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sentenze mediazione civile

Giudice di Pace di Lecce, sentenza 6 novembre 2014.

Ancora sul principio di effettività della mediazione obbligatoria. Il “rifiuto a prescindere” del tentativo non ha diritto di cittadinanza.

Commento:

Interessante pronuncia del Giudice di Pace di Lecce, in una vicenda che trae spunto da una istanza di mediazione avente ad oggetto un contratto bancario, materia, come è noto, in cui il procedimento ai sensi del D.lgs 28/2010 si pone come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Nell’istanza si faceva riferimento al diritto del proponente ad un rimborso di somme, però non quantificate. Di conseguenza, lo stesso istante chiedeva, ai fini dell’accertamento dell’asserita debenza della Banca chiamata ed alla relativa quantificazione, la nomina di un consulente, richiesta che il mediatore era propenso ad accogliere, come consentitogli dall’art. 8, co. 4, D.lgs 28/2010.

La Banca chiamata, a quel punto, decideva di non proseguire oltre il primo incontro, non corrispondendo, dunque, le indennità di legge.

L’organismo presentava ricorso per decreto ingiuntivo, ottenendolo, avverso il quale veniva proposta opposizione ai sensi dell’art. 645 c.p.c.

L’opposizione non veniva accolta, in quanto il rifiuto da parte della Banca a proseguire nel tentativo di mediazione (peraltro manifestato mediante fax il giorno successivo a quello fissato per il primo incontro) non era fondato su una oggettiva impossibilità a procedere (arg. ex art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010), ma veniva considerato dal Giudice un mero artificio, tendente a sfruttare le zone d’ombra indubbiamente esistenti nell’attuale tessuto normativo, compreso tra “…la partecipazione alla mediazione per evitare la dichiarazione di ingiustificato motivo a partecipare alla mediazione stessa” ed il rifiuto immotivato – in sostanza la volontà – di non procedere oltre il primo incontro “…per evitare il pagamento delle spese della mediazione”.

Un atteggiamento del genere, rileva il Giudice, non può ritenersi contemplato dalla normativa vigente: le spese sono dovute, perchè il tentativo di mediazione è stato effettivamente avviato e svolto nel corso del primo incontro, con ingiustificata e aprioristica interruzione ad opera della parte invitata.

Nella pronuncia si osserva – infine – e certamente si tratta di uno degli aspetti più interessanti in prospettiva, che da quanto precede “…vi sarebbero pure i presupposti per la lite temeraria intentata dall’opponente, tuttavia, attesa, come detto, la novità della questione e la zona d’ombra, in relazione alla questione trattata, del D. L.vo 28/2010, si ritiene di rigettare la domanda in tal senso formulata dall’opposta”.

 

Testo integrale:

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

UFFICIO DEL GIUDICE DI PACE DI LECCE

Il Giudice di Pace avv. Giuseppe Paparella

ha pronunciato la seguente sentenza

relativamente al giudizio n. 5555/2014 R.G. Promosso da

BANCA XXXXXX in persona dell’amministratore p.t.

Rappresentata e difesa dall’avv. XXXXXXX

contro

XXXXXXX in persona del l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati XXXXX, convenuta – opposta

 Oggetto: opposizione al decreto ingiuntivo n. 883/2014 emesso dal Giudice di Pace di Lecce.

Conclusioni delle parti. (…omissis…)

 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(…omissis…)

MOTIVI DELLA DECISIONE

 La questione riveste particolare importanza attesa la novità della questione.

Va precisato, altresì, che la causa è stata introitata all’esito della prima udienza di comparizione in quanto la natura della controversia e la documentazione in atti impongono una disamina esclusivamente in punto di diritto.

Entrando nel merito della questione, le norme di riferimento sono costituite dall’art. 5, comma 2 – bis, del D. L.vo 28/2010, introdotto dal D.L. 69/2013, convertito con modifiche dalla Legge 98/2013, a mente del quale “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, e dal successivo art. 17, comma 5 ter, a mente del quale “Nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.

La vicenda trae spunto dalla istanza di mediazione proposta da tale XXXXXX, avente ad oggetto un contratto bancario, in particolare un contratto di mutuo fondiario  (cfr. istanza di mediazione presente nel fascicolo del procedimento monitorio).

La materia, come noto, rientra tra le ipotesi di mediazione obbligatoria, a pena di improcedibilità dell’eventuale futura azione giudiziaria, individuate dall’art. 5 del D. L.vo 28/2010, così come modificato dal D.L. 69/2013 convertito con modificazioni dalla Legge 98/2013.

Nell’istanza di mediazione, inoltre, si legge che l’attore, posto quanto desumibile dalla sentenza n. 350/2013 emessa dalla Corte di Cassazione, avrebbe diritto al rimborso di somme che, però, non quantifica.

Ciò significa che XXXXXXX non avanza una istanza di mediazione immediata, quantificando l’importo di cui assume di aver diritto alla restituzione, bensì una istanza di mediazione volta all’accertamento del proprio diritto al fine di poter ottenere un risultato positivo dalla mediazione.

Nel verbale di mediazione di primo incontro del 20.9.2013, il mediatore non avanza una proposta di accordo ma, in aderenza alla richiesta dell’istante, avanza una proposta di accertamento dell’istanza mediante “…la nomina di un CTU finalizzata ad accertare con esattezza le richieste di parte istante”, così come gli è consentito dall’art. 8, comma 4, D. Lvo 28/2010.

Una proposta di tal fatta non può essere elevata a proposta di accordo non accettata da Banca XXXXXXX.

In altre parole, la proposta del mediatore, nel caso di specie, non costituisce proposta di accordo rifiutabile ex art. 17, comma 5 ter, D. L.vo 28/2010, ma proposta di accertamento della fondatezza della domanda ex art. 8, comma 4, stesso decreto, negata senza giustificato motivo da Banca XXXXXX, con conseguente danno a carico dell’istante, il quale ha agito in sede di mediazione ai sensi del citato art. 5, comma1, senza avere la possibilità di accertare, per volontà della parte convenuta, la fondatezza della propria pretesa, costringendolo, se ha inteso proseguire, ad esercitare identica azione in sede giudiziale col rischio di dover tornare in sede di mediazione se il giudice di primo grado dovesse ritenere che la mediazione di fatto, pur se formalmente esperita, non è stata compiuta (cfr, art. 5, comma 1 bis, D. Lvo 28/2010, come modificato dal D.L. 69/2013 convertito con modificazioni dalla Legge 98/2013, nella parte in cui recita che il Giudice “…allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione”) e che, dunque, la mediazione di fatto non vi è stata per mancata adesione all’accertamento della fondatezza della domanda (art. 8, comma 4) e non per mancato accordo (combinato disposto degli artt. 5, comma 2 bis e 17, comma 5 ter).

Peraltro se dovesse passare il principio del rifiuto “a prescindere” alla mediazione nelle materie per le quali è obbligatoria, verrebbe meno lo spirito della stessa legge della mediazione, nata per costituire un sistema di riduzione del contenzioso giudiziario in aderenza con quanto stabilito dalla direttiva 2008/52/CE recepita, appunto, dal D. Lvo 28/2010 e successive modifiche modificazioni ed integrazioni, modifiche ed integrazioni introdotte dal legislatore nazionale, che ha a sua volta recepito le direttive provenienti dalla famosa sentenza n. 272/2012 della Corte Costituzionale (cfr. in tal senso Trib. Firenze, II Sez. Civ., sentenza 19.3.2014, estensore dott. L. Breggia).

In conclusione, se la mediazione in determinate materie è obbligatoria, deve essere esperita e definita o con l’accordo o con il mancato accordo anche al primo incontro, purchè, in tale ultimo caso, vi sia una proposta di accordo di una delle parti piuttosto che del mediatore, non accolta da una delle parti comparse.

Ciò posto, l’opposizione di Banca XXXXXX non può essere accolta giacchè il suo rifiuto a proseguire nella mediazione, peraltro non manifestato nel corso del primo incontro ma con un fax spedito il giorno successivo, non rientra nell’ipotesi di mancato accordo al primo incontro, rifiutabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 comma 2 bis e 17 comma 5 ter, D. L.vo 28/2010, né rientra tra le ipotesi di ingiustificato motivo a partecipare alla mediazione, quanto, piuttosto, nel porre in atto un arzigogolato sistema che si colloca nella zona d’ombra del D. L.vo 28/2010, compresa tra la partecipazione alla mediazione per evitare la dichiarazione di “ingiustificato motivo a partecipare alla mediazione stessa” e la mancata accettazione della proposta di accordo al primo incontro per evitare il pagamento delle spese della mediazione.

Ebbene, poiché tale terza via non è contemplata dalla normativa della mediazione, l’opposizione va rigettata e confermato il decreto ingiuntivo opposto giacchè l’attività di mediazione è stata comunque avviata e svolta nel corso del primo incontro ed interrotta ingiustificatamente dall’opposta.

Da quanto precede vi sarebbero pure i presupposti per la lite temeraria intentata dall’opponente, tuttavia, attesa, come detto, la novità della questione e la zona d’ombra, in relazione alla questione trattata, del D. L.vo 28/2010, si ritiene di rigettare la domanda in tal senso formulata dall’opposta.

Le spese di lite seguono la soccombenza e liquidate come da dispositivo in aderenza a quanto previsto dal D.M. 55/2014.

P.Q.M.

Il Giudice di Pace di Lecce definitivamente pronunciando sull’opposizione formulata da Banca XXXXXXXX nei confronti di XXXXXXXX, così dispone:

rigetta l’opposizione in quanto infondata e conferma il decreto ingiuntivo n. 883/2014;

condanna l’opponente al pagamento delle spese e competenze del presente giudizio di opposizione che quantifica in euro 225,00 per la fase di studio, euro 240,00 per la fase introduttiva ed euro 350,00 per la fase decisionale svolta all’udienza del 6.11.2014, così per complessivi euro 815,00 oltre rimborso forfettario al 15% iva e cap come per legge.

Lecce, 6.11.2014

Il Giudice di Pace     Avv. Giuseppe Paparella

adr intesa ente di formazione per mediatori civili riconosciuto dal ministero della giustizia

Tribunale di Firenze, sentenza 30 ottobre 2014.

Opposizione a decreto ingiuntivo. Omessa mediazione. Improcedibilità/estinzione. Effetti di giudicato del decreto opposto

Commento:

Si riapre la querelle relativa alla vexata quaestio delle conseguenze della omessa mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Come è noto, l’art. 5, co. 2 bis, D. lgs 28/2010 prevede che “… il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.

Va altresì rammentato che, a norma del co. 4 del medesimo art. 5,  i commi 1 bis e 2, vale a dire quelli che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “ ...nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”.

Il legislatore ha evidentemente ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità  risulta contingentato dall’art. 641 c.p.c.

In conseguenza di quanto premesso, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione diviene possibile solo quando sia stata proposta opposizione, e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.

Ora, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. 2, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la improcedibilità della domanda giudiziale, è assai discusso in dottrina e giurisprudenza chi abbia l’onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in caso di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.

Nella giurisprudenza sul punto, due sono gli orientamenti che si contrappongono.

Secondo un primo indirizzo, che valorizza la consolidata giurisprudenza circa l’oggetto del giudizio di opposizione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.

Il ricorrente opposto, formalmente convenuto nel relativo giudizio, è da considerarsi attore sotto il profilo sostanziale, mentre l’opponente, che formalmente ha agito, sempre sotto il profilo sostanziale deve ritenersi convenuto.

Pertanto l’opposto, titolare della pretesa sostanziale azionata, divenuta oggetto del giudizio di opposizione, avrà l’onere di promuovere il tentativo di mediazione, subendo, in mancanza, la declaratoria di improcedibilità della domanda, che implicherebbe il venir meno della pretesa sostanziale proposta in via monitoria.

Alla base di una siffatta ricostruzione si pone la ricorrente considerazione secondo cui, diversamente opinando, si finirebbe con il produrre un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore (cfr., ex multis, Trib. Varese, 18 maggio 2012, est. Buffone).

Secondo un diverso orientamento, invece, muovendo da una lato da una asserita scarsa chiarezza obbiettiva delle espressioni letterali utilizzate dal legislatore e dall’altro dall’intento di valorizzare la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, si è sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del decreto opposto (cfr., ad es., Trib. Prato, 18 luglio 2011, est. Iannone; o, più recentemente, Trib. Rimini, 5 agosto 2014 est. Bernardi).

Nel caso di specie, secondo il Tribunale di Firenze, “...pur consapevole della obbiettiva controvertibilità della questione...”, va privilegiata la seconda tesi, in quanto unica tale da armonizzarsi con i principi generali in materia di inattività delle parti, dato che, in fondo, la mancata attivazione della mediazione altro non sarebbe che una forma qualificata di inattività delle parti, avendo le stesse omesso di dare attuazione ad un ordine del giudice.

Ciò premesso, il Giudice osserva che l’inattività delle parti di regola produce l’estinzione del processo e che, se è vero che l’art. 310 c.p.c. prevede che “l’estinzione del processo non estingue l’azione”, è anche vero che detta regola non può valere con riferimento all’estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

L’art. 653, co. 1, c.p.c., dispone infatti che, nella ipotesi in esame, “Il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva”.

Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l’estinzione del giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l’incontrovertibilità propria del giudicato (cfr. Corte Cassaz,. n. 4294/2004). Non sarà pertanto possibile riproporre l’opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr. Corte Cassaz. 15178/2000).

Evidente l’analogia di ratio e di disciplina tra l’estinzione dell’opposizione a decreto ingiuntivo e quella del processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui “…l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”).

Conseguentemente, dall’omessa mediazione deriverà l’improcedibilità del giudizio di   opposizione, l’estinzione del medesimo ed il successivo passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto.

Non sembra possano esservi dubbi sul fatto che la questione tornerà presto al centro del dibattito….attendiamo fiduciosi!

Testo integrale:

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di FIRENZE
Terza sezione CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Alessandro Ghelardini
pronuncia la seguente

 SENTENZA

 

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. (…omissis…)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La A———— ha proposto opposizione avanti alla sezione distaccata di Empoli avverso il D.I., emesso in quella sede, n. —– R.I., con il quale le è stato ingiunto il pagamento in favore della B—— dell’importo di € 22.003,59, oltre interessi legali ex D. Lgs. 231/02 e spese, a titolo di corrispettivo per fornitura di merce (truciolo per cavalli).

A sostegno della opposizione la stessa ha eccepito, in rito, la incompetenza per territorio di questo Ufficio, per essere competente il Tribunale di Milano in applicazione degli artt. 19 e 20 c.p.c., e, nel merito, il grave inadempimento della parte opposta, per avere la medesima cessato arbitrariamente ogni fornitura dopo la prima consegna di materiale.
La A—–, pertanto, ha chiesto la revoca del D.I. nonché, in via riconvenzionale, disporsi la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento di B——; con il favore delle spese. Quest’ultima si costituita in giudizio, resistendo alla opposizione ed alla domanda riconvenzionale, evidenziandone l’infondatezza. Assumendo la temerarietà dell’opposizione, la stessa ha quindi chiesto la condanna di parte opponente per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., oltre la condanna alle spese. Con ordinanza 13.7.10 l’ufficio ha concesso la provvisoria esecuzione del D.I..
La causa stata istruita su base documentale, con l’interrogatorio formale del legale rappresentante della convenuta opposta, cui lo stesso non si è presentato, con prova per testi e mediante ordine di esibizione documentale.
A seguito della soppressione della sede distaccata di Empoli il processo è stato trattato in sede centrale ed assegnato a questo giudice (cfr provv. Presidenziale 6.11.2013). Con decreto 13.1.2014, comunicato via PEC in pari data, questo Giudice ha fissato udienza all’8.7.2014 per la prosecuzione del processo avanti a s?? e la precisazione delle conclusioni, ed ha disposto la mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, II co. D. Lgs. N. 28/10, così come novellato dal D.L. n. 69/13 conv. con modif. dalla L. n. 98/2013, assegnando all’uopo termine di gg 15 per la proposizione della relativa istanza.
All’udienza suddetta il difensore di parte opponente ha chiesto la remissione in termini per introdurre la mediazione, in quanto per un disguido, costituito dalla mancata lettura dell’allegato alla comunicazione di cancelleria contenente la copia del provvedimento 13.1.2014, la parte non aveva appreso della mediazione delegata. Respinta l’istanza di remissione in termini, stata quindi rilevata d’ufficio la improcedibilità della domanda e le parti, autorizzate, hanno depositato note difensive sul punto.
La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza 30.9.2014 sulle conclusioni precisate dalle parti come da rispettivi atti introduttivi.
Non sono stati concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c., per avervi le parti rinunciato.

 1.Questione di competenza.

 La questione è inammissibile.

Il Tribunale condivide quel consolidato orientamento della S.C. secondo cui “In tema di competenza territoriale derogabile, per la quale sussistano più criteri concorrenti (nella specie, quelli indicati negli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ., trattandosi di causa relativa a diritti di obbligazione), grava sul convenuto che eccepisca l’ incompetenza del giudice adito (trattandosi di eccezione in senso proprio) l’onere di contestare specificamente l’applicabilità di ciascuno dei suddetti criteri e di fornire la prova delle circostanze di fatto dedotte a sostegno di tale contestazione, con la conseguenza che, in mancanza di tale contestazione e di detta prova, l’ eccezione deve essere rigettata, restando, per l’effetto, definitivamente fissato il collegamento indicato dall’attore, con correlativa competenza del giudice adito” (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15996 del 21/07/2011; N. 14236 del 1999).

Nella fattispecie parte opponente, convenuta in senso sostanziale, ha eccepito la incompetenza per territorio esclusivamente con riferimento al foro generale del convenuto (art. 19 c.p.c) evidenziando di avere sede in Milano, ed al luogo ove l’obbligazione avrebbe dovuto essere eseguita (Milano, attuale sede della creditrice).

Nulla è invece detto circa il luogo in cui la pretesa di pagamento azionata è sorta.

Tale omissione rende pertanto irrituale l’eccezione, con conseguente conferma della competenza di questo giudice.
Ad abundantiam si osserva che la competenza si radicherebbe presso questo ufficio ai sensi degli artt. 1182, III co., c.c. e 20 c.p.c..
Il decreto ingiuntivo è infatti fondato su fatture relative a forniture eseguite sino al marzo 2009, epoca in cui la B——– ha trasferito la propria sede legale da STABBIA (FI), località rientrante nel territorio di questo Circondario, a Milano.
Poiché la stragrande maggioranza del credito era diventata esigibile prima del trasferimento della sede sociale, ne segue che correttamente il D.I. è stato richiesto presso questo Tribunale, posto che “l’obbligazione che ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al momento della scadenza”.
Il tutto senza considerare che non è mai stata contestata l’affermazione secondo cui il contratto di fornitura è stato concluso a Stabbia (FI).

 2) Il mancato esperimento della mediazione delegata

Premesso che è pacifico il mancato esperimento nel termine assegnato del procedimento di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, II co. D. Lgs 28/2010 e s.m.i., deve valutarsi in questa sede la conseguenza di tale omissione, avuto riguardo alla particolare natura del giudizio qui instaurato (opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 645 e ss c.p.c., con proposizione di domanda riconvenzionale e con riconventio riconventionis ai sensi dell’art. 96 c.p.c. della parte opposta).

La disposizione citata prevede che “… il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale anche in sede di appello”.
Il comma 4 della medesima disposizione prescrive inoltre che i commi 1 bis e 2, e cioè quelli che prevedono la mediazione obbligatoria prima del giudizio, ovvero la mediazione delegata dal giudice per le cause già pendenti, non si applicano “ nei procedimenti di ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione” (lett. a).

 Ad avviso del giudicante con tale disposizione si è inteso escludere sia che la proposizione del ricorso monitorio o della opposizione in materia rientrante tra quelle per le quali è prevista la necessaria mediazione ante causam, siano condizionate da tale incombente, sia che in tali procedimenti e nel susseguente giudizio di opposizione sino a quando siano stati adottati i provvedimenti, ritenuti evidentemente urgenti ed incompatibili con i tempi della mediazione, di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c., possa essere disposta la mediazione delegata dal giudice.

La ratio di tale disciplina è evidente. Si è cioè ritenuto che lo svolgimento della procedura di mediazione fosse sostanzialmente incompatibile con le peculiari caratteristiche del procedimento monitorio, caratterizzato dalla rapidità e assenza di previa attivazione del contraddittorio, e dell’opposizione, il cui termine di proponibilità ?? contingentato dall’art. 641 c.p.c.

Alla luce di tale disposizione ne segue che, in caso di pretesa azionata in via monitoria, l’esperimento della mediazione possibile solo quando proposta opposizione, e comunque dopo l’adozione dei provvedimenti, considerati urgenti e latu sensu cautelari, sulla esecutività del provvedimento monitorio emesso.

Ciò posto, fermo restando che ai sensi dell’art. 5, co. II, citato, il mancato esperimento della mediazione delegata dal giudice, così come nel caso di mediazione ante causam, comporta la ”improcedibilità della domanda giudiziale”, è assai discusso in dottrina e giurisprudenza chi abbia l’onere di promuovere la mediazione, e quindi abbia interesse ad evitare la declaratoria di improcedibilità, in caso di mediazione nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo.
E’ evidente infatti che, in una causa ordinaria, l’interesse a promuovere la mediazione sarà sempre dell’attore, in quanto parte che mira ad ottenere sentenza di merito sulla domanda proposta.

Il convenuto potrà infatti avere interesse ad eseguire la mediazione solo laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, ovvero comunque confidi nella probabile emissione di una pronuncia di merito favorevole, come tale idonea al giudicato sostanziale ai sensi dell’art. 2909 c.c.

Negli altri casi, l’eventuale declaratoria di improcedibilità non pregiudica direttamente il convenuto, che anzi vede allontanarsi il rischio di una pronuncia di merito sfavorevole.

Controversa è invece la questione, ove la mediazione omessa attenga ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
Secondo un primo indirizzo che, valorizza la consolidata giurisprudenza circa l’oggetto del giudizio di opposizione, la declaratoria di improcedibilità avrebbe ad oggetto la domanda sostanziale proposta in via monitoria.
Viene infatti richiamato in proposito il principio, peraltro condivisibile, secondo cui il processo di esecuzione verte sul rapporto dedotto in giudizio dal creditore e non esclusivamente sulla legittimità del D.I., e che l’onere probatorio e le relative facoltà processuali vanno valutate non avendo riguardo alla qualità formale di attore e convenuto in opposizione, bensì con riferimento alla rilevanza sostanziale della rispettiva posizione processuale (per cui il ricorrente in monitorio, formalmente convenuto in opposizione, è da considerarsi attore in senso sostanziale, mentre l’opponente è convenuto sostanziale).

Ne segue che il convenuto opposto, titolare delle pretesa creditoria azionata ed oggetto del giudizio di opposizione, sarebbe l’unico soggetto che, al di fuori dei casi di domanda riconvenzionale, propone la “domanda giudiziale” e che pertanto dovrebbe subire gli effetti della declaratoria di improcedibilità.

Tale soggetto, pertanto, concludono i fautori di tale tesi, avrà l’onere di promuovere la mediazione, subendo, in alternativa , gli effetti deteriori della relativa omissione.

Diversamente argomentando, si osserva, “vi sarebbe un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore” (Trib. Varese sentenza 18.5.2012, est. Buffone, reperibile su siti internet specializzati; analoga opzione interpretativa è stata accolta anche da questa stessa sezione del Tribunale nell’ordinanza 17.3.2014, NRG 15408/13, est. Scionti, reperibile su internet, e nella Sent. 24.9.2014, NRG 16792/13, est. Guida, inedita).

Secondo invece un diverso orientamento, che muove della ritenuta scarsa chiarezza obbiettiva delle disposizioni letterali utilizzate e che valorizza la particolare disciplina giuridica del giudizio di opposizione, è stata sostenuta, in caso di omessa mediazione, la improcedibilità della opposizione, con conseguente passaggio in giudicato del D.I. opposto (Trib. Prato, sent. 18.7.2011, est. IANNONE; Trib. Rimini sent. 5.8.14 est. BERNARDI in sito MONDO ADR, Trib. Siena 25.6.2012, est. Caramellino).
Ad avviso di questo Giudice, pur consapevole della obbiettiva controvertibilità della questione, la tesi corretta la seconda. Essa, infatti, l’unica che si armonizza con i principi generali in materia di effetti della inattività delle parti nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e che valorizza la stessa ratio deflattiva del procedimento di mediazione.
Va premesso che la mancata attivazione della mediazione disposta dal giudice, al di là della terminologia utilizzata dal Legislatore e dalla sanzione prevista (improcedibilità della domanda giudiziale, anche in appello), altro non è che una forma qualificata di inattività delle parti, per avere le stesse omesso di dare esecuzione all’ordine del giudice.
E’ noto che secondo la legge processuale l’inattività delle parti rispetto a specifici adempimenti comporta, di regola, l’estinzione del processo (si pensi all’inosservanza all’ordine giudiziale di integrazione del contraddittorio nei confronti di litisconsorte necessario, alla mancata rinnovazione della citazione, alla omessa riassunzione del processo, alla mancata comparizione delle parti a due udienze consecutive – artt.102, 181, 307 e 309 c.p.c.).
L’estinzione non produce peraltro particolari effetti sotto il profilo sostanziale, salvo che nelle more della pendenza del giudizio estinto non sia maturata qualche decadenza o prescrizione di natura sostanziale.
Recita, infatti, l’art. 310, I co. c.p.c. che “l’estinzione del processo non estingue l’azione”.
In buona sostanza, la parte, che vede “cadere” il processo a seguito di declaratoria di estinzione, ben potrà avviare una nuova iniziativa processuale, riproponendo la medesima domanda di merito.

Tale regola, però, non vale in caso di estinzione riguardante il giudizio di opposizione a D.I..

E’ infatti previsto che, in tal caso, “il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia esecutiva” giusto il disposto di cui all’art. 653, I co. c.p.c..

Secondo la costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, concorde la dottrina, tale disposizione va intesa nel senso che l’estinzione del giudizio di opposizione produce gli stessi effetti dell’estinzione del giudizio di impugnazione: il decreto ingiuntivo opposto diviene definitivo ed acquista l’incontrovertibilità tipica del giudicato. (CASS. N. 4294/2004; n. 849/00).
Non sarà pertanto possibile riproporre l’opposizione e resteranno coperti da giudicato implicito tutte le questioni costituenti antecedente logico necessario della decisione monitoria (cfr sul punto, tra le altre, Cass. 15178/00).
Evidente l’analogia di ratio e di disciplina tra l’estinzione dell’opposizione a D.I. e quella del
processo di appello (art. 338 c.p.c. secondo cui “l’estinzione del giudizio di appello… fa passare in giudicato la sentenza impugnata…”).
Si pensi, ancora, alla sanzione processuale prevista in caso di tardiva costituzione in giudizio dell’opponente.
Sul punto è consolidata la giurisprudenza di legittimità nel senso di ritenere che in tal caso l’opposizione improcedibile (tra le tante, CASS. N. 15727/06; nello stesso senso Cass. n. 25621/08), con passaggio in giudicato del D.I. (così come si evince dal combinato disposto di cui agli artt. 647 e 656 c.p.c.).

Trattasi di disposizione che trova il suo corrispondente in fase di appello nell’art. 348, I co. c.p.c., il quale espressamente prevede la sanzione dell’improcedibilità dell’appello, se l’appellante non si costituisce nei termini. E’ pacifico che anche in tal caso la sentenza di primo grado passa in giudicato.

Ancora, si pensi all’inammissibilità dell’opposizione, perch?? proposta dopo il termine di cui all’art. 641 c.p.c., ed alla analogia di trattamento rispetto al mancato rispetto in fase di impugnazione dei termini perentori di cui agli artt. 325 e 327 c.p.c..
Tale disciplina risponde all’elementare esigenza di porre a carico della parte opponente/appellante, che si avvale dei rimedi previsti per evitare il consolidarsi di provvedimento giudiziale idoneo al giudicato e per ottenerne la revoca/riforma, l’onere di proporre e coltivare ritualmente il processo di opposizione/ di gravame, ponendo in essere ritualmente tutti gli atti di impulso necessari.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che la interpretazione delle disposizioni di cui al D. Lgs. N. 28/10 e s.m.i. in materia di conseguenze dell’omessa mediazione non possa prescindere dalla particolare natura dei giudizi cui essa si riferisce, e segnatamente dalle peculiarità del giudizio di opposizione a D.I., che presenta i suddetti aspetti di analogia con i giudizi impugnatori.
Al fine di non optare per una interpretazione dell’art. 5, II co. D. Lgs citato, incoerente e dissonante con le suddette peculiarità, deve pertanto ritenersi che nell’opposizione a D.I., così come per i procedimenti di appello, la locuzione “improcedibilità della domanda giudiziale” debba interpretarsi alla stregua di improcedibilità/estinzione dell’opposizione (o dell’impugnazione in caso di appello) e non come improcedibilità della domanda monitoria consacrata nel provvedimento ingiuntivo.
Invero, la tesi per prima indicata appare fondata essenzialmente, al di là delle suggestioni relative allo scollamento tra qualità formale e sostanziale delle parti, peraltro costituente anch’esso caratteristica di tale tipo di procedimento, su una mera interpretazione letterale della disciplina, secondo cui “l’improcedibilità della domanda giudiziale” sarebbe senz’altro da individuare, anche ai sensi dell’art. 39 ultimo comma c.p.c., nell’originario ricorso monitorio.
Peraltro, così argomentando, si verrebbe a configurare, come è stato evidenziato in dottrina, una singolare “improcedibilità postuma” che dovrebbe colpire un provvedimento giudiziario condannatorio idoneo al giudicato sostanziale, già definitivamente emesso, ancorché sub judice.
Si tratterebbe, in sostanza, di sanzione processuale che non consta abbia uguali nell’ordinamento processuale.
Il tutto senza considerare l’inopportunità di porre nel nulla una pretesa che già stata scrutinata positivamente dall’autorità giudiziaria, sia pure non nel contraddittorio delle parti, con provvedimento idoneo al giudicato sostanziale.
Si aggiunga che in tal caso, ove la domanda sia una pretesa creditoria di condanna, dovrebbe allora ritenersi, con riferimento al giudizio di appello, che la inosservanza della mediazione disposta dal giudice dovrebbe comportare, ove la sentenza di primo grado abbia interamente accolto la domanda ed il gravame sia stato proposto dal debitore condannato che non abbia avanzato alcuna riconvenzionale, l’integrale travolgimento non solo del giudizio di appello, ma anche di quello di primo grado e della sentenza impugnata.

Fare riferimento alla domanda sostanziale, ed alla nozione di attore in senso sostanziale, porterebbe ciò all’inevitabile conseguenza, sempreché nelle more non siano maturate decadenze o prescrizioni, che il processo potrebbe ricominciare da zero (nuovo ricorso monitorio, conseguente opposizione ecc.).

Dove sia la ratio deflattiva dell’istituto della mediazione delegata, così interpretata, resta incomprensibile.
In realtà in caso di omessa mediazione nell’opposizione a D.I. non si avrebbe alcun deflaziona mento effettivo, bensì il raddoppio dei processi e degli adempimenti. Il creditore che non ottiene soddisfazione dal processo “improcedibile” non esiterà, nella maggior parte dei casi, a riproporre in via giudiziale la medesima domanda.
Si aggiunga che la soluzione interpretativa proposta esalta la portata e l’efficacia deflattiva dell’istituto, essendo evidente che il formarsi del giudicato rende non più ulteriormente discutibile il rapporto controverso, con conseguente rigetto in rito dell’eventuale riproposizione della medesima domanda (o di altre con questa incompatibili).
Le questioni poste a base dell’opposizione a DI, come nel caso dell’appello, una volta dichiarate “improcedibili”, non potrebbero essere più utilmente riproposte.

Né d’altra parte può ritenersi, così come sostenuto nella citata pronuncia dal Tribunale di Varese, che tale soluzione circa l’opposizione a D.I., creerebbe “un irragionevole squilibrio ai danni del debitore che non solo subisce l’ingiunzione di pagamento a contraddittorio differito, ma nella procedura successiva alla fase sommaria, viene pure gravato di altro onere che, nel procedimento ordinario, non spetterebbe a lui. E ciò sulla base di una scelta discrezionale del creditore”.
Invero, non può ravvisarsi alcuna disparità irragionevole nella circostanza che la scelta tra i diversi strumenti processuali attivabili dall’attore sostanziale possa comportare oneri e costi diversi per la parte convenuta.
D’altra parte non seriamente contestabile la piena legittimità e compatibilità del rito monitorio e della disciplina codicistica dell’opposizione con i principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost. e ciò anche se è indubbio che la scelta tra le diverse opzioni possibili di esercizio del diritto di azione, e segnatamente quella del rito monitorio, pone a carico della parte ingiunta oneri diversi ed ulteriori (si pensi solo al termine più breve per proporre l’opposizione, rispetto a quello di cui all’art. 163 bis c.p.c., e di costituzione in giudizio, ovvero ai costi di iscrizione a ruolo e di notifica della causa di opposizione) rispetto a quelli che la stessa deve assolvere, ove evocata in giudizio in via ordinaria.
Ciò che è certo è che i costi della promozione della mediazione, che consistono in sostanza nella mera redazione ed invio della richiesta all’organismo di mediazione con pagamento delle spese di segreteria per poche decine di euro, per la loro obbiettiva modestia, non possono certo considerarsi di per sé tali da far valutare irragionevole la scelta legislativa in questione.
D’altra parte va richiamato il combinato disposto di cui agli artt. 5 comma 2 bis e 17, comma 5 ter D. Lgs. N. 28/10, così come introdotti dal DL 69/13 conv. L. 98/13, da cui si evince, da un lato, che la condizione di procedibilità della domanda giudiziale “si considera avverata se il primo incontro avanti al mediatore si conclude senza l’accordo” e, dall’altro, che “nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazione”.
Non sembra pertanto che porre l’onere dell’avvio della mediazione a carico del debitore opponente comporti alcun sacrificio economicamente apprezzabile.

Si aggiunga che tale opzione interpretativa, che pone a carico della parte opponente l’onere della proposizione della mediazione, dovrà applicarsi, ovviamente, non solo nei giudizi ex art. 645 c.p.c., ma ogni qualvolta il processo abbia già prodotto un provvedimento idoneo al giudicato ex art. 2909 c.c.. (es. ordinanze ex art. 186 bis e ter c.p.c. ecc.).
Anche in tal caso la omessa mediazione comporterà la intangibilità del provvedimento adottato, con le inevitabili conseguenze circa gli antecedenti logici della decisione e l’oggetto del giudicato

 In tutti gli altri casi, ovviamente, non può che prendersi atto della scelta legislativa circa la sanzione processuale applicata, di mero rito, e della conseguente possibilità di riproposizione della domanda senza limiti, salva l’eventuale maturazione di decadenze o prescrizioni.

Conclusioni

Va pertanto dichiarata l’improcedibilità dell’opposizione e della domanda riconvenzionale proposta.

Analogamente va sanzionata la domanda ex art. 96 c.p.c. avanzata da parte opposta.

Resta assorbita ogni questione di merito.

Spese del giudizio Considerata la complessità della questione, la mancanza di precedenti di legittimità, e la presenza di orientamenti giurisprudenziali di merito e dottrinali difformi, anche di questo Ufficio, le spese di lite vanno interamente compensate.

P.Q.M.

Visto l’art. 281 quinquies c.p.c.
Il Tribunale di Firenze, III Sez. Civ., definitivamente decidendo, ogni altra e contraria istanza disattesa, così provvede:

1)DICHIARA improcedibile l’opposizione e la domanda riconvenzionale proposte dall’opponente e quella ex art. 96 c.p.c. avanzata da parte opposta;

2)DICHIARA la irrevocabilità del D.I. n.——— R.I., S. D. Empoli;

3)COMPENSA le spese di lite.

Mediazione-obbligatoria

Tribunale di Avezzano, ordinanza 29 ottobre 2014.

Commento

Il Tribunale di Avezzano, con l’ordinanza in commento, afferma che il decreto di omologa del verbale di conciliazione, titolo esecutivo alla stregua di quanto disposto dall’art. 12, D.lgs 28/2010, non richiede l’apposizione della formula esecutiva.

Nel caso di specie, l’istanza di sospensione del precetto formulata dalla parte opponente ai sensi dell’art. 615, co. 1, c.p.c., veniva a fondarsi, in buona sostanza, sull’asserita inidoneità del solo decreto presidenziale a costituire titolo sufficiente ai fini dell’avvio della procedura esecutiva, in carenza, per l’appunto, della formula esecutiva.

Il Tribunale, aderendo peraltro ad autorevole e consolidata dottrina, opina invece in senso contrario, muovendo dall’assunto secondo il quale la legge ha inteso indicare espressamente le ipotesi in cui detto ulteriore adempimento formale risulta rivestito dai crismi dell’indispensabilità, con la conseguenza che, nel silenzio del legislatore sul punto, il solo decreto di omologa del verbale di conciliazione deve considerarsi sufficiente per intraprendere la procedura di esecuzione.

In sintesi, il Giudice opera una ricostruzione basata sull’interpretazione sistematica degli artt. 474 e 475 c.p.c., da cui emerge come quest’ultima disposizione, in particolare, mira a disciplinare espressamente le ipotesi nelle quali è richiesta la specifica (e preventiva) apposizione della formula esecutiva.

In altri termini, l’art. 475 c.p.c non ha, come appare condivisibile a chi scrive, la funzione di richiamare integralmente l’ampio genus di atti (nel quale rientra senz’altro il decreto di omologa in parola) cui la legge attribuisce efficacia esecutiva, ma quella ben diversa di “isolare”, per così dire, all’interno della tipologia generale, quelle singole ipotesi per le quali l’adempimento in esame si pone come necessario.

Ne deriva, quindi, che, con riferimento specifico al decreto presidenziale di omologa del verbale di conciliazione, l’apposizione della formula esecutiva deve ritenersi adempimento non indispensabile.

Testo integrale

N. 904/2014 R.G.

Tribunale ordinario di Avezzano

Il Giudice;

Letti gli atti ed in particolare l’istanza di sospensione del precetto formulata ai sensi dell’art 615 comma 1° c.p.c. da parte attrice opponente; sentite le parti, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 29 ottobre 2014;

Premesso che la controversia che ci occupa ha ad oggetto l’opposizione (da qualificarsi correttamente come opposizione all’esecuzione ex art 615 comma 1° c.p.c.) avverso l’atto di precetto notificato al xxxxxxx xxxxx e fondato sul decreto di omologa del verbale di conciliazione ai sensi dell’art 12 D.Lvo 28/2010; che a fondamento della domanda veniva dedotta in buona sostanza l’inidoneità del solo decreto presidenziale a costituire, in assenza della formula esecutiva, titolo sufficiente ai fini dell’inizio della procedura esecutiva; che, inoltre, parte attrice deduceva il difetto della procura alle liti in quanto apposta soltanto in calce all’istanza di omologa del verbale di conciliazione, mentre nel merito, venivano contestate alcune voci (ovvero nello specifico, “variazioni in aumento” o costo della mediazione corrisposta invece dal legale rappresentante della stessa ditta attrice);

Considerato che costituendosi in giudizio la convenuta eccepiva l’incompetenza per valore del giudice adito in favore dell’ufficio del Giudice di Pace di Avezzano;

Rilevato che la giurisprudenza di legittimità (cfr Cass Civ 1372/2000) e di merito, eccetto isolati casi, ha sostenuto che poiché l’inizio della procedura esecutiva si ha con il pignoramento, avendo il precetto la sola funzione di preannunciare il soddisfacimento coatto dell’azionata pretesa, è da considerarsi tamquam non esset il provvedimento di sospensione emanato prima dell’inizio dell’esecuzione;

Considerato che questa soluzione esegetica è stata avvalorata anche dalla giurisprudenza costituzionale avendo la Consulta dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt 615, 623, 624 cpc nella parte in cui, secondo l’interpretazione consolidata, non consentivano la sospensione dell’esecuzione sulla scorta del solo atto di precetto (cfr Corte Costa n. 234/92)

Rilevato tuttavia che con l’entrata in vigore della L. 80/2005 è stata espressamente prevista la possibilità di procedere alla sospensione del precetto ricorrendo gravi motivi;

Considerato che il decreto di omologa del verbale di conciliazione secondo il disposto di cui all’art 12 d.lvo 28/2010 deve intendersi alla stregua di titolo esecutivo; che non risulta pertanto a tal fine indispensabile l’apposizione della formula esecutiva e che tale interpretazione, peraltro suffragata da autorevole dottrina, trae convincimento dall’assunto secondo cui il legislatore ha espressamente indicato i casi in cui è indispensabile tale ulteriore adempimento formale; che, pertanto, va da sé come nel silenzio della legge il solo decreto di omologa possa essere sufficiente per intraprendere la procedura esecutiva; che tale soluzione risulta ulteriormente rafforzata dalla lettura sistematica degli artt 474 e 475 c.p.c.; che, in particolare, tale ultima norma espressamente disciplina le ipotesi residuali in presenza delle quali è richiesta la specifica e preventiva apposizione della formula esecutiva; che dalla circostanza che l’art 475 c.p.c. non richiami la categoria degli atti ai quali la legge attribuisce una specifica efficacia esecutiva deve ritenersi che per il provvedimento di omologa della conciliazione che rientra all’interno di tale ampio genus, non sia necessaria la formula esecutiva; che allo stesso tempo non soddisfano il requisito dei gravi motivi neppure gli altri profili di doglianza in quanto la procura ad litem risulta effettivamente e validamente apposta in calce dell’istanza di omologa ex art 12 e risulta conferita anche per la fase esecutiva e le argomentazioni in punto di merito appaiono, perlomeno allo stato, sfornite di adeguato riscontro probatorio; che, a titolo meramente esemplificativo, è sufficiente considerare che l’inserimento nell’atto di precetto della voce “compenso mediazione” vuole chiaramente alludere alle spettanze maturate dal procuratore della parte per l’attività di assistenza della stessa nella fase stragiudiziale e non di certo, e come di contro ha inteso significare l’attrice, ad un’indebita ripetizione di somme già corrisposte;

Considerato che, esaminando invece la posizione assunta in subiecta materia dalla dottrina, deve osservarsi che la natura cautelare di detta istanza di sospensione comporta che i “gravi motivi”, richiesti dall’art. 615 c.p.c. ai fini del relativo accoglimento, debbano essere individuati nei requisiti propri dell’azione cautelare (fumus boni juris e periculum in mora), con conseguente necessità, da parte del giudice, di valutare sia la presumibile fondatezza delle ragioni dell’opposizione e sia la irreparabilità del pregiudizio che potrebbe derivare all’opponente dal compimento degli atti esecutivi, e di privilegiare, nella comparazione dei contrapposti interessi delle parti, quello del creditore procedente, poiché questi, se dovesse essergli inibita l’esecuzione, “correrebbe il rischio che il soggetto intimato possa rendersi impossidente”

Rilevato che, come già anticipato, la convenuta all’atto della costituzione in giudizio ha tempestivamente sollevato il difetto di competenza per valore del Tribunale adito in favore dell’ufficio del Giudice di Pace; che tale circostanza non appare idonea a riverberare alcuna conseguenza significativa ai fini dell’accoglimento dell’istanza di sospensione posto che la pendenza di una questione in punto di competenza non consente di paralizzare l’esecuzione fondata su un titolo allo stato pienamente legittimo;

Visto l’art 615 comma 1 c.p.c.

P.Q.M

Rigetta l’istanza di sospensione;

Lette le richieste delle parti;

Ritenuto di dover comunque fissare la precisazione delle conclusioni sulla questione pregiudiziale dell’incompetenza per valore;

PQM

rinvia la causa all’udienza del 28 gennaio 2015 per la precisazione delle conclusioni sulla predetta eccezione;

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di rito.

Avezzano, 29 ottobre 2014

IL GIUDICE

(Andrea DELL’ORSO)

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Mediazione civile: l’obbligo di informativa dell’avvocato

L’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010 dispone che “All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Tale disposizione attua quanto previsto nell’art. 60, co. 3, lett. h), della legge delega n. 69/2009, disposizione ispirata, a sua volta, dall’indicazione di cui al n. 25 della Direttiva 2008/52/CE.

Si tratta, dunque, di un’informativa obbligatoria posta a carico degli avvocati, già contemplata nell’originario testo del D.lgs 28/2010 ed a fortiori riconfermata in virtù della previsione legislativa relativa alla necessaria assistenza dell’avvocato in mediazione.

A tale proposito, sembra opportuno sottolineare come debba trattarsi di un’informativa piena e completa, non soltanto, cioè, relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione o al fatto che, nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, essa costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nonché alle correlate agevolazioni fiscali previste dalla legge. Dovranno essere illustrate, altresì, anche (e soprattutto) le caratteristiche del procedimento, a partire – dunque – dalle finalità e dalle modalità del primo incontro.

Informativa piena e completa, si diceva poc’anzi, anche con riguardo alle modalità esplicative in essa contenute: non sarà, ad esempio, sufficiente un mero richiamo alle disposizioni contenute nel D.lgs 28/2010, che risulterebbero ovviamente ben poco comprensibili da parte del cliente, la cui attenzione dovrà invece essere concretamente richiamata sulle caratteristiche e sui vantaggi, oltre che sugli oneri, ricollegati all’istituto della mediazione e al relativo procedimento. Occorrerà, pertanto, un apposito documento che chiaramente illustri gli scopi, il funzionamento, le regole e gli oneri della mediazione.

D’altra parte, già l’art. 40 del Codice deontologico forense prevede l’obbligo, per gli avvocati, di informare i propri assistiti “…all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività espletate, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili”.

Ora, evidentemente, tale obbligo di informativa si estende, a seguito del D.lgs 28/2010, al procedimento di mediazione.

Naturalmente, l’obbligo di cui sopra dovrà essere assolto tanto dall’avvocato della parte istante, quanto da quello della parte chiamata.

Certamente, l’obbligo nasce al momento del conferimento dell’incarico. Pur coincidendo, di fatto, detto momento con quello del conferimento della procura alle liti, appare chiaro come l’allegazione dell’informativa non possa considerarsi effettuata ove meramente inserita nella procura medesima.

Si tratta, infatti, di due atti ben distinti e separati, come peraltro già affermato in giurisprudenza a partire da Trib. Varese, ordinanza 6 maggio 2011, in cui si afferma che “…ai sensi dell’art. 4, comma III, cit., “il documento che contiene l’informazione e’ sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio”: è, dunque, chiaro che deve trattarsi di un atto distinto e individuabile, firmato dal cliente separatamente dagli altri documenti e “allegato” al fascicolo”.

L’informativa, pertanto, esplicita e completa dell’indicazione delle caratteristiche del procedimento di mediazione, dovrà essere contenuta in un atto a sé stante che risulti, ovviamente, sottoscritto dall’assistito.

Sulla base delle valutazioni fin qui svolte, non può sottacersi, ad avviso di chi scrive, il fatto che alla disposizione in esame debba essere attribuita una forte valenza “incentivante”, finalizzata, cioè, a favorire un progressivo incremento della conoscenza della “opportunità mediazione” presso il pubblico, ineludibile premessa allo sviluppo di una reale cultura della mediazione in Italia.

Ciò evidentemente implica che il più ampio rilievo alle potenzialità dell’informativa dovrebbe attribuirsi alle ipotesi in cui la legge non dispone obbligatoriamente la mediazione, nelle quali, tuttavia, la parte, se adeguatamente informata in primis dell’esistenza, ed a seguire dei vantaggi dell’opportunità in parola, ben potrebbe essere “invogliata” ad intraprendere una strada diversa rispetto a quella tradizionale rappresentata dalla scelta di adire direttamente il giudice.

Nell’ottica di una siffatta concezione estensiva, non potrebbe allora escludersi pregiudizialmente l’ipotesi che, anche nelle materie di cui all’art. 5, co. 4, D.lgs 28/2010, la parte interessata possa valutare se intraprendere volontariamente il procedimento di mediazione.

Si tratta, come è noto, di procedimenti relativamente ai quali il legislatore – sulla base di una asserita incompatibilità con la mediazione – ha previsto l’inapplicabilità dei co. 1 – bis e 2 del medesimo art. 5. In particolare, la disposizione in parola prevede che la mediazione non sia condizione di procedibilità dell’azione:

a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione;

b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;

c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;

d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;

e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;

f) nei procedimenti in camera di consiglio;

g) nell’azione civile esercitata nel processo penale”.

Ebbene, senza che suoni come un paradosso, anche in queste ipotesi, in cui l’obbligatorietà è (ben comprensibilmente) esclusa, una capillare informazione e, quindi, una piena comprensione delle agevolazione e dei vantaggi economici e temporali della mediazione potrebbe portare, un domani, a scelte sorprendenti, ispirate ad una diversa cultura. E proprio l’avvocato risulterebbe, in queste come in ogni altra ipotesi di mediazione “volontaria”, attraverso un utilizzo scrupoloso e, se così si può dire, “valutativo” dell’informativa alla quale è normativamente tenuto nei confronti del cliente, il soggetto ispiratore della eventuale scelta in favore del tentativo di composizione stragiudiziale della lite.

D’altra parte, già oltre quattro anni or sono, proprio in relazione ad un caso di specie rientrante nel novero di quelli richiamati dall’art. 5, co. 4, (ricorso per decreto ingiuntivo) il Tribunale di Varese, decreto 30 giugno 2010, ebbe a precisare che, pur essendo esclusa la mediazione, sia ante causam sia delegata, nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, “…ciò nondimeno correttamente il difensore ha provveduto alla informativa: come questo Tribunale ha già dichiarato (v. Trib. Varese, sez. I, ordinanza 9 aprile 2010) l’obbligo informativo di cui all’art. 4, comma III, d.lgs. 28/2010 deve ritenersi sussistente se la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui è possibile (in concreto, perché prevista) l’attività (facoltativa, obbligatoria o su impulso giudiziale) dei mediatori.

Nel caso di specie, già prima del monitorio, pur essendo esclusa la mediazione obbligatoria e quella su impulso giudiziale, è, però, possibile il ricorso alla mediazione cd. Facoltativa e la parte deve esserne messa a conoscenza; inoltre e, comunque, il cliente deve essere avvisato della rilevanza che potrà avere il decreto 28/2010 in prosieguo di giudizio, atteso che la “sospensione” dei commi 1 e 2 dell’art. 5 cessa nel momento in cui il giudice scioglie la sua decisione sulla provvisoria esecuzione”.

Di conseguenza, l’obbligo informativo di cui all’art. 4, co. 3, D.lgs. 28/2010 sembra doversi ritenere sussistente ogniqualvolta la lite insorta tra le parti rientri tra quelle controversie per cui risulti possibile (in concreto, perché prevista) l’attività (facoltativa, obbligatoria o su impulso giudiziale) di mediazione.

Occorre a questo punto valutare quali siano le conseguenze che la vigente normativa prevede per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di informativa in commento.

Il legislatore ha inteso considerare una duplice casistica.

In primo luogo, l’omessa informazione all’assistito. In tal caso, a norma dell’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, si determina l’annullabilità del contratto tra avvocato e cliente.

Ben diversa è invece l’ipotesi in cui il documento contenente l’informativa non risulti allegato all’atto introduttivo del giudizio (ovvero, beninteso, alla comparsa di risposta).

Sul punto, il medesimo art. 4, co. 3, all’ultimo periodo prevede che “il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

La disposizione in parola impone, evidentemente, in virtù del richiamo all’art. 5, co. 1 – bis, una netta distinzione tra mediazione obbligatoria e facoltativa.

Nel primo caso, appare evidente che ove alla mancata allegazione si accompagni il mancato esperimento della mediazione, il giudice non potrà che assegnare alle parti il termine di 15 giorni per presentare l’istanza di mediazione presso un organismo territorialmente competente, fissando altresì udienza successivamente allo spirare del termine (tre mesi) di cui all’art. 6, co. 1.

Ove invece il tentativo di mediazione risulti de facto esperito – pur senza allegazione dell’informativa – quest’ultima circostanza non potrà assumere – ovviamente – rilevanza alcuna.

Qualora si tratti, invece, di mediazione facoltativa, il giudice, a seguito dell’accertamento della mancata allegazione dell’informativa, dovrà provvedere egli stesso a rendere le parti edotte circa la facoltà in parola, eventualmente disponendone la comparizione personale.

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