mediazione obbligatoria conciliazione

Nasce a Verona il primo protocollo relativo alla mediazione civile obbligatoria

Commento:

La collaborazione tra  Magistrati del Tribunale di Verona, giuristi e l’Osservatorio Giustizia Civile del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Verona, ha portato all’elaborazione del progetto “Valore Prassi”.

Si tratta di un vademecum sulla mediazione civile obbligatoria, che si propone di fornire interpretazioni condivise su aspetti controversi che involgono il rapporto “procedimento di mediazione – processo civile”.

In tale prospettiva, il protocollo contiene proposte di rilevante impatto pratico-applicativo, quali, ad esempio, la sussistenza dell’obbligo di attivare la mediazione anche con riferimento alle eventuali domande relative a controversie di cui all’art. 5, comma 1 bis del D.Lgs. 28/2010, che siano proposte in corso di causa, o, sulla definizione delle modalità e dei termini per far valere la violazione del criterio della competenza per territorio dell’organismo di mediazione.

Inoltre, con riguardo al profilo operativo, il protocollo contiene svariate  indicazioni circa i presupposti che possono consigliare il ricorso alla mediazione demandata dal giudice o relative al rapporto tra mediazione demandata dal giudice e conciliazione giudiziale.

In sostanza, dunque, l’obiettivo degli ideatori del protocollo è quello di favorire l’applicazione di un istituto che certamente può contribuire a migliorare lo stato della giustizia civile nel nostro Paese, obiettivo che appare, allo stato attuale, incontestabilmente ineludibile.

 

Testo integrale:

Le proposizioni che seguono, in aderenza alla finalità propria dei protocolli degli osservatori sulla giustizia civile, sono meramente indicative e pertanto non possono essere intese in nessun modo come vincolanti.

1.Accesso alla mediazione (art. 4, comma 1)

  1. Il criterio di competenza per territorio dell’organismo di mediazione fissato dall’art. 71 quater, secondo comma, disp. att. c.c., è speciale rispetto a quello di cui all’art. 4, comma 1 D. Lgs. 28/2010.
  2.  E’ opportuno che nei casi di mediazione obbligatoria ex lege, la parte che intenda rilevare l’incompetenza per territorio dell’organismo di mediazione lo faccia nel corso della prima seduta davanti al mediatore adito o, qualora non intenda comparire, prima dello svolgimento di essa, mediante comunicazione scritta che individui l’organismo di mediazione ritenuto competente poiché il silenzio sul punto in fase di mediazione potrebbe essere inteso come accettazione della competenza dell’organismo adito.
  3.  Il rilievo di incompetenza per territorio dell’organismo di mediazione adito va valutato dal giudice della causa di merito, qualora la parte che ha promosso la mediazione non vi abbia aderito, e può essere distinto dall’eccezione di incompetenza per territorio del giudice adito, dovendo esse deciso sulla base dell’istanza di mediazione.

2.Ambito di applicazione della mediazione c.d. obbligatoria (art. 5, comma 1 bis) 

  1. L’individuazione delle materie del contendere ai fini dell’applicazione dell’art. 5 comma 1 bis del d. lgs. 28/2010 va compiuta con riferimento alla domanda, e cioè alla sostanza della pretesa ed ai fatti dedotti a fondamento di questa (criterio del c.d. petitum sostanziale), come evincibile dalla istanza di mediazione e, qualora il giudizio sia stato già introdotto, anche sulla base della prospettazione del convenuto.
  2. Per controversie in materia di diritti reali devono intendersi quelle aventi ad oggetto i diritti reali in  senso stretto, con esclusione, quindi, delle controversie riguardanti i contratti traslativi di tali diritti o aventi ad oggetto la nullità, l’annullamento o la risoluzione degli stessi.
  3. Per controversie in materia di contratti assicurativi devono intendersi tutte quelle che concernono l’interpretazione, la validità di un contratto avente ad oggetto una garanzia assicurativa, fatta salva l’esclusione delle controversie relative alla esecuzione di contratti assicurativi della responsabilità civile derivante da circolazione di veicoli.
  4. Per controversie in materia di contratti bancari devono intendersi quelle relative a contratti aventi ad oggetto operazioni o servizi bancari (non rientra tra esse, pertanto, la controversia relativa ad una fideiussione stipulata a garanzia di crediti bancari).
  5. Per controversie in materia di contratti finanziari devono intendersi quelle relative ad uno dei contratti previsti dal d. lgs. 58/1998, purchè una delle parti di esso sia un operatore professionale.
  6. Si ritiene preferibile l’interpretazione secondo cui rientrano tra le controversie in materia di uno dei contratti previsti dall’art. 5, comma 1, del d. lgs. 28/2010 anche quelle che abbiano ad oggetto la responsabilità pre – contrattuale relativa ad uno dei rapporti previsti da tale norma.
  7. Rientrano tra le controversie “in materia di” uno dei contratti previsti dall’art. 5 comma 1 bis del d. lgs. 28/2010 anche le azioni in surroga derivanti da uno di quei contratti nonchè quelle fondate sulla cessione di uno di essi e quelle fondate sulla cessione di un credito derivante da uno di quei rapporti. Non vi rientrano invece le azioni di regresso.
  8. Non rientrano nelle controversie di cui all’art. 71 quater disp. att. c.c. le controversie dirette alla nomina di un amministratore giudiziario ex art. 1129 primo comma c.c. e quelle dirette ad ottenere la revoca dell’amministratore di condominio poiché si svolgono con le forme del procedimento in camera di consiglio.
  9. Nelle controversie dirette a far accertare l’acquisto di un diritto reale per intervenuta usucapione, nelle quali possano esservi dubbi sul numero o sulla identità dei soggetti passivamente legittimati, è opportuno che il giudizio venga introdotto prima dell’espletamento della mediazione, al fine di verificare i predetti particolari. La stessa avvertenza vale per le controversie dirette a far accertare l’acquisto di un diritto reale per intervenuta usucapione nelle quali, a causa del numero dei soggetti da convenire in giudizio, sia necessario ricorrere alla notifica per pubblici proclami.
  10. Anche nelle controversie relative a diritti reali, per le quali vi sia la  necessità di trascrivere la domanda giudiziale, è opportuno che il giudizio venga promosso prima di svolgere la mediazione.

3. Istanza di mediazione e decadenza (Art. 5, comma 6).

  1.  Nel caso in cui si intenda iniziare il giudizio di merito conseguente all’ordinanza di accoglimento di una domanda cautelare di tipo conservativo, e tale giudizio rientri in uno di quelli soggetti a mediazione obbligatoria, l’istanza di mediazione non impedisce la decorrenza del termine previsto per l’introduzione del giudizio di merito poiché l’art. 5, ultimo comma, del d. lgs. 28/2010 deve intendersi riferito alle decadenze sostanziali e non anche a quelle processuali.
  2. La medesima indicazione di cui al punto precedente vale nel caso in cui si intenda proporre il giudizio di merito possessorio.
  3. Nel caso in cui si intenda impugnare una delibera di assemblea condominiale la comunicazione dell’istanza di mediazione ha l’effetto di sospendere il termine di decadenza previsto dall’art. 1137, terzo comma, c.c. con riguardo al giudizio di merito relativo all’impugnazione.

4. Cause oggettivamente e soggettivamente complesse (art. 5, comma 1)

  1. Qualora in un giudizio che non sia stato preceduto dalla mediazione  vengano svolte una domanda riconvenzionale o una reconventio reconventionis o una domanda trasversale o una chiamata di terzo o un intervento di terzo principale, relativi ad una delle materie del contendere di cui al comma 1 bis dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010, tali domande sono soggette a mediazione obbligatoria. In tali casi, qualora venga eccepito o rilevato il difetto della condizione di procedibilità, è opportuno che il giudice demandi alla mediazione l’intera controversia. E’ possibile demandare alla mediazione anche la sola domanda soggetta a mediazione obbligatoria, previa separazione di essa dalle altre, ma tale soluzione può pregiudicare il successo della mediazione. Le indicazioni contenute nei commi precedenti non valgono in caso di chiamata di terzo fondata su una ipotesi di responsabilità da circolazione stradale.
  2. La domanda riconvenzionale o la reconventio reconventionis inedita  (vale a dire che sia emersa nella fase giudiziale della lite ma non nella fase di mediazione che abbia preceduto il giudizio), che riguardino una delle materie del contendere di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d. lgs. 28/2010, sono soggette a mediazione obbligatoria nel caso in cui comportino un ampliamento del thema decidendum.
  3. L’onere di dimostrare tale presupposto grava sulla parte che eccepisca il difetto della condizione di procedibilità e, per assolverlo, essa può ricorrere o al consenso della controparte o alla produzione dell’istanza di mediazione e dell’adesione ad essa della controparte dalle quali risulti la causa petendi della prospettazione della parte convenuta.
  4. Al fine di agevolare tale verifica è opportuno che le parti facciano risultare nel verbale di mediazione la causa petendi delle domande prospettate nel corso di essa. Anche in questo caso è opportuno che il giudice demandi alla mediazione l’intera controversia.
  5. La domanda inedita nei confronti del terzo, relativa ad una delle materie del contendere di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d. lgs. 28/2010, è soggetta a mediazione obbligatoria, a condizione che il terzo possa evitare la controversia concludendo una transazione (una ipotesi di questo tipo è quello della domanda di garanzia impropria). Anche in questi casi è opportuno che il giudice demandi alla mediazione l’intera controversia.
  6. Le medesime indicazioni di cui al punto precedente valgono nel caso di domanda trasversale inedita.
  7. La domanda inedita svolta dal terzo interveniente ai sensi dell’art. 105, comma 1, c.p.c., relativa ad una delle materie del contendere di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d. lgs. 28/2010 è soggetta a mediazione obbligatoria. Anche in questo caso è opportuno che il giudice demandi alla mediazione l’intera controversia.
  8. Nel caso in cui in un giudizio, che sia stato preceduto dalla mediazione, il contraddittorio venga esteso, ai sensi dell’art. 102 c.p.c., ad una parte che non abbia partecipato alla fase di mediazione la domanda nei confronti di tale parte, che riguardi una delle materie del contendere di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d. lgs. 28/2010, non è soggetta a mediazione obbligatoria.
  9. La domanda inedita relativa ad una delle materie del contendere di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d. lgs. 28/2010 che sia cumulata ai sensi dell’art. 103 c.p.c. con altra o altre domande sulle quali si sia svolto il procedimento di mediazione, è soggetta a mediazione obbligatoria se è connessa impropriamente a quelle già oggetto di mediazione. L’onere di dimostrare tale presupposto grava sulla parte che eccepisca il difetto della condizione di procedibilità e, per assolverlo, essa può ricorrere o al consenso della controparte o alla produzione dell’istanza di mediazione e dell’adesione ad essa della controparte dalle quali risulti la causa petendi della prospettazione della parte convenuta. Al fine di agevolare tale verifica è opportuno che le parti facciano risultare nel verbale la causa petendi delle domande prospettate nel corso di essa. Anche in questo caso è opportuno che il giudice che ravvisi il difetto della condizione di procedibilità della domanda riconvenzionale o della reconventio reconventionis demandi alla mediazione l’intera controversia
  10. In caso di domande fondate su prospettazioni alternative, una o più delle quali rientrino tra quelle previste dall’art. 5, comma 1 bis, del d. lgs. 28/2010, l’intera causa va demandata alla mediazione.

5. Natura del termine per proporre la mediazione e termini per il rilievo della insussistenza della condizione di procedibilità (art. 5, comma 1 bis)

  1.  Il termine assegnato dal giudice, ai sensi dei comma 1 bis e 2 dell’art. 5 d. Lgs. 28/2010, per presentare domanda di mediazione deve intendersi ordinatorio e come tale è soggetto alla disciplina dell’art. 154 c.p.c.
  2. Se la mancanza di condizione di procedibilità non viene rilevata o eccepita entro la udienza di prima comparizione l’azione giudiziaria può proseguire normalmente.
  3. Se nessuna delle parti presenta istanza di mediazione entro l’udienza fissata dal giudice contestualmente all’assegnazione del termine di cui all’art. 5, comma 1 bis, del d. lgs. 28/2010, la domanda giudiziale va dichiarata improcedibile.
  4. Se alla udienza di prima comparizione di una controversia soggetta a mediazione obbligatoria si riscontra che la mediazione è iniziata ma non si è conclusa il giudice può differire la causa ad una udienza successiva al termine della mediazione, qualora le parti rappresentino la possibilità di una definizione conciliativa della controversia in quella sede. In caso contrario il giudice può proseguire nella ordinaria trattazione del giudizio che, quindi, si svolgerà parallelamente alla mediazione.
  5. L’indicazione di cui al punto precedente vale anche nel caso in cui la domanda di mediazione venga presentata successivamente alla scadenza del termine di assegnato dal giudice per lo svolgimento della mediazione ma prima dell’udienza che è stata fissata per la prosecuzione del giudizio, una volta scaduto il termine originariamente previsto per lo svolgimento della mediazione.
  6. E’ opportuno che, anche nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria, nelle quali venga eccepita, o rilevata, la mancanza della condizione di procedibilità, il giudice, che alla prima udienza ravvisi possibilità conciliative della lite, esperisca il tentativo di conciliazione, se del caso avvalendosi dell’art. 185 c.p.c, prima di assegnare alle parti il termine per promuovere la mediazione.

6. Procedimenti per ingiunzione, di opposizione a decreto ingiuntivo e procedimenti cautelari (art. 5, comma 4).

  1.  Tenuto conto delle incertezze interpretative esistenti sulle  conseguenze della mancata attivazione della mediazione nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo, soggette a mediazione obbligatoria, dopo la decisione da parte del giudice sulla istanza di concessione o sulla sospensione della p.e. (secondo un primo orientamento la conseguenza di detta omissione sarebbe la improcedibilità della domanda monitoria mentre secondo altra tesi l’improcedibilità sarebbe dell’opposizione), l’unica indicazione che si ritiene opportuno fornire è quella che sia l’opponente che l’opposto possono avere interesse ad attivare il procedimento di mediazione, per evitare la declaratoria di improcedibilità della domanda svolta da ciascuno di essi.
  2. I commi 1 bis e 2 dell’art. 5 del d. lgs. 28/2010 non si applicano nei procedimenti cautelari, ivi compreso quello relativo all’istanza di sospensione dell’ esecuzione della delibera di assemblea condominiale.

  7. Procedimento di mediazione (art. 8 )

  1.  L’obbligo di difesa fissato dall’art. 5 comma 1 bis D. Lsg. 28/2010 si riferisce solo alla partecipazione al procedimento di mediazione obbligatoria sia ex lege che ex contractu giacchè solo in questi casi la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
  2.  Possono costituire giustificato motivo di assenza:
  • la mancata comparizione davanti al mediatore per motivi di salute o di lavoro che determinino l’impedimento della parte a comparire per un apprezzabile lasso di tempo (pari,  superiore o di poco inferiore ai tre mesi che costituiscono il periodo normalmente previsto per lo svolgimento della mediazione) ;
  • la mancata comparizione davanti al mediatore giustificata sulla base del rilievo, formulabile anche a mezzo di comunicazione a distanza, della sua incompetenza per territorio;
  • la mancata comparizione davanti al mediatore dovuta alla mancata conoscenza della data dell’incontro di mediazione;
  • la mancata comparizione davanti al mediatore di un soggetto che non abbia capacità di agire o che sia privo di potere  rappresentativo

      3.    Si ritiene che la condanna di cui all’art. 8, comma 5, vada adottata al momento della decisione della causa, atteso che la                         parte che non è comparsa davanti al mediatore ha diritto di dimostrare le ragioni della sua assenza nel corso del giudizio,                    sulla base della disciplina propria del rito prescelto.

8. Mediazione delegata (art. 5, comma 2)

  1.  L’istituto trova un utile ambito di applicazione nelle ipotesi in cui la  possibilità di raggiungimento di una conciliazione dipenda dall’individuazione di soluzioni facilitative o nei casi di cumulo oggettivo o soggettivo di domande, per una sola delle quali la mediazione è prevista quale condizione di procedibilità (in questa ipotesi è opportuno che il giudice demandi alla mediazione l’intera controversia) o qualora, dato il carico del ruolo, il giudice  abbia difficoltà ad esperire tentativi di conciliazione.
  2. Il giudice può demandare la mediazione anche nelle controversie in cui si sia già svolta una mediazione ma è opportuno che prima di farlo valuti con i procuratori delle parti l’utilità di essa.
  3.  Nel caso in cui le parti convengano sulla opportunità della mediazione delegata è opportuno che le stesse individuino concordemente anche l’organismo di mediazione a cui rivolgersi.
  4. Nel caso di mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, comma 2, D. Lgs. 28/2010 è opportuno che il giudice indichi anche l’organismo di mediazione territorialmente competente al quale le parti potranno rivolgersi.
  5. Il difensore può rappresentare il proprio assistito nella fase di mediazione, ivi compresa la mediazione delegata, purchè sia munito di procura speciale a tal fine.
  6. L’art. 5 comma 2 d. lgs. 28/2010 nella parte in cui consente la mediazione delegata anche in sede di appello va inteso nel senso che la mediazione delegata è condizione di procedibilità dell’appello principale e dell’appello incidentale.

9. Art. 13 d. lgs. 28/2010 e suo raccordo con gli artt. 91 e 185 bis c.p.c.

  1.  L’applicazione dell’art. 13 del d. lgs. 28/2010 presuppone la possibilità di raffrontare la domanda di mediazione e la domanda giudiziale.
  2. La condanna alle spese della parte vittoriosa che ha rifiutato la proposta conciliativa del mediatore prescinde dalla valutazione sulla sussistenza di un giustificato motivo di tale rifiuto.
  3. Il richiamo agli artt. 92 e 96 del c.p.c contenuto nel secondo periodo dell’art. 13 del d. lgs. 28/2010 va inteso nel senso che il giudice potrà valutare il comportamento tenuto dalle parti nel giudizio conseguente alla fase di mediazione, ai fini  della compensazione delle spese di lite o della condanna per lite temeraria, senza essere vincolato dall’atteggiamento che esse possano aver tenuto di fronte alla proposta conciliativa del mediatore.
  4. Anche le parti e il giudice del giudizio successivo alla fase di mediazione possono formulare la proposta conciliativa prevista dall’art. 91 c.p.c. e 185 bis c.p.c  Qualora nella fase di mediazione vi sia stata una proposta conciliativa del mediatore rifiutata la proposta conciliativa fatta da una delle parti o del giudice nel conseguente giudizio, per produrre gli effetti previsti dall’art. 91 c.p.c, deve avere contenuto diverso rispetto alla prima.

10. Accordo conciliativo e fase di omologa (art. 11)  

  1.  E’ opportuno che nell’accordo conciliativo concluso davanti al mediatore vengano precisate le caratteristiche del procedimento di mediazione ed in particolare l’organismo di mediazione davanti al quale si è svolto il procedimento, se si sia trattato di mediazione obbligatoria o volontaria e le domande oggetto di esso.
  2.  L’accordo conciliativo va omologato dal Presidente del Tribunale del circondario in cui si è svolta la mediazione.
  3. Nel caso in cui l’accordo conciliativo concluso davanti al mediatore preveda obblighi infungibili di fare ovvero obblighi di non fare a carico di una parte, nonchè il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza di essi o per il ritardo nel loro adempimento, il creditore, in caso di inadempimento del debitore, può agire esecutivamente nei suoi confronti, dopo aver redatto il precetto sulla base del verbale di conciliazione. Condizione perché il creditore possa avvalersi di tale diritto è che, al momento della pattuizione della somma predetta, siano stati individuati i comportamenti che da inibire ed il criterio seguito per determinarne l’importo, anche in relazione al comportamento futuro del debitore (ad esempio precisando quali siano le conseguenze di un adempimento solo parziale della prestazione o di un ritardo nell’adempimento qualora si tratti di condanna ad un non facere con indicazione, altresì, ove possibile, il momento a partire dal quale si verifica l’inadempimento alla condanna).
  4. Nel redigere il precetto di cui al punto precedente il creditore deve comunque esplicitare i calcoli in virtù dei quali ha determinato la somma indicata nell’atto.
  5. Il debitore può proporre opposizione all’esecuzione qualora contesti la sussistenza di uno dei presupposti di fatto addotti dal creditore oppure la correttezza dei calcoli eseguiti o qualora adduca fatti estintivi o modificativi del diritto alla somma di cui ai punti precedenti.
  6. In caso di opposizione, la ripartizione dell’onere della prova tra opponente ed opposto è  strettamente dipendente dalla natura dell’obbligazione di cui si controverte. In ragione di ciò non è opportuno fissare un’indicazione generale sul punto, se non il principio generale secondo cui “negativa non sunt probanda”.
  7. Avverso il rigetto dell’istanza di omologa dell’accordo conciliativo concluso davanti al mediatore può essere proposto reclamo davanti alla Corte di Appello compente.
  8. Per contestare il decreto di omologa dell’accordo conciliativo concluso davanti al mediatore il destinatario di quanto in esso previsto può proporre opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. o agire in via ordinaria.

 

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Corso di Aggiornamento per mediatori civili: Tempio Pausania

IL NUOVO MODELLO DI MEDIAZIONE CIVILE E

LA MEDIAZIONE IN MATERIA BANCARIA

PROGRAMMA

PARTE TEORICA Analisi del nuovo modello di mediazione civile e commerciale introdotto dal c.d. Decreto del Fare. In particolare saranno trattati i seguenti argomenti principali:
  1. L’evoluzione normativa: dal testo originario del D. lgs 28/2010 alla “nuova” mediazione obbligatoria.
  2. Materie in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
  3. Problematiche inerenti l’introduzione della competenza per territorio.
  4. Il ruolo dell’Avvocato: mediatore ex lege e presenza necessaria in mediazione ai fini dell’assistenza delle parti nel procedimento.
  5. I nuovi termini del procedimento.
  6. Il nuovo procedimento: in particolare l’incontro preliminare volto a valutare la disponibilità  delle parti, assistite dall’Avvocato, a procedere nel tentativo di mediazione.
  7. Innovazioni normative in tema di efficacia ed esecuzione dell’accordo.
  8. Nuova mediazione delegata. Poteri del giudice.
  9. La Mediazione in materia Bancaria: l’anatocismo e le altre criticità nel contenzioso sui contratti di conto corrente bancario
  10. Dalla Delibera CICR del 09/02/2000 alle recenti modifiche normative dell’art 120 TUB in materia di  capitalizzazione trimestrale
  11. Le commissioni sull’accordato, eredi “naturali” delle Commissioni di massimo scoperto
  12. L’usura bancaria ed i suoi riflessi in materia civilistica
  13. Le azioni stragiudiziali a tutela della clientela bancaria: la mediazione e il Ricorso all’ABF
  14. Orientamenti giurisprudenziali
PARTE PRATICA
Esperienze di mediazione; disamina ed analisi di situazioni – tipo del procedimento, con particolare riferimento al nuovo incontro preliminare, all’illustrazione da parte del mediatore della natura dello stesso ed alle conseguenze sul piano procedimentale e relazionale della presenza obbligatoria dell’Avvocato in mediazione. Redazione del verbale conclusivo ed esercitazioni.
 
Il corso è accreditato dal Consiglio Nazionale Forense con 18 crediti formativi ed ha ottenuto il Patrocinio della Confcommercio Nord Sardegna sezione di Tempio Pausania.
 

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Mediazione-obbligatoria

Mediazione Delegata: Ordinanza Tribunale di Bologna

    Ancora sulla presenza personale

   delle parti in mediazione

Si afferma sempre più, in giurisprudenza, il principio in base al quale la natura stessa della mediazione civile comporta la presenza personale delle parti dinanzi al mediatore.

L’istituto, infatti, è finalizzato al recupero della dialettica tra le parti in vista della ricostruzione di un rapporto che consenta loro il superamento delle rispettive posizioni iniziali (spesso – come ben sa chi opera nel settore – preconcette), e, in   conseguenza di ciò, un incontro che si svolga tra i soli avvocati delle parti ed il mediatore – se può, in ipotesi, portare ad un esito positivo – solo formalmente risulterebbe qualificabile come mediazione.

Nella scia di tali considerazioni deve inserirsi la recente ordinanza 5 giugno 2014 del Tribunale di Bologna, in tema di mediazione delegata dal giudice ex art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010.

Va rilevato, peraltro, come i contenuti del provvedimento appaiono, francamente, estensibili anche alla mediazione ante causam, ove condizione di procedibilità della domanda giudiziale, come peraltro già espressamente affermato in giurisprudenza (cfr. Trib. Firenze, ordd. 17 e 19 marzo 2014)

Secondo la pronuncia in esame, infatti, le disposizioni di cui agli artt. 5, co. 5 – bis, e 8 D.lgs 28/2010 devono essere interpretate alla luce del contesto europeo nel quale si collocano (cfr. direttiva 2008/52/CE).

Ciò implica, secondo il Tribunale, che l’ordine del giudice deve ritenersi osservato “…soltanto in caso di presenza della parte (o di un di lei delegato), accompagnata dal difensore (e non anche in caso di comparsa del solo difensore, anche quale delegato della parte).

Quanto precede è giustificato dalle considerazioni che seguono.

In primo luogo, la natura della mediazione richiede “…che all’incontro (…) siano presenti (anche e soprattutto le parti): l’istituto, infatti, mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore”.

Inoltre, va osservato che “…i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, sono senza dubbio già a conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità (come peraltro si desume dal fatto che essi, prima della causa, devono fornire al cliente l’informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010), di talchè non avrebbe senso imporre l’incontro tra i soli difensori ed il mediatore in vista di una (dunque, inutile) informativa.

 In terzo luogo (e soprattutto, ad avviso di chi commenta), il giudice bolognese rileva il fatto che “…l’ipotesi in cui all’incontro davanti al mediatore compaiono i soli difensori, anche in rappresentanza delle parti, non può considerarsi in alcun modo mediazione, come si desume dalla lettura coordinata dell’art. 5, comma 1 – bis, e dell’art. 8, che prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’assistenza degli avvocati, e questo implica la presenza degli assistiti (personale o a mezzo di delegato, cioè di soggetto comunque diverso dal difensore)”.

Sulla base delle considerazioni che precedono, dunque, non potrà ritenersi osservato l’ordine del giudice laddove i soli difensori delle parti si rechino dal mediatore e, ricevute le chiarificazioni del caso su funzione e modalità della mediazione, dichiarino il proprio rifiuto di procedere nel tentativo.

D’altra parte, è chiaro come, nella mediazione disposta dal giudice ai sensi dell’art. 5, co. 2, un’eventuale partecipazione al procedimento dei soli difensori appaia caratterizzata dalla massima irrazionalità: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto le opportune valutazioni circa la “mediabilità” del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”…la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che le stesse si siano svolte nel colloquio processuale con i difensori.

Ciò, naturalmente, presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; tanto che, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, dovrà, a norma dell’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, assegnare alle parti il termine di 15 gg. per la presentazione dell’istanza di mediazione presso un organismo territorialmente competente – ove si tratti di  mediazione obbligatoria – ovvero dovrà provvedere egli stesso a rendere le parti edotte circa la facoltà in parola, eventualmente disponendone la comparizione personale, nell’ipotesi appunto di mediazione facoltativa.

In sintesi, dunque, il Tribunale di Bologna si innesta, con la pronuncia in parola,  in quell’orientamento le cui origini vanno rintracciate nelle ordd. 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze.

Si tratta – giova rammentarlo – di provvedimenti adottati all’interno di ipotesi di mediazione delegata dal giudice: le considerazioni in esse svolti – però – investendo la natura stessa della mediazione (e posto che il legislatore non attribuisce, di per sé, caratteristiche diverse al procedimento a seconda che consegua all’iniziativa della parte istante o all’ordine del giudice), sembra possano essere senz’altro estese alla mediazione obbligatoria tout court e, pertanto, anche a quella ex lege di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010.

Appare quindi del tutto condivisibile l’opinione per la quale l’assenza della parte finisca con il determinare conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti di una vicenda che di per sé è destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, propedeutico all’auspicato sbocco conciliativo.

sentenze mediazione civile

Il primo incontro di mediazione nella nuova disciplina della mediazione civile

Il primo incontro di mediazione nella nuova

disciplina della mediazione civile

dott. Luigi Majoli

1. Il primo incontro di mediazione: profili problematici

La L. 98/2013, nel convertire, con emendamenti, il D.L. 69/2013 (c.d. “decreto del fare”), ha introdotto, modificando l’art. 8, co 1, D.lgs 28/2010, una nuova disciplina del primo incontro nell’ambito del procedimento di mediazione. Si tratta di una disposizione di carattere generale, in quanto rubricata semplicemente come “procedimento”, come tale, dunque, applicabile ad ogni procedura di mediazione, indipendentemente dal carattere di “obbligatorietà” ovvero di “facoltatività” dal quale, di volta in volta, la stessa risulti rivestita.

Si ritiene opportuno, in questa sede, puntualizzare quanto di nuovo sia stato in effetti introdotto dalla novella in parola e, soprattutto, anche alla luce delle recenti pronunce giurisprudenziali sul punto, quale reale dimensione interpretativa sia da attribuirsi alla disciplina del primo incontro di mediazione.

L’art. 8, co. 1, D.lgs 28/2010, nella sua veste di nuovo conio, dispone che “All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Al primo incontro e agli incontri successivi, fino al termine della procedura, le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato. Durante il primo incontro il mediatore chiarisce alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. Il mediatore, sempre nello stesso primo incontro, invita poi le parti e i loro avvocati a esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura di mediazione e, nel caso positivo, procede con lo svolgimento. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari”.

Risulta di immediata evidenza il fatto che il nuovo testo tende a specificare determinate attività che, pur non menzionate espressamente dalla disposizione precedentemente vigente, pur tuttavia il mediatore non poteva certamente omettere di svolgere comunque, in quanto imprescindibili in sede di approccio iniziale con le parti.

Ci si riferisce alla esplicazione, da parte del mediatore, della funzione e delle modalità della mediazione, da un lato, e all’invito, rivolto alle parti ed ai rispettivi avvocati, ad esprimersi circa la possibilità di “iniziare” (e su tale aspetto si tornerà tra breve) la procedura, dall’altro.

Si tratta di una verifica, da parte del mediatore, della corretta instaurazione del procedimento, affinchè risulti possibile proseguire nel tentativo. Lo schema procedimentale rimane quello originale: informativa circa natura e funzione della mediazione e, ove non emerga una oggettiva causa ostativa, ingresso nel merito della controversia, con duplice possibile esito: conciliazione delle parti ovvero mancato accordo.

In altri termini: espletate le verifiche rituali, il mediatore, ai sensi dell’art. 8, co. 3, “…si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia”.

Il legislatore ha ritenuto di utilizzare il verbo “iniziare” anziché il più opportuno “proseguire” ovvero “procedere”, ma non sembra possano sussistere dubbi sul fatto che l’avvio della procedura si abbia con l’atto introduttivo, e non con una supposta espressione di volontà in tal senso ad opera delle parti in sede di primo incontro.

Ciò, ad avviso di chi scrive, per due ragioni.

La prima, di ordine sistematico, da ravvisarsi nel fatto che  ove l’”inizio” della procedura venisse a dipendere da una “manifestazione di volontà” delle parti, ciò risulterebbe contraddittorio, a dir poco, con la previsione del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, D.lgs 28/2010. Le parti – in altri termini – potrebbero sottrarsi al procedimento mediante una mera dichiarazione di rifiuto, in sede di primo incontro, che finirebbe con il trasformare, de facto, lo svolgimento della procedura da obbligo nascente ex lege a mera facoltà.

La seconda, di natura più squisitamente procedimentale, data dal fatto che non possono esservi dubbi sulla circostanza che l’”inizio” della procedura sia determinato dall’atto introduttivo, ossia dalla domanda di cui all’art. 4.

D’altra parte, il termine di cui all’art. 6, co. 1, decorre, secondo quanto previsto dal secondo comma della medesima disposizione, dalla “…data di deposito della domanda di mediazione” e, inoltre, a norma dell’art. 5, co. 6, “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresi’ la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo”, aspetti, questi ultimi, che dimostrano come il legislatore consideri il procedimento, a quel punto, già instaurato.

Da quanto precede appare dunque chiaro che la semplice verifica di una asserita “volontà” delle parti di “iniziare” il procedimento, senza un effettivo svolgimento dello stesso, non possa considerarsi sufficiente ai fini della soddisfazione della condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

D’altra parte, l’art. 5, co. 2 – bis, D.lgs 28/2010, dispone che “Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”. Ove quindi una parte aderisca al solo scopo di esprimere la propria volontà di non procedere nel tentativo, il mediatore dovrebbe considerare tale comportamento alla stessa stregua di una mancata adesione, con conseguente eventuale applicazione, nella successiva fase giudiziale, delle sanzioni di cui all’art. 8, ult. co., D. lgs 28/2010.

Se poi il verbale dovesse limitarsi a registrare le volontà di entrambe le parti di “non iniziare” il procedimento, il giudice, considerando il tentativo come non esperito, potrebbe disporre l’effettivo svolgimento del procedimento, come previsto dall’art. 5 del decreto legislativo.

2. Le conseguenze della mancata partecipazione

In tema di mancata partecipazione al primo incontro di mediazione ovvero – come si è avuto modo in precedenza di osservare –  di partecipazione – escamotage, vale a dire semplicemente finalizzata ad esprimere la “volontà” di non esperire il tentativo, devono ovviamente essere tenute presenti le conseguenze di cui all’art. 8, ult. co., D.lgs 28/2010. Tale disposizione, come è noto, prevede che “Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile. Il giudice condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5, non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio”.

Il giudice, quindi, è chiamato a valutare la fondatezza delle ragioni che hanno portato la parte invitata a disertare il procedimento.

Il giudice, per l’appunto. Certamente non il mediatore, che dovrà limitarsi a dare atto, in sede di verbale, della mancata partecipazione. Allo stesso modo il mediatore ben potrà, come già evidenziato supra, dare atto del mancato svolgimento del tentativo in presenza di entrambe le parti, senza poter entrare nel merito delle eventuali motivazioni rappresentate dalla parte invitata, come agevolmente si può evincere dal disposto degli artt. 9 e 10 D.lgs 28/2010, relativi, come è noto, al “Dovere di riservatezza” e “Inutilizzabilità e segreto professionale”.

Pertanto, il mediatore darà atto nel verbale che la procedura si è avviata, che le comunicazioni sono state ritualmente effettuate e che le parti si sono presentate al primo incontro, senza però che alcun tentativo di mediazione abbia potuto effettivamente svolgersi.

Occorre poi considerare quanto previsto dall’art. 96, co. 3, c.p.c., secondo il quale “In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”.

Si tratta, come è noto, di una sanzione che tende a punire l’abuso degli strumenti processuali. In altri termini, la condanna inflitta ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c. assume una doppia valenza: da un lato costituisce un risarcimento (coprendo un danno “presunto” della parte) e dall’altro ha la funzione di una vera e propria sanzione (il giudice pronuncia la condanna consapevole degli importanti effetti che essa avrà anche al di là del giudizio in cui la stessa è resa, ossia per sottolineare la disapprovazione per l’utilizzo emulativo dello strumento processuale).

In giurisprudenza, già da tempo, si è affermato il principio secondo cui il mancato esperimento del tentativo di mediazione, senza giustificato motivo, oltre beninteso le conseguenze di cui all’art. 8, ult. co. D.lgs 28/2010, possa configurare la c.d. responsabilità processuale aggravata, di cui alla disposizione summenzionata.

Il Tribunale di S.Maria Capua Vetere, con sent. 23 dicembre 2013, in particolare, ha accolto la richiesta di condanna ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c., ove sia ravvisabile l’elemento soggettivo della mala fede in capo ad una delle parti la quale “…anziché recepire l’invito della controparte che avrebbe potuto condurre ad una soluzione del problema, abbia preferito adire il Tribunale”.

Secondo la pronuncia in esame, infatti, detto comportamento andrebbe ad evidenziare un’ottica conflittuale antitetica alla nuova prospettiva alla quale sembra decisamente orientato il legislatore nell’attuale fase storica, come dimostrato peraltro, dalle reintroduzione dell’obbligatorietà del tentativo di mediazione a seguito del c.d. “decreto del fare” e relativa conversione.

Secondo il giudice, tale nuova prospettiva non può non attribuire al difensore un ruolo fondamentale, prima ancora che nella fase giudiziale, nell’attività di mediazione delle controversie, muovendosi ormai verso una concezione del ricorso al tribunale quale “…extrema ratio per la soluzione della quasi totalità delle controversie civili”.

In altri termini, dunque, ove il giudice ritenga, come nel caso appena menzionato, che la controversia dedotta in giudizio avrebbe agevolmente potuto essere risolta senza il coinvolgimento dell’Autorità giudiziaria se, semplicemente, la parte invitata avesse aderito alla chiara volontà della controparte di addivenire ad una soluzione conciliativa, può scattare la condanna ex art. 96, co. 3, c.p.c., potendosi scorgere, in un comportamento siffatto, per l’appunto l’elemento soggettivo della mala fede.

E non si tratta di un caso isolato. Una pronuncia successiva (Trib. Roma, sent. n. 4140/2014), ad esempio, ha condannato ai sensi dell’art. 96 c.p.c. un’assicurazione in considerazione dei comportamenti da questa tenuti, tanto nella fase della mediazione quanto in quella del giudizio.

Osserva in fatti il giudice che detta parte “da un lato, non si era presentata, e senza giustificarsi, nella fase mediatoria; dall’altro, aveva resistito alla domanda attorea “pur nella consapevolezza dell’infondatezza delle tesi sostenute e nel difetto dellanormale diligenza con cui era stata istruita la pratica assicurativa”.

Si tratta, pertanto, di un profilo che non può e non deve essere sottovalutato nel momento in cui la parte invitata in mediazione è chiamata ad effettuare le proprie scelte.

3. L’obbligo di informativa dell’avvocato all’assistito

L’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010 dispone che “All’atto del conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Tale disposizione attua quanto previsto nell’art. 60, co. 3, lett. h), della legge delega n. 69/2009, disposizione ispirata, a sua volta, dall’indicazione di cui al n. 25 della Direttiva 2008/52/CE.

Si tratta, dunque, di un’informativa obbligatoria posta a carico degli avvocati, già contemplata nell’originario testo del D.lgs 28/2010 ed a fortiori riconfermata in virtù della previsione legislativa relativa alla necessaria assistenza dell’avvocato in mediazione.

A tale proposito, sembra opportuno sottolineare come debba trattarsi di un’informativa piena e completa, non soltanto, cioè, relativa alla possibilità di avvalersi della mediazione o al fatto che, nelle materie di cui all’art. 5, co. 1 – bis, essa costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, nonché alle correlate agevolazioni fiscali previste dalla legge. Dovranno essere illustrate, altresì, anche (e soprattutto) le caratteristiche del procedimento, a partire – dunque – dalle finalità e dalle modalità del primo incontro.

D’altra parte, già l’art. 40 del Codice deontologico forense prevede l’obbligo, per gli avvocati, di informare i propri assistiti “…all’atto dell’incarico delle caratteristiche e dell’importanza della controversia o delle attività espletate, precisando le iniziative e le ipotesi di soluzioni possibili”.

Ora, evidentemente, tale obbligo di informativa si estende, a seguito del D.lgs 28/2010, al procedimento di mediazione.

Naturalmente, l’obbligo di cui sopra dovrà essere assolto tanto dall’avvocato della parte istante, quanto da quello della parte chiamata.

Certamente, l’obbligo nasce al momento del conferimento dell’incarico. Pur coincidendo, di fatto, detto momento con quello del conferimento della procura alle liti, appare chiaro come l’allegazione dell’informativa non possa considerarsi effettuata ove meramente inserita nella procura medesima.

Si tratta, infatti, di due atti ben distinti e separati, come peraltro già affermato in giurisprudenza a partire da Trib. Varese, ordinanza 6 maggio 2011, in cui si afferma che “…ai sensi dell’art. 4, comma III, cit., “il documento che contiene l’informazione e’ sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto introduttivo dell’eventuale giudizio”: è, dunque, chiaro che deve trattarsi di un atto distinto e individuabile, firmato dal cliente separatamente dagli altri documenti e “allegato” al fascicolo”.

L’informativa, pertanto, esplicita e completa dell’indicazione delle caratteristiche del procedimento di mediazione, dovrà essere contenuta in un atto a sé stante che risulti, ovviamente, sottoscritto dall’assistito.

Occorre a questo punto valutare quali siano le conseguenze che la vigente normativa prevede per l’ipotesi di violazione dell’obbligo di informativa in commento.

Il legislatore ha inteso considerare una duplice casistica.

In primo luogo, l’omessa informazione all’assistito. In tal caso, a norma dell’art. 4, co. 3, D.lgs 28/2010, si determina l’annullabilità del contratto tra avvocato e cliente.

Ben diversa è invece l’ipotesi in cui il documento contenente l’informativa non risulti allegato all’atto introduttivo del giudizio (ovvero, beninteso, alla comparsa di risposta).

Sul punto, il medesimo art. 4, co. 3, all’ultimo periodo prevede che “il giudice che verifica la mancata allegazione del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, informa la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

La disposizione in parola impone, evidentemente, in virtù del richiamo all’art. 5, co. 1 – bis, una netta distinzione tra mediazione obbligatoria e facoltativa.

Nel primo caso, appare evidente che ove alla mancata allegazione si accompagni il mancato esperimento della mediazione, il giudice non potrà che assegnare alle parti il termine di 15 giorni per presentare l’istanza di mediazione presso un organismo territorialmente competente, fissando altresì udienza successivamente allo spirare del termine (tre mesi) di cui all’art. 6, co. 1.

Ove invece il tentativo di mediazione risulti de facto esperito – pur senza allegazione dell’informativa – quest’ultima circostanza non potrà assumere – ovviamente – rilevanza alcuna.

Qualora si tratti, invece, di mediazione facoltativa, il giudice, a seguito dell’accertamento della mancata allegazione dell’informativa, dovrà provvedere egli stesso a rendere le parti edotte circa la facoltà in parola, eventualmente disponendone la comparizione personale.

4. L’effettività del primo incontro di mediazione

 In un contesto come quello che si è appena delineato, non può essere sottaciuto il contributo fornito dalla giurisprudenza.

Appare necessario sottolineare, infatti, un progressivo incremento dell’interesse da parte dei Giudici nei confronti delle nuove prospettive sviluppatesi a seguito dell’entrata in  vigore del nuovo modello di mediazione civile.

Particolarmente indicative, in tal senso, le ordinanze 17 e 19 marzo 2014 del Tribunale di Firenze.

Certamente, dette pronunce si riferiscono alla mediazione delegata dal giudice di cui all’art. 5, co. 2, D.lgs 28/2010, ma i principi in esse contenuti appaiono estensibili a tutte le ipotesi di mediazione “obbligatoria”, dal momento che il legislatore non ha inteso configurare modelli procedimentali differenti in funzione del fatto che la mediazione consegua alla (necessaria) iniziativa della parte che intenda proporre una domanda nelle materie di cui all’art. 5. co 1 – bis, ovvero che sia demandata, in primo grado o in appello, dal giudice ex art. 5, co. 2.

Ciò premesso, il primo profilo che va senz’altro posto in una corretta ottica è quello dell’”effettività” del primo incontro di mediazione.

Secondo entrambe le citate ordinanze, infatti, per mediazione disposta dal giudice deve intendersi un tentativo di mediazione effettivamente avviato, ossia che le parti, anziché limitarsi ad incontrarsi ed informarsi, per poi non aderire alla proposta del mediatore di procedere, adempiano effettivamente all’ordine del giudice, partecipando alla vera e propria procedura (auspicabilmente) conciliativa, salvo, naturalmente, l’emergere di questioni pregiudiziali ostative al suo svolgimento.

L’ordinanza 19 marzo 2014, in particolare, pur muovendo dalla premessa di una difficile individuazione del confine tra la fase preliminare e la mediazione vera e propria, osserva, con riferimento alla mediazione delegata ex art. 5, co. 2, come “…ritenere che l’ordine del giudice sia osservato quando i difensori si rechino dal mediatore e, ricevuti i suoi chiarimenti su funzione e modalità della mediazione, (…) possano dichiarare il rifiuto di procedere oltre, appare una conclusione irrazionale e inaccettabile”.

Ciò, ad avviso del giudice, perchè “…ritenere che la condizione di procedibilità sia assolta dopo un primo incontro, in cui il mediatore si limiti a chiarire alle parti la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, vuol dire in realtà ridurre ad un’ inaccettabile dimensione notarile il ruolo del giudice, quello del mediatore e quello dei difensori. Non avrebbe ragion d’essere una dilazione del processo civile per un adempimento burocratico del genere. La dilazione si giustifica solo quando una mediazione sia effettivamente svolta e vi sia stata data un’effettiva chance di raggiungimento dell’accordo alle parti. Pertanto occorre che sia svolta una vera e propria sessione di mediazione. Altrimenti, si porrebbe un ostacolo non giustificabile all’accesso alla giurisdizione”.

La medesima impostazione ermeneutica è rintracciabile anche nell’ordinanza 17 marzo 2014 del medesimo Ufficio giudiziario.

In quest’ultima pronuncia, peraltro, si prospetta espressamente un’assimilazione, quanto al profilo dell’effettivo esperimento del tentativo, tra mediazione delegata e mediazione ex lege ai sensi dell’art. 5, co. 1 – bis.

Osserva infatti il giudice come debba ritenersi che “…le procedure di mediazione ex ritenuto ex art. 5, comma 1-bis (ex lege) e comma 2 (su disposizione del giudice) del d.lgs. 28/10 (e succ. mod.), sono da ritenersi ambedue di esperimento obbligatorio, essendo addirittura previsti a pena di improcedibilità dell’azione; che difatti, per espressa volontà del legislatore, il mediatore nel primo incontro chiede alle parti di esprimersi sulla “possibilità” di iniziare la procedura di mediazione, vale a dire sulla eventuale sussistenza di impedimenti all’effettivo esperimento della medesima e non sulla volontà delle parti, dal momento che in tale ultimo caso si tratterebbe, nella sostanza, non di mediazione obbligatoria bensì facoltativa e rimessa alla mera volontà delle parti medesime con evidente, conseguente e sostanziale interpretatio abrogans del complessivo dettato normativo e assoluta dispersione della sua finalità esplicitamente deflattiva”.

Nel caso di specie, in altri termini, secondo il giudice fiorentino il tentativo di mediazione, pur ritualmente iniziato, non risulta altrettanto ritualmente condotto a termine e pertanto “…le parti devono essere rimesse dinanzi al mediatore affinché, in ottemperanza all’interpretazione sopra offerta, prosegua e si esaurisca l’esperimento della procedura di mediazione”.

In sostanza, dunque, il Tribunale di Firenze individua le ragioni della “impossibilità di iniziare la procedura”, di cui all’art. 8, co. 1, nelle sole questioni preliminari o pregiudiziali di natura oggettiva, chiarendo come non sia previsto in alcun modo che le parti manifestino una sorta di volontà di partecipazione al tentativo di mediazione effettivamente inteso.

5. La partecipazione personale delle parti al primo incontro

 Non meno degno d’interesse appare l’ulteriore profilo che emerge dalla giurisprudenza in commento, vale a dire quello relativo alla presenza personale delle parti in mediazione.

Tale esigenza, secondo l’ordinanza 19 marzo 2014, deve riguardare anche il primo incontro, in quanto parte integrante del procedimento di mediazione.

Muovendo dalla (oggettiva…) considerazione di una ambiguità di fondo riscontrabile nella formulazione dell’art. 8, D. lgs 28/2010, si rileva che “…tuttavia, nell’art. 5, comma 5 bis, si parla di “primo incontro concluso senza l’accordo”. Sembra dunque che il primo incontro non sia una fase estranea alla mediazione vera e propria: non avrebbe molto senso parlare di ‘mancato accordo’ se il primo incontro fosse destinato non a ricercare l’accordo tra le parti rispetto alla lite, ma solo la volontà di iniziare la mediazione vera e propria”.

In tale prospettiva, prosegue la pronuncia, non potrà ritenersi osservato l’ordine del giudice laddove i soli difensori delle parti si rechino dal mediatore e, ricevute le chiarificazioni del caso su funzione e modalità della mediazione, dichiarino il proprio rifiuto di procedere nel tentativo.

Posto infatti che “…la natura della mediazione esige che siano presenti di persona anche le parti: l’istituto mira a riattivare la comunicazione tra i litiganti al fine di renderli in grado di verificare la possibilità di una soluzione concordata del conflitto: questo implica necessariamente che sia possibile una interazione immediata tra le parti di fronte al mediatore. L’assenza delle parti, rappresentate dai soli difensori, dà vita ad altro sistema di soluzione dei conflitti, che può avere la sua utilità, ma non può considerarsi mediazione. D’altronde, questa conclusione emerge anche dall’interpretazione letterale: l’art. 5, comma 1-bis e l’art. 8 prevedono che le parti esperiscano il (o partecipino al) procedimento mediativo con l’ ‘assistenza degli avvocati’, e questo implica la presenza degli assistiti”, il giudice osserva che “…i difensori, definiti mediatori di diritto dalla stessa legge, hanno sicuramente già conoscenza della natura della mediazione e delle sue finalità. Se così non fosse non si vede come potrebbero fornire al cliente l’ informazione prescritta dall’art. 4, comma 3, del d.lgs 28/2010, senza contare che obblighi informativi in tal senso si desumono già sul piano deontologico (art. 40 codice deontologico ). Non avrebbe dunque senso imporre l’incontro tra i soli difensori e il mediatore solo in vista di un’informativa”.

Il fatto che la condizione si avveri con il solo incontro tra gli avvocati e il mediatore appare poi “…particolarmente irrazionale nella mediazione disposta dal giudice: in tal caso, infatti, si presuppone che il giudice abbia già svolto la valutazione di ‘mediabilità’ del conflitto (come prevede l’art. 5 cit.: che impone al giudice di valutare ”la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti”), e che tale valutazione si sia svolta nel colloquio processuale con i difensori. Questo presuppone anche un’adeguata informazione ai clienti da parte dei difensori; inoltre, in caso di lacuna al riguardo, lo stesso giudice, qualora verifichi la mancata allegazione del documento informativo, deve a sua volta informare la parte della facoltà di chiedere la mediazione”.

Considerazioni del tutto analoghe, anche se espresse in forma meno estesa, emergono dall’ordinanza 17 marzo 2014, in cui si sottolinea come “…l’esplicito riferimento operato dalla legge (art. 8) alla circostanza che “…al primo incontro e agli incontri successivi fino al termine della procedura le parti devono partecipare con l’assistenza dell’avvocato…” implica la volontà di favorire la comparizione personale della parte quale indefettibile e autonomo centro di imputazione e valutazione di interessi, limitando a casi eccezionali l’ipotesi che essa sia sostituita da un rappresentante sostanziale, pure munito dei necessari potei”, ragion per cui “…mentre certamente soddisfa il dettato legislativo l’ipotesi di delega organica del legale rappresentante di società, al contrario il mero transeunte impedimento a presenziare della persona fisica dovrebbe invece comportare piuttosto un rinvio del primo incontro”.

In sintesi, dunque, il Tribunale osserva come l’assenza della parte determini conseguenze rilevanti sulla natura stessa del tentativo di mediazione che, in quanto tale, dovrebbe dipanarsi in modo tale da consentire agli interessati di assurgere quanto più possibile al ruolo di autentici protagonisti della vicenda (auspicabilmente) destinata a favorire il recupero del rapporto tra le parti, anticamera di ogni ipotesi di conciliazione. Una trattativa svolta dai soli avvocati potrebbe anche portare ad un esito fruttuoso, ma non rappresenterebbe una mediazione vera e propria, assumendo piuttosto le sembianze di una mera transazione, in quanto tale ispirata alla (diversa) logica delle reciproche rinunce.

6. La rappresentanza delle parti nel procedimento di mediazione

 Si è sottolineato, in precedenza, come la partecipazione personale delle parti al procedimento di mediazione debba sempre e comunque essere preferita e favorita, proprio in forza delle caratteristiche e finalità dell’istituto.

Difficilmente, infatti, potrà conseguirsi un accordo solido e soddisfacente che prescinda da un contatto per così dire “autentico” tra le parti.

D’altra parte, in nessuna delle fonti da cui scaturisce la disciplina della mediazione civile, decreto legislativo e decreti ministeriali attuativi, sono rintracciabili disposizioni che definiscano le regole applicabili nell’ipotesi in cui si intenda utilizzare lo strumento della rappresentanza, vale a dire ove si voglia autorizzare altri a partecipare al procedimento in nome e per conto proprio.

Occorre quindi valutare con attenzione modalità di conferimento e limiti di un siffatto potere negoziale.

In carenza di previsioni specifiche, non potranno che trovare applicazione le regole generali in tema di rappresentanza (artt. 1387 ss. cod. civ.): le parti, quindi, in linea di principio, potranno stare nel procedimento rappresentate – oltre che assistite – dal proprio avvocato (ovvero rappresentate da altra persona di fiducia, che dovrà, però, a sua volta, presenziare agli incontri di mediazione con l’assistenza dell’avvocato).

Posto tuttavia che la rappresentanza in esame ha natura negoziale e non processuale, appare evidente che il rappresentato dovrà conferire adeguata procura ad negotia che autorizzi il rappresentante ad agire in nome e per conto, con idonea puntualizzazione dei poteri e dei limiti.

In sostanza, in mediazione, il mediatore e l’altra parte dovranno essere in grado di interfacciarsi con un soggetto che risulti realmente in grado di esplorare tutte le possibilità conciliative, molte delle quali, come ben ha presente chi pratica la mediazione, emergono nel procedimento (e dal procedimento), spesso molto al di là delle posizioni iniziali.

Appare quindi palese la differenza con la procura a transigere e conciliare di cui all’art. 185 c.p.c., che viene conferita con riferimento ad un momento processuale, il tentativo di conciliazione che scaturisce da richiesta congiunta delle parti, che, come tale, non può che ricadere su un ambito oggettivo già definito dal thema decidendum del giudizio pendente.

Per queste ragioni, soltanto la procura notarile speciale, redatta ad hoc per il singolo affare, oltre a permettere al rappresentante di stipulare atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, è in grado di fornire le necessarie garanzie in ordine alla sua utilizzabilità nei confronti di terzi.

D’altronde, il verbale conclusivo del procedimento, è atto che descrive in forma scritta quanto avvenuto in presenza del mediatore. Questi, nel sottoscrivere il verbale, è chiamato a certificare l’autografia delle sottoscrizioni delle parti (o la loro impossibilità di sottoscrivere) e di conseguenza non potrà non accertare, quale momento prodromico rispetto alla mediazione vera e propria, dunque da attuarsi nell’ambito delle fasi iniziali del primo incontro, l’effettiva e piena legittimazione del soggetto che eventualmente rappresenti la parte istante o quella invitata.

Ove si consideri che il verbale è un atto che produce effetti giuridici ex lege, prescindenti, pertanto, dalla volontà dei soggetti che concorrono a formarlo, vieppiù ne deriva che il mediatore debba preliminarmente procedere, nell’ipotesi di rappresentanza, alla verifica del fatto che il potere di mediare e di (eventualmente) conciliare risulti effettivamente sussistente.

Sembra quindi di poter concludere nel senso che ad un mero mandato ad litem rilasciato all’avvocato dal quale la parte intenda farsi rappresentare – oltre che assistere – non possa essere riconosciuta valenza alcuna – ai fini dei rapporti con i terzi – se non inserito, come evidenziato supra, in una procura speciale autenticata da pubblico ufficiale che autorizzi la più ampia disposizione del diritto oggetto della procedura di mediazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Introduction to Negotiation Skills & Techniques and to the legal issues to be dealt with during role plays ( The Sale of Goods, Elements of Tort Law, damages )
Day 2 Negotiation Styles & Case Study;.Workshop 1: Negotiation Tools & Personalities.Ethics of Negotiation & Ethics in Negotiation
Day 3 Preparing for Negotiation.Workshop 2: One – to – One Negotiation.Ethics in Mediation: a EU comparative perspective.
Day 4 Negotiation: Tips and Tactics.Workshop 3: Multilateral Negotiation.Mediation: an introduction to Mediation Advocacy Skills.
Day 4 Mediation: How to prepare a client to Mediation; from  clientʾs positions to clientʾs interests; Information gathering and strategy defined.Case study on Tort Law: planning, role play and feedback

 

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