sentenze mediazione civile

Tribunale di Roma, ordinanza 16 dicembre 2014

Il Tribunale di Roma, con l’ordinanza in commento, torna a d esprimersi sulla vexata quaestio del rapporto tra consulenza tecnica preventiva ex art. 696 – bis c.p.c. e tentativo di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Inoltre, nella pronuncia in esame, il giudice formula comunque una proposta conciliativa, in applicazione dell’art. 185 – bis c.p.c., pur non trattandosi, come meglio si evidenzierà oltre, di un’ipotesi di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Occorre procedere con ordine.

Il caso di specie può considerarsi paradigmatico.

Nell’ambito di una controversia relativa a responsabilità medica (danna da omessa diagnosi di carcinoma mammario), infatti, da un lato il convenuto, costituitosi in giudizio, ha eccepito l’improcedibilità della domanda in forza del mancato esperimento del tentativo di mediazione; dall’altro, l’attore ha ritenuto detta eccezione priva di fondamento dal momento che risultava già utilizzato, con esito negativo, lo strumento della consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite di cui all’art. 696 – bis c.p.c., a tenore del quale, come è noto, “L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696, ai fini dell’accertamento e della relativa determinazione dei crediti derivanti dalla mancata inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o da fatto illecito. Il giudice procede a norma del terzo comma del medesimo articolo 696. Il consulente, prima di provvedere al deposito della relazione, tenta, ove possibile, la conciliazione delle parti.
Se le parti si sono conciliate, si forma processo verbale della conciliazione.
Il giudice attribuisce con decreto efficacia di titolo esecutivo al processo verbale, ai fini dell’espropriazione e dell’esecuzione in forma specifica e per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.

Il processo verbale è esente dall’imposta di registro.

Se la conciliazione non riesce, ciascuna parte può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito.

Si applicano gli articoli da 191 a 197, in quanto compatibili”.

Ora, la riforma della mediazione civile operata nel 2013, modificando l’art 5, co. 4, D.lgs 28/2010, ha provveduto ad includere nell’elenco dei procedimenti esclusi dall’obbligatorietà della mediazione ante causam la consulenza tecnica finalizzata alla conciliazione di cui sopra, con ciò risolvendo, sul piano del diritto positivo, un contrasto che in precedenza era emerso in giurisprudenza.

Peraltro occorre rilevare che il legislatore, sul punto, non ha fatto altro che aderire a quello che era l’orientamento già prevalente tanto in dottrina quanto in giurisprudenza[1], del resto agevolmente spiegabile sul piano della logica interpretativa, ove si consideri sia la finalità almeno in parte comune che la consulenza di cui all’art. 696 – bis c.p.c. presenta rispetto alla mediazione civile, sia, soprattutto, la sua indubitabile natura di mezzo di istruzione preventiva, vale a dire intrinsecamente cautelare.

Nell’ordinanza in commento, posta l’”alternatività” degli strumenti in parola, si perviene alla conclusione – condivisibile ad avviso di chi scrive – per la quale “…una volta esperito l’accertamento tecnico preventivo anche per la conciliazione della lite non sarebbe necessario instaurare la procedura di mediazione nemmeno nelle materie per le quali ne è prevista l’obbligatorietà ai fini della procedibilità dell’azione di merito”.

Al netto delle valutazioni che precedono, però, analizzando la normativa vigente, il Tribunale osserva come non risulti possibile estendere al giudizio di merito la summenzionata esclusione.

Ciò, secondo il Giudice, non soltanto per il fatto che la mediazione è esclusa dalla legge, in tema di consulenza tecnica preventiva ex art. 696 – bis c.p.c., da una disposizione, quale l’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010 che presenta oggettivamente tutti i caratteri propri della tassatività, ma anche e soprattutto sulla base del fatto che “…il rischio di duplicazione di una attività conciliativa in contrasto con i principi di ragionevole durata del procedimento si paleserebbe recessivo rispetto all’evidente e più grave elusione della condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1 – bis, Dlgs 28/2010”.

In conclusione, quindi, essendo stata proposta la domanda giudiziale senza il previo esperimento della mediazione, riguardando la causa una delle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, secondo il giudice va accolta l’eccezione di improcedibilità fatta valere dalla parte convenuta.

Contestualmente, però, il giudice formula una proposta ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., prevedendo peraltro che, ove non pervengano ad una accordo conciliativo, le parti rendano esplicite le proprie ragioni, naturalmente con esclusivo riferimento alla proposta giudiziale.

Si tratta di un’opzione che si fonda, evidentemente, sull’assunto per cui la proposta giudiziale ex art. 185 – bis sia cumulabile con la mediazione indipendentemente dalla circostanza che quest’ultima sia delegata dal giudice, ai sensi del secondo comma dell’art 5 del D.lgs 28/2010, quindi in base ad una valutazione da parte del giudice circa la “mediabilità” della lite[2], ovvero che essa sia disposta dal giudice in conseguenza del fatto che le parti, tenute ad esperirla ex lege, in effetti abbiano omesso di operare in tal senso, rendendo la domanda improcedibile.

Dunque, riassumendo:

La domanda giudiziale relativa ad una controversia rientrante nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010 è improcedibile, per omessa mediazione, anche nell’ipotesi in cui sia stata precedentemente intrapresa, con esito negativo, la strada prevista dall’art. 696 – bis c.p.c.

L’esclusione dell’esperimento della mediazione rispetto all’istanza di consulenza tecnica preventiva finalizzata alla conciliazione della causa deve essere interpretata restrittivamente, non potendosi, quindi, estendere al giudizio di merito, per il quale, come appena ricordato, devono applicarsi le regole previste in generale dalla legge sulla mediazione.

Il fatto che la domanda venga dichiarata improcedibile e che, per l’effetto, le parti vengano inviate in mediazione ai sensi dell’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010 non impedisce affatto al Tribunale di formulare contestualmente una proposta, transattiva o conciliativa, ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., data la cumulabilità, ormai pacifica in giurisprudenza, tra detta proposta giudiziale ed il tentativo di conciliazione da esperire presso un organismo territorialmente competente.

[1] Cfr., ex multis, per la chiarezza e l’esaustività dell’apparato motivazionale, Trib. Varese, sez. I, decr. 24 luglio 2012, in cui si afferma che “…l’ambito dell’articolo 696-bis Cpc è escluso dall’obbligatorietà della mediazione sancita dall’articolo 5 comma I d.lgs. 28/2010 per almeno tre diverse ragioni. In primo luogo, l’istituto, almeno secondo l’indirizzo delle Sezioni Unite civili della Cassazione, conserva natura “cautelare formale” e trova quindi applicazione l’esclusione ex lege prevista dall’articolo 5, comma terzo, del decreto. Inoltre, in adesione ai puntuali rilievi della dottrina, l’istituto disciplinato dall’articolo 696 bis Cpc non introduce, a norma dell’articolo 2 del decreto legislativo 28/2010, «una controversia in materia di diritti disponibili» e, dunque, non trova applicazione l’articolo 5, comma 1, del medesimo decreto (mediazione obbligatoria) in ragione dell’articolo 2, comma 1, del decreto («chiunque può accedere alla mediazione per la conciliazione di una controversia civile e commerciale vertente su diritti disponibili»). In ogni caso, la consulenza tecnica preventiva, pur non avendo “sostanziale” carattere cautelare, conserva una relazione di accessorietà rispetto all’eventuale futuro giudizio di merito, posto che se la conciliazione non riesce, «ciascuna delle parti può chiedere che la relazione depositata dal consulente sia acquisita agli atti del successivo giudizio di merito» (articolo 696-bis, comma quinto, Cpc). Incidendo, pertanto, sui tempi di definizione dell’eventuale futuro giudizio di merito, se ne deve quantomeno riconoscere il carattere “urgente”, in adesione alla collocazione formale dell’istituto nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva, pur là dove non si voglia attibuire alla Ctu preventiva la natura “cautelare formale”, proposta dalle Sezioni unite civili. Ne discende l’esclusione dell’articolo 5, comma 1, d.lgs. 28/2010 in ragione della deroga di cui al successivo terzo comma della medesima disposizione. Sul piano squisitamente logico-giuridico, non può poi, comunque, non segnalarsi l’aporia del “mediare per chiedere di mediare” posto che con il ricorso ex articolo 696-bis Cpc la parte non chiede la distribuzione di torti e ragioni ma di sperimentare un tentativo di risoluzione della lite con modalità alternative”.

[2] Va rilevato come, finora, la proposta ex art. 185 – bis c.p.c. è stata più volte cumulata con la mediazione demandata dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010. Può considerarsi paradigmatica, in tal senso, l’ordinanza 24 ottobre 2013 del Trib. Di Roma, XIII sez., “capostipite” di molti altri provvedimenti analoghi, nella quale  il giudice capitolino, formulata la proposta e assegnato un congruo termine per la valutazione della medesima, dispone che “…dalla eventuale infruttuosa scadenza del suddetto termine, decorrerà quello ulteriore di gg. 15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche dal punto di vista economico e fiscale della controversia in atto. Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo  le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni a riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai fini degli artt. 91 e 96 III° cpc”. In altri casi, la cumulabilità tra i due istituti è stata affermata “in due tempi”, disponendo cioè la mediazione ex art. 5, co. 2, a seguito della mancata accettazione di una delle parti della proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice (cfr., ad es., Tib. Milano, sez. spec. in materia di impresa, ordinanza 11 novembre 2013). Ma sempre di mediazione delegata si trattava, e non di omessa attivazione della mediazione ante causam come nel caso in commento.

La responsabilità del mediatore durante il primo incontro – Salvatore Primiceri

La giurisprudenza più recente ha più volte ricordato come il primo incontro di mediazione debba essere effettivo. Un equivoco di interpretazione a prima lettura delle norme, aveva fatto ritenere che le parti potessero manifestare una sorta di “volontà di adesione” preliminarmente al procedimento di mediazione, evitando così non solo di entrare in mediazione ma anche di pagare le indennità previste in base al valore della controversia.

Tale interpretazione era stata avallata da buona parte degli avvocati di parte, i quali vedevano nel cosiddetto “incontro programmatico” la possibilità di ridurre a mera formalità procedurale il passaggio in mediazione prima di avviare la causa giudiziaria.

Anche numerosi operatori del mondo della mediazione avevano inizialmente accetato tale “linea morbida” in quanto “scottati” dalla sentenza della Consulta del 2012 che aveva bocciato per eccesso di delega la vecchia formulazione del d.lgs 28/2010 sulla mediazione obbligatoria.

I giudici di più tribunali hanno, però, ormai univocamente determinato che il primo incontro deve avere tutte le caratteristiche di una mediazione vera e propria, quindi devono essere presenti le parti e i loro avvocati. Non solo. I giudici indicano che già in sede di primo incontro debba essere svolta ampia discussione sulla controversia e che sia il mediatore, a valutare, al termine della discussione, se sia possibile procedere col tentativo di mediazione. Le parti e i rispettivi avvocati, quindi, non devono manifestare alcuna volontà in merito.

Sulla questione rimando alle ottime analisi giuridiche di Luigi Majoli. Ciò che invece mi preme valutare in questa sede è il ruolo del mediatore nell’indagare la possibilità di procedere con la mediazione, in relazione da un lato alla questione delle indennità, dall’altro alla sua responsabilità morale verso le parti.

La giurisprudenza, infatti, nello specificare le modalità di svolgimento del primo incontro, parla di effettività ma nulla dice intorno alle indennità. In sostanza la scelta di far pagare le indennità alle parti sin dal primo incontro oppure solo nel momento in cui, dopo ampia discussione, il mediatore e le parti abbiano condiviso l’effettiva possibilità che valga la pena proseguire nel tentativo, è lasciata alla discrezionalità e alla valutazione di opportunità degli organismi e dei mediatori stessi.

L’inserimento di una regola in questo senso nei regolamenti degli organismi può non risolvere del tutto la questione. Se è legittimo, quindi, ritenere che “il primo incontro di fatto non esista”, non è detto che non sia opportuno suddividere la mediazione in due momenti.

Infatti il problema attiene maggiormente alla valutazione soggettiva del mediatore più che alla scelta imprenditoriale di un organismo.

Mi spiego meglio. Capita spesso che l’elemento economico (pagare o meno l’indennità) risulti la discriminante che blocca sul nascere una procedura di mediazione. Mi è capitato spesso, infatti, di aver convinto le parti a sedersi al tavolo e discutere del loro problema utilizzando la formula rassicurante “facciamo che proviamo a parlare della questione con serenità ma non vi faccio pagare nulla finché non capiremo insieme tutti i problemi e la loro effettiva possibilità di risoluzione attraverso la mediazione”. A questo aggiungo la rassicurazione sul mio dovere di riservatezza.

Prima di avviarmi su un percorso di questo tipo dovrò aver già svolto una serie di valutazioni tra le quali:

  • Una delle parti, o entrambe, hanno paura solo dell’aspetto economico e di perdere così soldi preziosi in quanto i rapporti sono molto deteriorati o stagnanti da lungo tempo da non far prevedere soluzioni né facili né positive.
  • Le parti possono recuperare una comunicabilità tra loro se poste di fronte e aiutate dal mediatore, ma hanno paura soprattutto perché non hanno disponibilità economiche.
  • Le parti sono persone fisiche lacerate da problemi personali ma lasciano intravedere buona fede. Non si tratta quindi di questioni meramente tecniche che coinvolgono persone giuridiche.
  • La parte invitata non si presenta al primo incontro ma la parte istante (o il mediatore stesso) crede che non si sia presentata per via di una mancata conoscenza della mediazione e dell’eventuale costo, ma che con un po’ di informazione possa cambiare idea.

In casi come questi è opportuno che il mediatore prenda contatti, anche anticipatamente al primo incontro, con la parte che giudica più reticente, solitamente la parte invitata.

Il mediatore spiega o incontra le parti anche singolarmente nei giorni che precedono la mediazione e spiega loro come funziona l’istituto. Fornisce ampie rassicurazioni e ragguagli su tutti i vantaggi della mediazione. Egli rassicura che questi incontri informali sono coperti dal dovere di riservatezza e che nulla gli è dovuto.

Tale procedimento potrà essere recuperato anche in una fase successiva al primo incontro, qualora una parte non si sia presentata. A quel punto è opportuno un rinvio per far sì che il mediatore raccolga tutte le informazioni per capire se la parte abbia avuto impedimenti di tipo formale, quale la paura di pagare subito l’indennità.

Il mediatore esplora e si mette in gioco ma, soprattutto, mette al primo posto la sua “mission” ovvero fare di tutto affinché le parti si incontrino, parlino e, possibilmente, spianino la strada verso un insperato accordo.

La responsabilità del mediatore, nel fare questo è etico-morale. Si tratta di dare massima dignità alla professione. Il mediatore affronta e risolve tali situazioni con spiccate doti di pazienza e capacità comunicativa, le quali si convertiranno in fiducia delle parti nei suoi confronti.

Una volta che le parti confidano il conflitto nelle autorevoli e sapienti mani del mediatore, la soluzione è ormai vicina. A quel punto tutte saranno concordi che la mediazione possa proseguire e che possano scattare anche le indennità.

Il mediatore quindi investe il suo tempo (un primo incontro può durare anche ore) per guadagnarsi fiducia e portare le parti ad un livello di comunicabilità reciproca tale da non riuscirsi più a sottrarre al circolo virtuoso messo in atto dalla mediazione.

Qualcuno potrebbe obiettare che se il primo incontro non andasse a buon fine, il mediatore avrebbe perso così un sacco di tempo e anche soldi. Il mediatore etico-morale, però, non avrà problemi ad accettare la sconfitta, ha adempiuto al meglio il suo dovere, ma guai ad aver lasciato indietro qualcosa di intentato.

La valutazione se far prevalere il criterio di utilità personale (il guadagno nel più breve tempo possibile=chiedo subito indennità) o il criterio etico morale (investo tempo col rischio che tutto si risolva in nulla=faccio pagare solo in un secondo momento quando la mediazione prosegue ormai in modo pacifico) attiene alla valutazione soggettiva del singolo caso che il mediatore si trova di fronte.

Il vero mediatore, quando intravede anche una minima e lontana possibilità che le parti possano provare a risolvere il loro problema con la mediazione, allora non deve tirarsi indietro. Egli deve utilizzare tutte le tecniche di comunicazione apprese nei corsi professionali e attraverso l’esperienza. Egli ha quindi una forte responsabilità.

Il filosofo Jeremy Bentham diceva che bisogna fare ciò che è più utile a noi stessi se questo ci porta alla felicità. Sta a noi, quindi, scegliere se ci rende più felici un guadagno facile ed un accordo non raggiunto piuttosto che un guadagno “posticipato” ma rassicurato dalla piena volontà delle parti e dalla consapevolezza di aver davvero svolto al meglio il proprio lavoro. Il bene delle persone non ha prezzo.

Salvatore Primiceri

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Mediazione-obbligatoria

Tribunale di Firenze, ordinanza 26 novembre 2014

Effettività del tentativo e partecipazione personale delle parti in tutti i casi di mediazione obbligatoria.

Commento:

Il Tribunale di Firenze, con una ordinanza del 26 novembre scorso, ribadisce che la mediazione obbligatoria deve essere “effettiva” e caratterizzata dalla partecipazione personale delle parti.

Ciò conformemente alla giurisprudenza propria di quell’ufficio giudiziario, sviluppatasi a partire dalle ben note ordd. 17 e 19 marzo 2014, ed in seguito costantemente perseguita, orientamento che, peraltro, ha incontrato sempre più ampi spazi di condivisione presso innumerevoli altri Giudici.

La pronuncia in commento appare di particolare interesse in quanto i ricordati principi vengono ribaditi con riferimento alla mediazione ante causam e non alla “delegata”  ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, come invece avvenuto in (quasi) tutti i casi precedentemente riscontrabili.

Nel caso di specie si trattava, infatti, di una controversia in materia di usucapione – quindi assoggettata al regime dell’obbligatorietà della mediazione – approdata alla sede giudiziale, nella quale l’attore aveva allegato il verbale di mancata conciliazione – evidentemente al solo fine della soddisfazione della condizione di procedibilità della domanda – dal quale, però, emergeva che dinanzi al mediatore, in sede di primo incontro, era presente solo un avvocato (con delega da parte del collega che avrebbe poi effettivamente svolto le difese della parte in giudizio).

Si tratta di modalità inconciliabili, secondo l’orientamento “fiorentino” con la logica e con le finalità della mediazione civile.

La giurisprudenza richiamata, come è noto, prese le mosse, nel marzo scorso, da tutta una serie di riflessioni circa la mediazione disposta dal giudice, da intendersi come tentativo effettivamente avviato, nel quale, cioè, le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.

L’ordinanza 19 marzo 2014 del Giudice fiorentino, in particolare, pur muovendo dalla premessa di una difficile individuazione del confine tra la fase preliminare e la mediazione vera e propria, osservava, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, come “…ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione, (…) possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile”.

D’altra parte, non può esservi dubbio che la natura della mediazione richiede che all’incontro siano presenti (anche e soprattutto le parti): l’istituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che risulti possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore.

Pertanto, l’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiono i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come può desumersi dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1 – bis, e dell’art. 8, D.lgs 28/2010, che prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento di mediazione con l’assistenza degli avvocati, il che, chiaramente, implica la presenza degli assistiti (personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore).

Peraltro, i giudici fiorentini non avevano mancato di rilevare come il fatto che la condizione di procedibilità si consideri avverata con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore appaia poi “…particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione” (cfr. ord. 19 marzo 2014, cit.).

Ora, detti principi (effettività del tentativo e partecipazione personale delle parti alla procedura) possono estendersi sic et simpliciter alle ipotesi di cui all’art. 5. co. 1 – bis, vale a dire ai casi, ben più frequenti nella pratica, di mediazione instaurata dalla parte interessata in quanto ex lege condizione di procedibilità della domanda giudiziale?

Secondo i giudici del capoluogo toscano a tale quesito va data risposta affermativa.

Nella ordinanza 26 novembre 2014 si evidenzia, a tale proposito, che certamente nelle ipotesi di mediazione delegata è il giudice a valutare nel caso concreto i margini di “mediabilità” della controversia, mentre nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, detta valutazione risulta già operata in astratto dal legislatore, sulla base della tipologia delle controversie. Tale differenza, però, “…non incide minimamente sulla natura della mediazione e quindi non appare rilevante per ritenere che la condizione di procedibilità possa ritenersi assolta con un mero incontro ‘preliminare’ in cui le parti dichiarano la mancanza di volontà di svolgere la mediazione”.

D’altronde, giova ricordare che su cosa debba intendersi per “mediazione” non possono sussistere dubbi, in ragione della definizione fornitaci dall’art. 1, co. 1, lett. a) del medesimo D.lgs 28/2010, secondo cui si tratta della “l’attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa”.

Secondo il Giudice fiorentino, pertanto, non si vede perchè le stesse considerazioni in ordine alla partecipazione personale delle parti al procedimento e soprattutto alla effettività del tentativo non debbano valere anche (ed a maggior ragione) laddove l’esperimento della mediazione condiziona la procedibilità della domanda giudiziale ab initio.

L’assimilazione in parola, peraltro, era stata già prospettata da tempo, anche se non con diretto riferimento ad un caso di mediazione ante causam, dal medesimo ufficio giudiziario che, nell’ordinanza 17 marzo 2014, già aveva avuto modo di osservare come debba ritenersi che “…le procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lgs. 28/10 (e succ. mod.), sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previsti a pena di improcedibilità dell’azione; che difatti, per espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva”.

In sostanza, dunque, il Tribunale di Firenze individua le ragioni della “impossibilità di iniziare la procedura”, di cui all’art. 8, co. 1, nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, chiarendo come non sia previsto in alcun modo che le parti manifestino una sorta di volontà di partecipazione al tentativo di mediazione effettivamente inteso.

Nel caso di specie, dunque, alla luce delle considerazioni che precedono, si ordina alle parti di espletare nuovamente la mediazione, dal momento che il Giudice non ritiene possibile un’applicazione in via analogica delle “…norme che nel processo consentono alla parte di farsi rappresentare dal difensore o le norme sulla rappresentanza negli atti negoziali”, dovendosi tenere in debito conto la natura personalissima, e pertanto non delegabile, delle attività proprie del procedimento di mediazione.

Una conferma, dunque, ma anche un cospicuo passo avanti, ove si consideri che effettivamente i principi di effettività della mediazione e di partecipazione personale delle parti (salvo beninteso ipotesi eccezionali, valutate caso per caso dal giudice, in cui la mancata presenza personale della parte possa ritenersi giustificata) appaiono estensibili a tutte le ipotesi di mediazione “obbligatoria”, dato che il legislatore non ha inteso configurare modelli procedimentali differenti in funzione del fatto che la mediazione consegua alla (necessaria) iniziativa della parte che intenda proporre una domanda nelle materie di cui all’art. 5. co 1 – bis, ovvero che sia demandata, in primo grado o in appello, dal giudice ex art. 5, co. 2.

Peraltro, va infine ricordato come il principio dell’effettività del tentativo di mediazione fosse comunque già stato affermato in giurisprudenza con riferimento ad una ipotesi di mediazione ex lege, depositata, cioè, ai sensi dell’art. 5, co. 1- bis, D.lgs 28/2010, precisamente dal Tribunale di Rimini con ordinanza 16 luglio 2014.

Nel caso di specie, il Giudice, rilevata la mera formalità del tentativo di mediazione avviato ante causam dalla parte attrice del giudizio, esauritosi nella semplice presenza delle parti in sede di primo incontro all’unico scopo di manifestare una asserita “non volontà” di intraprendere il tentativo conciliativo, aveva disposto, esattamente come nel caso oggi in commento, lo svolgimento di un tentativo effettivo pena l’improcedibilità della domanda giudiziale.

Il Tribunale romagnolo, dunque, aveva anch’esso inteso sottolineare come il carattere dell’”effettività” debba necessariamente contraddistinguere la mediazione tout court, indipendentemente dal fatto che il tentativo sia disposto dal giudice.

Sviluppi forse discutibili sotto molteplici aspetti, ma certamente molto interessanti, non c’è che dire.

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Testo integrale 

R.G. 6277/2014 T
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Seconda sezione CIVILE

VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. 6277/2014

tra

M.C.

ATTORE

e P.A.P, A. P. e G. P.

CONVENUTI

Oggi 26 novembre 2014, innanzi al dott. Luciana Breggia, sono comparsi:
Per M. C. l’avv. R.C. in sostituzione dell’avv. F. P. e l’avv. D. M. ;
Per P. A. P, A. P e G P., l’avv. F. R. in sostituzione dell’avv. L. L.,
E’ altresì presente ai fini della pratica forense il dott. T. M. I difensori si riportano agli scritti difensivi. Chiedono termini per le memorie ex art. 183 cpc.
Il giudice discute con le parti la questione relativa alla procedibilità della domanda dal momento che la mediazione, obbligatoria in questo caso, non risulta correttamente svolta, essendo presente non la parte di persona, ma un sostituto del difensore di quest’ultima.
All’esito della discussione con i difensori e alla luce della natura della causa, osserva quanto segue.
1. La causa in esame rientra tra quelle per cui è prevista la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione ai sensi dell’art. 5, comma 1 bis, del D.lgs 28/2010, trattandosi di domanda di usucapione (diritti reali).
Nel caso di specie, la parte attrice ha prodotto un verbale del 12/02/2013 relativo all’incontro con il mediatore da cui risulta la presenza di un difensore in sostituzione dell’avvocato Di Rocco, che difende l’attore in giudizio, e non la presenza della parte di persona. Per la parte invitata nessuno è comparso.
2. Il Giudice ritiene che, per ritenere avverata la condizione di procedibilità, anche nei casi di cui all’art.5, co. 1 bis, cit., devono essere osservati due importanti profili:
I. la mediazione deve svolgersi con la presenza personale delle parti;
II. Deve essere esperita effettivamente la mediazione.
3. A tale conclusione si giunge in base ad un’interpretazione teleologica delle norme che vengono in campo, già affermata in precedenti ordinanze del Giudice, e in particolare, nell’ordinanza del 19/3/2014, r.g. 5210/2010 . In tale provvedimento, si argomentava nel modo seguente, con riferimento alla mediazione demandata dal Giudice:
<< L’art. 5, comma 5 bis d.lgs. n. 28/2010, dispone: ”Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”.
L’art. 8 , in tema di ‘ procedimento’, dispone :”1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”.
Come si vede le due norme sono formulate in modo ambiguo: nell’art. 8 sembra che il primo incontro sia destinato solo alle informazioni date dal mediatore e a verificare la volontà di iniziare la mediazione. Tuttavia, nell’art. 5, comma 5 bis, si parla di “primo incontro concluso senza l’accordo”. Sembra dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vera e propria: non avrebbe molto senso parlare di ‘mancato accordo’ se il primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria.
A parte le difficoltà di individuare con precisione scientifica il confine tra la fase cd preliminare e la mediazione vera e propria (difficoltà ben nota a chi ha pratica della mediazione), data la non felice formulazione della norma, appare necessario ricostruire la regola avendo presente lo scopo della disciplina, anche alla luce del contesto europeo in cui si inserisce (direttiva 2008/52/CE)
In tale prospettiva, ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione (chiarimenti per i quali i regolamenti degli organismi prevedono tutti un tempo molto limitato), possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile.
Si specificano di seguito i motivi:
A. i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’ informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa.
B. la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma 1-bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’ ‘assistenza degli avvocati’, e questo implica la presenza degli assistiti.
C. ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un’ inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori.
Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione.
D. L’informazione sulle finalità della mediazione e le modalità di svolgimento ben possono in realtà essere rapidamente assicurate in altro modo: 1. dall’informativa che i difensori hanno l’obbligo di fornire ex art. 4 cit., come si è detto; 2. dalla possibilità di sessioni informative presso luoghi adeguati (v. direttiva europea) e, per quanto concerne il Tribunale di Firenze, presso l’URP (v. articolo 11 del protocollo Progetto Nausicaa2 ) e da ultimo, sempre nell’ambito di tale Progetto, presso l’ufficio di orientamento gestito dal Laboratorio Unaltromodo dell’Università di Firenze al piano V, stanza 9 del Palazzo di Giustizia;
E. L’ipotesi che la condizione si verifichi con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore per le informazioni appare particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione. Come si vede dunque, sono previsti plurimi livelli informativi e non è pensabile che il processo venga momentaneamente interrotto per un’ulteriore informazione anziché per un serio tentativo di risolvere il conflitto.
F. Da ultimo, può ricordarsi che l’art. 5 della direttiva europea citata distingue le ipotesi in cui il giudice invia le parti in mediazione rispetto all’invio per una semplice sessione informativa: un ulteriore motivo per ritenere che nella mediazione disposta dal giudice, viene chiesto alle parti (e ai difensori) di esperire la mediazione e cioè l’attività svolta dal terzo imparziale finalizzata ad assistere due o più soggetti nella ricerca di un accordo amichevole (secondo la definizione data dall’art. 1 del d.lgs. n. 28/2010) e non di acquisire una mera informazione e di rendere al mediatore una dichiarazione sulla volontà o meno di iniziare la procedura mediativa>>.
4. Per la mediazione demandata dal giudice è particolarmente evidente la necessità che la mediazione sia effettivamente esperita (per i motivi indicati alla lettera E del provvedimento riportato); tuttavia, anche per quella che precede il giudizio, è necessario giungere alla medesima conclusione.
E’ vero che nella mediazione demandata il giudice ha già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ in concreto del conflitto, mentre la mediazione che precede il giudizio è imposta dal legislatore sulla base di una valutazione di mediabilità in astratto, in base alla tipologia delle controversie.
Tale differenza, però, non incide minimamente sulla natura della mediazione e quindi non appare rilevante per ritenere che la condizione di procedibilità possa ritenersi svolta con un mero incontro “preliminare” in cui le parti dichiarano la mancanza di volontà di svolgere la mediazione. Anche per la mediazione preprocessuale vale quanto già rilevato circa l’esistenza di informazioni che precedono l’incontro in mediazione già fornite alla parte dal difensore o tramite il difensore; inoltre anche per la mediazione preprocessuale, ciò che l’art.5, co. 1 bis, impone è la mediazione e non una sessione informativa.
Va sottolineato che l’art.8, quando prevede che “Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento”, fa riferimento alla possibilità di iniziare il procedimento (con riferimento a eventuali situazioni preliminari che possano ostacolare l’esperimento di mediazione) e non alla volontà delle parti di proseguire, (in tal senso, si sono espressi anche numerosi giudici di merito: Trib. Firenze, sez. specializzata imprese, ord. 17/3/2014 e ord. 18/3/2014, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, ord., 30.06.2014, in www.101mediatori.it; Trib. Bologna, ord., 5.6.2014 in www.adrmaeremma.it; Trib. Rimini, ord. 16 luglio 2014).
In particolare il tribunale di Palermo (ord. 16.7.2014) ha approfondito il nodo interpretativo posto dall’art. 5, c. 2 bis del d. lgs. 28/2010, che sembra richiamare espressamente <<il primo incontro >> di cui all’art. 8 c. 1 cit.. Il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilità, che la mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro. Il tribunale sottolinea, tuttavia, che ben potrebbe il giudice richiedere che in questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivo. La disposizione normativa in questione, secondo il giudice, se diversamente interpretata, rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa, perché ognuno dei partecipanti sarebbe titolare di un diritto potestativo alla chiusura del procedimento. Secondo tale giudice, pertanto, il mediatore deve verificare la possibilità di iniziare la procedura con riferimento a impedimenti particolari (autorizzazioni e simili) e non alla volontà delle parti.
Le argomentazioni riportate valgono anche per la mediazione obbligatoria che precede il giudizio e non solo per la mediazione demandata dal giudice.
5. Se dunque, il legislatore impone lo svolgimento di una mediazione effettiva anche per la mediazione di cui all’art. 5, co. 1 bis, è necessario che le parti siano presenti di persona (v. sopra punto B).
Nella mediazione è fondamentale, infatti, la percezione delle emozioni nei conflitti e lo sviluppo di rapporti empatici ed è pertanto indispensabile un contatto diretto tra il mediatore e le persone parti del conflitto. Il mediatore deve comprendere quali siano i bisogni, gli interessi, i sentimenti dei soggetti coinvolti, e questi sono profili che le parti possono e debbono mostrare con immediatezza, senza il filtro dei difensori (che comunque assistono la parte).
D’altronde, il principale significato della mediazione è proprio il riconoscimento della capacità delle persone di diventare autrici del percorso di soluzione dei conflitti che le attraversano e la restituzione della parola alle parti per una nuova centratura della giustizia, rispetto ad una cultura che le considera ‘poco capaci’ e, magari a fini protettivi, le pone ai margini.
Il giudice ritiene, per questi motivi, che non sia possibile applicare analogicamente le norme che, ‘nel processo’, consentono alla parte di farsi rappresentare dal difensore o le norme sulla rappresentanza negli atti negoziali. La mediazione può dar luogo ad un negozio o ad una transazione, ma l’attività che porta all’accordo ha natura personalissima e non è delegabile (il giudice, naturalmente, valuterà caso per caso se la mancata presenza personale sia giustificata).
6. Alla luce delle considerazioni che precedono, il giudice ritiene che anche per la mediazione obbligatoria da svolgersi prima del giudizio ex art. 5, co. 1 bis d.lgs.n. 28/2010, è necessario che le parti compaiano personalmente (assistite dai propri difensori come previsto dall’art. 8 d.lgs. n. 28/2010) e che la mediazione sia effettivamente avviata.
7. Nel caso in esame, nel procedimento di mediazione non è comparsa la parte attrice, ma un sostituto del difensore di quest’ultima.
Pertanto, occorre rilevare d’ufficio il mancato avveramento della condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 5 c.1 bis cit. e assegnare alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Oltretutto può rilevarsi che nel caso in esame appare particolarmente adeguato il ricorso a soluzioni amichevoli della medesima in quanto l’interresse della parte attrice potrebbe contemperarsi con quello della parte convenuta, come emerso anche dalla discussione orale, se si considera la vicenda relativa al preliminare di vendita del 2000, con cui la figlia dell’attore si impegnava ad acquistare i terreni di cui si tratta.
La causa va, quindi, rinviata all’udienza sotto indicata ex art 183 cpc.

P.Q.M.

Rilevata l’improcedibilità della domanda ex art. 5, comma 1 bis, d.lgs 28/2010;
dispone
l’esperimento della mediazione ex art.5, co.1 bis, D. lgs. 28/2010 e assegna termine alle parti di quindici giorni per depositare la domanda di mediazione dinanzi a un organismo scelto dalle parti, avuto riguardo ai criteri dell’art. 4, I comma del d.lgs. 28/2010, salva la facoltà delle parti di scegliere concordemente un organismo avente sede in luogo diverso da quello indicato nell’art. 4 citato;
fissa
nuova udienza ex art. 183 cpc per il giorno 29/4/2015 ore 9.30 all’esito della procedura di mediazione;
precisa
che per “mediazione” si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti – anziché limitarsi ad incontrarsi e informarsi, non aderendo poi alla proposta del mediatore di procedere – adempiano effettivamente partecipando alla vera e propria procedura di mediazione,
precisa
che le parti dovranno essere presenti dinanzi al mediatore personalmente e munite di assistenza legale di un avvocato iscritto all’Albo.
Invita
Le parti a comunicare preventivamente al Giudice l’eventuale esito positivo della mediazione per favorire l’organizzazione del ruolo.
Il Giudice
Luciana Breggia

adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Mediazione civile e processo sommario di cognizione ex art. 702 – bis c.p.c.

Con le presenti note si intende tornare – a fronte di una questione (in apparenza) mai completamente definita in termini espliciti dal legislatore – sul complesso di ragioni che ci porta a ritenere che, con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, anche ove la domanda giudiziale sia proposta nelle forme del processo sommario di cognizione ex artt. 702 – bis e ss. c.p.c., l’esperimento del tentativo di conciliazione si ponga come condizione di procedibilità.

Come è noto, il problema emerse, sotto la vigenza del testo originario del D.lgs 28/2010, allorchè una sentenza di merito (Trib. Firenze, sent. 22 maggio 2012)   stabilì che il rinvio dell’udienza allo scopo di consentire lo svolgimento della procedura di mediazione, non esperita ante causam, fosse incompatibile con la natura “concentrata” e “rapida” (per l’appunto, sommaria) del processo sommario di cognizione.

Il Giudice, premesso “…che il procedimento sommario di cognizione previsto dall’art 702 bis e 702 ter c.p.c., pur non delineando un procedimento d’urgenza o caute1are nondimeno prevede un procedimento dove viene massimizzata la velocità della trattazione e della decisione della controversia, con evidente premialità per il ricorrente che riesca a manifestare con forte evidenza le ragioni che militano a favore del proprio diritto…”, osserva che l’art. 5, co. 4 del decreto sulla mediazione prevede: “i commi 1 e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.

Da ciò, secondo il Tribunale, discende che “…tale disposizione ben possa essere analogicamente applicata al caso del processo sommario di cognizione per l’ipotesi in cui, non potendosi procedere nelle forme previste dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. per la complessità istruttoria contenutistica della controversia, sia necessario convertire il processo nel rito ordinario di cognizione, nel qual caso, evidentemente dovrà procedersi secondo quanto previsto dal primo comma dell’art. 5D.Lgs 28/2010”.

In sintesi: il processo sommario di cognizione, essendo funzionale agli effetti propri del giudicato, non ha certo natura cautelare, ma mira comunque a velocizzare la trattazione/decisione della controversia, con palese intento premiale per il ricorrente; l’art, 5, co. 4, D.lgs 28/2010 prevede la non applicabilità della mediazione obbligatoria al procedimento di ingiunzione, anch’esso non cautelare, inclusa l’opposizione; di conseguenza, per analogia risulterebbe plausibile l’estensione dell’eccezione relativa al procedimento ingiuntivo, al rito sommario di cognizione (ove, naturalmente, non venga disposta, ai sensi dell’art. 703 – ter c.p.c.,  la transizione al processo ordinario di cognizione con fissazione dell’udienza ex art. 183 c.p.c.).

Non sembra che una impostazione siffatta possa convincere.

Ciò non tanto per ragioni funzionali, quali l’aggiramento della mediazione mediante la proposizione ad arte della domanda nelle forme dell’art. 702 – bis c.p.c. (un tale intento potrebbe essere depotenziato, almeno in parte, dal giudice tramite il passaggio al rito ordinario, con conseguente ritorno della condizione di procedibilità rappresentata dalla mediazione stessa), quanto per ragioni di tenore letterale e di logica interpretativa, che portano a ritenere che ove il legislatore, a fortiori in quanto autore di un intervento a riforma di quanto in precedenza disposto, avesse inteso sottrarre all’ambito di operatività della mediazione obbligatoria il processo sommario di cognizione, ebbene lo avrebbe fatto in termini espliciti.

L’intervento del legislatore a seguito del c.d. Decreto del fare sembrerebbe, invece, riaffermare l’applicabilità del tentativo obbligatorio di mediazione alla tipologia processuale in parola, che continua a non essere menzionata tra quelle escluse.

Ora, come è noto, l’art. 14 disp. prel. cod. civ. dispone che “…le leggi…che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati”.

Ciò posto, appare difficilmente confutabile il fatto che l’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, abbia carattere eccezionale, avendo la funzione di derogare a quanto previsto, in via generale, dal co. 1- bis del medesimo articolo 5. Pertanto, l’elenco contenuto dal co. 4 deve considerarsi tassativo, con la conseguenza che solo nei procedimenti ivi menzionati il tentativo di mediazione non dovrà essere intrapreso pur vertendosi sulle materie di cui all’art. 5 co. 1- bis.

Pertanto, la condizione di procedibilità non opera:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

e) nei procedimenti in camera di consiglio;

f) nell’azione civile esercitata nel processo penale.

Del processo sommario di cognizione non si faceva menzione prima della riforma e continua a non farsi menzione dopo la stessa.

Né sembra potersi applicare, come invece proposto dalla giurisprudenza di merito summenzionata, l’analogia, dal momento che l’art. 12 delle preleggi presuppone, in generale, che a tale criterio possa ricorrersi solo in presenza di una lacuna da colmare, vale a dire di un vuoto normativo che nell’ipotesi in esame non sussiste. Semplicemente il legislatore non ha inteso, manifestamente, ricomprendere il processo sommario di cognizione tra le ipotesi procedimentali escluse, con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, dall’obbligatorietà del tentativo di mediazione.

D’altra parte, detta scelta del legislatore appare non solo chiara, ma anche condivisibile.

Il processo sommario introdotto nel codice di procedura civile con la riforma del 2009, infatti, è un rito in cui la cognizione sommaria, conseguenza di una scelta attorea, può trasformarsi in cognizione piena qualora il giudice adito non ritenga la  causa, per la complessità della controversia e delle difese proposte, compatibile con una trattazione per l’appunto sommaria (il cui svolgimento – come si sa – è mutuato dall’art. 669 – sexies – relativo al procedimento cautelare uniforme), ordinando, dunque, il mutamento di rito con la fissazione dell’udienza di cui all’art. 183.

Non si vede, perciò, come possano scorgersi analogie con il procedimento di ingiunzione (o con quello per convalida di licenza o sfratto), in cui i provvedimenti relativi alla fase sommaria vengono adottati inaudita altera parte e gli stessi sono suscettibili ad acquisire definitività per effetto dell’inerzia dell’ingiunto o dell’intimato. Infatti, in dette ipotesi, il legislatore ha optato a favore dello spostamento dell’obbligo di procedere al tentativo di mediazione ad un momento successivo rispetto alla fase sommaria (e, soprattutto, successivo alla decisione sui provvedimenti provvisori in merito alla concessione dell’efficacia esecutiva al decreto ingiuntivo opposto od all’emissione dell’ordinanza di rilascio dell’immobile con riserva delle eccezioni del convenuto).

Nel processo sommario di cognizione, invece, non si fa altro che agire in giudizio puntando sul fatto che la (asserita) “semplicità” della controversia consentirà al giudice di deciderla con modalità sommaria, eventualità, peraltro, meramente prospettata dall’attore ma della quale, ovviamente, non vi è alcuna certezza ab initio, ben potendo, come detto, il giudice essere di diverso avviso.

Con riferimento alle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, il legislatore precisa che la domanda è condizionata, nella sua procedibilità, dall’esperimento del tentativo di mediazione presso un organismo territorialmente competente, senza nulla specificare, in ultima analisi, circa la forma della domanda stessa, ferme restando, beninteso, le sole eccezioni tassativamente precisate nel successivo co. 4.

Alla luce delle considerazioni che precedono non si vede, pertanto, su quali basi possa predicarsi l’esclusione dell’esperimento della procedura di mediazione, in ordine alle materie in cui la stessa è prevista alla stregua di condizione di procedibilità della domanda giudiziale, per la sola circostanza che, nel caso concreto, la stessa sia proposta nelle forme di cui all’art. 702 – bis c.p.c.

Per contattare l’Ufficio Studi di ADR Intesa: formazione@adrintesa.it

mediazione obbligatoria conciliazione

Tribunale di Roma, sez. XIII, sentenza 27 novembre 2014

Mediazione delegata: tutte le domande che caratterizzano il giudizio sono soggette a mediazione

Commento:

Il Tribunale di Roma, sez. XIII civ., ha pronunciato – il 27 novembre scorso – una interessante sentenza, che di seguito si riporta, importante in quanto affronta la dibattuta questione della mediazione demandata dal giudice in presenza di domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.

Il messaggio – all’esito di una motivazione certamente apprezzabile per la sua esaustività – suona forte e chiaro: nella mediazione delegata, dato che la condizione di procedibilità prescinde dalla materia oggetto di lite, tutte le domande, dell’attore, del convenuto e di eventuali terzi intervenuti, debbono essere portate dinanzi al mediatore, con la conseguenza che, ove il thema della mediazione venga ad essere limitato ad una parte soltanto dell’ambito oggettivo della controversia, l’improcedibilità andrà a colpire tutte le domande.

Nella causa in esame, a fronte della domanda attorea (restituzione somme versate, per prestazioni professionali, a tre avvocati dei quali gli attuali attori erano al tempo dei fatti clienti) uno dei convenuti spiegava domanda riconvenzionale (per attività difensive asseritamente svolte e non retribuite).

In tale contesto, nel novembre 2013 il giudice formulava una proposta ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., stabilendo il periodo entro il quale le parti avrebbero potuto riflettere sui contenuti della stessa (28 febbraio 2014), fissando peraltro ex ante, come da consolidata giurisprudenza della sezione, il termine di 15 gg. per l’espletamento, in caso di mancato accoglimento della proposta, della mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, presso un organismo territorialmente competente.

All’udienza del 22 settembre 2014 veniva eccepita dai convenuti l’improcedibilità delle domande degli attori per  inottemperanza nei confronti dell’ordine del giudice di introdurre la domanda di mediazione. Risultava infatti, dal verbale redatto dal mediatore, come effettivamente fosse stata avanzata domanda di mediazione da parte dell’avvocato XXX, convenuto, mentre nessuna istanza di mediazione fosse stata depositata a propria volta dagli attori.

Secondo la pronuncia in esame, “…i problemi che vanno affrontati e risolti sono i seguenti:

a)se, al fine  di  renderla  procedibile, vada  proposta una  domanda  di  mediazione dal soggetto  che  ha  avanzato  domanda  riconvenzionale  in  una  materia rientrante fra quelle  di  cui al  comma  1  bis  dell’art.5  del  decr. lgsl. 28/10 e  quindi  prevista  quale condizione di procedibilità, allorché nessuna altra delle domande avanzate dalle altre parti rientri in tali materie, e quali conseguenze scaturiscano dalla  mancata proposizione della domanda di mediazione;

b)se, ove non richiesta congiuntamente, nel caso in cui sia la domanda dell’attore che quella riconvenzionale del convenuto afferiscano alle materie di cui al comma 1 bis del decr. lgsl. 28/10, mediazione obbligatoria, la richiesta di mediazione vada proposta non solo dall’attore, ma  anche dalla parte che ha proposto la domanda riconvenzionale. O, per contro, se la introduzione da parte di una qualsiasi delle parti, attore o convenuto in riconvenzionale, della procedura di mediazione sia sufficiente a ritenere realizzata positivamente per tutte le parti la condizione di procedibilità (la fattispecie in esame riguarda il primo caso con riferimento a mediazione demandata dal giudice)

c)quali siano gli oneri relativi alla proposizione della richiesta di mediazione in capo all’attore ed in capo al convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, in caso di mediazione demandata dal giudice ai sensi del secondo comma dell’art. 5 del decr. lgsl. 28/10”.

Muovendo da tali premesse, nella sentenza si afferma, in primo luogo “…per il momento accantonando il contesto della mediazione demandata dal giudice, e senza che possano residuare ragionevoli dubbi, che laddove la domanda dell’attore non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1° bis, mentre lo sia quella riconvenzionale del convenuto per avere ad oggetto una delle materie fra quelle indicate nella norma suddetta, costituisce ineludibile onere di quest’ultimo proporre rituale e tempestiva istanza di mediazione al fine di rendere procedibile la sua domanda riconvenzionale.

In mancanza, la domanda riconvenzionale (ed essa sola, attingendo esclusivamente tale domanda alle materie di cui al comma 1 bis dell’art.5) va dichiarata improcedibile”.

D’altra parte, la domanda riconvenzionale è cosa ben diversa dalle eccezioni che a vario titolo possono essere sollevate dal convenuto, dal momento che queste ultime non hanno vita propria, risultando intrinsecamente collegate alle domande di parte avversa cui mirano ad opporsi. La domanda riconvenzionale, invece, contiene la richiesta di una pronuncia che ha per oggetto un bene della vita che la parte richiede al giudice.

Essa, pertanto, è idonea a supportare un’autonoma causa e come tale, ove previsto o ordinato dal giudice, è soggetta alle regole di procedibilità previste dall’art. 5 D.lgs 28/2010, che si riferiscono ad ogni domanda giudiziale, da qualsiasi parte provenga, purchè sia tale e non mera eccezione.

Per quanto concerne il punto b. la situazione è più ardua.

Da un lato, infatti, si potrebbe ritenere che una volta che l’attore abbia introdotto la procedura di mediazione, ciò valga a ritenere realizzata la condizione di procedibilità per tutte le domande, ivi comprese le eventuali riconvenzionali, e che eguale effetto produca l’introduzione della domanda di mediazione da parte del solo convenuto in relazione alla propria riconvenzionale. Si tratta di una interpretazione che semplifica, in quanto la mediazione potrebbe ritenersi espletata, e la condizione di procedibilità soddisfatta, purché tutte le parti vi abbiano, nei modi di legge, partecipato.

Dall’altro, potrebbe invece opinarsi che ciascuna delle parti titolari di un diritto azionato sotto forma di domanda vera e propria, come lo è la domanda riconvenzionale, sia onerata al fine di realizzare la condizione di procedibilità (che sussiste ratione materiae nei casi di cui all’art. 5, co. 1 –  bis, ovvero nel caso di mediazione demandata dal giudice a prescindere dalla materia e riferibile a tutte le parti e domande, senza distinzione) di proporre, ove non congiunta, istanza di mediazione, salva la opportuna riunione delle procedure di mediazione a cura dell’organismo preventivamente compulsato.

Tale impostazione, evidentemente più farraginosa, secondo il provvedimento in parola non può essere accolta, dovendosi quindi privilegiare, nel silenzio del legislatore, la prima ricostruzione, muovendo peraltro, a tal fine, da alcune fondamentali premesse.

Il Tribunale, infatti, richiama l’art. 4, D.lgs 28/2010, osservando come tale disposizione preveda nel primo comma, che “…la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza”, e nel secondo comma, che “… l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”.

Risulta agevole comprendere perchè il legislatore imponga l’indicazione dell’oggetto e delle ragioni della pretesa: ai fini dell’individuazione esatta del petitum e della causa petendi.

Quindi, senza che l’istanza di mediazione debba essere una surrettizia trasposizione dei contenuti della domanda introduttiva del giudizio, dovrà comunque sussistere “…corrispondenza fra il contenuto della controversia che si porta in mediazione e la domanda con la quale si introduce la mediazione di tale controversia”, tale corrispondenza dovrà “…essere valutata con una certa ampia latitudine (nel senso che non è opportuno pretendere una perfetta geometrica corrispondenza proprio per la ricordata informalità della procedura di mediazione)” e, infine, “…la corrispondenza deve essere riferita ai fatti più che alla loro definizione giuridica”.

Ai fini della soddisfazione della condizione di procedibilità la corrispondenza in parola dovrà necessariamente sussistere.

D’altronde, la legge impone che la mediazione si svolga fra le parti su ciò che è il reale oggetto del loro contendere, altrimenti ne deriverebbe una mediazione fuori asse rispetto alla controversia, e quindi verosimilmente inefficace perché non calibrata sull’oggetto ed sulle ragioni effettive del conflitto.

La stessa legge, peraltro, “...individuando materie per le quali la mediazione è obbligatoria o autorizzando il giudice ad incanalare la controversia nella procedura di mediazione, impulso assistito dalla stessa sanzione di improcedibilità per l’inosservanza, presuppone necessariamente la necessità della positiva verifica di tale corrispondenza al fine di affermare l’avvenuta realizzazione della condizione.
Infine è stesso esito, che non può che auspicarsi, nello spirito della legge, positivo, con l’accordo delle parti, che induce a ritenere necessario o quanto meno utile, che i soggetti convocati debbano avere preventivamente e chiaramente esplicitato l’oggetto della procedura di mediazione alla quale sono invitati a partecipare
”.

Su queste basi, nella fattispecie in commento, potrebbe sostenersi che la mediazione non si sia affatto svolta sulle sole domande degli attori, e che, viceversa, la riconvenzionale proposta da uno dei convenuti sia perfettamente procedibile avendo  quest’ultimo introdotto una procedura di mediazione il cui oggetto (riscontrabile tramite il verbale) risultava espressamente limitato al petitum della riconvenzionale stessa.

Ma ragionando in questi termini non si terrebbe conto del fatto che, in piena armonia con il dettato dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, l’ordinanza con la quale il Giudice formulava la proposta prevedendo al tempo stesso, per l’ipotesi di mancato accoglimento della stessa, il ricorso alla mediazione delegata, ordinava la devoluzione in mediazione dell’intera controversia.

Ne consegue, evidentemente, che “…al fine di soddisfare al tempo stesso l’ordine del giudice e la previsione di procedibilità condizionata all’adempimento a tale ordine, era necessario che le parti congiuntamente o una qualsiasi delle parti attivassero una procedura di mediazione su tutta la controversia in modo che tutte le questioni dedotte sia con le domande principali e sia con quella riconvenzionale potessero trovare ingresso, confronto e discussione davanti al mediatore”.

Emerge dunque una sostanziale differenza tra mediazione ante causam, in cui è necessario, in presenza di più domande, procedere all’esame di quali fra esse riguardino le materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010, e mediazione delegata ai sensi del secondo comma dell’art. 5 medesimo, che involge tutta la controversia e tutte le domande avanzate dalle parti (attore, convenuto, terzi).

Nel caso di specie, “…l’avvocato convento ha equivocato in modo riduttivo la portata, perspicua, dell’ordinanza, introducendo una mediazione limitata alla sola sua domanda riconvenzionale di pagamento dei compensi professionali.
Gli attori non hanno promosso, dal loro canto, alcuna procedura di mediazione che allargasse il tema dell’incontro al contenuto delle loro domande, né risulta dal verbale del mediatore che ciò sia stato fatto, pur senza una domanda autonoma e separata, nel corso dell’incontro di mediazione
”.

In sostanza, dunque, appare evidente che, a prescindere dalla natura della mediazione, essa deve sempre e comunque avere ad oggetto l’intera controversia insorta tra le parti, dal momento che non avrebbe alcun senso postulare una qualche possibilità di accordo conciliativo laddove si ammettesse che determinate domande possano essere lasciate fuori dal tavolo di discussione, riguardando il procedimento solo alcune delle questioni controverse.

Alla stregua delle considerazioni che precedono appaiono altresì chiare le conseguenze di un eventuale errore nell’instaurazione del procedimento dinanzi all’organismo di mediazione.

Osserva infatti la sentenza in esame come “...nella mediazione obbligatoria per talune soltanto delle domande (ad esempio perché la sola domanda riconvenzionale attinge a materie di cui all’art.5 co. 1 bis) l’aver proposto incompiutamente la domanda di mediazione, confinandola alla sola trattazione di tale riconvenzionale, condanna all’improcedibilità solo tale domanda, non propagandosi il vizio alle domande degli attori che soggette non vi siano.
Nel caso della mediazione demandata dal giudice la situazione è diversa.
In questo caso, nel quale la condizione di procedibilità prescinde dalla materia, tutte le domande, indifferentemente, quelle degli attori, quelle dei convenuti e quelle dei terzi, sono soggette a mediazione, e in questo caso aver confinato l’oggetto della mediazione ad una parte soltanto della controversia (il che equivale ad avere introdotto, violando in difetto la disposizione impartita dal giudice, una mediazione monca), comporta che l’improcedibilità si propaga a tutte le domande
”.

Nel contesto dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, quindi, al fine di evitare quest’ultima conseguenza, è necessario che almeno una delle parti proponga un’istanza di mediazione rituale e compiuta, ossia tale da riferirsi alla controversia nella sua interezza.

Proprio ciò che non si è verificato nella controversia in esame.

Infatti, la mediazione introdotta da uno dei convenuti aveva ad oggetto unicamente la sua domanda riconvenzionale, non avendo, d’alta parte, nessuno dei restanti soggetti processuali depositato a sua volta un’istanza che involgesse l’intera controversia, con la conseguenza che “…l’ordine del giudice non è stato ritualmente ottemperato e che la mediazione è stata inefficacemente introdotta e svolta”.

Ne consegue, pertanto, ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, l’improcedibilità di tutte le domande, sia quelle degli attori sia quella riconvenzionale del convenuto.

Testo integrale:

TRIBUNALE di ROMA SEZIONE Sez.XIII°
n. RG. 43423-11 + 43425-11 + 43427-11 riunite
REPUBBLICA ITALIANA
Il Giudice dott. cons. Massimo Moriconi
nella causa
tra
A,B,C ,D,E (avv.to xxxx)
attori
E
Avvocati 1,2 e 3 (avv.to yyyy)
convenuti

ha emesso e pubblicato, ai sensi dell’art.281 sexies cpc, alla pubblica udienza del 27.11.2014 dando lettura del dispositivo e della presente motivazione, facente parte integrale del verbale di udienza, la seguente

S E N T E N Z A

SINTESI:
1.Anche la domanda riconvenzionale del convenuto, in quanto idonea a supportare un’autonoma controversia, è soggetta a condizione di procedibilità, se afferente alle materie di cui al comma 1° bis decr.lgsl.28/10 ovvero nella mediazione demandata dal giudice
2.La domanda di mediazione, da chiunque proposta, deve avere ad oggetto l’intera controversia, come evincibile dalla/e domanda/e di mediazione o dal contenuto del verbale di mediazione
3.L’improcedibilità nella mediazione obbligatoria attinge solo a quelle domande, introduttive dell’attore o del convenuto in riconvenzionale, che afferiscano alle materie di cui al comma 1° bis decr.lgsl.28/10
4.L’improcedibilità nella mediazione demandata attinge a tutte le domande, introduttive dell’attore o del convenuto in riconvenzionale, laddove non rispettata la regola sub 2

letti gli atti e le istanze delle parti,
osserva:
-1-
Gli attori, eredi di GP investita da un’automobile e poi deceduta il 2.9.2007, conferivano mandato agli avvocati 1, 2 e 3 di assisterli e rappresentarli nella richiesta di risarcimento dei danni derivati dalla morte del familiare.
Secondo quanto asserito dagli attori l’avvocato 2 convocava presso il suo studio Del. (cioé la dante causa di A,B e C), D ed E informandoli che l’assicurazione L. aveva inviato tre assegni di €.190.000 per ciascuno dei tre eredi e che ognuno degli assegni era comprensivo degli onorari per i tre avvocati pari ad €.30.000 ciascuno.
Gli ignari clienti, così espongono gli attori, adempivano non avendo neppure visto la lettera dell’assicurazione, peraltro senza ricevere fattura alcuna dei pagamenti.
Successivamente gli stessi avvocati 1 e 3 iniziavano presso il tribunale di Roma una causa per la differenza ritenuta ancora dovuta, controversia che veniva transatta, con la ricezione delle ulteriori somme indicate in citazione.
Agli avvocati 1, 2 e 3 venivano corrisposti gli onorari (€.20.000 ciascuno) direttamente dalla L.
Gli stessi avvocati, così lamentavano gli attori, richiedevano infine ulteriori €.100.446 come da parcella inviata loro.
Sostenendo quindi di essere stati oggetto di una truffa gli attori richiedevano nei confronti degli avvocati convenuti la restituzione della somma di €.30.000 X 3 oltre al risarcimento dei danni.
Ben diversa era la ricostruzione dei fatti articolata dai convenuti, secondo i quali:
a. l’avvocato 2 era il vero dominus della situazione (l’affiancamento a sé degli altri avvocati evoca strategie connesse ai rapporti con le assicurazioni ed alla più conveniente trattazione economica delle pratiche e degli onorari);
b. il solo avvocato 2 consegnava i tre assegni di €.190.000 concordando liberamente con i clienti il pagamento di €.30.000 per ciascuna delle tre pratiche; il tutto nell’ambito di percentuali normali per gli importi capitali di cui trattasi;
c. l’avvocato 2, anche dopo l’inizio della causa di cui non era patrono, essendolo gli altri due suoi colleghi, continuava a coltivare le trattative stragiudiziali con la compagnia assicuratrice che in effetti si concludevano positivamente con l’abbandono della causa;
d. la parcella di €.100.446 lungi da rappresentare una ulteriore richiesta di onorari era solo la dimostrazione pratica dell’entità del lavoro svolto ed il valore dell’attività difensiva;
e. con la transazione finale, accettata dai clienti, ai tre avvocati pervenivano da parte dell’assicurazione ulteriori €.60.000.
L’avvocato 3 inoltre spiegava domande riconvenzionali con le quali:
1. chiedeva, nei confronti di tutti gli attori, la somma di €.14.889 per l’attività difensiva svolta a favore di Del, D ed E nell’ambito del procedimento penale aperto a seguito dell’omicidio colposo di G.P. presso la Procura della Repubblica di Roma, come indagini difensive, colloqui, partecipazione alla consulenza affidata al medico legale dal PM etc..
2. chiedeva, nei confronti di Del. e per essa deceduta, nei confronti di A,B e C quali suoi eredi, il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nella cura di un ricorso per separazione personale dei coniugi;
3. chiedeva nei confronti di B il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nell’assistenza stragiudiziale in una questione di risoluzione di un contratto di locazione;
4. chiedeva nei confronti di B il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nell’assistenza stragiudiziale in una questione commerciale relativa alla risoluzione di un contratto di forniture di beni mobili;
5. chiedeva nei confronti di A il pagamento dell’onorario per l’attività difensiva consistita nell’assistenza stragiudiziale in una questione relativa al diritto di visita della figlia nei confronti della madre.
In caso di condanna chiedeva inoltre di essere manlevato dall’avv.2
Con ordinanza del 25.11.2013 il giudice formulava, oltre ad una proposta ex art.185 bis cpc , l’avvio di un esperimento di mediazione ai sensi del novellato art.5 co.II° del decr.lgsl.28/10.
Il senso della proposta era che la percezione della somma di €.20.000 da parte dell’avv.2 dall’assicurazione a seguito di transazione di una causa per la quale, a differenza degli altri due avvocati convenuti non aveva ricevuto procura ed alla quale non aveva partecipato, non appariva suffragata da alcun ragionevole titolo, avendo peraltro il predetto professionista ricevuto già, per la fase stragiudiziale, €.30.000 da parte dell’assicurazione.
E pertanto la proposta, non accogliendo (come rendeva edotta la frase a titolo non restitutorio) la prospettazione attorea consistente della richiesta di restituzione della somma cioè €.30.000 X 3 (comunque dovuta ai tre difensori in ragione del beneficio economico ad essi procurato), invitava l’avvocato 2 a corrispondere agli attori la somma percepita senza titolo (€.20.000) non condividendosi la non provata causale addotta per tale percezione dal medesimo.
Quanto alla domanda riconvenzionale, l’unica che si ritiene ammissibile nei confronti degli attori quella sub n.1 che precede, sulla base degli atti si ritenuto che la somma di €.3.700 fosse del tutto satisfattiva della prestazione stragiudiziale svolta, dalla quale esulano le più rilevanti attività penalistiche proprie dell’avvocato non essendovi stata neppure assistenza a dibattimenti o udienze davanti al GIP e non presentando la fattispecie alcuna caratteristica di specialità.
Preliminare però ad ogni altra indagine e valutazione di merito, è la verifica relativa alla procedibilità delle domande (degli attori e riconvenzionale dell’avv.3).
-2-
Nel provvedimento oltre ad un proposta del giudice formulata ai sensi dell’art.185 bis, in caso di non raggiungimento dell’accordo veniva concesso un termine fino al 28.2.2014 per depositare presso un organismo di mediazione la relativa domanda
All’udienza del 22.9.2014 veniva eccepita dai convenuti l’improcedibilità delle domande degli attori per inottemperanza dell’invito del giudice di introdurre la domanda di mediazione.
Invero risulta che sia stata avanzata domanda di mediazione da parte dell’avvocato 3, mentre nessuna istanza di mediazione è stata depositata dagli attori.
Il verbale di mediazione del 14.3.2014 è del seguente tenore:
Organismo di Mediazione Forense di Roma istanza depositata il 14.3.2014 parte istante avv.3 parti chiamate: A,B,C,D,E,, nonché avv. 1 e 2.
Oggetto della controversia: pagamento compensi professionali e domanda di manleva.
Il mediatore dava atto che erano comparsi: l’avvocato yyyy anche quale procuratore speciale della parte istante munito di procura speciale che deposita e tutte le parti chiamate, non avvocati, assistite dall’avv.xxxx.
Il mediatore informava le parti in ordine alle modalità alle regole ed alle finalità della procedura di mediazione. L’avv. yyyy produceva altresì due email trasmesse dai colleghi che assistono gli avv.ti 2 e 3 nelle quali risulta che il primo tramite l’avvocato B. non è interessato alla procedura mentre il secondo tramite l’avvocato C. pur avendo ricevuto la convocazione non è comparso. IL mediatore procede all’audizione congiunta all’esito della quale anche in ragione dell’assenza delle altre due parti lo stesso mediatore dichiara chiusa la procedura di mediazione per mancato accordo.
-3.1.-
I problemi che vanno affrontati e risolti sono i seguenti:
a. se, al fine di renderla procedibile, vada proposta una domanda di mediazione dal soggetto che ha avanzato domanda riconvenzionale in una materia rientrante fra quelle di cui al comma 1 bis dell’art.5 del decr.lgsl.28/10 e quindi prevista quale condizione di procedibilità, allorché nessuna altra delle domande avanzate dalle altre parti rientri in tali materie, e quali conseguenze scaturiscano dalla della mancata proposizione della domanda di mediazione;
b. se, ove non richiesta congiuntamente, nel caso in cui sia la domanda dell’attore che quella riconvenzionale del convenuto afferiscano alle materie di cui al comma 1 bis del decr.lgsl.28/10, mediazione obbligatoria, la richiesta di mediazione vada proposta non solo dall’attore, ma anche dalla parte che ha proposto la domanda riconvenzionale. O, per contro, se la introduzione da parte di una qualsiasi delle parti, attore o convenuto in riconvenzionale, della procedura di mediazione sia sufficiente a ritenere realizzata positivamente per tutte le parti la condizione di procedibilità (la fattispecie in esame riguarda il primo caso con riferimento a mediazione demandata dal giudice)
c. quali siano gli oneri relativi alla proposizione della richiesta di mediazione in capo all’attore ed in capo al convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, in caso di mediazione demandata dal giudice ai sensi del secondo comma dell’art. 5 del decr.lgsl.28/10.
Chi scrive ha già preso in esame, parzialmente, taluna delle questioni che precedono con un’ordinanza che interveniva in una controversia di locazione (materia nella quale il previo esperimento della mediazione era già nel testo di legge iniziale previsto come obbligatorio), dichiarando la necessità, per la procedibilità della domanda riconvenzionale dell’intimato nella fase ordinaria successiva a quella sommaria, dell’esperimento della procedura di mediazione non attivata dal locatore attore.
Quella che segue è la motivazione dell’ordinanza del 2012.
Le domande riguardanti materie soggette a mediazione obbligatoria sono sottoposte alla disciplina per tale procedimento prevista quale che sia la parte proponente e la fase del giudizio nella quale la domanda viene introdotta.
Più specificamente, nulla (se non imperfezioni di tecnica legislativa) autorizza a ritenere il contrario.
La legge non distingue fra domanda dell’attore e domanda riconvenzionale del convenuto (o del terzo).
L’art. 5 del decr.lgsl. 28/2010 prevede infatti che “chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa ad ….. e’ tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ….”
La domanda giudiziale, quella dell’attore, come pure quella del convenuto (o del terzo) in via riconvenzionale, si qualifica come tale e ciò è sufficiente, ove avente ad oggetto una delle materie di cui al primo comma dell’art. 5 del decr.lgsl 28/11, a ritenerla soggetta alla disciplina della mediazione obbligatoria.
Non è sufficiente prova in contrario il richiamo, che si legge nell’art. 5, al convenuto, quale soggetto che può eccepire, ferma restando la pari potestà del giudice, in limine litis, il mancato esperimento del procedimento di mediazione.
Ciò in quanto non è la collocazione della parte (sul fronte dell’attore o in quello del convenuto) a decidere se la mediazione è obbligatoria, ma il contenuto della domanda giudiziale, domanda che come è noto può essere dispiegata sia dall’attore e sia, in via riconvenzionale, dalle altre parti del giudizio (convenuto e terzo chiamato).
La imprecisione dell’espressione convenuto del resto si ricava anche da altri indizi rilevatori come ad esempio la inadeguatezza del termine a regolare le fattispecie di opposizione a decreto ingiuntivo.
Evidente esigenza di garanzia di pari diritti per ogni parte processuale impone una interpretazione, costituzionalmente orientata, della norma che riduca a mera imperfezione tecnica il predetto riferimento, in modo tale da assicurare che ogni domanda giudiziale in subiecta materia, quale che sia la parte che la propone, debba essere preceduta da tentativo di mediazione.
L’eventuale improcedibilità in questo caso sarà riferita non all’intero giudizio ma solo a quella parte di esso relativa alla domanda carente per omessa mediazione.
-3.2.-
Tale giurisprudenza merita di essere, alla luce dell’esperienza fin qui maturata, precisata ed integrata, nel senso di chiarire meglio, con adeguata motivazione, le soluzioni che si ritengono giuste ed appropriate al contesto normativo.
Va quindi affermato in primo luogo e per il momento accantonando il contesto della mediazione demandata dal giudice, e senza che possano residuare ragionevoli dubbi, che laddove la domanda dell’attore non sia soggetta a mediazione obbligatoria ex art. 5 comma 1° bis, mentre lo sia quella riconvenzionale del convenuto per avere ad oggetto una delle materie fra quelle indicate nella norma suddetta, costituisce ineludibile onere di quest’ultimo proporre rituale e tempestiva istanza di mediazione al fine di rendere procedibile la sua domanda riconvenzionale.
In mancanza, la domanda riconvenzionale (ed essa sola, attingendo esclusivamente tale domanda alle materie di cui al comma 1 bis dell’art.5) va dichiarata improcedibile
Va ricordato che la domanda riconvenzionale è cosa ben diversa dalle eccezioni, variamente qualificate che possono essere sollevate dal convenuto. Queste ultime non hanno vita propria, possono al contrario vivere solo all’interno della causa ed in relazione alle domande avversarie alle quali si oppongono.
Ben altra cosa la domanda riconvenzionale la quale, come dimostra il prosieguo questa causa, può essere dispiegata anche autonomamente altrove, in un altro procedimento, anche assumendo se del caso forma e veste di domanda attorea.
La domanda riconvenzionale contiene la richiesta di una pronuncia che ha per oggetto un bene della vita (in senso lato) che la parte richiede al giudice.
Essa è idonea a supportare un’autonoma causa e controversia e come tale, ove previsto o ordinato dal giudice, è soggetta alle regole di procedibilità previste dall’art. 5 decr.lgsl.28/10.
Come conferma testualmente il secondo periodo del comma 1 bis dell’art. 5 l.cit. allorché prevedendo che l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale riferisce tale sanzione alla DOMANDA giudiziale.
Da qualsiasi parte provenga, purché sia un vera e propria domanda (non eccezione o altro).
Più complesso è rispondere al quesito sub B.
Il problema che in questo caso si pone può essere valutato in vari modi.
Si potrebbe ritenere che una volta che l’attore abbia introdotto la procedura di mediazione, ciò valga a ritenere realizzata la condizione di procedibilità per tutte le domande sia essa quella dell’attore, sia quella riconvenzionale del convenuto.
E che eguale effetto produca l’introduzione della domanda di mediazione da parte del solo convenuto in riconvenzionale.
Interpretazione che ha l’indubbio vantaggio di semplificare, in un contesto nel quale il legislatore è rimasto silente, lo svolgimento della procedura di mediazione, che potrebbe in tale modo ritenersi espletata, e la condizione di procedibilità soddisfatta, purché tutte le parti vi abbiano, nei modi di legge, partecipato.
Altra e diversa ipotesi è quella di ritenere che ciascuna delle parti titolari di un diritto azionato sotto forma di domanda vera e propria (non di eccezione, non di eccezione riconvenzionale), come lo è la domanda riconvenzionale, sia onerata al fine di realizzare la condizione di procedibilità (che sussiste ratione materiae nei casi di cui all’art.1 bis cit. ovvero nel caso di mediazione demandata dal giudice a prescindere dalla materia e riferibile a tutte le parti e domande, senza distinzione) di proporre, ove non congiunta, istanza di mediazione, salva la opportuna riunione delle procedure di mediazione a cura dell’organismo preventivamente compulsato.
Questa seconda tesi risulta all’evidenza più farraginosa e non merita di essere accolta.
Ed in effetti si può evitare di ritenerla percorribile ma a determinate condizioni.
In sintesi che nel caso in cui sia la domanda dell’attore che quella del convenuto in riconvenzionale abbiano ad oggetto le materie di cui all’art.5 coma 1 bis del decr.lgsl.28/20, così come nel caso di impulso del giudice ai sensi del secondo comma di tale articolo (mediazione demandata) almeno una delle parti abbia introdotto una valida e completa domanda di mediazione.
Per comprendere meglio il significato di ciò che si è affermato, occorre fare un passo indietro e precisamente riandare all’art.4 del decreto lgs.28/10.
Tale norma prevede al primo comma che
la domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito dell’istanza.
Ed al secondo comma, che specificamente interessa, che
l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa
Qual’è la ragione per cui la domanda che introduce il procedimento di mediazione deve indicare, come dice la legge, l’oggetto …della pretesa ?
La risposta è agevole e intuitiva.
E riguarda la necessità della individuazione della causa petendi e del petitum.
Non vi è il proposito, che sarebbe errato e fuori luogo vista la informalità che ispira la procedura di mediazione, di procedimentarla a guisa di una surrettizia imitazione o trasposizione in essa di regole che attengono al contenzioso giudiziario ed alla procedura civile.
Deve piuttosto contenerlo perché se viene proposta, ad esempio, una domanda con la quale si richiede il ristoro dei danni a seguito di una caduta causata da una sconnessione del marciapiede, non si può ritenere soddisfatta la condizione di procedibilità prevista per la domanda relativa al risarcimento per un investimento ad opera di un veicolo.
In altre parole, se è condivisibile predicare che:
a. deve esistere corrispondenza fra il contenuto della controversia che si porta in mediazione e la domanda con la quale si introduce la mediazione di tale controversia,
b. e che tale corrispondenza debba essere valutata con una certa ampia latitudine (nel senso che non è opportuno pretendere una perfetta geometrica corrispondenza proprio per la ricordata informalità della procedura di mediazione), e infine
c. che la corrispondenza deve essere riferita ai fatti più che alla loro definizione giuridica,
non può essere revocato in dubbio che la condizione di procedibilità potrà ritenersi rimossa solo dove tale corrispondenza nella sostanza, sussista.
La ragione di tale necessaria corrispondenza è intuitiva.
La legge impone che la mediazione si svolga fra le parti su ciò che è il reale concreto oggetto del loro contendere, altrimenti sarebbe una mediazione sfasata, monca, disassata rispetto alla controversia. E quindi probabilmente inefficace perché non attingerebbe all’oggetto ed alle ragioni effettive del conflitto.
La stessa legge individuando materie per le quali la mediazione è obbligatoria o autorizzando il giudice ad incanalare la controversia nella procedura di mediazione, impulso assistito dalla stessa sanzione di improcedibilità per l’inosservanza, presuppone necessariamente la necessità della positiva verifica di tale corrispondenza al fine di affermare l’avvenuta realizzazione della condizione.
Infine è stesso esito, che non può che auspicarsi, nello spirito della legge, positivo, con l’accordo delle parti, che induce a ritenere necessario o quanto meno utile, che i soggetti convocati debbano avere preventivamente e chiaramente esplicitato l’oggetto della procedura di mediazione alla quale sono invitati a partecipare.
Così stando le cose, potrebbe sostenersi – nel caso in esame- che la mediazione non si sia efficacemente (anzi, e per l’esattezza, che non si sia affatto) svolta sulle sole domande introdotte dagli attori. E che l’inefficacia della mediazione solo ad essa attinga.
E che per contro la domanda riconvenzionale dell’avvocato 3 contro tutti gli attori sia perfettamente procedibile avendo il medesimo introdotto su di essa una procedura di mediazione il cui oggetto è stato così delineato dallo stesso mediatore nel verbale surriportato: Oggetto della controversia: pagamento compensi professionali e domanda di manleva.
Occorre, però, per una disamina più approfondita, partire dall’ordinanza del giudice del 25.11.2013 e fissarne il contenuto in parte qua
Ebbene, non vi possono essere dubbi che l’ordinanza, coerentemente con la dizione dell’art.5 comma secondo del decr.Lgsl.28/10 , ordinava la mediazione dell’intera controversia
Ne consegue che al fine di soddisfare al tempo stesso l’ordine del giudice e la previsione di procedibilità condizionata all’adempimento a tale ordine, era necessario che le parti congiuntamente o una qualsiasi delle parti attivassero una procedura di mediazione su tutta la controversia in modo che tutte le questioni dedotte sia con le domande principali e sia con quella riconvenzionale potessero trovare ingresso, confronto e discussione davanti al mediatore.
Con ciò emergendo una radicale sostanziale differenza fra mediazione obbligatoria (che necessita l’esame di quali domande siano afferenti alle materie di cui all’art.5 comma 1 bis del decr.lgsl.28/10, potendo esserlo solo alcune di esse, e mediazione demandata che involge tutta la controversia e tutte le domande avanzate dalle parti (attore, convenuto, terzi).
In realtà l’avvocato 3 ha equivocato in modo riduttivo la portata, perspicua, dell’ordinanza, introducendo una mediazione limitata alla sola sua domanda riconvenzionale di pagamento dei compensi professionali.
Gli attori non hanno promosso, dal loro canto, alcuna procedura di mediazione che allargasse il tema dell’incontro al contenuto delle loro domande, né risulta dal verbale del mediatore che ciò sia stato fatto, pur senza una domanda autonoma e separata, nel corso dell’incontro del 14.3.2014.
Occorre aver ben chiaro che, quale che sia la tipologia della mediazione, sia essa quella di cui al comma 1 bis dell’art.5 sia quella di cui al successivo secondo comma, essa deve sempre involgere l’intera controversia (sarebbe infatti un non senso postulare una qualche possibilità di successo e di accordo laddove si ammettesse che la procedura di mediazione possa tenere fuori una parte, ad esempio le domande dell’attore, dalla trattativa, in tal modo confinata alle sole domande riconvenzionali del convenuto; e se è cosi – ed è così- è da escludere che la norma possa essere interpretata in questo modo).
Alla stregua di tali considerazioni emerge la diversificazione della mediazione obbligatoria rispetto a quella demandata dal giudice, anche per quanto concerne le conseguenze dell’errore.
Nella mediazione obbligatoria per talune soltanto delle domande (ad esempio perché la sola domanda riconvenzionale attinge a materie di cui all’art.5 co. 1 bis) l’aver proposto incompiutamente la domanda di mediazione, confinandola alla sola trattazione di tale riconvenzionale, condanna all’improcedibilità solo tale domanda, non propagandosi il vizio alle domande degli attori che soggette non vi siano.
Nel caso della mediazione demandata dal giudice la situazione è diversa.
In questo caso, nel quale la condizione di procedibilità prescinde dalla materia, tutte le domande, indifferentemente, quelle degli attori, quelle dei convenuti e quelle dei terzi, sono soggette a mediazione, e in questo caso aver confinato l’oggetto della mediazione ad una parte soltanto della controversia (il che equivale ad avere introdotto, violando in difetto la disposizione impartita dal giudice, una mediazione monca), comporta che l’improcedibilità si propaga a tutte le domande.
In questo contesto, art. 5 secondo comma, per evitare tale conseguenza è necessaria la proposizione da almeno una delle parti di una domanda di mediazione che possa ritenersi, in quanto riferita all’intera controversia ed al contenuto di tutte le domande che la intersecano, rituale e compiuta.
Nel caso in esame, poiché la procedura di mediazione demandata introdotta da uno dei convenuti aveva ad oggetto solo la sua domanda riconvenzionale ed era quindi irrituale per la ragione dianzi spiegata, e poiché nessuna delle altre parti ha introdotto una rituale istanza di mediazione che involgesse l’intera controversia e poiché si verte in tema di mediazione demandata dal giudice in ambito diverso da quello di cui all’art.5 comma 1° bis, deve coerentemente concludersi che l’ordine del giudice non è stato ritualmente ottemperato e che la mediazione è stata inefficacemente introdotta e svolta.
Dalla previsione dell’art. 5 co. II° consegue la improcedibilità di tutte le domande.
Sia quelle degli attori che quella del convenuto.
Vista l’assoluta novità della decisione è giusto compensare per intero fra le parti le spese di causa.

P.Q.M.

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:
1. DICHIARA inammissibili le domande riconvenzionali dell’avv.3 di cui ai numeri 2-5 del punto 1 di cui in motivazione;
2. DA’ ATTO della mancata rituale attivazione della procedura di mediazione demandata che doveva riguardare l’intera controversia e tutte le domande delle parti;
3. DICHIARA improcedibile sia la domanda riconvenzionale di cui al numeri 1 del punto 1 di cui in motivazione dell’avv.3 e sia quelle degli attori;
4. COMPENSA per intero le spese di causa.-
Roma 27.11.2014 Il Giudice
dott.cons.Massimo Moriconi

 

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