudice potrà trarre argomenti di prova utili ai fini della decisione ex art. 116 c.p.c. ed in ogni caso condannare la parte al pagamento di una somma pari al contributo unificato in favore dello Stato ex art. 8 d.lgs 28/10;
– Manda alla cancelleria di inserire copia di cortesia cartacea del presente provvedimento nel fascicolo.
Si comunichi a cura della Cancelleria.
Il Giudice
Dott. Chiavegatti Francesco

(1) Secondo cui “nel caso di cessione, senza il consenso del locatore, del contratto di locazione unitamente all’azienda, ai sensi dell’ art. 36 della L. n. 392 del 1978 (cosiddetta dell’equo canone), il conduttore cedente – che non sia stato liberato dal locatore ceduto – risponde solidalmente dell’inadempimento del cessionario. Siffatta obbligaziohe di garanzia, il cui fondamento va ravvisato nel potere esclusivo di scelta del cessionario da parte del cedente e netta corrispondente esigenza di tenere il locatore – che a tale scelta non ha titolo – indenne dalle negative conseguenze che possano derivarne, trova applicazione anche nelle ipotesi di cessioni intermedie, e cioè qualora alla prima cessione ne segua una seconda ad opera del cessionario, con la conseguenza che l’originario conduttore e primo cedente rimane obbligato in solido con l’ultimo cessionario per le obbligazioni di costui, essendo tenuto a rispondere del meccanismo dei subentri automatici da lui posto in essere e che il locatore non può evitare. Ne discende che, coordinando l’ art. 36 della L. n. 392 del 1978 con i principi generali fissati, in tema di cessione, dagli artt. 1408 e 1409 del codice civile , il conduttore cedente risponde solidalmente, nei confronti del locatore ceduto, delle obbligazioni scadute successivamente alla cessione, ma anche il conduttore cessionario risponde, in via solidale, verso il locatore ceduto (salva diversa volontà delle parti) delle obbligazioni non adempiute dal cedente (si tratti di mancata corresponsione del canone, di danni prodotti sulla cosa locata, e così via)”.

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