Riflessioni sulla recente giurisprudenza in materia di mediazione civile
Dott. Luigi Majoli
 Introduzione Â
GiĂ tempo di bilanci? Prevengo l’obiezione, certamente fondata (e che quindi condivido). Prematuro, dopo meno di un anno dall’entrata in vigore del nuovo modello di mediazione civile, a seguito del c.d. âdecreto del fareâ.
Eppure, in questi pochi mesi, molto è avvenuto. Dunque, niente bilanci, ma riflessioni sĂŹ. Riflessioni che appaiono ineludibili, allo stato attuale, soprattutto â come si analizzerĂ in seguito â alla luce del contributo della giurisprudenza alla diffusione della mediazione. GiĂ . Proprio questo appare, a mio avviso, il punto fondamentale.
Al di lĂ delle posizioni preconcette che si contrappongono da anni, al di lĂ delle rendite di posizione e dei (presunti) interessi di categoria da difendere, un fatto appare chiaro: l’obbligatorietĂ della mediazione civile in un (rilevante) novero di ipotesi â strumento inizialmente inevitabile per il âdecolloâ dell’istituto – potrĂ anche venir meno laddove alla fine âsoccombenteâ (ma per ora non sembra) nella querelle circa la sua costituzionalitĂ ; i quattro anni del âperiodo di provaâ previsto dal legislatore potranno certamente portare a risultati oggi imprevedibili o, semplicemente, il D.lgs 28/2010 ben potrebbe essere nuovamente oggetto di riforma con conseguente venir meno dell’obbligatorietĂ stessa, ma se la giurisprudenza continuerĂ a âcredereâ nell’istituto cosĂŹ come fino ad ora ha mostrato, ebbene la diffusione della mediazione troverĂ , verosimilmente, un canale parallelo di non minore portata.
Sulle base delle considerazioni che precedono, si analizzeranno di seguito gli spunti di maggiore interesse forniti dal contributo giurisprudenziale successivo alla vigenza della ânuovaâ mediazione.
Certamente, una considerazione preliminare non può essere sottaciuta: dopo il de profundis seguito alla sentenza dell’ottobre 2012 della Corte costituzionale, l’esigenza di soluzioni delle controversie civili e commerciali alternative rispetto alla (naturale) sede del giudizio è immediatamente (ri)emersa in tutta la sua allarmante attualitĂ , con conseguente â anche se senz’altro farraginoso e, quindi, perfettibile â intervento del legislatore in materia.
Sennonchè la criticità fondamentale va riscontrata proprio nelle problematiche di ordine interpretativo che le disposizioni di nuovo conio hanno immediatamente generato, favorendo, come subito di seguito si rileverà , posizioni di immutato sfavore verso lo strumento mediazione in sÊ e per sÊ considerato, che hanno finito con il sostituirsi alla pregiudiziale di costituzionalità cui si faceva in precedenza riferimento, in vista, però, del medesimo obiettivo.
La realtĂ normativa e le sue conseguenze sul terreno della pratica
Come è noto, l’art. 5, co. 1 â bis, D.lgs 28/2010, nel suo testo post riforma, prevede che âChi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilitĂ medica e sanitaria da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicitĂ , contratti assicurativi, bancari e finanziari, è tenuto, assistito dall’avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto ovvero il procedimento di conciliazione previsto dal decreto legislativo 8 ottobre 2007, n. 179, ovvero il procedimento istituito in attuazione dell’articolo 128-bis del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, e successive modificazioni, per le materie ivi regolate. L’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale. La presente disposizione ha efficacia per i quattro anni successivi alla data della sua entrata in vigore. Al termine di due anni dalla medesima data di entrata in vigore è attivato su iniziativa del Ministero della giustizia il monitoraggio degli esiti di tale sperimentazione. L’improcedibilitĂ deve essere eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice, non oltre la prima udienza. Il giudice ove rilevi che la mediazione è giĂ iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. Allo stesso modo provvede quando la mediazione non è stata esperita, assegnando contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazione. Il presente comma non si applica alle azioni previste dagli articoli 37, 140 e 140-bis del codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioniâ.
Non particolarmente rilevanti, dunque, appaiono le modifiche in ordine alle materie soggette all’obbligatorietĂ della mediazione: tra âtagliâ (danni da circolazione di autoveicoli e natanti) ed âaggiunteâ (responsabilitĂ sanitaria) la sostanza non cambia.
Ben piĂš incisivo, invece, il dettato dell’art. 5, co. 2,: âFermo quanto previsto dal comma 1-bis e salvo quanto disposto dai commi 3 e 4, il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, può disporre l’esperimento del procedimento di mediazione; in tal caso, l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale anche in sede di appello. Il provvedimento di cui al periodo precedente è adottato prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni ovvero, quando tale udienza non è prevista prima della discussione della causa. Il giudice fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6 e, quando la mediazione non è giĂ stata avviata, assegna contestualmente alle parti il termine di quindici giorni per la presentazione della domanda di mediazioneâ.
Mediazione delegata, dunque, non piĂš su invito, ma âdispostaâ dal giudice. E tale da costituire, in primo grado ed in appello, condizione di procedibilitĂ dell’azione. Innovazione dirompente, come giĂ la realtĂ giurisprudenziale ha ampiamente dimostrato, in quanto direttamente condizionata unicamente alla volontĂ applicativa dei giudici. Tanto piĂš, ove si consideri la contestuale entrata in vigore dell’art. 185 â bis c.p.c., che ha introdotto, come è noto, la c.d. mediazione âendoprocedimentaleâ, con la quale il giudice stesso può formulare una pronuncia transattiva o conciliativa da sottoporre alle parti.
In detto rinnovato contesto, le problematiche attuative di maggior rilievo sono state però cagionate dalla disposizione di cui all’art. 8, co. 1, a tenore della quale âAll’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalitĂ di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilitĂ di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o piĂš mediatori ausiliariâ.
Tale disposizione deve essere collegata all’art. 5, co. 2 â bis, secondo cui âQuando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordoâ, e con l’art. 17, co. 5 â ter, per il quale âNel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro, nessun compenso è dovuto per l’organismo di mediazioneâ.
Ora, la criticitĂ in assoluto piĂš rilevante sul piano pratico, come ben sa chi pratica professionalmente la mediazione, deriva dall’interpretazione che si è voluta dare del penultimo periodo del primo comma dell’art. 8, laddove si prevede che il mediatore invita le parti ad esprimersi circa la possibilitĂ di âiniziareâ il procedimento: se si intende con ciò che la mediazione avrĂ inizio solo ove le parti manifestino una sorta di volontĂ in tal senso, risulta chiaro che l’obbligatorietĂ finirebbe con l’essere tale solo formalmente, ma non di fatto.
Se è vero, come è vero, che un comportamento può definirsi obbligatorio solo se previsto come tale dalla legge o da un provvedimento giurisdizionale che nella legge medesima trovi la sua legittimazione, ne deriva che l’interpretazione di cui sopra determina una asserita obbligatorietĂ attenuata che â in sostanza â non è tale.
O, meglio ancora: cosĂŹ opinando quello che risulterebbe effettivamente obbligatorio non sarebbe altro che il primo incontro delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) con il mediatore, che il piĂš delle volte varrebbe soltanto ad esprimere la âvolontĂ â delle stesse contraria all’ingresso nel procedimento al fine di addivenire alla formazione di un verbale negativo che consenta di assolvere la condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale. Insomma, un mero orpello formale. Con conseguente svuotamento di ogni significato della mediazione sul piano deflattivo e sul quello, in prospettiva ancor piĂš importante, culturale.
Si tratta, di fatto, di un sensibile ridimensionamento (volendo fare uso di un eufemismo) di ciò che la legge â sia pure tra mille âcauteleâ e compromessi â bene o male prevede.
Da un lato, infatti, si contempla, tanto per la mediazione ex lege quanto per la delegata, l’esperimento di un tentativo destinato a concludere la vicenda in via stragiudiziale, ovvero, nell’ipotesi di fallimento dello stesso (mancato accordo), volto a consentire l’ingresso nella canonica via giudiziale; dall’altro, si impone nella pratica un’interpretazione riduttiva, per la quale la condizione risulterebbe soddisfatta con la mera presenza dinanzi al mediatore, in sede di primo incontro, di soggetti dalla cui âvolontĂ â, in ultima analisi, verrebbe a dipendere l’âinizioâ del tentativo stesso.
Ciò appare oggettivamente inquietante.
Se infatti una simile lettura delle disposizioni sopra ricordate sembra contraddittoria rispetto al concetto stesso di mediazione concepita quale condizione di procedibilitĂ della domanda (ossia âobbligatoriaâ), ancor piĂš sconcertante risulta se rapportata ad una mediazione, quale quella delegata ex art. 5, co. 2, ipotesi in cui la legge attribuisce al giudice il potere di disporre il tentativo. Cosa finirebbe con il disporre il giudice, una tediosa formalitĂ dinanzi al mediatore volta ad accertare la mera volontĂ di non mediare, con conseguente ulteriore appesantimento dei tempi di giustizia?
In presenza di un siffatto stato di cose non poteva che essere la giurisprudenza a prendere posizione in ordine agli aspetti appena accennati, nell’intendo di dare sostanza alle previsioni legislative, destinate, altrimenti, ad un oblio inevitabile quanto, da molte parti, non certo sgradito.
I contributi della giurisprudenza
 La partecipazione personale delle parti
In primo luogo, i piĂš recenti orientamenti giurisprudenziali in materia di mediazione delegata sottolineano come sia connaturata al concetto stesso di mediazione la presenza delle parti dinanzi al mediatore (Cfr. Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014; Trib. Roma, sent. 29 maggio 2014 e ord. 30 giugno 2014; Trib. Bologna, ord. 5 giugno 2014).
In sintesi, si osserva come l’assenza della parte determini conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto piĂš possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.
Secondo l’ordinanza 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze, ad esempio, posto che â…la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilitĂ di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dĂ vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilitĂ , ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dallâinterpretazione letterale: l’art. 5, comma 1-bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’ ‘assistenza degli avvocati’, e questo implica la presenza degli assistitiâ, il giudice osserva che â…i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente giĂ conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalitĂ . Se cosĂŹ non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’ informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono giĂ sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’informativaâ.
Il fatto che la condizione si avveri con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore appare poi â…particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia giĂ svolto la valutazione di ‘mediabilitĂ ’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltĂ di chiedere la mediazioneâ.
Anche per il Tribunale di Bologna, ordinanza 5 giugno 2014, la presenza delle parti costituisce presupposto necessario.
Ribadito, in primo luogo, che la natura della mediazione richiede â...che allâincontro (âŚ) siano presenti (anche e soprattutto le parti): lâistituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilitĂ di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatoreâ, il giudicebolognese prosegue osservando che â…i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, sono senza dubbio giĂ a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalitĂ (come peraltro si desume dal fatto che essi, prima della causa, devono fornire al cliente lâinformazione prescritta dallâart. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010), di talchè non avrebbe senso imporre lâincontro tra i soli difensori ed il mediatore in vista di una (dunque, inutile) informativaâ.
In terzo luogo (e soprattutto, ad avviso di chi commenta), il Tribunale rileva il fatto che ââŚlâipotesi in cui allâincontro davanti al mediatore compaiono i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dellâart. 5, comma 1 â bis, e dellâart. 8, che prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con lâassistenza degli avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti (personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore)â.
E ancora, anche nell’ordinanza 30 giugno 2014 del Tribunale di Roma siconferma che le parti inviate in mediazione ai sensi dellâart. 5, co. 2, devono partecipare personalmente (salvo casi eccezionali) al procedimento â a partire dal primo incontro con il mediatore di cui allâart. 8 del decreto legislativo.
In sostanza, dunque, limitandosi per ora alle ipotesi di mediazione disposta dal giudice, la previsione circa la presenza delle parti, assistite dall’avvocato, viene intesa quale volontĂ legislativa di favorire la partecipazione personale della parte, che rappresenta un indefettibile ed autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi. Senza parti, salvo casi eccezionali, parlare di mediazione diventa arduo.
Nei casi di rappresentanza delle parti in mediazione, occorre poi aprire un diverso capitolo in ordine alla legittimazione del rappresentante. In questa sede basti rammentare che la rappresentanza in esame ha natura negoziale e non processuale, e quindi il rappresentato dovrĂ conferire adeguata procura ad negotia che autorizzi il rappresentante ad agire in nome e per conto, con idonea puntualizzazione dei poteri e dei limiti.
In sostanza, in mediazione, il mediatore e l’altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilitĂ conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di lĂ delle posizioni iniziali. Per queste ragioni, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, sembra in grado di fornire le necessarie garanzie in ordine alla sua utilizzabilitĂ nei confronti di terzi.
L’effettivitĂ del tentativo di mediazione
Partecipazione personale delle parti al procedimento, dunque. Ma non solo.
A nulla gioverebbe, infatti, la presenza personale delle parti all’interno di una vuota formalitĂ mirante unicamente all’ottenimento di un verbale negativo, senza alcun tentativo concreto di soluzione stragiudiziale.
Secondo la giurisprudenza citata, infatti, per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anzichĂŠ limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali (di natura â pertanto â oggettiva) ostative al suo svolgimento.
L’ordinanza 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze, in particolare, pur muovendo dalla premessa di una difficile individuazione del confine tra la fase preliminare e la mediazione vera e propria, osserva, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, come â…ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalitĂ della mediazione,(âŚ) possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabileâ.
D’altronde, prosegue il giudice fiorentino, â…ritenere che la condizione di procedibilitĂ sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalitĂ di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtĂ ridurre ad un’ inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizioneâ.
Anche il Tribunale di Roma, nella citata ordinanza 30 giugno 2014, sottolinea con forza come il tentativo di mediazione, con riferimento alle ipotesi di cui all’art. 5, co. 2, debba svolgersi effettivamente, dal momento che una formale e âburocraticaâ presenza delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) volta a produrre la condizione di procedibilitĂ della domanda (tramite, ovviamente, formazione di verbale negativo) finirebbe con il trasformarsi in una totale elusione dellâordine del giudice, il quale avrĂ giĂ provveduto in prima persona alle valutazioni del caso circa la âmediabilitĂ â della controversia.
In sintesi, quindi: tentativo effettivamente svolto â in ottemperanza all’ordine del giudice, e caratterizzato dalla presenza personale â salvo casi eccezionali â delle parti.
Partecipazione delle parti ed principio di effettivitĂ nella mediazione ex lege
La giurisprudenza uniforme che deriva dai provvedimenti or ora presi in considerazione si fonda sull’esigenza di partecipazione personale delle parti e sulla circostanza che il tentativo di mediazione disposto dal giudice deve essere caratterizzato da âeffettivitĂ â. Per l’appunto, si tratta di pronunce relative ad ipotesi di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, d.lgs 28/2010.
Ma detti principi possono estendersi sic et simpliciter alle ipotesi di cui all’art. 5. co. 1 â bis, vale a dire ai casi, ben piĂš frequenti nella pratica, di mediazione instaurata dalla parte interessata in quanto ex lege condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale?
Occorre, sul piano interpretativo, rilevare immediatamente che la condizione di procedibilità è rappresentata, tanto ai sensi dell’art. 5, co. 1 â bis, quanto dell’art. 5, co. 2, dall’âesperimento del procedimento di mediazioneâ.
Bene. Su cosa debba intendersi per âmediazioneâ non possono sussistere dubbi, in ragione della definizione fornitaci dall’art. 1, co. 1, lett. a) del medesimo D.lgs 28/2010, secondo cui si tratta della âl’attivitĂ , comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o piĂš soggetti nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, anche con formulazione di una proposta per la risoluzione della stessaâ.
Ne consegue che ove le parti si limitino a comparire innanzi al mediatore senza aderire alla proposta di quest’ultimo di procedere al tentativo, di âmediazioneâ in senso tecnico non si possa proprio parlare. In tal caso, con riferimento alle ipotesi di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, co. 2, il potere conferito dalla legge al giudice (di disporre una mediazione che, in primo grado ed in appello, condiziona la procedibilitĂ della domanda) risulterebbe, nella sostanza, indebolito se non completamente vanificato.
Ora, però, se è vero che nelle ipotesi di cui sopra è il giudice a valutare nel caso concreto i margini di âmediabilitĂ â della controversia, è anche vero che nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 â bis, detta valutazione risulta giĂ operata in astratto dal legislatore. Non si vede quindi perchè le stesse considerazioni in ordine alla partecipazione personale delle parti al procedimento e soprattutto alla effettivitĂ del tentativo non debbano valere anche (ed a maggior ragione) laddove l’esperimento della mediazione condiziona la procedibilitĂ della domanda giudiziale ab inizio.
L’assimilazione in parola, peraltro, è stata giĂ fatta propria dalla giurisprudenza.
Il Tribunale di Firenze, con l’ordinanza 17 marzo 2014, ha infatti osservato come debba ritenersi che â…le procedure di mediazione ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lgs. 28/10 (e succ. mod.), sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previsti a pena di improcedibilitĂ dellâazione; che difatti, per espressa volontĂ del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla âpossibilitĂ â di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti allâeffettivo esperimento della medesima e non sulla volontĂ delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensĂŹ facoltativa e rimessa alla mera volontĂ delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalitĂ esplicitamente deflattivaâ.
Ad avviso del giudice fiorentino, in altri termini, il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, ove le parti si limitino ad esprimere una asserita volontĂ contraria a procedere, non risulterebbe altrettanto ritualmente condotto a termine e pertanto â…le parti devono essere rimesse dinanzi al mediatore affinchĂŠ, in ottemperanza allâinterpretazione sopra offerta, prosegua e si esaurisca lâesperimento della procedura di mediazioneâ.
In sostanza, dunque, il Tribunale di Firenze individua le ragioni della âimpossibilitĂ di iniziare la proceduraâ, di cui all’art. 8, co. 1, nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, chiarendo come non sia previsto in alcun modo che le parti manifestino una sorta di volontĂ di partecipazione al tentativo di mediazione effettivamente inteso.
Sulla stessa lunghezza d’onda, ancor piĂš di recente, il Tribunale di Palermo (sez. I civile, ordinanza 16 luglio 2014).
Il Giudice rileva infatti come sussista â…un nodo interpretativo da risolvere. Il Legislatore ha espressamente regolato il regime giuridico sotteso alla condizione di procedibilitĂ e previsto, allâart. 5 comma 2bis, che ÂŤquando lâesperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale la condizione si considera avveratase il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza lâaccordoÂť. La disposizione, dunque, sembra richiamare espressamente âil primo incontroâ di cui allâart. 8 comma I cit.â. Pertanto, â…il giudice non potrebbe quindi esigere, al fine di ritenere correttamente formata la condizione di procedibilitĂ , che le mediazione sia stata tentata anche oltre il primo incontro. Tuttavia, egli può comunque richiedere che in questo primo incontro il tentativo di mediazione sia stato effettivoâ.
Naturalmente, una lettura frettolosa ed approssimativa dell’art. 8 D.lgs 28/2010 sembrerebbe giustificare unâinterpretazione per cui se le parti e i loro avvocati non intendessero effettuare un vero tentativo di conciliazione (verosimilmente al solo scopo di non versare l’indennitĂ di mediazione prevista per il rispettivo scaglione di riferimento) ben potrebbero esprimere in questa prima parte del primo incontro, di natura preliminare, la loro volontĂ contraria allâinizio di una mediazione, con conseguente chiusura del procedimento. La disposizione normativa in questione, cosĂŹ interpretata, risulterebbe però a dir poco bizzarra, in quanto rischierebbe di rendere la mediazione di fatto facoltativa.
Ragion per cui, il giudice siciliano ritiene, come anticipato poc’anzi, che â…il mediatore non dovrebbe chiedere, come invece ritenuto da molti, se le parti vogliono andare avanti. Egli non deve verificare la âvolontĂ â delle parti e dei procuratori, ma li invita ad esprimersi sulla âpossibilitĂ âdi iniziare la procedura di mediazione. E nel punto in cui la norma dice che ânel caso positivo, procede con lo svolgimentoâ essa non va intesa nel senso che se gli avvocati dicono che câè tale possibilitĂ si va avanti, mentre se dicono che non sussiste questa possibilitĂ non si procede oltre. Ă il mediatore che, tenuto conto di quello che dicono le parti e gli avvocati, valuta se sussiste questa possibilitĂ (nella norma, infatti, non si legge ânel caso di risposta positivaâ, ma ânel caso positivoâ). Si comprende, quindi, il motivo per cui il comma 5 ter dellâart. 17 del d.lgs. 28/10 contempla (come il comma 2 bis dellâart. 5) la possibilitĂ di un accordo tra le parti in sede di primo incontro (prevedendo che in caso di mancato incontro non è dovuto compenso allâorganismo)â.
Un ulteriore passo avanti in tal senso è indubbiamente rappresentato dalla recentissima ordinanza 16 luglio 2014 del Tribunale di Rimini in cui, per la prima volta, il principio dell’effettivitĂ del tentativo di mediazione è affermato con riferimento ad una ipotesi di mediazione ex lege, depositata, cioè, ai sensi dell’art. 5, co. 1- bis, D.lgs 28/2010.
Nel caso di specie, il Giudice, rilevata la mera formalitĂ del tentativo di mediazione avviato ante causam dalla parte attrice del giudizio, esauritosi nella semplice presenza delle parti in sede di primo incontro all’unico scopo di manifestare una asserita ânon volontĂ â di intraprendere il tentativo conciliativo, ha disposto lo svolgimento di un tentativo effettivo pena l’improcedibilitĂ della domanda giudiziale.
Il Tribunale romagnolo, dunque, ha inteso sottolineare come il carattere dell’âeffettivitĂ â debba necessariamente contraddistinguere la mediazione tout court, indipendentemente dal fatto che il tentativo sia disposto dal giudice.
Come giĂ si è avuto modo di rilevare in precedenza, se è vero che le pronunce âfiorentineâ si riferiscono alla mediazione delegata dal giudice di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, è altrettanto vero però che i principi in esse contenuti appaiono estensibili a tutte le ipotesi di mediazione âobbligatoriaâ, dal momento che il legislatore non ha inteso configurare modelli procedimentali differenti in funzione del fatto che la mediazione consegua alla (necessaria) iniziativa della parte che intenda proporre una domanda nelle materie di cui all’art. 5. co 1 â bis, ovvero che sia demandata, in primo grado o in appello, dal giudice ex art. 5, co. 2.
Il Tribunale di Rimini ha ritenuto di perseguire una linea interpretativa siffatta, che, allo stato, non può che rappresentare una spinta di inestimabile valore verso l’effettivitĂ della mediazione e, quindi, verso lo sviluppo di una cultura nuova, antitetica a quella tradizionale del conflitto ad ogni costo.
Ragioni come la mancanza di una parte necessaria, la carenza di rappresentanza, l’incompetenza dell’organismo presso il quale si è depositata l’istanza etc. sono questioni che possono emergere solo dinanzi al mediatore in sede di primo incontro, tali da configurare l’impossibilitĂ di dare avvio al procedimento.
Non certo la âvolontĂ â di non procedere espressa dalle parti (o dagli avvocati chiamati ad assisterle). In tal caso la condizione dovrĂ ritenersi non avverata, per inadempimento all’obbligo conseguente dalla legge o dall’ordine del giudice.
Non può, ovviamente, configurarsi alcun âobbligo a conciliareâ, ma ad iniziare concretamente un percorso di mediazione certamente sĂŹ. In altri termini, è vero che a norma dell’art. 3 D.lgs 28/2010 il procedimento di mediazione non è formalizzato, ma altrettanto certo è che, in assenza di una qualche sequenza di atti e di comportamenti volti a favorire il recupero di un dialogo tra le parti, di svolgimento di una âmediazioneâ non possa in alcun modo parlarsi.
Di qui, due considerazioni.
Innanzitutto, l’importanza dell’obbligo di informativa posto a carico degli avvocati dall’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, nel quale si prevede che âAll’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilitĂ di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresĂŹ l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltĂ di chiedere la mediazioneâ.
A prescindere da qualsiasi altra considerazione ed approfondimento, basti osservare, nella presente sede, come debba trattarsi di un’informativa piena e completa, non soltanto, cioè, relativa alla possibilitĂ di avvalersi della mediazione o al fatto che, nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 â bis, essa costituisce condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale, nonchĂŠ alle correlate agevolazioni fiscali previste dalla legge. Dovranno essere illustrate, altresĂŹ, anche (e soprattutto) le caratteristiche del procedimento, a partire â dunque â dalle finalitĂ e dalle modalitĂ del primo incontro.
SarĂ dunque l’avvocato, all’atto de conferimento dell’incarico, che dovrĂ esplicare all’assistito â tra le altre cose â l’importanza della sua partecipazione personale ed il concetto di effettivitĂ del tentativo.
In secondo luogo, il fatto che il (famigerato) art. 17, co. 5 â ter, preveda che nel caso di mancato accordo all’esito del primo incontro nessun compenso sia dovuto per l’organismo nulla implica in ordine al fatto che il tentativo debba comunque svolgersi effettivamente ai fini del rispetto della condizione di procedibilitĂ della domanda.
Chiunque operi nella mediazione conosce gli effetti devastanti della disposizione in esame. Anche a non voler ulteriormente insistere sul punto, non è chi non veda che per potersi parlare di âmancato accordoâ un tentativo di mediazione deve necessariamente essersi svolto: per giungere alla redazione di un verbale negativo per mancato raggiungimento dell’accordo tra le parti il mediatore deve pur sempre entrare nel merito della controversia dinanzi a lui pendente.
Se, però, a tale risultato si perviene all’esito del primo incontro, il tentativo risulta espletato, salvo che il mediatore ha operato gratuitamente (sic), previsione circa la legittimitĂ , anche sul piano costituzionale, della quale sembra possano sollevarsi non poche riserve (a volersi esprimere con un eufemismo).
 Mediazione delegata e mediazione endoprocedimentale
Fin qui sui contributi giurisprudenziali in tema di partecipazione delle parti e di effettivitĂ del tentativo di mediazione.
Naturalmente, però, non può essere sottaciuto, in questa sede, l’impatto dell’ulteriore âspintaâ che il legislatore ha inteso fornire alla diffusione di una cultura della mediazione finora carente, vale a dire l’introduzione dell’art. 185 â bis c.p.c.
Come è noto, al disposizione prevede che âIl giudice, alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudiceâ.
Non si intende qui disquisire sulle ombre, che certamente non possono essere aprioristicamente negate, che detta novella suscita. Certamente, la formulazione âattenuataâ che il legislatore ha (saggiamente) adottato in sede di conversione, rispetto all’imperativitĂ â obiettivamente insostenibile â di quanto disposto dall’originario testo del c.d. âdecreto del fareâ va salutata positivamente.
Ciò su cui, però, si intende porre l’accento è l’immediato favore mostrato dai Giudici nei confronti dell’istituto (nonchĂŠ nei confronti del modificato art. 420 c.p.c., per ciò che concerne il rito del lavoro).
Occorre innanzitutto rilevare che la L. 98/2013, appunto di conversione del D.L. 69/2013, mentre disponeva l’entrata in vigore delle norme relative alla nuova mediazione obbligatoria ex lege e a quella delegata a partire dal 20 settembre 2013, stabiliva, come data di inizio della vigenza dell’art. 185 â bis (e 420 modificato, cui si è fatto cenno poc’anzi) il 21 giugno dello stesso 2013.
Ebbene, in questo anno abbondante appena trascorso, la giurisprudenza ha fornito spunti davvero interessanti.
Immediatamente, infatti, il Tribunale di Milano, (sez. IX civ., decreto 26 giugno 2013), premesso che trattandosi di norma processuale risulta applicabile, in base al principio tempus regit actum, anche ai giudizi giĂ pendenti alla data di entrata in vigore della stessa, ha inteso chiarire come si tratti della espressione â…di un principio generale (anche nellâart. 420 c.p.c. come riformato), anche per il fatto di distinguere espressamente tra proposta transattiva e conciliativa e per la difficoltĂ di ammettere settori o comparti divisi dellâordinamento in cui il giudice possa o non possa aiutare i litiganti a pervenire ad un assetto condiviso per la soluzione pacifica della causaâ, con conseguente applicabilitĂ anche a controversie relative a materie non ricomprese nell’ambito di previsione dell’art. 5, co. 1 â bis, D.lgs 28/2010.
Poco dopo, il Tribunale di Nocera Inferiore (sez. I civ., ordinanza 27 agosto 2013), nell’applicare l’art. 185 â bis ad un campo âincandescenteâ come quello dell’anatocismo bancario, dopo aver osservato che la proposta di soluzione formulata dal giudice era giustificata (anche) dalla circostanza che i costi delle rispettive spettanze legali, di un eventuale supplemento di C.T.U. e di altri eventuali eventuali adempimenti connessi avevano giĂ superato il valore della controversia, ha affermato, tra l’altro, che il giudice stesso â…se accoglie la domanda in misura non superiore allâeventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal secondo comma dellâarticolo 92â.
Ma è dopo l’entrata in vigore del riformato D.lgs 28/2010 che la situazione, dal punto di vista giurisprudenziale, ha iniziato ad evolversi verso scenari sempre piĂš innovativi.
Infatti, il Tribunale di Roma (sez. XIII civ., ordinanza 24 ottobre 2013) ha immediatamente dato il via all’orientamento per il quale la mediazione endoprocedimentale ai sensi dell’art. 185 â bis c.p.c. è cumulabile con la mediazione delegata ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.
Nel provvedimento in esame, infatti, il giudice capitolino, formulata la proposta e assegnato un congruo termine per la valutazione della medesima, dispone che â…dalla eventuale infruttosa scadenza del suddetto termine, decorrerĂ quello ulteriore di gg. 15 per depositare presso un organismo di mediazione, a scelta delle parti congiuntamente o di quella che per prima vi proceda, la domanda di cui al secondo comma dell’art. 5 del decreto; con il vantaggio di poter pervenire rapidamente ad una conclusione, per tutte le parti vantaggiosa, anche dal punto di vista economico e fiscale (cfr. artt. 17 e 20 del decr. legisl. 4.3.2010 n. 28), della controversia in atto.
Viene infine fissata un’udienza alla quale in caso di accordo le parti potranno anche non comparire; viceversa, in caso di mancato accordo, potranno, volendo, in quella sede fissare a verbale quali siano state le loro posizioni a riguardo (relativamente alla sola proposta del giudice), anche al fine di consentire l’eventuale valutazione giudiziale della condotta processuale delle parti ai fini degli artt. 91 e 96 III° cpcâ.
In altri casi, la cumulabilitĂ tra i due istituti è stata affermata âin due tempiâ, disponendo cioè la mediazione ex art. 5, co. 2, a seguito della mancata accettazione di una delle parti della proposta transattiva o conciliativa formulata dal giudice.
Ad esempio, il Tribunale di Milano (sez. spec. in materia di impresa, ordinanza 11 novembre 2013), avendo formulato una proposta transattiva ai sensi dell’art. 185 â bis c.p.c., a fronte della quale â...il convenuto dichiara di essere disponibile a chiudere la lite con tale versamento da parte sua. L’attore dichiara che tale soluzione non è per lui accettabile(âŚ)visto l’art.5 secondo comma del d.lgs. n.28/2010 nell’attuale sopravvenuta formulazione; valutata la natura della lite, i rapporti familiari tra le parti e il comportamento delle stesse anche all’odierna udienza; ritenutane in base a tali elementi l’utilitĂ ;
dispone l’esperimento del procedimento di mediazione, assegnando alle parti il termine di quindici giorni per dare inizio alla mediazione e fissando per la prosecuzione del giudizio l’udienza del (…) riservato ogni altro provvedimentoâ.
E non solo.
Con la successiva ordinanza 5 dicembre 2013, il Tribunale di Roma, sez. XIII civ., osserva come la circostanza â…che l’attore abbia proposto prima e fuori dalla causa una domanda di mediazione (non ha rilevanza – ai fini che qui interessano – la natura
volontaria o obbligatoria), non sia impeditiva all’esercizio ed all’attivazione da parte del Giudice della mediazione demandata di cui all’art. 5 co. II del decr. legisl. 28/2010 nella versione riformata dal D.L.69/13 cit.â.
Con la pronuncia in parola si afferma dunque non solo l’utilizzabilitĂ della mediazione delegata, eventualmente preceduta da una proposta transattiva o conciliativa ai sensi dell’art. 185 â bis c.p.c., laddove un tentativo di mediazione sia giĂ stato infruttuosamente esperito ante causam, ma anche la medesima possibilitĂ laddove si tratti di materia non assoggettata al regime di obbligatorietĂ del tentativo conciliativo (nella quale ipotesi â quindi â una fattispecie originariamente âa mediazione non obbligatoriaâ diviene condizionata all’esperimento del tentativo in via successiva, a seguito, cioè, dell’ordine del giudice di cui all’art, 5, co. 2).
Nella medesima ordinanza, il Tribunale evidenzia la sostanziale libertĂ (nei limiti â ovviamente â della tempistica processuale fissata dal legislatore) per il giudice in ordine alla scelta del momento piĂš idoneo alla formulazione della proposta e sottolinea, altresĂŹ, l’importanza del ruolo rivestito dai difensori a fronte della proposta stessa: â…Il momento in cui il Giudice invia le parti in mediazione è svincolato da rigiditĂ processuali se non quelle molto avanzate del giudizio (conclusioni/discussione), consentendogli di individuare e di scegliere il momento piĂš propizio in relazione alle circostanze ed agli sviluppi della causa (e ciò anche in relazione alle difese articolate dalle parti).
La possibilitĂ (…) di rappresentare pacatamente, con equidistanza ed imparzialitĂ , i punti di debolezza e di forza delle rispettive posizioni, consente di esaltare la sensibilitĂ culturale e giuridica dei difensori, che tanto ruolo hanno nella mediazione riformata. E, tramite essi, parlare alle parti che pertanto dovranno essere informate nel modo piĂš ampio e sostanziale dai difensori circa il contenuto del provvedimento,
al fine che esse possano, esattamente come in ambito sanitario, determinarsi verso la scelta migliore da assumere, in ordine alla quale è precondizione una adeguata consapevolezza.
Compito dei difensori è quello di evocare la possibilitĂ per le parti, cogliendo le potenzialitĂ del provvedimento del Giudice, di trovare ragionevoli soluzioni e punti di accordo, non celando, in mancanza, i possibili sviluppi negativi delle aspettative che l’inevitabile antagonismo insito nella avviata contesa giudiziaria tende, per ciascuna delle parti, a radicare ed esaltare.
Con la mediazione demandata si evita di intraprendere percorsi spesso giĂ condannati in partenza (si pensi ad una mediazione obbligatoria prima della causa nella quale saranno protagonisti necessari soggetti terzi, come assicurazioni successivamente chiamate; ovvero a situazioni in ordine alle quali le risultanze della consulenza tecnica disposta dal giudice sono determinanti per meglio fissare l’ubi consistam della lite); e ciò perchĂŠ è il Giudice che sceglie, con oculatezza, il momento migliore per disporne l’avvioâ.
Si tratta di orientamenti ormai largamente condivisi.
Una sorta di sintesi degli approdi cui la giurisprudenza sembra essere ormai pervenuta in tema di cumulabilitĂ tra mediazione endoprocedimentale e mediazione delegata e, soprattutto, con riferimento ai temi appena trattati della partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione dell’effettivo svolgimento del medesimo, è rintracciabile nell’ampia e chiarissima motivazione della poc’anzi ricordata ordinanza del 16 luglio 2014 del Tribunale di Palermo, sez. I civile.
Sotto il primo profilo, il Giudice, premesso che sussistono nel caso di specie tutti i presupposti per la formulazione di una proposta ai sensi dell’art. 185 â bis c.p.c. (e con gli effetti, aspetto quest’ultimo di particolare rilevanza, di cui all’art. 91 c.p.c.), anticipa che â…comunque, in caso di mancata accettazione della proposta in questione, questo giudice disporrĂ la mediazione ex officio iudicisâ, strumento quest’ultimo espressione del vero e proprio potere attribuito dalla legge al giudice di â…imporre alle parti di intraprendere un procedimento di mediazione nel corso del processo (in passato, invece, il giudice poteva solo invitarle a svolgere un tentativo stragiudiziale di mediazione, attendendo lâeventuale risposta positiva delle parti), in tal modo creando una nuova condizione di procedibilitĂ (sopravvenuta) per ordine del giudice. Si tratta di una norma che rimette al giudice lâeffettivitĂ di tale canale di accesso alla mediazione (che opera non quale filtro preventivo alle liti, ma successivo e non per questo meno utile ed efficace) e può operare in ogni lite, purchĂŠ abbia ad oggetto diritti disponibiliâ.
Per quanto concerne poi gli aspetti relativi alle modalitĂ del tentativo di mediazione, premesso che occorre domandarsi che cosa occorra in realtĂ che risulti espletato dalle parti affinchè l’ordine del giudice possa considerarsi adempiuto, il Tribunale mostra di aderire all’impostazione esaustivamente esplicata dai giudici fiorentini nelle   citate ordinanze del 17 e 19 marzo 2014, in base alla quale il tentativo deve essere effettivo.
Il Tribunale, dunque, ribadisce che non avrebbe alcuna ragion d’essere una dilazione del processo civile per un mero adempimento burocratico, non potendosi in altro modo definire un tentativo che si risolva esclusivamente nella comparizione delle parti (o, peggio, dei soli avvocati delle stesse) dinanzi al mediatore per esprimere il proprio ânoâ aprioristico ad aprire un tavolo di discussione.
Ciò, evidentemente, finirebbe con lo svilire il concetto stesso di mediazione quale condizione di procedibilitĂ della domanda giudiziale. Pertanto, occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione, ponendosi, altrimenti, un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione.
In sostanza, dunque, non può non sottolinearsi il ruolo fondamentale che il nuovo quadro normativo ha inteso assegnare alla figura del giudice al fine della ricerca di soluzioni conciliative che effettivamente possano rappresentare il massimo vantaggio ottenibile dalle parti in lite.
Da un lato, infatti, il Legislatore ha potenziato detto ruolo prevedendo per il giudice la possibilitĂ di formulare una proposta conciliativa, fondata â dunque â sulla natura della controversia, sullo stato dell’istruzione e – last but not least, sul comportamento delle parti; dall’altro ha trasformato la mediazione delegata in uno strumento forte, con il quale il giudice può âspingereâ (e non piĂš meramente invitare) le parti ad instaurare la procedura dinanzi ad un organismo territorialmente competente.
Si è visto quale considerazione â fin dal principio â una consistente parte della Magistratura abbia riservato alle nuove potenzialitĂ attribuitele: basti pensare alla possibilitĂ di cumulo dei due istituti, in forza della quale la proposta formulata dal giudice ex art. 185 â bis, ove non accolta dalle parti, potrĂ comunque rappresentare una valida base di partenza per il successivo tentativo presso l’organismo adito âd’ordineâ del giudice stesso.
Lo âsviluppo autonomoâ della proposta, dunque.
Ben potrĂ , infatti, il mediatore, anche sulla base dell’eventuale proposta formulata dal giudice e dei motivi per i quali una delle parti (o entrambe) non abbia ritenuto di accoglierla, estendere la mediazione a profili emersi successivamente alla formulazione della proposta stessa o, comunque, se giĂ esistenti, non entrati nel thema decidendum, superando cosĂŹ il vincolo rappresentato, nel giudizio, dalla corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
D’altra parte, si tratta di aspetti che la giurisprudenza ha sottolineato giĂ in sede di prime esperienze applicative.
Basti pensare a passaggi come âSotto tale ultimo profilo, vale a dire la possibilitĂ che le parti, assistite dai rispettivi difensori, possano trarre utilitĂ dall’ausilio, nella ricerca di un accordo, ed anche alla luce della proposta del Giudice, di un mediatore professionale di un organismo che dia garanzie di professionalitĂ e di serietĂ , è possibile prevedere, anche all’interno dello stesso provvedimento che contiene la proposta del Giudice, un successivo percorso di mediazione demandata dal magistratoâ (cfr. Tribunale di Roma, sez. XIII civ., ord. 24 ottobre 2013); o, ancora,  â…i mediatori ben potrebbero estendere la ÂŤtrattativa (rectius: mediazione)Âť ai crediti maturati successivamente alla instaurazione dellâodierna lite e non fatti valere in questo processo, cosĂŹ essendo evidente che lâeventuale soluzione conciliativa potrebbe definire il conflitto, nel suo complesso, mentre la sentenza di appello potrebbe definire, tout court, solo una lite, in modo parzialeâ (cfr. Tribunale di Milano, sez. IX civ., ord. 29 ottobre 2013).
La giurisprudenza ha, allo stato attuale, la chiave (unica?) per la diffusione delle soluzioni alternative delle controversie civili. Non rimane che sperare che i giudici continuino ad applicare, in forma sempre piĂš estesa, gli strumenti che il legislatore, al di lĂ delle critiche âtecnicheâ ha comunque fornito loro.
Le conseguenze della mancata partecipazione al procedimento di mediazione
Occorre a questo punto soffermarsi su un ulteriore aspetto nel quale il contributo della giurisprudenza può rivelarsi non meno determinante.
Mi riferisco alle conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione (ovvero della partecipazione â escamotage, vale a dire semplicemente finalizzata ad esprimere la âvolontĂ â di non esperire il tentativo).
Come è noto, l’art. 8, ult. co., D.lgs 28/2010 prevede che dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo il giudice possa trarre argomento di prova ai sensi dell’art. 116, co. 2, c.p.c., condannando, altresĂŹ, la parte costituita che non abbia partecipato al procedimento di mediazione, sempre senza valide giustificazioni, al versamento di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio.
Il giudice, per l’appunto.
Il mediatore, dal canto suo, dovrĂ limitarsi a dare atto, nel verbale, della mancata partecipazione. Allo stesso modo il mediatore ben potrĂ dare atto del mancato svolgimento del tentativo in presenza di entrambe le parti, senza poter entrare nel merito delle eventuali motivazioni rappresentate dalla parte invitata, come agevolmente si può evincere dal disposto degli artt. 9 e 10 D.lgs 28/2010, relativi, come è noto, al âDovere di riservatezzaâ e âInutilizzabilitĂ e segreto professionaleâ.
Pertanto, in tale seconda ipotesi, il mediatore darà atto nel verbale che la procedura si è avviata, che le comunicazioni sono state ritualmente effettuate e che le parti si sono presentate al primo incontro, senza però che alcun tentativo di mediazione abbia potuto effettivamente svolgersi.
Ora, giĂ da tempo si è affermato in giurisprudenza il principio secondo cui il mancato esperimento del tentativo di mediazione, senza giustificato motivo, oltre beninteso le conseguenze di cui all’art. 8, ult. co., cui si è appena fatto cenno, possa configurare la c.d. responsabilitĂ processuale aggravata, di cui all’art. 96, co. 3, c.p.c., secondo il quale âIn ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dellâarticolo 91, il giudice, anche dâufficio, può altresĂŹ condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinataâ.
Si tratta, come è noto, di una sanzione che tende a punire l’abuso degli strumenti processuali. In altri termini, la condanna inflitta ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c. assume una doppia valenza: da un lato costituisce un risarcimento (coprendo un danno “presunto” della parte) e dall’altro ha la funzione di una vera e propria sanzione (il giudice pronuncia la condanna consapevole degli importanti effetti che essa avrĂ anche al di lĂ del giudizio in cui la stessa è resa, ossia per sottolineare la disapprovazione per l’utilizzo emulativo dello strumento processuale).
Non può, evidentemente, sfuggire la portata che può avere l’applicazione (sistematica) di detta disposizione alle ipotesi in questione, vale a dire di mancata partecipazione o di âpartecipazione fittiziaâ al procedimento di mediazione.
A tale proposito, ad esempio, il Tribunale di S.Maria Capua Vetere, con sent. 23 dicembre 2013, ha accolto la richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., ove sia ravvisabile l’elemento soggettivo della mala fede in capo ad una delle parti la quale â…anzichĂŠ recepire lâinvito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunaleâ.
Secondo la pronuncia in esame, infatti, detto comportamento andrebbe ad evidenziare un’ottica conflittuale antitetica alla nuova prospettiva alla quale sembra decisamente orientato il legislatore nell’attuale fase storica, come dimostrato peraltro, dalle reintroduzione dell’obbligatorietĂ del tentativo di mediazione a seguito del c.d. âdecreto del fareâ e relativa conversione.
Secondo il giudice, tale nuova prospettiva non può non attribuire al difensore un ruolo fondamentale, prima ancora che nella fase giudiziale, nell’attivitĂ di mediazione delle controversie, muovendosi ormai verso una concezione del ricorso al tribunale quale â…extrema ratio per la soluzione della quasi totalitĂ delle controversie civiliâ.
NĂŠ si tratta dell’unica pronuncia che muova da premesse del genere. Tutt’altro.
Anche per il Tribunale di Firenze (sez. III civ., sent. 17 marzo 2014) deve essere accolta la richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c. â…qualora si ravvisi lâelemento soggettivo della mala fede in capo alla parte che, anzichĂŠ recepire lâinvito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale. La condanna ex art. 96 cpc può essere infatti legata al comportamento tenuto non solo nella fase prettamente processuale, ma anche in quella della mediazione e, in particolare, al fatto che la parte non si presenti (senza giustificarsi) in mediazione e che abbia poi agito in giudizio pur nella consapevolezza dellâinfondatezza delle tesi sostenuteâ.
Una pronuncia successiva (Trib. Roma, sent. n. 4140/2014), ha altresĂŹ condannato ai sensi dell’art. 96 c.p.c. un’assicurazione in considerazione dei comportamenti da questa tenuti, tanto nella fase della mediazione quanto in quella del giudizio.
Osserva in fatti il giudice che detta parte âda un lato, non si era presentata, e senza giustificarsi, nella fase mediatoria; dallâaltro, aveva resistito alla domanda attorea âpur nella consapevolezza dellâinfondatezza delle tesi sostenute e nel difetto dellanormale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativaâ.
L’applicazione giudiziale della sanzione in parola, estesa dunque ad un momento pre â processuale (ove si tratti di mediazione ex lege) ovvero extra â processuale (ove, invece, si tratti di mediazione delegata dal giudice), può rappresentare, come risulta agevole rilevare, un congruo deterrente alla âdesertificazioneâ e allo âsvuotamentoâ dei procedimenti di mediazione.
Si tratta, pertanto, di un profilo che non può e non deve essere sottovalutato nel momento in cui la parte invitata in mediazione è chiamata ad effettuare le proprie scelte. Pertanto, non potrĂ non essere compreso tra gli aspetti che l’avvocato, in sede di informazione preventiva all’assistito, dovrĂ esplicare in modo dettagliato ed esaustivo.
Beninteso, occorre poi chiarire â e qui il contributo giurisprudenziale non può che essere determinante â cosa debba intendersi per âgiustificati motiviâ che effettivamente legittimino la diserzione del procedimento.
Certamente, non potrĂ ritenersi giustificata la mancata partecipazione fondata sull’asserita fondatezza della propria tesi (Tizio mi invita in mediazione, ma io, siccome âho ragioneâ sono giustificato nel non partecipare al procedimento…).
A tale proposito, il Tribunale di Roma, sez. XIII civ., nella recente sentenza 29 maggio 2014, ha precisato, traslando dalla fattispecie concreta al piano generale dei principi, che in questo modo â…si potrebbe infatti affermare che ogni qualvolta la controparte ritenga erronea la tesi della parte che lâha convocata in mediazione (come in questo caso), e pertanto inutile la sua partecipazione allâesperimento di mediazione, essa sia validamente dispensata dal comparirvi.
Lâesponente non si avvede nellâaporia in cui incorre posto che cosĂŹ ragionando sussisterebbe sempre in ogni causa un giustificato motivo di non comparizione, se è vero comâè vero che se la controparte condividesse la tesi del suo avversario la lite non potrebbe neppure insorgere e se insorta verrebbe subito meno. La ragione dâessere della mediazione si fonda proprio sulla esistenza di un contrasto di opinioni, di vedute, di volontĂ , di intenti, di interpretazioni etc., che il mediatore esperto tenta di sciogliere favorendo lâavvicinamento delle posizioni delle parti fino alraggiungimento di un accordo amichevoleâ.
Non può che condividersi.
Resta però da capire quali possano essere motivi tali da giustificare la mancata partecipazione (e non â ovviamente â la richiesta all’organismo di rinviare la data del primo incontro ad es. per malattia o per gravi necessitĂ sopravvenute), dal momento che l’unica, certa ragione legittimante l’assenza, vale a dire l’istanza presentata ad un organismo geograficamente âimpossibileâ, è stata eliminata in radice con l’introduzione della competenza territoriale ai sensi del novellato art. 4 D.lgs 28/2010.
La cultura della mediazione ed il contributo giurisprudenziale
Alcune considerazioni finali, alla luce di quanto finora analizzato, si impongono.
Che nel nostro paese la cultura della mediazione sia ad uno stadio di sviluppo embrionale è una verità sotto gli occhi di tutti.
D’altra parte il legislatore, dovendo necessariamente perseguire la strada degli interventi drastici, inevitabili nell’attuale situazione della giustizia civile, ha optato (rectius, dovuto optare) per l’obbligatorietĂ , in una vasta gamma di materie, per garantire il âdecolloâ dell’istituto e la medesima via ha ribadito a seguito dell’intervento della Corte costituzionale datato autunno 2012.
Al tempo stesso, però, c’è stato il coinvolgimento âformaleâ dell’Avvocatura e, soprattutto, il potenziamento degli strumenti a disposizione dei giudici per produrre la fuoriuscita delle liti dai giudizi giĂ instaurati.
Si può dunque affermare che, come nella realtĂ anglosassone, l’avvento di una vera cultura della mediazione in luogo di quella del conflitto che, ad avviso di scrive, tanti danni ha fin qui provocato, sia oggi nelle mani dei giudici.
In particolare, la nuova mediazione delegata dal giudice sembra aprire scenari del tutto innovativi per l’ordinamento giuridico italiano, i cui effetti potranno positivamente riflettersi, se l’istituto sarĂ assistito dal consolidarsi dei principi finora emersi in giurisprudenza, sugli interessi dei cittadini e delle imprese, che, non dimentichiamolo mai, sono i soggetti quotidianamente esposti ai nefandi effetti della crisi della giustizia civile.
Ciò che emerge dalla piĂš illuminata giurisprudenza è il graduale (ma costante) affermarsi di un nuovo modello di gestione del contenzioso, tale da far emergere gli interessi realmente sottesi a situazioni spesso sedimentatesi nel lungo periodo in luogo delle posizioni, preconcette ed apparentemente immutabili, proprie dell’approccio delle parti alla vicenda giudiziale.
Il conflitto può essere gestito solo comprendendone le ragioni piĂš profonde, attraverso uno studio che deve necessariamente muovere da presupposti radicalmente diversi da quelli su cui poggia la cultura tradizionale del conflitto, volti all’obiettivo della creazione di soluzioni conformi, nella misura massima possibile, alla realizzazione dell’interesse di tutte le parti coinvolte nella vicenda contenziosa.
Valori sociali, dunque, tra cui quello, ormai non piĂš differibile, della deflazione dei carichi della giustizia civile, i cui costi, in termini di competitivitĂ del sistema paese, sono ormai a tutti ben noti.
La mediazione delegata, cosĂŹ come strutturata a seguito della conversione del âdecreto del fareâ, unitamente alla mediazione endoprocedimentale di cui all’art. 185 â bis c.p.c., può veramente rappresentare la chiave per la diffusione di un diverso approccio che consenta, nel tempo, al pubblico di apprezzare in profonditĂ i pregi della soluzione condivisa delle liti, cosĂŹ da fungere da volano per la piĂš piena affermazione della mediazione tout court quale strumento ânormaleâ di risoluzione di numerose tipologie di controversie civili e commerciali.
In tema di mediazione disposta dal giudice e, in particolare, di proposta transattiva e conciliativa formulata dallo stesso, giĂ nell’autunno del 2013 il Tribunale di Fermo (ordinanza 17 ottobre 2013) ebbe modo di formulare quelle che furono opportunamente definite, in dottrina, vere e proprie âlinee guidaâ (cfr. Giovanni Matteucci, Conciliazione endoprocessuale e mediazione delegata: tenetele d’occhio, in www.blogconciliazione.com): â…rilevato che, a seguito dellâultima novella al c.p.c., sono stati tra lâaltro ulteriormente promossi gli istituti finalizzati alla fuoriuscita dal processo, rispetto ai quali, per quello che qui interessa, occorre sottolineare la presenza dei seguenti dati:
1) riconoscimento ope legis a tutti gli avvocati dellâidoneitĂ ad essere mediatori, riconoscimento il quale, seppure specificamente previsto con riferimento alla legge speciale sulla cosiddetta media-conciliazione, non può non essere preso come caratteristica della stessa professione di avvocato
2) riconoscimento al giudice di un forte potere-dovere conciliativo (o âtransattivoâ), giĂ anticipato, peraltro, da questo stesso giudice in via dâinterpretazione sistematica della pregressa normativa
3) libertĂ /informalitĂ della metodologia con la quale si svolge il tentativo di composizione, con lâunico limite del coinvolgimento paritario delle parti
4) tendenziale ricaduta sul regime delle spese in caso di proposta conciliativa fallita.
Considerato che, se questi sono i punti salienti che individuano il nuovo assetto delle possibilitĂ di conciliazione/transazione, ne discende la necessitĂ , piĂš che la possibilitĂ , di iniziare sistematicamente una composizione secondo le seguenti direttive:
a) responsabilizzazione dei difensori che, sia pure su impulso ed indirizzo del giudice, si vedono investiti di una proposta che possono gestire ulteriormente con i loro assistiti , ai fini di una composizione;
b) necessitĂ di attivare programmi sistematici di fuoriuscita dal processo nelle controversie di modesto valore, inferiore ad euro 10.000, salvo casi particolari da individuare con criteri predeterminati;
c) necessitĂ che non si protragga un contenzioso praticamente inutile in quanto in tutto o in parte si tratta di questioni âserialiâ su cui il giudice si è giĂ pronunciato, magari con sentenze âpilotaâ (es., rapporti bancari in materia di anatocismo)â.
Se i giudici mostreranno di ispirarsi ad una logica siffatta anche nel prossimo futuro, come sembra probabile alla luce degli sviluppi che si sono in precedenza evidenziati, ciò rappresenterà molto probabilmente uno dei contributi piÚ rilevanti in vista della costruzione e dello sviluppo, nel nostro paese, di un sistema di giustizia civile piÚ efficiente e piÚ rispondente alle concrete (e sempre piÚ pressanti) istanze dei cittadini e del mondo produttivo.
In una parola, l’obiettivo â ormai indifferibile â è quello di una giustizia civile piĂš giusta. L’occasione, occorre conclusivamente ribadirlo, è di quelle da non perdere: i rimpianti, in caso contrario, sarebbero davvero troppi.
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