Mediazione-obbligatoria

Tribunale di Parma, I sez. civile, ordinanza 13 marzo 2015.

Pronuncia, emessa in sede cautelare dal Tribunale di Parma, che tocca un aspetto di particolare interesse all’interno del procedimento di mediazione, vale a dire quello della utilizzabilità, nel giudizio successivo al tentativo di mediazione non coronato da successo, della perizia esperita da un tecnico nominato dall’Organismo di mediazione.

In una procedura in materia bancaria, in cui la parte istante chiamava in mediazione (obbligatoria) la Banca contestando l’ammontare dei crediti vantati da quest’ultima, che da parte sua disertava il procedimento, il mediatore nominava un consulente tecnico per la verifica delle contestazioni formulate dall’istante in ordine all’applicazione di interessi superiori al tasso soglia al tempo vigente.

Il consulente nominato dal mediatore, rilevava che “il totale degli addebiti legittimi a carico del correntista è compreso tra un minimo di euro
22.687,43 e un massimo di euro 41.188,82”; evidenziando, inoltre, addebiti oltre la soglia di usura per euro 22.687,43 ed allegando il prospetto dei singoli trimestri analizzati dal 2005 al 2009.

Con provvedimento emesso inaudita altera parte il 22 dicembre 2014 il Tribunale di Parma autorizzava il sequestro giudiziario (di cambiali) richiesto dalla ricorrente; a quel punto, la Banca si costituiva in giudizio, contestando la domanda cautelare, asserendo, in particolare, l’irritualità della perizia disposta in sede di mediazione, in quanto svolta in mancanza di contraddittorio con la banca stessa (sic!), che, come evidenziato in precedenza, aveva ritenuto di non partecipare alla mediazione.

Detta contestazione, così come le altre sollevate dalla banca e che in questa sede non rivestono specifico interesse, è ritenuta priva di fondamento da parte del Giudice, che nell’ordinanza osserva come “…la circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia l’attendibilità dell’esame condotto dal Prof. XYXY, il quale veniva a ciò incaricato non dalla parte ma da un terzo estraneo alla lite, quale è l’organismo di mediazione”.

Ora, premesso che nessuna norma attualmente in vigore interdice l’utilizzabilità in giudizio delle perizie formatesi all’interno del procedimento di mediazione, e ribadito, naturalmente, che il sul perito gravano gli stessi obblighi di riservatezza riguardanti gli altri protagonisti della mediazione, il problema reale è rappresentato dal rispetto del principio del contraddittorio.

Quest’ultimo, però, non potrà ritenersi carente solo perchè, a seguito di una scelta volontaria, unilaterale e comunque sanzionabile ex lege, in assenza di giustificati motivi, nel successivo giudizio, una delle parti abbia ritenuto di disertare la procedura volta al tentativo di conciliazione; una tale opzione, in tal modo, ben potrebbe mirare proprio a garantirsi l’inutilizzabilità di eventuali perizie (pressochè inevitabili in determinate tipologie di controversie, come ad esempio quelle in materia bancaria) in un  successivo giudizio, il che appare quantomeno paradossale.

In altri termini: le relazioni tecniche stese da perito incaricato dall’organismo, per poter essere utilizzate nel futuro giudizio, certamente presuppongono il rispetto del principio del contraddittorio. Non potrà però sostenersi il mancato rispetto di quest’ultimo per la sola circostanza della mancata partecipazione, salvo giustificato motivo da valutarsi caso per caso da parte del Giudice.

Non è certamente sostenibile che le perizie realizzate nel corso del procedimento di mediazione non siano utilizzabili in causa sulla base di una  asserita collisione con le previsioni di cui agli artt. 9 e 10 D.lgs 28/2010 (obbligo di riservatezza e inutilizzabilità delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite in mediazione).

Sul punto, peraltro all’interno di una assai articolata motivazione, si era già espresso il Tribunale di Roma, con l’ordinanza 17 marzo 2014, nella quale, premesso che ai sensi dell’art. 8, co. 4, D.lgs 28/2010, la possibilità di nomina di un consulente tecnico esterno sussiste “…solo laddove siano assenti o carenti non solo nel mediatore titolare ma anche in quello eventuale, ausiliario, le competenze tecniche specifiche e necessarie per il caso oggetto del procedimento”, si considera necessario procedere all’analisi delle possibilità in concreto esistenti – alla luce dell’esigenza di rispetto dei principi di riservatezza propri della mediazione – circa l’utilizzabilità processuale delle risultanze peritali acquisite nel corso del procedimento conciliativo.

Osservava, un anno or sono, il Giudice romano come “…riservatezza ad ogni costo e sempre non significa infatti agevolare con sicurezza il successo della mediazione ed il raggiungimento dell’accordo. E’ sufficiente evidenziare, per dimostrarlo, che le parti in mediazione possono essere tentate, per il timore della sua circoscritta utilità, di rifiutarsi (e sicuramente ciò accade di frequente) di acconsentire alla nomina, da parte del mediatore, di un esperto anche quando l’ausilio di un tecnico specializzato nella materia potrebbe chiarire aspetti fondamentali, perché dubbi, della situazione in conflitto.

Si pensi all’accertamento, a mezzo di una consulenza medica, dei danni alla persona in presenza di una domanda di risarcimento a seguito di un qualsiasi evento (RCA, responsabilità medico-sanitaria e via dicendo).

In questi casi farsi carico della spesa non irrisoria per il compenso da attribuire all’esperto in mediazione potrebbe apparire inappropriato e non conveniente proprio per la prospettiva di non poter produrre la relazione dell’esperto nella causa che potrà seguire al mancato raggiungimento dell’accordo.

Ritiene il giudice, alla luce delle precedenti considerazioni ed in un’ottica di equilibrato contemperamento fra l’esigenza, nei limiti in cui è normata, di riservatezza che ispira il procedimento di mediazione e quella di economicità e utilità delle attività che si compiono nel corso ed all’interno di tale procedimento, di poter dichiarare legittima ed ammissibile la produzione nella causa alla quale pertiene la mediazione, dell’elaborato del consulente tecnico esterno.

Limitatamente, ove occorra rilevarlo, agli aspetti ed ai contenuti che siano strettamente corrispondenti al compito accertativo che gli sia stato affidato.

Il consulente, nel perimetro di ciò che le parti attraverso il mediatore, gli hanno demandato di accertare, esegue e svolge il suo incarico redigendo una relazione. Quale sia esattamente l’attività espletabile dal consulente tecnico nella mediazione è agevolmente predicabile facendo riferimento a quanto lo stesso consulente, in quel caso nominato dal giudice, può effettuare nella causa, nell’adempimento dell’incarico”.

Considerazioni, oggi riprese nella pronuncia del Tribunale di Parma in commento, che appaiono pienamente condivisibili.

Un’opportunità da tener presente, in mediazione, anche e soprattutto in presenza di atteggiamenti ostruzionistici messi in atto dalla parte invitata.

L’eventuale mancata partecipazione di quest’ultima non impedisce alla parte istante di richiedere al mediatore la nomina di un tecnico al fine di esperire un accertamento peritale che sarà dunque pienamente utilizzabile all’interno del successivo giudizio, e che, ovviamente, consentirà al procedimento di mediazione, seppur limitatamente alla parte istante, di entrare nel merito della controversia, evitando una altrimenti ineludibile conclusione negativa, all’esito del primo incontro, per mancata partecipazione della parte chiamata.

Testo integrale:

Tribunale di Parma
Sezione civile 1°
Il GU dott. Angela Chiari

Esaminato il ricorso presentato a norma degli artt. 670 e 700 c.p.c. da …. ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

– Considerato che la ricorrente ha chiesto in via principale il sequestro giudiziario di dieci cambiali dell’importo unitario di euro 1.600,00 in possesso della Banca resistente, emesse da XX a seguito di un piano di rientro stipulato tra le parti a fronte di un’esposizione debitoria di … nei confronti della Banca, dell’ammontare complessivo di euro 27.200,00 derivante da rapporto di conto corrente bancario e di finanziamento.
– Rilevato che XX Ha allegato di avere corrisposto gli importi concordati fino al dicembre
2014, di avere contestato l’ammontare del credito vantato dalla resistente e di avere promosso la procedura di mediazione obbligatoria;
– Osservato che nel corso della procedura di mediazione, a cui la banca non si è presentata, il mediatore nominava un consulente tecnico per la verifica delle contestazioni formulate dall’attrice in ordine all’applicazione di interessi superiori al tasso soglia tempo per tempo vigente;
– Rilevato che il consulente nominato dal mediatore, Prof. Mattia Iotti, ha rilevato che “il totale degli addebiti legittimi a carico del correntista è compreso tra un minimo di euro
687,43 e un massimo di euro 41.188,82”;
– Osservato, in particolare, che il consulente ha evidenziato addebiti oltre la soglia di usura per euro 22.867,43 ed ha allegato il prospetto dei singoli trimestri analizzati dal 2005 al 2209;
– Considerato specificamente che il tecnico nominato dal mediatore indica come superato il tasso soglia già nel secondo trimestre 2015 e il contratto di conto corrente risulta stipulato il 18 aprile 2005;
– Rilevato che con provvedimento emesso inaudita altera parte il 22 dicembre 2014 lo scrivente giudice ha autorizzato il sequestro giudiziario delle cambiali;
– Osservato che Banca si è costituita in giudizio ed ha contestato la domanda cautelare, rilevando in particolare che :
– il credito della Banca era stato riconosciuto dalla ricorrente, la quale si era impegnata a
corrispondere …. euro in base ad un piano di rientro concordato tra le parti;
– la perizia disposta in sede di mediazione era irrituale, in quanto svolta in mancanza di contraddittorio con la banca, la quale non aveva partecipato alla mediazione;
– la formula utilizzata dal perito nominato dal mediatore per il calcolo del tasso effettivo
globale era differente rispetto a quella indicata nelle istruzioni della Banca d ‘Italia emanate fino al 2009, istruzioni che escludevano dal calcolo del TEG la commissione di massimo scoperto;
– Rilevato che, benché la ricorrente non abbia esplicitamente indicato petitum e causa petendi delle domande oggetto dell’instaurando giudizio di merito, pare evidente dal contesto del ricorso che la ricorrente intende proporre domanda volta all’accertamento dell’illegittima applicazione di interessi ultra soglia e alla rideterminazione del credito vantato dalla banca, con condanna della resistente alla restituzione delle cambiali emesse in base al citato accordo a garanzia del credito della banca;
– Osservato che la domanda cautelare appare dunque ammissibile e che in ordine all’ ammissibilità nessun rilievo ha svolto la resistente che si è, invero, difesa solo nel merito;
– Considerato che “ in tema di conto corrente bancario, il piano di rientro concordato tra la banca ed il cliente, ove abbia natura meramente ricognitiva del debito, non ne determina l’estinzione, né lo sostituisce con nuove obbligazioni, sicché resta valida ed efficace la successiva contestazione della nullità delle clausole negoziali preesistenti” (Cass. Sez. I, n. 19792 del 19.9.2014);
– Osservato che pertanto il riconoscimento di debito contenuto con il pano di rientro non impedisce alla ricorrente di contestare l’eventuale usurarietà degli interessi applicati;
– Rilevato che la circostanza che la perizia disposta dal mediatore sia o meno rituale non inficia l’attendibilità dell’esame condotto dal Prof. Iotti, il quale veniva a ciò incaricato non dalla parte ma da un terzo estraneo alla lite, quale è l’organismo di mediazione;
– Rilevato che, alla luce della perizia in atti, appare sussistere il fumus boni jurus;
– Osservato in particolare che la tesi della resistente in rodine alla non computabilità della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso soglia fino all’agosto 2009 (data a partire dalla quale la Banca d’Italia ha iniziato a ricomprendere la commissione di massimo scoperto nella rilevazione dei tassi soglia ai fini dell’usura), pure sostenuta dea autorevole giurisprudenza di merito, è sconfessata dalla Cassazione penale, la quale afferma che “Nella determinazione del tasso di interesse ai fini di verificare se sia stato posto in essere il delitto di usura, occorre tener conto, ove il rapporto obbligazionario rilevante sia con istituto di credito, di tutti gli oneri imposti all’utente in connessione con l’utilizzazione del credito e quindi anche della ‘commissione di massimo scoperto’, che è costo indiscutibilmente legato all’erogazione del credito” (Cass. Pen. Sez. 2, n. 28743 del 14.05.2010; conf. Cass. Pen. Sez. 2, n. 12028 del 19.02.2010);
– Rilevato pertanto che, alla luce della cognizione sommaria propria della presente fase cautelare , a fronte della perizia in atti che attesta come indebitamente applicati tassi ultra soglia per almeno 22.800,oo euro, appare sussistere il fumus boni juris della dedotta insussistenza del credito a garanzia del quale sono state emesse le cambiali per un importo complessivo di 16.000,00 euro.
– Rilevato che presupposto del sequestro giudiziario non è il pericolo di danno grave come previsto per i provvedimenti d’urgenza ex art. 7000 c.p.c., bensì l’opportunità di provvedere alla custodia o gestione temporanea di un bene (nella specie, cambiali) nelle more del giudizio di merito in considerazione del rischio, sia pure astratto che i convenuto compia atti di disposizione dei beni controversi.
– Ritenuto che deve ritenersi ammissibile il sequestro giudiziario di titoli di credito (cfr. Tribunale Verona, 23 agosto 2001; Tribunale Monza, 12 aprile 2001; Tribunale Foggia, 10 febbraio 2004; Tribunale Milano, 6 febbraio 2002; Tribunale Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte –BG-, ordinanza 21 novembre 2000; Tribunale di Nocera Inferiore, sez. II, 17 febbraio 2010, n. 187; Tribunale di Roma, sez. fer. 23 luglio 2003);
– Rilevato, invero, che la controversia sull’appartenenza di essi, quale presupposto per la concessione di un sequestro giudiziario, sussiste non solo quando siano esperite azioni dirette specificamente a far valere il diritto alla restituzione di titoli emessi, ma anche in presenza di un’azione contrattuale o personale che, se accolta, importi la condanna alla restituzione dei beni controversi (Tribunale Venezia, 27 marzo 2002; cfr. anche Tribunale di Milano, 6 febbraio 2002 a mente del quale “l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato accoglie, nell’ipotesi prevista dall’art. 670 c.p.c. una nozione estensiva di controversia sulla proprietà e sul possesso che vi comprende anche le azioni di natura diversa da quella reale, tra cui azioni personali e basate su semplici diritti di credito dalle quali possa derivare una condanna alla restituzione o al rilascio”);
– Considerato infatti che il termine possesso, utilizzato dal legislatore nel testo normativa dell’ art. 670 c.p.c. non va inteso in senso letterale, rientrandovi anche l’ipotesi di detenzione (cassazione, 16 novembre 1995, n. 9645, 28 aprile 1994, n. 4039);
– Rilevato in particolare che deve ritenersi ammissibile il sequestro laddove il titolo sia, come nella fattispecie, nel possesso diretto del contraente (cfr. Tribunale Foggia, 10 febbraio 2004);
– Rilevato che la resistente non contesta di essere nella detenzione dei titoli in questione, sicché l’autorizzazione ad eseguire la misura non appare idonea ad incidere sulla legge di circolazione del titolo;
– Osservato che il ricorrente si trova esposto non solo al rischio che il titolo venga incassato, ma anche che venga girato a terzi, ai quali non saranno opponibili le eccezioni della resistente in ordine al rapporto sottostante

P . Q . M .

Conferma il provvedimento ex art. 670 cpc adottato con decreto del 22.12.2014. Dispone con la presente ordinanza la trasmissione degli atti alla Procura della repubblica in sede per gli eventuali accertamenti di competenza in ordine al reato di usura, richiamando le considerazioni di cui in parte motiva.
Manda alla Cancelleria affinché trasmetta alla Procura copia del presente provvedimento unitamente a copia del doc. 1 e del doc. 8 di parte corrente.
Spese al merito.

Così deciso in Parma il 13.03.2015
Il Giudice

Dr.ssa Angela Chiari

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Tribunale di Pavia, sez. III, ordinanza 18 maggio 2015

 

Ancora una pronuncia con la quale si ribadisce, con particolare nettezza, il principio secondo cui, in sede di mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, nel primo incontro di mediazione le parti sono tenute ad entrare direttamente nel merito della controversia, non potendo, l’una, l’altra o entrambe, ritenere insussistenti i presupposti relativi alla “mediabilità” della lite, in quanto tale valutazione risulta già effettuata dal giudice nel momento stesso in cui dispone il procedimento.

Inoltre, con riferimento alla mediazione in generale, delegata o ante causam che sia, si sottolinea come la parte sia tenuta a presenziare personalmente all’incontro/i dinanzi al mediatore – salvo casi eccezionali – in cui potrà essere rappresentata da altro soggetto, di regola l’avvocato che la assiste, a condizione che sia munito di procura speciale notarile, unico strumento idoneo a radicare adeguata rappresentanza.

Nella pronuncia in esame si rileva come “...considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti;

giova rilevare che l’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 sia al comma 1 che al comma 2 fa riferimento esclusivo alla funzione di assistenza del difensore, senza alcun riferimento alla funzione di rappresentanza, presupponendo con questo la necessaria dualità dei soggetti che compongono la parte in un procedimento di mediazione. In mancanza di tale dualità possono derivare conseguenze sia sul regolamento delle spese del giudizio fino ad influire sulla stessa procedibilità della domanda giudiziale”.

Il Giudice invita altresì il mediatore a mettere a verbale eventuali assenze ingiustificate e quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre il primo incontro.

In sostanza, dunque, si conferma ancora una volta il fatto che per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali ostative al suo svolgimento.

D’altra parte, in una mediazione delegata che oggi è “disposta” dal giudice, non consistendo più in un mero invito rivolto dallo stesso alle parti, la valutazione circa la mediabilità della lite non può che essere rimessa a chi, per l’appunto, la dispone.

Altrimenti, ciò che risulterebbe effettivamente obbligatorio non sarebbe altro che il primo incontro delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) con il mediatore, che il più delle volte varrebbe soltanto ad esprimere la “volontà” delle stesse contraria all’ingresso nel procedimento al fine di addivenire alla formazione di un verbale negativo che consenta di assolvere la condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Insomma, un mero orpello formale. Con conseguente svuotamento di ogni  significato della mediazione sul piano deflattivo e sul quello, in prospettiva ancor più importante, culturale.

Analoghe considerazioni devono essere svolte circa il profilo attinente alla partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione.

In effetti, al di là delle disposizioni richiamate nella pronuncia in esame, nelle quali si parla di assistenza alle parti  fornita dai rispettivi legali, non anche di rappresentanza, appare chiaro che per potersi parlare in senso proprio di mediazione occorre, quale presupposto primo ed indefettibile – salvo casi eccezionali – che le parti siano presenti di persona.

L’assenza della parte non può non determinare conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.

In sostanza, in mediazione, il mediatore e l’altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilità conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di là delle posizioni iniziali. Per queste ragioni, nei casi – eccezionali – di impossibilità per una delle parti a partecipare personalmente agli incontri, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sembra in grado di fornire le necessarie  garanzie in ordine alla sua utilizzabilità nei confronti di terzi.

Infine, va rilevato che la pronuncia in parola, relativa ad una causa di opposizione a decreto ingiuntivo, rigettata l’istanza di provvisoria esecuzione del decreto, pone l’onere dell’avvio del procedimento di mediazione a carico della Banca opposta, mostrando, quindi, di aderire a quella tesi, oggi minoritaria in giurisprudenza, secondo la quale l’onere per l’appunto di introdurre la mediazione incomberebbe sull’originario intimante opposto, che, pertanto, ove non ottemperasse, vedrebbe decadere l’efficacia del decreto ingiuntivo in conseguenza della declaratoria di improcedibilità del giudizio di opposizione allo stesso.

Secondo altra giurisprudenza, oggi prevalente, (cfr., ex multis, Tribunale Rimini, ), nell’ipotesi di mancato avvio della mediazione nell’ambito del giudizio instauratosi a seguito dell’opposizione al decreto monitorio, la domanda che diviene improcedibile è quella proposta mediante atto di citazione dall’opponente, dal momento che, come è noto, nel giudizio di opposizione è il medesimo a rivestire il ruolo di attore, in quanto su di lui incombe l’onere di far sì che il decreto ingiuntivo non acquisti il carattere della definitività.

Così opinando, dal momento che la vigente normativa in materia di mediazione civile non deroga espressamente a quanto previsto nel c.p.c. riguardo al procedimento speciale in oggetto, nel caso di estinzione o – come nel caso di specie – di improcedibilità del  giudizio di opposizione, ai sensi dell’art. 653 si determinerebbe il consolidarsi degli effetti del decreto ingiuntivo.

Testo integrale:

Tribunale di Pavia

Sezione III Civile

Dott. Giorgio Marzocchi

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

 

promosso da …… , con l’Avv……..Attrice – opponente

Contro …….. , con l’avv. ………….Convenuta – opposta

Il giudice istruttore del Tribunale di Pavia, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 13.05.2015, sulla provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto

osserva

L’opposizione della signora ……. appare fondata su un principio di prova scritta, ovvero sulla documentazione medico sanitaria relativa al suo pregresso stato di salute psichica, stato che appare tale da poter incidere, in astratto, sulla sua capacità di intendere e volere al momento della stipula del contratto di fideiussione omnibus con la banca opposta e, conseguentemente, sulla validità ed efficacia del contratto inter partes;

D’altro canto, dalla documentazione allegata dalla banca opposta, in particolare dal doc. 4 del fascicolo ricostruito della banca opposta (contratto notarile di apertura di conto corrente con garanzia ipotecaria del 24.09.2009 inter partes), si rileva che una pattuizione prevede che sul credito della banca possa essere applicato nel calcolo degli interessi passivi il sistema anatocistico degli interessi composti, vietato dalla legge (artt. 1283, 1284, 1346, 1815 e 1832 c.c.) L’applicazione del detto sistema, determina un possibile vizio di nullità parziale del contratto, rilevabile d’ufficio (ex multisCass. sent. n. 9169 del 7.05.2015, Cass. S.U. sent. n. 21095/ 2004; n. 23974/2010; n. 19882/2005) e una possibile conseguente diminuzione dell’ ammontare del credito.

Visto che il rilievo d’ufficio del possibile errato calcolo degli interessi, per la valutazione della sua fondatezza, necessita di un accertamento più approfondito di quanto possa essere effettuato nella presente fase preliminare, di mera valutazione della provvisoria esecuzione del decreto;

Ciò premesso,

rigetta l’istanza di provvisoria esecuzione del decreto.

Sulle istanze di ammissione dei mezzi istruttori così provvede:

ammette

la prova testimoniale proposta dall’opponente con i testi indicati. Non ammette i capitoli di prova A.1.10 e A.1.11 in quanto valutativi.

Riservata l’ammissione di CTU medica e di eventuale CTU contabile econometrica.

Ritenuto peraltro opportuno disporre l’esperimento del procedimento di mediazione in vista di una possibile conciliazione della lite che possa eventualmente coinvolgere anche gli altri condebitori i quali, diversamente dalla sig.ra … , non hanno proposto opposizione al decreto;

Viste le modifiche introdotte dal D.L. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2013, n. 98 e, in particolare, l’art. 5, co. 2, D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28;

Dispone

l’esperimento del procedimento di mediazione, ponendo l’onere dell’avvio della procedura di mediazione a carico della Banca opposta e avvisando entrambe le parti che, per l’effetto, l’esperimento del tentativo di mediazione – presenti le parti o i loro procuratori speciali e i loro difensori – sarà condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che, considerato che il giudizio sulla mediabilità della controversia è già dato con il presente provvedimento, la mediazione non potrà considerarsi esperita con un semplice incontro preliminare tra i soli legali delle parti;

Giova rilevare che l’art. 5 del D.Lgs. 28/2010 sia al comma 1 che al comma 2 fa riferimento esclusivo alla funzione di assistenza del difensore, senza alcun riferimento alla funzione di rappresentanza, presupponendo con questo la necessaria dualità dei soggetti che compongono la parte in un procedimento di mediazione. In mancanza di tale dualità possono derivare conseguenze sia sul regolamento delle spese del giudizio fino ad influire sulla stessa procedibilità della domanda giudiziale;

Visti gli artt. 8, co. 4-bis, D.Lgs. 28/2010, 91 e 96 cpc;

Invita il mediatore a verbalizzare le eventuali assenze ingiustificate e quale, tra le parti presenti, dichiari di non voler proseguire nella mediazione oltre l’incontro preliminare;

Invita mediatore e parti a valutare, già in sede di mediazione e per economicità processuale, l’opportunità di svolgere una consulenza tecnica econometrica;

Assegna alla parte opposta il termine di quindici giorni dalla comunicazione dell’ordinanza per la presentazione della domanda di mediazione, da depositarsi presso un organismo di mediazione regolarmente iscritto nel registro ministeriale che svolga le funzioni nel circondario del Tribunale di Pavia, ex. art. 4, co. 1, D. Lgs. Cit.

Fissa nuova udienza in data 19.10.2015, ore 10,30 per la verifica dell’esito della procedura di mediazione e per l’eventuale prosieguo del giudizio con l’esame di tre testimoni di parte opponente;

Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti costituite.

 

Pavia, 18.05.2015

Dott. Giorgio Marzocchi

 

 

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Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 30 aprile 2015.

 

Nella causa tra O. srl (attrice), PDS srl (convenuta) e Assicurazioni spa (terzo chiamato), il Giudice, dopo aver pronunciato in data 24 febbraio 2014 sentenza non definitiva con la quale si accertava la responsabilità contrattuale della società convenuta per inadempimento agli obblighi che incombevano sui professionisti che ne facevano parte, con separata ordinanza, sospesa ogni ulteriore determinazione, disponeva la mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

In mediazione, le parti assumevano una condotta che il Tribunale definisce “ambigua”.

Innanzitutto, in sede di primo incontro di mediazione, le parti non comparivano personalmente dinanzi al mediatore, ma solo attraverso i rispettivi difensori.

In ogni caso, questi ultimi dichiaravano di voler procedere con il procedimento, di essere intenzionati – dunque – ad entrare nel merito della controversia alla ricerca di una fuoriuscita conciliativa dalla stessa, andando dunque oltre il primo incontro di cui all’art. 8 D.lgs 28/2010.

Tra l’altro, in detta occasione, veniva verbalizzato che la parte invitata “migliorava la proposta conciliativa già formulata via mail a parte istante fino all’importo di €.3.500”

Veniva quindi fissato un successivo incontro al quale, tuttavia, partecipava soltanto il difensore della società attrice, chiamata in mediazione, e che in sede di primo incontro aveva fatto verbalizzare la proposta di cui sopra, mentre nessuno era presente per la parte convenuta in giudizio ma istante in mediazione, che neppure inviava comunicazioni di alcun genere.

In altri e più sintetici termini: a fronte della mediazione disposta d’ufficio dal giudice, la parte convenuta si faceva diligente ed introduceva il procedimento presso l’organismo; l’attore, invitato, aderiva, proponendo tra l’altro una ipotesi conciliativa; superato il primo incontro, però, solo l’attore partecipava al successivo incontro, che, dunque, veniva disertato da parte convenuta che aveva presentato l’istanza di mediazione.

Successivamente,  in sede di trattazione orale ai sensi dell’art. 281 – sexies c.p.c., la pronuncia definitiva vedeva però il rigetto delle domande attoree, con il che la parte convenuta – che aveva introdotto la mediazione disposta dal Giudice per farla poi naufragare – pur vittoriosa in giudizio, si rendeva protagonista di un comportamento da qualificarsi, ad avviso del Tribunale di Roma, non giustificato; l’assenza della convenuta determinava ovviamente il fallimento di ogni possibilità di accordo in sede di mediazione, circostanza della quale va tenuto conto, negativamente, ai fini della regolamentazione delle spese di causa.

Nella motivazione della pronuncia in commento si osserva infatti come, quanto alle spese di causa, “…è giusto compensarle per due terzi a favore dell’attrice.
Invero da una parte esiste una reciproca soccombenza, determinata quanto alla PDS srl dal contenuto della sentenza parziale che ha accertato il suo inadempimento.
Ragione non secondaria della compensazione è l’assenza della convenuta PDS srl all’incontro di mediazione (vero e proprio); assenza che è valutabile in termini negativi, ritenendosi che abbia escluso qualsiasi possibilità di raggiungere un accordo entrando nel vivo della mediazione alla quale entrambe le parti e quindi anche la convenuta, avevano nel precedente primo incontro davanti al mediatore dichiarato piena disponibilità
”.

Non solo.

Infatti, non avendo la convenuta partecipato, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione che pur aveva provveduto ad introdurre, la stessa “…va condannata al versamento all’Erario della somma di €.500,00, a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Testo integrale:

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di ROMA
SEZIONE Sez.XIII°
RG n._____/___
REPUBBLICA  ITALIANA

 

Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi

nella causa tra

O. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv.to S.M.)

attrice

E

P.D.S. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv.to S.O.)

convenuta

E

Assicurazioni spa in persona del suo legale rappresentante pro tempore (avv.ti G. e L.B.)

terza chiamato

ha emesso e pubblicato, ai sensi degli artt. 281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 30.4.2015 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente

S E N T E N Z A

letti gli atti e le istanze delle parti,

osserva

-1- Accertato l’inadempimento (responsabilità professionale), attesa l’assenza di prova di danno, la domanda dell’attrice va integralmente rigettata.
Con sentenza non definitiva del 24.2.2014 il Giudice accertava la responsabilità contrattuale della società convenuta per inadempimento agli obblighi che incombevano sui professionisti che ne facevano parte (1)
Tale pronuncia ampiamente motivata (2), trova qui necessaria conferma e viene integralmente richiamata.
Oltre al decisum, sintetizzato dal dispositivo, in quella sentenza il Giudice ulteriormente così disponeva e motivava:
Esistenza e quantificazione dei danni.
In punto di riconoscimento dei danni causati dall’inadempimento della PDS va rilevato che l’attrice non ha dimostrato:
di aver pagato tempestivamente come era suo esclusivo onere e dovere, le imposte pertinenti al modello Unico 2004; e che abbia di conseguenza dovuto pagare due volte per la sorte; e che abbia di fatto pagato;
alcunché di ciò che ha meramente affermato circa la richiesta di accertamento con adesione; ed il ricorso alla commissione tributaria. Atti di cui non c’è alcuna traccia documentale nei documenti prodotti.
Quanto alla PDS ed alla questione relativa agli accertamenti di settore si tratta di eccezione talmente vaga che non merita alcuna indagine e non consente alcuna valutazione. Se non negativa.
Pertanto il principio della necessità di accertare, nell’ambito della responsabilità professionale, se l’adempimento ovvero l’esatto adempimento, mancato, avrebbe evitato in tutto o in parte i danni lamentati, non può essere effettuato sotto tale ultimo profilo.
Viceversa rimangono aperti i punti 1 (nei suoi molteplici segmenti) e 2.
A questi si aggiunge, per la PDS, che la compagnia assicuratrice ha con puntualità e precisione, depositando il relativo contratto ed allegati, respinto la richiesta di manleva deducendo che fra i rischi assicurati non rientra quello della compilazione e redazione (e ovviamente invio all’Agenzia) delle dichiarazioni dei redditi essendo così delimitato in polizza: acquisizione ed elaborazione dati a mezzo di sistemi elettronici: registrazione, trascrizione e verifica di informazioni fornite da clienti o da terzi su idonei supporti (nastri, dischi,etc.) propri o di terzi
Con ordinanza separata, a seguito della sentenza del 24.2.2014, il Giudice, sospesa ogni ulteriore determinazione, inviava le parti in mediazione demandata ai sensi dell’art.5 secondo comma del decr. lgsl. 28/10.
In quella sede le parti assumevano una condotta ondivaga.
Al primo incontro, non erano presenti le parti personalmente, ma solo i rispettivi difensori e procuratori.
I difensori dichiaravano in tale occasione al mediatore di voler procedere alla mediazione vera e propria (oltre quindi l’incontro informativo di cui al primo comma dell’art.8 decr. lgsl.28/10) richiedendo al mediatore a tal fine un altro incontro; al quale però compariva solo il difensore dell’attrice mentre nessuno era presente per la srl P.D.S. che neppure inviava comunicazioni di alcun genere.
Al primo incontro veniva altresì verbalizzato che la convenuta “migliorava la proposta conciliativa già formulata via mail a parte istante fino all’importo di €.3.500”
Nessuna dichiarazione verbalizzava l’attrice.
Tale assenza della parte convocata va qualificata non giustificata di talché ne va tenuto conto, negativamente, ai fini della regolamentazione delle spese di causa; l’assenza della convenuta determinava ovviamente il fallimento di ogni possibilità di accordo in sede di mediazione.
Alla successiva udienza davanti al Giudice le parti producevano la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n.77/2013 che accoglieva l’appello della O. srl avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate a seguito di omessa dichiarazione Mod. Unico 2004 per l’anno 2003 aveva rettificato il reddito imponibile ai fini dell’IRPEF, IRAP e IVA.
A seguito di tale decisione che ha annullato l’avviso di accertamento relativamente all’IRPEF ed all’IRAP (quanto all’IVA già in primo grado il ricorso dell’ O. srl aveva ottenuto la giusta rideterminazione dell’IVA in €.12.320 in luogo dei €.80.495 ritenuti dall’Agenzia) nessun danno è ravvisabile a carico dell’attrice, quale conseguenza dell’inadempimento della convenuta.
Tale evento consente di integrare e completare le già esposte ragioni, esposte nella sentenza, relative ai deficit di allegazione e prova del danno, di cui soffrono gli atti introduttivo e difensivi della srl O.
La cui domanda va senza meno rigettata.

-2- Le spese di causa e l’assenza ingiustificata della convenuta in mediazione.
Quanto alle spese di causa è giusto compensarle per due terzi a favore dell’attrice.
Invero da una parte esiste una reciproca soccombenza, determinata quanto alla PDS srl dal contenuto della sentenza parziale che ha accertato il suo inadempimento.
Ragione non secondaria della compensazione è l’assenza della convenuta PDS srl all’incontro di mediazione (vero e proprio); assenza che è valutabile in termini negativi, ritenendosi che abbia escluso qualsiasi possibilità di raggiungere un accordo entrando nel vivo della mediazione alla quale entrambe le parti e quindi anche la convenuta, avevano nel precedente primo incontro davanti al mediatore dichiarato piena disponibilità.
Non avendo partecipato, ingiustificatamente, la convenuta al procedimento di mediazione che pure aveva richiesto, va condannata al versamento all’Erario della somma di €.500,00, a quanto cioè ammonta il contributo unificato dovuto per il giudizio.

P.Q.M. 

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
RIGETTA le domande della O. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore;
CONDANNA, compensate per due terzi le spese di causa, la O. srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento del restante terzo che liquida in favore della PDS srl in complessivi €.8.000,00 per compensi oltre €.300,00 per spese, oltre IVA CAP e spese generali;
CONDANNA la PDS srl al pagamento della somma di €.500,00, pari al contributo unificato dovuto per il giudizio; mandando alla cancelleria, in mancanza di volontario pagamento entro gg.10, per la riscossione coattiva;

Roma lì 30.4.2015

Il Giudice
dott. cons. Massimo Moriconi

(1) DICHIARA la responsabilità contrattuale per colpa non scusabile della PDS srl in persona del suo legale rappresentante pro tempore.
(2) Il fatto e la responsabilità dei responsabili della PDS srl e per essi della società stessa sono provati al di là di ogni ragionevole dubbio.
Giova subito premettere che da tale dato incontrovertibile non deriva automaticamente, e ciò anche per una caduta di valore dell’atto introduttivo, l’accoglimento della domanda di risarcimento dei danni; come sarà ben spiegato infra.
La società attrice narrava di essersi avvalsa per alcuni anni della PDS srl (PDS in breve) per la cura ed assistenza della contabilità della società, la compilazione dei registri contabili nonché per la predisposizione e l’invio telematico delle dichiarazioni da presentare al fisco.
In data 29.7.2008, continuava l’attrice, aveva ricevuto dall’Agenzia delle Entrate l’avviso di accertamento …200942 che sulla base del mancato invio del modello unico 2004 relativo all’esercizio 2003 determinava in via induttiva il reddito della società O. srl e rideterminava le imposte da versare e comminava le sanzioni relative ingiungendo il pagamento della complessiva somma di €.243.572,00
Poiché aveva effettuato regolarmente i pagamenti delle imposte, precisava l’attrice, confidava in un errore dell’Agenzia, invece scopriva che la convenuta, che lo ammetteva, non aveva affatto inviato il modello Unico 2004.
Insieme alle scuse per l’inconveniente, assumeva l’attrice, dalla convenuta era arrivato il suggerimento di presentare istanza di accertamento con adesione all’ufficio delle imposte per cercare di diminuire la somma.
Tale suggerimento, cui l’attrice affermava di aver dato seguito, non sortiva risposta dell’Agenzia che rimaneva ferma sulle sue posizioni. Eguale buco nell’acqua sortiva il ricorso alla commissione tributaria.
La citazione si avviava con inaspettata rapidità alla fine con la richiesta, invero apodittica, del pagamento della somma di €.260.000 a titolo di danni.
La difesa della società convenuta si è sostanzialmente compendiata nel sostenere che l’invio del modello Unico non competeva, per contratto, alla PDS srl.
Invero tale assunto tradiva, con il dire ed il non dire, un certo imbarazzo in cui si trovava la PDS nel sostenerlo.
In particolare mentre la difesa era precisa ed esplicita nel negare che fosse stato previsto e pattuito l’inoltro all’Agenzia delle Entrate delle dichiarazioni dei redditi a carico della PDS, ammetteva chiaramente, sia pure in modo indiretto e non esplicito, che la preparazione e la redazione di tale dichiarazioni rientrava fra le prestazioni dedotte nel contratto rappresentato dal documento (n.1) del 2.1.2002 della convenuta (che mediante….professionisti che forniranno la necessaria consulenza, provvederà, a svolgere attività di assistenza amministrativa e fiscale, nonché la gestione del settore relativo alla consulenza del lavoro..)
La prova del mancato invio all’Agenzia delle Entrate del modello Unico 2004, sulle cui cause si formuleranno infra delle ipotesi, è stata raggiunta in modo pieno e soddisfacente, non solo attraverso un compendio di prove testimoniali provenienti da ambo le parti, tutte nella sostanza convergenti nella conferma della doverosità contrattuale e di fatto usuale, nell’ambio dei rapporti intercorrenti fra le due società, dell’invio da parte della PDS srl e della avvenuta omissione nell’occasione; ma anche mediante l’interpretazione logica di un fondamentale documento, la lettera di risposta della PDS in data 28.10.2008, alla contestazione del mancato invio fattale dalla cliente.
In questa lettera, confezionata prima dell’intervento e dell’assistenza degli avvocati, priva quindi di quella attenzione alle parole che solo un professionista legale conosce e pratica a tutela del suo cliente, la società non scrive ciò che di semplice ed essenziale l’attuale strategia difensiva della PDS farebbe aspettare: NON-ERA-NOSTRO-COMPITO-INVIARLO (il modello Unico).
Eppure alla stregua della attuale difesa non vi può essere alcun dubbio che sarebbe stata proprio quella, a rigor di logica, la risposta più ovvia, necessaria e ragionevole.
Tutt’altro, la lettera è tutta sulle difensive, ma in un altro terreno di gioco.
E così la PDS lamenta di non essere stata informata della ricezione dell’avviso dell’Agenzia immediatamente ‘sì da poter intervenire (?); evoca la possibilità di richiedere un accertamento analitico (?); discetta della comunque inevitabile esposizione della società cliente ad un accertamento di settore considerata la non congruità e non coerenza dei dati esposti in bilancio con gli studi di settore (?).
Infine, la “perla”, sorprendentemente fatta propria anche dalle difese in questa causa.
L’intermediario risponde per le proprie violazioni ed è sottoposto alle specifiche sanzioni di imposta ma le stesse sono diverse rispetto a quelle a carico del contribuente il quale è il solo soggetto di imposta ed il solo referente di fronte all’Erario.
Ragionamento del tutto inconsistente e, per di più, incoerente, nel senso che seppure in astratto possa avere un qualche portato di verità, in questo giudizio trova la porta sbarrata, posto che la PDS viene chiamata in causa per rispondere dei danni (se danni ci sono) causati al cliente dall’inadempimento ai suoi obblighi contrattuali ed in particolare dalla sua condotta negligente e/o imperita per quanto lamentato e testé riscontrato.
E’ ovvio che il rapporto debitore di imposta/fisco e intermediario/fisco è un altro discorso, il quale però, in questa causa, non c’entra niente.
Sulle ragioni del mancato invio.
La prima difesa della convenuta è stata, come visto, perché non pattuito, non era un compito della PDS.
In seguito, ha cambiato traiettoria.
Non sarebbe stata inviata perché il cliente non aveva trasmesso alla PDS una dichiarazione di impegno a trasmettere, unitamente al modello Unico che la PDS aveva trasmesso al cliente per la firma.
Il giudice non crede a tale giustificazione, che in ogni caso sarebbe di poco o nulla rilevante.
In primo luogo perché è poco credibile che fra soggetti privati si instaurino pratiche cervellotiche di vai e vieni (tipiche di altri ambiti) che, comportando l’invio del modulo Unico al cliente, la firma, il rinvio dello stesso dal cliente alla società, l’invio del modulo dalla PDS all’Agenzia, l’invio della dichiarazione di impegno alla PDS da parte della cliente etc.etc., sarebbero servite solo a complicare e non a semplificare i rapporti.
Del resto se l’assunto fosse stato vero la convenuta avrebbe avuto facile gioco a produrre le “dichiarazioni di impegno a trasmettere” firmate dal cliente negli anni precedenti !
Inoltre per l’invio del modello non occorre la firma del cliente.
Ed infine di tale presunto motivo non vi è nessuna menzione nella lettera della PDS supra ricordata.
Ammesso ma non concesso, e per pura ipotesi, concedendo spazio a tale giustificazione, comunque non avrebbe alcuna efficacia.
Vale a dire non giustificherebbe affatto quella che rimarrebbe una pura e semplice negligenza della PDS.
Infatti quand’anche la O. srl avesse tardato a rimandare il modulo, la dichiarazione e quant’altro, sarebbe stato dovere della convenuta interessare il cliente, sollecitarlo e, nel caso estremo, contestargli per iscritto questa grave omissione fonte di ancora più gravi conseguenze.
Ma come detto si tratta di pura ipotesi perché le cose si sono svolte diversamente, di pura e semplice inescusabile omissione da parte della PDS si è trattato.

 

 

 

 

 

 

 

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