sentenze mediazione civile

Tribunale di Monza, I sez. civile, ordinanza 20 ottobre 2014.

Ancora sull’effettività della mediazione delegata dal giudice ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010

Commento:

Ancora una pronuncia nella quale, in tema di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, si evidenziano i principi di effettività del tentativo e di partecipazione personale delle parti all’incontro di mediazione che rappresentano i tratti salienti del c.d. “orientamento fiorentino”, originato dalle ordinanze 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale del capoluogo toscano.

Come è noto, secondo la giurisprudenza citata per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali (di natura – pertanto – oggettiva) ostative al suo svolgimento.

In altri termini, il tentativo di mediazione, con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 5, co. 2, deve svolgersi effettivamente, dal momento che una formale e “burocratica” presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a soddisfare la condizione di procedibilità della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dell’ordine del giudice, il quale avrà già provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la “mediabilità” della controversia.

In sintesi, quindi: tentativo effettivamente svolto – in ottemperanza all’ordine del giudice, e caratterizzato dalla presenza personale – salvo casi eccezionali – delle parti.

Si osserva infatti come l’assenza della parte determini conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla ben diversa logica delle reciproche rinunce.

Testo integrale:

R.G. 13253/2013

TRIBUNALE ORDINARIO DI MONZA I SEZIONE CIVILE

VERBALE DI  UDIENZA

 nella causa vertente tra xxx

OPPONENTI

BANCA xxx

CONVENUTA OPPOSTA

Oggi 20 ottobre 2014, alle ore 9.30, innanzi al dott. Leopoldo Litta Modignani, sono comparsi,

– per gli opponenti l’avv. YYY, il quale insiste per la richiesta di CTU tecnico contabile volta a ricalcolare il rapporto dare e avere.

Rileva che controparte ha depositato in giudizio gli estratti conto a far data dal 01.01.2007 e non dall’ inizio del rapporto (1997); richiama la giurisprudenza della Cassazione n. 10692 del 2007 (obbligo della banca di produrre tutti gli estratti conto del rapporto, altrimenti si dovrà ricalcolare il dare e avere partendo dal “saldo zero”).

Produce il decreto in data 24 luglio 2014 con il quale il Tribunale di Monza ha omologato il concordato preventivo della xxx.

L’avv. ZZZ per la convenuta osserva che la Banca opposta è stata ammessa al voto sulla proposta concordataria per il valore di 175.047,00 Euro, ovvero in misura pari al credito azionato in questa sede. Contesta integralmente quanto dedotto dalla controparte e rinnova l’opposizione alla CTU.

IL GIUDICE

– ritenuto che l’esistenza di una procedura concordataria omologata dal Tribunale, nella quale sono considerati anche i crediti della Banca xxx, renda possibile l’esperimento di una procedura di mediazione tra le parti, nella quale possa essere complessivamente riconsiderata anche la posizione dei garanti, sotto la vigilanza degli organi della procedura;

PTM

-letto ed applicato l’art. 5, comma II, d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, dispone l’ esperimento della mediazione e assegna agli opponenti termini di trenta giorni per depositare la domanda di mediazione dinanzi a un organismo abilitato, avuto riguardo ai criteri dell’art. 4 I comma del d.lgs. 28/2010, salva la facoltà delle parti di scegliere concordemente un Organismo avente sede in luogo diverso da quello indicato nell’art. 4 citato;

– fissa nuova udienza in data15 aprile 2015, ore 12.00, per verificare l’esito della procedura di mediazione.

– precisa che le parti dovranno essere presenti dinanzi al mediatore personalmente e con l’assistenza legale di un avvocato iscritto all’Albo.

– precisa altresì che per ”mediazione disposta dal Giudice” si intende che il tentativo di mediazione sia effettivamente avviato e che le parti anziché limitarsi al formale primo incontro adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla conseguente procedura di mediazione.

IL GIUDICE

dott. Leopoldo Litta Modignani

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Tribunale di Verona, sez. III Civile, ordinanza 15 settembre 2014.

Connessione oggettiva e soggettiva: domande in parte soggette a mediazione obbligatoria in parte no.

Commento:

Pronuncia interessante in quanto affronta un problema delicato, vale a dire l’ipotesi in cui, nell’ambito di un giudizio caratterizzato da domande cumulate sia sotto il profilo oggettivo sia sotto quello soggettivo, soltanto alcune delle stesse investano le materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Il caso di specie prende le mosse da un decreto ingiuntivo emesso su ricorso di una banca nei confronti di due società, l’una debitrice principale, l’altra in qualità di fideiussore della prima, al fine di pervenire alla restituzione di uno scoperto di conto e di un mutuo chirografario.

Il giudizio nasce dall’opposizione al decreto promossa dalle società di cui sopra.

Nel processo in esame, quindi, da un lato si rientra nell’ipotesi di cui all’art. 104 c.p.c., trattandosi di domande tra loro non altrimenti connesse (connessione soggettiva, da cui cumulo oggettivo), dall’altro, invece, si hanno domande contro più soggetti, ricadendosi dunque nell’art. 103 c.p.c. (connessione oggettiva, da cui cumulo soggettivo).

La particolarità è data dalla circostanza che mentre la domanda inerente allo scoperto di conto corrente deve essere collocata all’area dei “contratti bancari”, e pertanto assoggettata al regime dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione ai fini della procedibilità della domanda giudiziale, la domanda concernente la restituzione del mutuo chirografario, invece, non  è in alcun modo riconducibile all’ambito delle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Nel giudizio di opposizione l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto opposto formulata dalle attrici viene rigettata, ponendosi a quel punto il problema dell’ulteriore corso del giudizio.

Rileva infatti il Giudice “…come sicuramente la controversia tra l’attrice Gruppo G. (la società debitrice principale) e la convenuta relativa al rapporto di conto corrente sia una controversia relativa a contratti bancari e rientri quindi tra quelle per le quali l’art. 5, comma 1 bis d.Lgs. 28/2010 prevede la mediazione quale condizione di procedibilità. Infatti con la predetta espressione si devono intendere le controversie relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alle domande svolte, sempre dalla attrice Gruppo G. che si fondano sul contratto di mutuo chirografario, atteso che la sola qualità di istituto di credito di una delle parti di tale rapporto non è elemento sufficiente a farlo qualificare come contratto bancario nel senso di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/2010
”.

Analoga considerazione”, aggiunge il Tribunale, “vale rispetto alle difese svolte da G.M. (fideiussore della società debitrice principale) poiché, sebbene esse coincidano con quelle del soggetto garantito, e riguardino quindi anche il rapporto di conto corrente (il garante essendo a ciò legittimato dal disposto dell’art. 1945 c. c.), il titolo di esse è costituito da un contratto che trova la sua disciplina nel codice civile”.

Ciò posto, “…occorre rilevare, sotto il profilo processuale come già con il ricorso monitorio siano state svolte una pluralità di domande tra loro non altrimenti connesse (art. 104 c.p.c.) e contro più soggetti (art. 103 c.p.c.) solo alcune delle quali sono soggette a mediazione obbligatoria.

Pertanto per dar modo alle parti di esperire, nel caso di specie, il procedimento di mediazione occorrerebbe separare la controversia riguardante il contratto di conto corrente tra la Gruppo G. e la convenuta da quella relativa al contratto di mutuo chirografario e da quella tra G.M. e convenuta relativa al contratto di fideiussione”.

Occorrerebbe dunque procedere alla revoca del decreto opposto, ma detto effetto potrebbe derivare soltanto da una sentenza, che finirebbe con il complicare alquanto il quadro processuale, dal momento che, ove poi il procedimento di mediazione non approdasse ad un esito positivo, la banca convenuta sarebbe giocoforza costretta ad instaurare un nuovo giudizio in ordine ai rapporti già dedotti.

Per tali ragioni, il Giudice ritiene preferibile la devoluzione in mediazione di tutte le domande. Come? Ricorrendo alla mediazione delegata di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Infatti, “…per favorire appieno la prospettiva conciliativa propria del procedimento di mediazione è estremamente opportuno che ad esso le parti devolvano tutte le controversie di cui si è detto, giovandosi del disposto dell’art. 5 comma 2° D.Lgs. 28/2010.
E’ evidente infatti che, stante la stretta connessione fattuale, esistente tra le controversie è estremamente opportuno, al fine di rendere utilmente esperibile il procedimento di mediazione, demandare ad esso entrambe le controversie…
”.

Il Tribunale, peraltro, “…al fine di prevenire possibili dubbi o contestazioni delle parti, connessi alle posizioni che hanno assunto…”, si sofferma anche sulla competenza territoriale dell’organismo di mediazione, individuandola nel proprio circondario, anche perchè le attrici avevano sollevato eccezione di incompetenza per continenza del Tribunale di Verona ad emettere il decreto opposto in quanto già pendente, al tempo del deposito del ricorso, altro giudizio, dinanzi al Tribunale di Brescia, caratterizzato da coincidenza parziale di causa petendi e di petitum.

Sul punto, nell’ordinanza si osserva che, pur essendo indubbiamente sussistente la relazione di continenza di cui sopra, dalla stessa “…non può però conseguire, contrariamente a quanto sostenuto dalle attrici, l’adozione del provvedimento di cui all’art. 39, comma 2. c.p.c. perché, dovendo questo Giudice procedere ad una verifica della competenza del giudice bresciano rispetto alla causa sopra citata, in conformità alle indicazioni espresse dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 13 luglio 2006 n. 15905, tale competenza va esclusa”.

Ciò chiarito, ai fini dell’individuazione dell’organismo di mediazione territorialmente competente, il Giudice veronese puntualizza che, con riguardo alle mediazioni che si svolgano in pendenza di giudizio, “…si è sostenuto, sia pure con riguardo alla disciplina originaria del d.Lgs. 28/2010, che vi è una “attrazione” del luogo di svolgimento del procedimento di mediazione davanti ad un organismo che abbia la propria sede nel circondario del tribunale o nel distretto della corte d’appello nel quale la controversia è pendente, sulla falsariga di quanto dispone l’art. 669 quater c.p.c. per la competenza per la trattazione dei procedimenti cautelari in corso di causa, ma, in mancanza di una espresso richiamo a tale criterio, quella soluzione non pare consentita.

Occorre poi evidenziare che l’art. 4, comma 1, d.Lgs. 28/2010 non attribuisce rilievo, ai fini della determinazione della competenza per territorio dell’organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sezione III del titolo primo del c.p.c., cosicché non rilevano, al fine suddetto, eventi processuali come competenza per connessione o la litispendenza o continenza prospettate nel caso di specie, tanto più che esse, a rigore, non costituiscono ipotesi di incompetenza. E’ quindi possibile affermare che nel caso di specie competente a trattare il procedimento di mediazione è un organismo di mediazione sito nel circondario di questo Tribunale sulla base della considerazione che, avuto riguardo alla fase di opposizione, esso è competente a decidere ai sensi dell’art. 645, primo comma c.p.c. mentre con riguardo alla fase monitoria era competente in virtù dei criteri sopra esposti”.

 

Testo integrale:

Tribunale di Verona, sez. III Civile, ordinanza 12 – 15 settembre 2014

Giudice Vaccari

Rilevato che

Le attrici hanno proposto opposizione al decreto con il quale il giudice designato di questo Tribunale ha ingiunto alla Gruppo G. in qualità di debitrice principale, e alla G.M. s.r.l. in qualità di fideiussore della prima, di pagare alla società oggi convenuta la somma di Euro 1.337.311,23 di cui Euro 577.048,18 a titolo di scoperto del conto corrente nn.(…), intestato alla Gruppo G. ed Euro 760.263,50 per mancato rimborso di un mutuo chirografario di originari euro 1.000.000,00.

A sostegno della opposizione le attrici hanno eccepito, in via pregiudiziale di rito, l’incompetenza per territorio del Tribunale di Verona ad emettere il decreto opposto, sulla scorta del duplice rilievo che è attualmente pendente davanti al Tribunale di Brescia altro giudizio, instaurato prima del presente ma con i medesimi petitum e causa petendi, e nel quale le attuali attrici nonché gli altri garanti M. M.S. e G.G. e S.F. attori hanno chiesto l’accertamento negativo del credito di controparte derivante dai medesimi rapporti che essa ha azionato in via monitoria davanti al Tribunale di Verona.

In via subordinata hanno eccepito l’incompetenza per territorio del Tribunale di Verona ad emettere il decreto ingiuntivo, quanto meno nei confronti della opponente, nonché fideiussore della Gruppo G. G.M. s.r.l., sulla scorta dell’assunto che per questa vi sarebbe la deroga pattizia esclusiva in favore del Tribunale di Brescia.

Con riguardo al merito le opponenti hanno dedotto l’insussistenza del credito azionato in via monitoria sulla base degli stessi argomenti svolti davanti al tribunale di Brescia (con riguardo al rapporto di mutuo chirografario: indeterminatezza del reale costo del finanziamento, mancata segnalazione e quantificazione dell’opzione floor, presenza di interessi anatocistici illegittimi; con riguardo al rapporto di conto corrente tra gli altri:
illegittimità degli addebiti per interessi passivi per superamento del tasso soglia e per mancato rispetto della forma scritta ad substantiam della relativa previsione; illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi e delle altre remunerazioni a titolo di c.m.s.; illegittimità del lucro per valuta).

L’eccezione di incompetenza per continenza sollevata dalle attrici è fondata.
Infatti non è contestato, ed è comunque dimostrato, che il giudizio attualmente pendente davanti al Tribunale di Brescia sia stato promosso prima del deposito del decreto monitorio qui opposto. Infatti l’atto introduttivo del primo è stato inviato per la notifica a mezzo posta in data 26 novembre 2013 mentre il ricorso monitorio è stato depositato in data 16 dicembre 2013.
E’ poi indubbio che vi sia una relazione di continenza tra le due cause, tenuto conto che, secondo la più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. VI, 14 luglio 2011, n. 15532), tale relazione sussiste “anche quando tra due cause pendenti contemporaneamente davanti a giudici diversi, vi sia una coincidenza parziale di causae petendi, ovvero qualora le questioni dedotte in una causa costituiscano il presupposto logico-giuridico necessario par la decisione dell’altra causa, o siano in tutto o in parte comuni alla decisione di entrambe, avendo le rispettive domande origine dal medesimo rapporto negoziale, risultando tra loro interdipendenti o contrapposte, cosicché la soluzione dell’una interferisce con quella dell’altra (c.d. continenza per specularità)”.

A fronte dei succitati tratti comuni non è sufficiente a far escludere la relazione di continenza tra le due cause il fatto che vi possa essere una parziale diversità tra i soggetti dell’una e quelli dell’altra, come nel caso di specie.

Peraltro nel caso di specie la presenza in giudizio della garante G.M. è dovuta al fatto che l’ingiunzione di pagamento è stata emessa anche nei suoi confronti.
Ciò detto, ai predetti rilievi non può però conseguire, contrariamente a quanto sostenuto dalle attrici, l’adozione del provvedimento di cui all’art. 39, comma 2. c.p.c. perché, dovendo questo Giudice procedere ad una verifica della competenza del giudice bresciano rispetto alla causa sopra citata, in conformità alle indicazioni espresse dalla Suprema Corte a Sezioni Unite con la sentenza 13 luglio 2006 n. 15905, tale competenza va esclusa.
Infatti, con riguardo alle deduzioni che sono fondate sul rapporto di conto corrente, deve trovare applicazione la clausola derogativa della competenza per territorio (art. 26) che è contenuta nel relativo contratto (doc. 2 del fascicolo monitorio) e che individua, quale foro esclusivo per le controversie che dovessero insorgere tra correntista e istituto di credito, quello di Verona, tanto più che la sottoscrizione di tale contratto non è stata disconosciuta dall’attrice Gruppo G.

Per converso, con riguardo al contratto di fideiussione sulla base del quale, davanti al Tribunale di Brescia, hanno agito i garanti M. M. S. e G.G. e S.F. deve osservarsi come le clausole derogative alla competenza per territorio in essi contenute, che individuano nel circondario della tribunale ove ha sede la convenuta il foro competente, non sono idonee a determinare uno spostamento di competenza, atteso che tale deroga non è stata prevista in via esclusiva come richiesto dall’art. 28 c.p.c.

Conseguentemente possono trovare applicazione i principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza 7 gennaio 2013 n. 180 secondo il quale “in tema di competenza per territorio il foro convenzionalmente stabilito dalle parti nel contratto principale…si applica anche al contratto di fideiussione, “atteso che lo stretto legame esistente con l’obbligazione principale ed il rischio che, in caso di separazione dei giudizi, si formino due diversi giudicati in relazione ad un giudizio sostanzialmente unico”.

Ancora, relativamente alla controversia sul contratto di mutuo, in difetto di deroghe convenzionali, la competenza del Tribunale di Verona ad emettere il decreto va affermata sulla base del criterio di cui all’art. 19 c.p.c.v Alla luce delle superiori considerazioni la istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto opposto avanzata dalle attrici va rigettata. Con riguardo all’ulteriore corso del giudizio occorre rilevare come sicuramente la controversia tra l’attrice Gruppo G. e la convenuta relativa al rapporto di conto corrente sia una controversia relativa a contratti bancari e rientri quindi tra quelle per le quali l’art. 5, comma 1 bis d.Lgs. 28/2010 prevede la mediazione quale condizione di procedibilità. Infatti con la predetta espressione si devono intendere le controversie relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari (in tali termini cfr. Paragrafo 2 D del protocollo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione dell’osservatorio valore prassi di questo Tribunale).

A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alle domande svolte, sempre dalla attrice Gruppo G. che si fondano sul contratto di mutuo chirografario, atteso che la sola qualità di istituto di credito di una delle parti di tale rapporto non è elemento sufficiente a farlo qualificare come contratto bancario nel senso di cui all’art. 5, comma 1 bis, D.Lgs. 28/2010.

Analoga considerazione vale rispetto alle difese svolte da G.M. poiché, sebbene esse coincidano con quelle del soggetto garantito, e riguardino quindi anche il rapporto di conto corrente (il garante essendo a ciò legittimato dal disposto dell’art. 1945 c. c.), il titolo di esse è costituito da un contratto che trova la sua disciplina nel codice civile (per tale soluzione si veda sempre il protocollo sulla mediazione finalizzata alla conciliazione dell’osservatorio valore prassi di questo Tribunale).

Ciò chiarito occorre rilevare, sotto il profilo processuale come già con il ricorso monitorio siano state svolte una pluralità di domande tra loro non altrimenti connesse (art. 104 c.p.c.) e contro più soggetti (art. 103 c.p.c.) solo alcune delle quali sono soggette a mediazione obbligatoria.
Pertanto per dar modo alle parti di esperire, nel caso di specie, il procedimento di mediazione occorrerebbe separare la controversia riguardante il contratto di conto corrente tra la Gruppo G. e la convenuta da quella relativa al contratto di mutuo chirografario e da quella tra G.M. e convenuta relativa al contratto di fideiussione.
A tal fine sarebbe necessario revocare il decreto ingiuntivo opposto ma un simile effetto potrebbe essere prodotto solo con sentenza, eventualità questa che complicherebbe l’iter del giudizio, poiché, se il procedimento di mediazione non si concludesse positivamente, parte convenuta sarebbe costretta a promuovere un nuovo giudizio relativo ai succitati rapporti.
Proprio per evitare una simile eventualità e, al contempo, per favorire appieno la prospettiva conciliativa propria del procedimento di mediazione è estremamente opportuno che ad esso le parti devolvano tutte le controversie di cui si è detto, giovandosi del disposto dell’art. 5 comma 2° D.Lgs. 28/2010.

E’ evidente infatti che, stante la stretta connessione fattuale, esistente tra le controversie è estremamente opportuno, al fine di rendere utilmente esperibile il procedimento di mediazione, demandare ad esso entrambe le controversie tanto più se si considera che in esso potrebbero essere definite, per adesione volontaria delle parti, le questioni agitate nel giudizio bresciano.

Al fine di prevenire possibili dubbi o contestazioni delle parti, connessi alle posizioni che hanno assunto, è opportuno indicare l’organismo di mediazione territorialmente competente al quale le stesse potranno rivolgersi.

L’art. 84. comma 1. lett. a) del d.l. 69/2013, integrando il primo comma dell’art. 4 del D.Lgs. 28/2010, ha infatti introdotto un criterio determinativo della competenza per territorio dell’organismo di mediazione prevedendo che: “La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è presentata mediante deposito di un’istanza presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia”
Alla luce dei chiarimenti forniti dal Ministero della giustizia con la circolare 27 novembre 2013 è poi sufficiente che nel circondano del Tribunale territorialmente competente per la controversia si trovi una sede secondaria dell’organismo di mediazione, regolarmente comunicata e iscritta presso il dicastero della giustizia, perché il procedimento possa considerarsi correttamente radicato presso di essa.

Ciò detto si tratta di individuare l’organismo di mediazione territorialmente competente nel caso di specie.

Orbene, per le mediazioni che si svolgano nella pendenza del giudizio in dottrina si è sostenuto, sia pure con riguardo alla disciplina originaria del d.Lgs. 28/2010, che vi è una “attrazione” del luogo di svolgimento del procedimento di mediazione davanti ad un organismo che abbia la propria sede nel circondario del tribunale o nel distretto della corte d’appello nel quale la controversia è pendente, sulla falsariga di quanto dispone l’art. 669 quater c.p.c. per la competenza per la trattazione dei procedimenti cautelari in corso di causa, ma, in mancanza di una espresso richiamo a tale criterio, quella soluzione non pare consentita
Occorre poi evidenziare che l’art. 4, comma 1, d.Lgs. 28/2010 non attribuisce rilievo, ai fini della determinazione della competenza per territorio dell’organismo di mediazione, a criteri diversi da quelli contenuti nella sezione III del titolo primo del c.p.c., cosicché non rilevano, al fine suddetto, eventi processuali come competenza per connessione o la litispendenza o continenza prospettate nel caso di specie, tanto più che esse, a rigore, non costituiscono ipotesi di incompetenza

E’ quindi possibile affermare che nel caso di specie competente a trattare il procedimento di mediazione è un organismo di mediazione sito nel circondario di questo Tribunale sulla base della considerazione che, avuto riguardo alla fase di opposizione, esso è competente a decidere ai sensi dell’art. 645, primo comma c.p.c. mentre con riguardo alla fase monitoria era competente in virtù dei criteri sopra esposti.

 P.Q.M.

Rigetta l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto avanzata dalle attrici;

assegna alle parti il termine di quindici giorni dalla comunicazione del provvedimento per presentare l’istanza di mediazione, in relazione a tutte le controversie per cui è causa, davanti ad un organismo di mediazione sito nel circondario di questo Tribunale.

Mediazione-obbligatoria

Approfondimento sulla Circolare CNF 6/C/2014

Riteniamo opportuno, con il presente articolo, richiamare l’attenzione di tutti gli    interessati sulle regole “semplificate” che il Consiglio Nazionale Forense, con la  Circolare 6 – C – 2014, del 21 febbraio 2014, ha stabilito per la formazione e l’aggiornamento degli avvocati mediatori.

Come è noto, con l’entrata in vigore della legge 98/2013 (che ha convertito, con emendamenti, il c.d. “decreto del fare”), l’avvocato iscritto all’albo può essere iscritto come mediatore presso un numero massimo di cinque organismi di mediazione “di diritto”, ossia senza sottostare all’obbligo generale di seguire un percorso formativo di 50 ore prescritto, dalla normativa primaria e secondaria, per le altre categorie di interessati.

Il professionista, tuttavia, ai sensi dell’art. 16, co. 4 – bis, D.lgs 28/2010, deve avere acquisito una “adeguata formazione” e curare il proprio aggiornamento professionale nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55-bis cod. deontologico forense, ed in particolare: “L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice. L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza”.

La previsione risulta confermata dall’art. 62 del nuovo codice deontologico forense.

In sostanza, gli avvocati, mediatori di diritto, devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione attraverso percorsi di aggiornamento teorico – pratici, nel rispetto, per l’appunto, del codice deontologico forense.

Il rinvio, contenuto del D.lgs 28/2010, alla disciplina forense implica che gli obblighi di formazione e aggiornamento per l’avvocato mediatore debbano avvenire all’interno dei percorsi formativi professionali forensi. Come è noto, l’organizzazione degli stessi è demandata al Consiglio Nazionale Forense e agli ordini circondariali dall’art. 11 L. 247/2012 (riforma della professione forense).

Sulla base delle ragioni che precedono il Consiglio nazionale forense, con la Circolare 6 – C – 2014,  ha previsto un percorso più snello strutturato in  15 ore teorico-pratiche integrate da un tirocinio.

Secondo la suddetta  Circolare 6 – C – 2014, con riferimento alla formazione, il percorso deve dipanarsi attraverso due fasi:

I Step: di 15 ore, teorico pratiche, da svolgersi in classi di 30 partecipanti al massimo.

Il programma può essere concentrato sui soli aspetti specifici della mediazione dedicando un numero minore di ore all’analisi della disciplina di settore e uno maggiore alle tecniche di gestione del conflitto, la quali non rientrano normalmente nel bagaglio culturale dell’avvocato:

quindi, indicativamente, 5 ore sull’analisi del D.lgs. 28/2010 e relativa disciplina di attuazione (ai sensi del D.M. 180/2010: normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione, efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione, forma, contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore);

10 ore sulla gestione del conflitto e le competenze pratiche del mediatore (ai sensi del D.M. 180/2010: metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e le relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa (anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice)

II Step: partecipazione ad almeno 2 procedure di mediazione condotte da altri, non limitate però al primo incontro, vale a dire non potranno essere conteggiati primi incontri che si concludano con verbale negativo per mancata partecipazione della parte chiamata ovvero per impossibilità, emersa nell’incontro medesimo, di entrare nel merito della questione, con conseguente verbale negativo all’esito della fase filtro.

Potranno essere esonerati gli Avvocati che hanno già acquisito la qualifica di mediatore secondo il percorso generale, dovendosi, peraltro, tenere nel dovuto conto il fatto che il percorso indicato nella circolare potrebbe certamente consigliarsi comunque, alla luce del fatto che verosimilmente il percorso generale, con il relativo conseguimento della qualifica di mediatore, sarà stato frequentato sotto la vigenza dell’originario modello di mediazione introdotto dal D. lgs 28/2010, successivamente, come si sa, radicalmente modificato nel 2013.

Per quanto concerne invece l’aggiornamento professionale, la  Circolare 6 – C – 2014 propone un numero di 8 ore nel biennio dedicate principalmente allo studio di casi.

Tale percorso, più snello di quello “ordinario”, sarà logicamente applicabile anche agli avvocati che abbiamo conseguito la qualifica nel previgente sistema.

Infine, per quanto concerne i soggetti autorizzati ad erogare la formazione e l’aggiornamento, la Circolare 6 – C – 2014 precisa che, al fine di non incorrere in atteggiamenti anticoncorrenziali, i COA e/o il CNF, oltre a poter ovviamente fornire il servizio in proprio, possano accreditare singoli corsi così come avviene per la formazione permanente.

Soltanto in questo senso, naturalmente,  può essere interpretata la circolare integrativa del Ministero della Giustizia del 9 dicembre 2013 atteso che “le associazioni professionali e i terzi” possono fornire servizi di formazione valevole ai fini dell’aggiornamento professionale e deontologico soltanto passando per il meccanismo di accreditamento in capo a COA e CNF”.

Si allega, di seguito, il testo integrale della  Circolare 6 – C – 2014.

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

 FORMAZIONE AVVOCATI MEDIATORI DI DIRITTO

 

La norma:

Art. 16, comma 4-bis, d.lgs. n. 28/2010

4-bis. Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori. Gli avvocati iscritti ad organismi di mediazione devono essere adeguatamente formati in materia di mediazione e mantenere la propria preparazione con percorsi di aggiornamento teorico-pratici a ciò finalizzati, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 55-bis del codice deontologico forense. Dall’attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica

.La circolare del Min. Giustizia del 27 novembre 2013:

In base a tale disposizione, proprio il riferimento alla suddetta previsione regolamentare forense deve condurre a ritenere che gli obblighi di formazione e aggiornamento per il mediatore avvocato debbano avvenire nell’ambito dei percorsi formativi professionali forensi, la cui organizzazione è demandata al consiglio nazionale forense e agli ordini circondariali dall’art. 11 legge 31 dicembre 2012 n. 247.

Il 9 dicembre è stata emanata una circolare integrativa

«A integrazione e chiarimento del contenuto della circolare del 27 novembre 2013 si specifica che il richiamo all’art. 11 legge 31 dicembre 2012 n. 247, contenuto nel paragrafo “Avvocati e Mediazione”, deve intendersi effettuato all’intera disposizione, e, quindi, anche alle competenze ivi attribuite alle “associazioni forensi e ai terzi” in materia di formazione professionale forense».

La questione:

– L’avvocato iscritto all’albo può essere iscritto come mediatore presso un numero massimo di cinque organismi di mediazione «di diritto», ossia senza sottostare all’obbligo generale di seguire un percorso formativo di 50 ore prescritto, dalla normativa primaria e secondaria, per le altre categorie di interessati.

– Deve tuttavia avere acquisito una «adeguata formazione» e curare il proprio aggiornamento professionale nel rispetto di quanto previsto dall’art. 55-bis cod. deontologico forense, ed in particolare: «L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice.

L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza».

La previsione risulta confermata dall’art. 62 del nuovo codice deontologico forense in corso di pubblicazione in gazzetta ufficiale.

Il percorso di formazione dell’Avvocato mediatore

Non va dimenticato che l’Organismo di mediazione non è obbligato ad accettare tutte le domande di iscrizione che riceve, con la conseguenza che prevedere un percorso di formazione costituisce una garanzia innanzitutto per chi ha intenzione di dedicarsi a questa attività.

Per tale motivo il Consiglio nazionale forense propone un percorso più snello pari a 15 ore teorico-pratiche integrate da un tirocinio:

I Step: di 15 ore, teorico pratiche, da svolgersi in classi di 30 partecipanti al massimo.

Il programma può essere concentrato sui soli aspetti specifici della mediazione dedicando un numero minore di ore all’analisi della disciplina di settore e uno maggiore alle tecniche di gestione del conflitto, la quali non rientrano normalmente nel bagaglio culturale dell’avvocato:

5 ore sull’analisi del d.lgs. n. 28/2010 e relativa disciplina di attuazione (ai sensi del d.m. n.180/2010: normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di mediazione e conciliazione efficacia e operatività delle clausole contrattuali di mediazione e conciliazione -forma,

contenuto ed effetti della domanda di mediazione e dell’accordo di conciliazione, compiti e responsabilità del mediatore);

10 ore sulla gestione del conflitto e le competenze pratiche del mediatore (ai sensi del d.m. 180/2010: metodologia delle procedure facilitative e aggiudicative di negoziazione e di mediazione e le relative tecniche di gestione del conflitto e di interazione comunicativa (anche con riferimento alla mediazione demandata dal giudice)

II Step: partecipazione ad almeno 2 procedure di mediazione condotte da altri (non limitate però al primo incontro).

Dovranno essere esonerati gli Avvocati che hanno già acquisito la qualifica di mediatore secondo il percorso generale.

Aggiornamento professionale

Il Consiglio nazionale propone un numero di 8 ore nel biennio dedicate principalmente allo studio di casi.

Tale percorso, più snello di quello “ordinario”, sarà applicabile anche agli avvocati che abbiamo conseguito la qualifica nel previgente sistema.

Soggetti autorizzati ad erogare la formazione e all’aggiornamento

Il d.lgs. n. 28/2010 rimette il compito ai COA e al CNF. Per evitare di assumere atteggiamenti anticoncorrenziali si prevedere che i COA e/o il CNF, oltre a poter fornire in proprio il servizio, accreditino singoli corsi al pari di quanto avviene per la formazione permanente.

Soltanto in questo senso può essere interpretata la circolare integrativa del dicembre 2013 atteso che «le associazioni professionali e i terzi» possono fornire servizi di formazione valevole ai fini dell’aggiornamento professionale e deontologico soltanto passando per il meccanismo di accreditamento in capo a COA e CNF.

Il Consiglio nazionale forense auspica una particolare attenzione dei soggetti erogatori a contenere i costi dei percorsi sopra delineati.

 Roma, 21 febbraio 2014

adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Tribunale di Roma, sez. XIII civile, sentenza 30 ottobre 2014 (RG. 20168-12)

Mancata partecipazione alla mediazione delegata da giudice. Limiti del “giustificato motivo”.

Commento:

Sentenza del Tribunale di Roma all’esito di un giudizio nel quale – come da ormai consolidata prassi della Sezione – la proposta transattiva o conciliativa formulata ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c. va a cumularsi con la mediazione disposta dal giudice ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Infatti, nell’ordinanza emanata l’11 novembre 2013, il dies ad quem entro il quale le parti avrebbero potuto far propria la proposta giudiziale fungeva automaticamente, per l’ipotesi opposta, quale dies a quo per il decorso del successivo termine di 15 gg. concesso per il deposito dell’istanza di mediazione presso un organismo territorialmente competente.

Il caso di specie riguarda la responsabilità professionale di un avvocato, peraltro costituitosi tardivamente nel giudizio intentatogli da un ex cliente per inesatta prestazione. In particolare, l’avvocato aveva tardivamente proposto appello avverso una sentenza del Pretore del Lavoro di Roma, che aveva rigettato le domande dell’attore, circostanza accertata in Appello e confermata in cassazione (e, naturalmente, la proposizione puntuale dell’appello non è collocabile su un piano di particolare difficoltà ai sensi dell’art. 2236 c.c., risultando quindi sufficiente la semplice colpa per radicare la responsabilità).

Trattandosi di controversia caratterizzata da valore certamente cospicuo, ma che non aveva fatto emergere questioni di diritto di particolare complessità e dubbi tali da richiedere approfondite analisi e difficili interpretazioni di norme, il Giudice formulava una proposta ai sensi dell’art. 185 – bis c.p.c., stabilendo ex ante, come in precedenza accennato, che in caso di mancato accoglimento della stessa le parti avrebbero dovuto rivolgersi ad un organismo di mediazione e fissando la successiva udienza per la (eventuale) prosecuzione del processo, nella quale, limitatamente alla proposta giudiziale, le parti avrebbero potuto esplicitare le ragioni della mancata adesione alla stessa.

L’attore accettava la proposta e, in mancanza di adesione da parte dell’avvocato convenuto, attivava ritualmente la mediazione demandata dal giudice, presentandosi presso l’organismo per il primo incontro, a differenza della parte chiamata, che decideva di non presenziarvi, concludendosi dunque il procedimento con verbale negativo senza approdo al merito delle questioni controverse.

Ora, si rileva in sentenza, “…non avendo l’avvocato (…) fornito alcuna motivazione della sua mancata comparizione davanti al mediatore (atteggiamento confermato processualmente dai suoi difensori) devesi affermare l’assenza di un giustificato motivo.

D’altra parte, non può essere sottovalutato il fatto che, a monte dell’ordinanza, vi è la valutazione del giudice (esame degli atti, studio della posizione delle parti, formulazione della proposta) circa l’utilità di un percorso di mediazione finalizzato, auspicabilmente, al raggiungimento di un accordo vantaggioso, per cui risulta comprovato “…che nel caso di specie non solo non sussiste un giustificato motivo per la mancata comparizione della parte convenuta nel procedimento di mediazione, ma che tale rifiuto è del tutto irragionevole, illogico in concreto ma anche dal punto di vista astratto ed inescusabile”.

Come è noto, l’art. 8, ult. co., D.lgs 28/2010 ricollega alla circostanza in oggetto (mancata partecipazione alla mediazione senza giustificato motivo) da un lato il fatto che il giudice possa trarne argomento di prova ai sensi dell’art. 116, co. 2, c.p.c., e, dall’altro, ma solo nel caso in cui la parte risulti costituita in giudizio, la condanna al versamento di una somma pari al contributo unificato.

Nella motivazione in esame, quanto alla possibilità di valorizzare nel processo, quale argomento di prova a sfavore di un parte, determinate condotte della stessa, si muove dal presupposto dell’esistenza, in giurisprudenza, di due diverse opinioni.

Secondo una prima impostazione, “…la decisione del giudice non può essere fondata esclusivamente sull’art. 116 c.p.c., cioè su circostanze alle quali la legge non assegna il valore di piena prova, potendo tali circostanze valere in funzione integrativa e rafforzativa di altre acquisizioni probatorie”.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, si è più volte espressa nel senso che “…la norma dettata dall’art. 116 comma 2 c.p.c., nell’abilitare il giudice a desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti nell’interrogatorio non formale, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni da esso ordinate e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo, non istituisce un nesso di conseguenzialità necessaria tra eventuali omissioni e soccombenza della parte ritenuta negligente, ma si limita a stabilire che dal comportamento della parte il giudice possa trarre argomenti di prova, e non basare in via esclusiva la decisione, che va comunque adottata e motivata tenendo conto di tutte le altre risultanze (ex multis, Cassazione civile, sez. trib., 17 gennaio 2002, n. 443)”.

La seconda tesi, invece, opina nel senso che non vi sarebbe alcun divieto nella legge a che il giudice possa fondare solo su dette circostanze la decisione, valendo quale unico limite quello di una coerenza e logica motivazionale in relazione al caso concreto.

Anche in ordine a quest’ultimo orientamento, innumerevoli sono i precedenti di legittimità rintracciabili: ad esempio, secondo Cassazione civile, sez. III, 16 luglio 2002, la norma di cui all’art. 116, co. 2, c.p.c. “…attribuisce certo al giudice il potere di trarre argomento di prova dal comportamento processuale delle parti, e però, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ciò non significa solo che il comportamento processuale della parte può orientare la valutazione del risultato di altri procedimenti probatori, ma anche che esso può da solo somministrare la prova dei fatti”.

Il Giudice, nella pronuncia in esame, ritiene in generale che “…secondo le circostanze del caso concreto gli argomenti di prova che possono essere desunti dalla mancata comparizione della parte chiamata in mediazione ed a carico della stessa nella causa alla quale la mediazione, obbligatoria o demandata, pertiene, possano costituire integrazione di prove già acquisite, ovvero anche unica e sufficiente fonte di prova”.

In particolare, nel caso di specie, sussistendo ad avviso del Tribunale robusti elementi di carattere documentale, i comportamenti di parte (mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010) sono ritenuti idonei ad apportare un valore aggiunto “…probatorio, decisivo e preminente” relativamente alla sussistenza di un danno risarcibile, concorrendo, dunque, “alla valutazione del materiale probatorio raccolto nel senso di ritenere raggiunta la piena prova della infondatezza della resistenza ad oltranza”.

Ciò premesso, avendo l’avvocato convenuto disertato senza giustificato motivo il procedimento di mediazione nel quale era stato regolarmente chiamato, il Tribunale lo condanna al versamento a favore dell’erario di euro 660,00, a quanto ammonta, cioè, il contributo unificato dovuto per il giudizio.

Per quanto riguarda la quantificazione dei danni al risarcimento dei quali il convenuto soccombente è tenuto, il Giudice afferma la necessità di “…dichiarare con chiarezza quella che è la regola d’oro della mediazione demandata e della proposta del giudice.

Tanto più elevate saranno le probabilità di raggiungimento di un accordo fra le parti, in particolare ciò valendo per quella fra di esse onerata con la proposta del giudice di prestazioni da compiere a favore della controparte, quanto più ciascuna di esse possa intravvedere delle utilità, dei vantaggi, dei benefici scaturenti dall’accordo conseguente alla proposta del giudice o alla mediazione o, che è lo stesso, un contenimento degli svantaggi e delle disutilità che potrebbero derivargli dalla sentenza.

In altre parole, mettere una parte con le spalle al muro, con una proposta che si intraveda di contenuto in tutto e per tutto uguale al contenuto della sentenza seguente al mancato accordo è controproducente.

La parte onerata deve poter contare su un qualche benefit derivante dall’accordo rispetto al contenuto della sentenza, in caso contrario, si porrà l’obiettivo del massimo differimento possibile del redde rationem rappresentato dalla sentenza.

D’altra parte, per la parte percipiente, deve valere il correlativo principio che un bene della vita non esattamente uguale a quello sperato ma in compenso conseguibile subito e con certezza a seguito dell’accordo è migliore e più tranquillizzante di un risultato pieno che, in futuro, potrebbe anche mancare in tutto o in parte (la condanna di una parte non equivale all’adempimento volontario di quella parte; in mancanza di volontario adempimento la parte vittoriosa è onerata di azioni esecutive dall’esito spesso incerto  e insoddisfacente; va ricordato che nel nostro ordinamento esiste appello e cassazione”.

In conseguenza di quanto precede, dunque, nel caso di specie il giudice ha emesso sentenza ai sensi dell’art. 281 – sexies c.p.c., definitivamente pronunziando, condannando il convenuto al risarcimento del danno, al pagamento delle spese, che seguono la soccombenza, e, infine, al versamento, a titolo di sanzione per la mancata ingiustificata partecipazione al procedimento di mediazione, di una somma di ammontare pari al contributo unificato dovuto per il giudizio

Tribunale di Roma, sez. XIII civile, sentenza 30 ottobre 2014 (RG. 20168-12)

mediazione obbligatoria conciliazione

Tribunale di Roma, sez. XIII civile, sentenza 30 ottobre 2014 (RG. 63204-11)

Proposta ex art. 185 bis c.p.c.: rifiuto ingiustificato e condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c.

Commento:

Interessante pronuncia nella quale il Tribunale di Roma, nell’applicare ancora una volta l’art. 185 – bis c.p.c., ha modo di svolgere approfondite valutazioni circa la configurabilità o meno di un giustificato motivo al rifiuto della stessa. Il provvedimento, inoltre, opina per la configurabilità di una responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c.

Nella fattispecie, si trattava di responsabilità professionale di un notaio, nei cui confronti l’attore, suo ex cliente, aveva promosso la domanda giudiziale, infine accolta dal Tribunale, lamentando esborsi effettuati come diretta conseguenza delle erronee indicazione fornitegli dal professionista.

Istruita la causa, il Giudice riteneva di formulare con ordinanza la proposta transattiva o conciliativa di cui all’art. 185 – bis c.p.c. (versamento di 19.424,00 euro da corrispondersi in tre rate nell’arco di 18 mesi), che veniva accolta senza riserve dall’attore. Il notaio convenuto, pur dichiarandosi favorevolmente disposto, aveva avviato – fuori dalla causa – trattative con la sua assicurazione per essere sollevato dagli oneri conseguenti e aveva quindi chiesto, come si rileva nella pronuncia, “...tempo e rinvii, al fine precipuo di non gravarsi con suoi esborsi effettuando una sostanziale partita di giro, dall’assicurazione al cliente”.

L’attore più volte aveva aderito a tale invito, consentendo plurimi rinvii di udienze “...nella fiducia che al momento in cui l’assicurazione avesse  fatto pervenire al notaio le somme questi le avrebbe corrisposte per intero e senza rateizzazione al cliente”.

Successivamente, però, il notaio convenuto, pur avendo a disposizione la provvista fornita dall’assicurazione, “...ha dichiarato (in udienza) di voler pagare a rate come previsto dall’ordinanza del giudice. Il rifiuto dell’attore, che è seguito, è giustificato e comprensibile. Si tratta, quella del notaio, di una condotta capziosa che merita adeguata sanzione processuale (…) l’accordo non è stato raggiunto a causa dello scorretto comportamento processuale del notaio, che non aderiva esattamente alla proposta del giudice che prevedeva un termine dal notaio disatteso”.

In altri termini, il notaio convenuto malgrado “...l’assicurazione, non parte in causa, inviasse al medesimo le somme occorrenti per adempiere alla proposta, decideva, quando ricevutele, di trattenerle per sé, versandole (all’attore) nell’arco di diciotto mesi”.

Fin qui le vicende di causa.

Ora, la motivazione affronta due aspetti di estremo interesse.

Il primo, le parti di fronte alla proposta del giudice ex art. 185 bis.

Posto che il legislatore non ha inteso predisporre un sistema sanzionatorio (come nel  caso della mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010), deve peraltro muoversi dal presupposto che lo studio richiesto al giudice per giungere alla formulazione di una proposta mirante ad un accordo che risulti in effetti per le parti più vantaggioso della sentenza, “…non sia stato previsto per essere destinato ad essere considerato un mero flatus vocis”.

La proposta non potrà certo produrre, come è ovvio, in capo alle parti una sorta di obbligo cogente in ordine al suo accoglimento, “…ma il fatto stesso che la legge preveda la possibilità che il giudice formuli la proposta implica che non è consentito alle parti di non prenderla in alcuna considerazione”. La proposta, di conseguenza, dovrà essere dai destinatari rispettata e considerata con serietà ed attenzione (la medesima, si intende dire, che è richiesta al giudice nel predisporla e formularla).

In motivazione si rileva come proprio per “…l’importanza e delicatezza della proposta che, impegnando non poco la sensibilità oltre che l’arte del giudice, assolve, nell’ottica del legislatore, ad un importante compito deflattivo e di A.D.R., impedendo che ogni controversia debba necessariamente concludersi con una sentenza, non può ammettersi che le parti possano assumere senza conseguenze, contro di essa, un atteggiamento anodino, di totale disinteresse, deresponsabilizzato, solo ostinatamente ed immotivatamente diretto a coltivare la permanenza e protrazione della controversia.

Le parti hanno invece l’obbligo, derivante sia dalla norma di cui all’art. 88 cpc secondo cui le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, e sia in base al precetto di cui all’art. 116 cpc, norma di carattere generale, di prendere in esame con attenzione e diligenza la proposta del giudice di cui all’art. 185 bis cpc, e di fare quanto in loro potere per aprire ed intraprendere su di essa un dialogo, una discussione fruttuosa e, in caso di non raggiunto accordo, di fare emergere a verbale dell’udienza di verifica, lealmente, la rispettiva posizione al riguardo. Le parti hanno quindi un’alternativa all’accettazione della proposta”. Potranno infatti “…disarticolarne il contenuto, trasformandola secondo i loro più veritieri e non rinunciabili interessi primari. Non è invece ammesso l’accesso alla superficialità, ad un rifiuto preconcetto, ad un pregiudizio astratto, al proposito e all’interesse, non tutelati dalle norme, a protrarre a lungo la durata e la decisione della causa”.

In sostanza, dunque, “…il merito ragionato deve diventare la stella polare della adesione o meno (se del caso con i concordati adattamenti) alla proposta. E correlativamente, ad opera del giudice, misura e metro della valutazione della condotta di chi si è sottratto al dovere di lealtà processuale che la proposta ex art. 185 bis esalta e richiama”.

In secondo luogo, la condanna per responsabilità ex art. 96, co. 3, c.p.c.

Posto che nel caso di specie le spese seguono la soccombenza, il notaio convenuto è altresì condannato nei confronti dell’attore ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., che, come è noto, dispone che “in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Nella causa in oggetto la somma è stata quantificata nel doppio del compenso di causa liquidato a carico del soccombente (per un totale di euro 9.600,00).

Ora, posto che non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo, con riferimento alla parte a favore della quale viene concesso, o di una punizione, con riguardo allo Stato, per aver inutilmente appesantito il corso della giustizia, posta inoltre la discrezionalità del giudice nella determinazione dell’ammontare della somma e  considerato altresì che detta sanzione a carico di parte soccombente non consegue necessariamente ad istanza di parte ma può essere irrogata anche d’ufficio, nella pronuncia in esame si osserva come “…la possibilità di attivazione della norma non è necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e secondo comma. Come rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole. Volendo concretizzare il precetto, vengono in mente i casi in cui la condotta della parte soccombente sia caratterizzata da colpa semplice (ovvero non grave, che è l’unica fattispecie di colpa presa in esame dal primo comma), ovvero laddove una parte abbia agito o resistito senza la normale prudenza (fattispecie diversa da quelle previste dal primo e secondo comma)”.

Nel caso di specie, alla luce di quanto precede, il Tribunale afferma che “…a. la responsabilità nel merito del notaio è conclamata, sicchè la resistenza in giudizio va qualificata già in limine un abuso del diritto (di difesa); b. la condotta processuale descritta (…) proviene da una persona istruita e assai qualificata anche in termini giuridici, e pertanto ancor più grave ed ingiustificata. L’ammontare della somma deve essere proporzionato, fra l’altro, allo stato soggettivo del soggetto che in questo caso è da qualificarsi doloso quanto alla lettera b) e colposo quanto alla lettera a)”.

Testo integrale sentenza 30 ottobre 2014 (RG. 63204-11), Tribunale di Roma, sez. XIII civile.

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