mediazione civile obbligatoria dl 69-2013 dlsg 28-2010

La Commissione giustizia del Senato ”frena” sui tagli in materia di geografia giudiziaria

Parere favorevole, anche se accompagnato da non pochi rilievi critici, da parte della Commissione giustizia del Senato in ordine al provvedimento del Governo con il quale si prevede la revisione della geografia giudiziaria italiana, contemplandosi, come è noto, la soppressione di 37 tribunali, 38 Procure e 220 sezioni distaccate.
In particolare, la Commissione ha posto la condizione rappresentata dalla salvezza dai tagli di 18 tribunali e 39 Sezioni distaccate.
Premessa una totale condivisione circa la finalità di garantire una più razionale organizzazione delle risorse umane e materiali in vista delle esigenze di risparmio di spesa e di incremento di efficienza, la Commissione si sofferma poi sulle criticità che ritiene meritevoli di ponderato riesame.
Innanzitutto, si rileva come nell’esercizio del potere delegato il Governo non si sia strettamente attenuto, nella individuazione degli uffici da mantenere o da sopprimere, a tutti i criteri di delega disattendendo, in particolare, quelli che impongono, da un lato, di tenere conto delle “specificità territoriali del bacino di utenza anche con riguardo alla situazione infrastrutturale” e del “tasso di impatto della criminalità organizzata” e dall’altro di assumere come prioritaria linea di intervento il riequilibrio delle attuali competenze territoriali, demografiche e funzionali tra uffici limitrofi della stessa area provinciale caratterizzati da rilevanti differenze dimensionali.
In secondo luogo, si osserva come una corretta applicazione dei principi e criteri direttivi implichi un’adeguata e funzionale presenza di uffici giudiziari sul territorio, ridimensionando dunque la portata ablativa del provvedimento in oggetto e prevedendo, altresì, che nelle sedi dei Tribunali in via di soppressione sia comunque mantenuta una sezione distaccata del Tribunale accorpante.
Non risulta poi condivisibile la decisione governativa di procedere alla soppressione di tutte le sezioni distaccate, specialmente ove si consideri che essa è accompagnata da una collaterale e altrettanto drastica riduzione degli uffici di Giudice di Pace.
Non si condivide altresì la soppressione delle sezioni distaccate con bacino d’utenza superiore a 100.000 abitanti e un carico di lavoro con una media, nel periodo 2006 – 2010 di oltre 4000 sopravvenienze, anche in considerazione dell’effetto negativo che si verrebbe a produrre sui Tribunali accorpanti.
Si reputa poi indispensabile il mantenimento delle sezioni distaccate in aree montane, per i disagi infrastrutturali che la loro soppressione comporterebbe, soprattutto nel periodo invernale, così come si auspica la conservazioni delle sezioni di Ischia, Lipari e Porto Ferraio, stante l’impossibilità per i cittadini in alcuni giorni di raggiungere la terraferma.
Infine, si sottolinea come non si sia tenuto in adeguato conto, ai fini della soppressione, il rapporto tra i costi attuali degli uffici e i costi di riallocazione, così come il problema della effettiva disponibilità e idoneità delle strutture immobiliari delle sedi accorpanti, per non parlare delle strutture già realizzate che resterebbero, una volta dismesse, prive di utilizzo.
In relazione alle evidenziate criticità, dunque, la Commissione propone opportuni accorpamenti in modo tale da consentire non solo economie di scala, ma anche e soprattutto di rispettare i prioritari criteri indicati nella legge delega, che impone di tener conto del bacino di utenza, anche con riguardo alla situazione infrastrutturale.
La parola, ora, ritorna la Governo.

Severino: da Avvocatura chiusura pregiudiziale nonostante disponibilità su riforma forense

Comunicato stampa del Ministero della Giustizia

1° agosto 2012

Avevo convocato un incontro con i rappresentanti dell’avvocatura per discutere del tema di un loro possibile contributo allo smaltimento dell’arretrato civile. I miei interlocutori hanno ritenuto che fosse pregiudiziale alla trattazione di questo tema sciogliere il nodo della legge professionale, preceduta dallo stralcio della posizione degli avvocati da quella di altre categorie professionali dal regolamento sugli ordini di prossima emanazione”. Lo afferma il ministro della Giustizia, Paola Severino, a conclusione della riunione con tutti i rappresentati dell’avvocatura tenutasi nel pomeriggio del primo agosto presso la sala Livatino nel dicastero di Via Arenula.

Ho manifestato la mia disponibilità a partecipare attivamente alla stesura della legge di riforma della professione forense che ne valorizzasse la specificità e di volerlo fare in tempi ristrettissimi, durante il periodo estivo, senza quindi che ciò ritardasse l’itinerario parlamentare e – prosegue il Guardasigilli –consentendo al governo di esprimere un parere più meditato sulla richiesta di sede deliberante in Commissione Giustizia della Camera. Ho preso atto di questa chiusura pregiudiziale. Sottoporrò la questione al prossimo Consiglio dei ministri che – conclude il ministro Severino – assumerà le conseguenti decisioni”.

Mediazione-civile-d.lgs-28-2010

Nullità dell’atto di citazione e mancato esperimento del tentativo di mediazione

Secondo il Tribunale di Palermo, sez. distaccata di Bagheria, sentenza 13 giugno 2012, nell’ipotesi in cui nell’atto di citazione risulti omesso l’avvertimento della decadenza di cui all’art. 38 c.p.c. e, per giunta, trattandosi di materia in cui la mediazione sia obbligatoria, il relativo tentativo non sia stato esperito, il giudice non può disporre il rinvio innanzi all’organismo di mediazione.
Senza dubbio va preliminarmente rilevato come la Cassazione abbia più volte ribadito la necessità, alla luce dell’ordinamento vigente, di interpretare ed applicare le norme processuali nel senso dei principi di cui all’art. 111 Cost., relativi alla ragionevole durata del processo, con la conseguenza che deve ritenersi escluso che il mancato compimento di adempimenti processuali del tutto superflui possa condurre a conseguenze contrarie alle esigenze di contenimento dei tempi processuali.
Va tuttavia osservato, nel senso opposto, il fatto che la rinnovazione della notifica della citazione ed il contestuale invito a procedere in mediazione impedirebbe alle parti ancora non presenti in causa di porre in evidenza le ragioni per le quali, a loro avviso, la mediazione non dovrebbe effettuarsi. D’altra parte, ove il soggetto chiamato in mediazione aderisse all’invito, sarebbe tenuto a sopportare i costi del procedimento senza essere ancora costituito in giudizio, mentre, ove disertasse il tentativo, sarebbe poi costretto, nel caso di successiva costituzione in giudizio, a motivare tale sua assenza con un giustificato motivo, onde evitare le conseguenze sfavorevoli previste dall’art. 8, co. 5, D.lgs n. 28 del 2010.
Ecco il testo del provvedimento in esame:

Tribunale di Palermo, sez. distaccata di Bagheria
Sentenza 13 giugno 2012

̋Visto che nell’atto di citazione manca l’avvertimento relativo alle decadenze di cui all’art. 38 c.p.c;
visto che l’art. 164 c.p.c. prevede per tale ipotesi la nullità della citazione;
rilevato che parte convenuta non si è costituita, con la conseguenza che non si è sanato il detto vizio;
ritenuta, quindi, nulla la citazione;
rilevato che, trattandosi di causa in materia di scioglimento della comunione, andava esperito il previo procedimento di mediazione;
rilevato, in generale, che non può disporsi la rinnovazione della citazione o della notificazione della stessa o l’integrazione del contraddittorio per una successiva udienza assegnando contestualmente il termine per la proposizione dell’istanza di mediazione;
considerato, infatti, che è necessario garantire a tutte le parti del giudizio la possibilità di interloquire sulla necessità o meno di instaurare un procedimento di mediazione (con riferimento ad esempio alla circostanza della sussumibilità della specifica controversia in quelle soggette per legge alla mediazione obbligatoria);
ritenuto che l’invio delle parti in mediazione contestualmente all’imposizione degli adempimenti per la regolare instaurazione del contraddittorio sarebbe sì una soluzione attuativa del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, ma impedirebbe alle parti ancora non presenti in giudizio di evidenziare le ragioni per cui non andrebbe effettuata la mediazione obbligatoria e potrebbe comportare, in caso di presentazione davanti al mediatore del chiamato in mediazione, la sopportazione di costi ad opera di quest’ultimo soggetto ancora non costituito in giudizio e la necessità per lo stesso chiamato, in caso di sua contumacia nel procedimento di mediazione, di dover motivare il giustificato motivo della sua assenza qualora decidesse di costituirsi poi in giudizio e ciò al fine di evitare le conseguenze negative previste dall’art. 8, comma 5, d.lgs. 28/10;
valutato che è vero che più volte la Corte di Cassazione ha evidenziato che l’ordinamento vigente impone la necessità di interpretare ed applicare la normativa processuale in armonia con il principio di cui all’art. 111 Cost. sulla ragionevole durata del processo come principio che conduce ad escludere che il mancato compimento di adempimenti processuali che si siano appalesati del tutto superflui possa condurre ad una conseguenza di sfavore per il processo, ma che è anche vero che ciò vale sempre che siano rispettati il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa (v. Cass., sez. un., 20604/08; sez. un. 9962/10; sull’incidenza sulle regole processuali del principio della ragionevole durata del processo solo dopo la regolare instaurazione del contraddittorio v. anche, in materia di decisioni della c.d. terza via, Cass., sez. III, 6051/10);
considerato comunque, che, in linea con le citate esigenze di ragionevole durata del processo, nulla esclude che nel presente giudizio l’attore si attivi spontaneamente, prima della prossima udienza, per provocare il tentativo di mediazione, così evitando di dover attendere a tal fine l’udienza ex art. 183 c.p.c. per poi dovere subire il rilievo officioso dell’improcedibilità della domanda e, quindi, un ulteriore rinvio ad oltre quattro mesi di distanza;
P.Q.M.
dichiara la nullità della citazione e ne dispone la rinnovazione fissando come nuova prima udienza delle parti quella del 19.12.2012, ore 10.00”.

corso mediatori, corso aggiornamento mediatori

L’ipoteca iscritta con l’accordo di mediazione costituisce garanzia giudiziale

Secondo il Tribunale di Varese, decreto 12 luglio 2012, l’art. 12, secondo comma, D.lgs n. 28 del 2010, reca una norma speciale avente natura integrativa della disciplina di diritto comune in materia di ipoteca.
Deve cioè ritenersi che il verbale di conciliazione omologato costituisce titolo per una iscrizione di ipoteca avente carattere e natura “giudiziale”, pur rimanendo fermo che i dati di iscrizione devono essere riferiti all’accordo e non al decreto.
Di seguito il testo integrale del provvedimento.

TRIBUNALE DI VARESE
Sez. Prima Civile

Decreto 12 luglio 2012.
Ai sensi dell’art.12 comma II, del d.lgs.. 28/2010, il verbale di accordo, debitamente omologato, costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca. Nell’alveo della mediazione, le parti – concludendo il negozio compositivo della lite – danno linfa ad un contratto che resta a base volontaristica, senza che l’omologa incida sulla natura del patto. Ne discende che la previsione di cui all’art.12 cit. va riferita, per l’appunto, all’accordo (eventualmente contenuto nel verbale) ma non ad atti diversi.
Vi è, però, che nel caso in esame, è il Legislatore stesso ad avere effettuato una specifica scelta discrezionale prevedendo che l’ipoteca iscritta con l’accordo di mediazione sia “giudiziale”. Deve, dunque, prendersi atto di una norma speciale integrativa della disciplina di diritto comune che vincola l’interpretazione nel senso di ritenere l’iscrizione, per l’appunto, giudiziale, fermo restando che i dati di iscrizione devono essere riferiti all’accordo e non al decreto.
E’ evidente che questa interpretazione presenta delle aporie: la base è volontaria ma la garanzia è giudiziale; d’altro canto, trattasi di scelta del legislatore favor mediatonis per evitare che l’accesso all’ipoteca dipenda o meno dalla volontà dei litigante di prevedere espressamente la garanzia nell’accordo, invece, oggi, assistito ope legis dal favore dell’ipoteca di tipo giudiziale.
Nulla per le spese, tenuto conto della particolarità della questione.

P.Q.M.

Ordina al Conservatore di provvedere alla iscrizione dell’ipoteca giudiziale come richiesta dalla parte ricorrente.
Si comunichi.
Nulla sulle spese.
Decreto Esecutivo
Varese, 12.7.2012
Il giudice rel. Il Presidente
dr.ssa Chiara Delmonte Dr. Giuseppe Buffone

mediazione-obbligatoria-durata-mediazione-avvocati-mediatori-materie-obbligatorie-mediazione

Domanda di divisione della casa coniugale in sede di divorzio: la mediazione è obbligatoria?

In seguito alla proposizione di una domanda con la quale si sottoponeva all’attenzione del Giudice la questione dell’obbligatorietà o meno della procedura di mediazione a fronte di una istanza di divisione della casa coniugale nell’ambito di una causa di divorzio, ad avviso del Tribunale di Tivoli, ordinanza 30 maggio 2012, la disposizione di cui all’art. 5 del D.lgs. n. 28 del 2010 non sarebbe chiara, e dunque non suscettibile di univoca interpretazione, non avendo previsto alcunché in merito al rapporto tra riti diversi. Essa, in sostanza, non sembrerebbe idonea ad offrire quella certezza della regola che deve essere propria della norma (e che, in ultima analisi, ne connota la funzione) rimettendo il compito di legiferare “di fatto” al Giudice, con ciò delegando all’autorità giudiziaria una vera e propria attività normativa, anziché ermeneutica e rischiando di porre le parti (rectius la generalità degli utenti della Giustizia) in una inaccettabile situazione di incertezza giuridica.
Il Giudice ha dunque considerato necessaria la verifica di conformità alla Costituzione di un simile legiferare sotto il profilo della incertezza che deriva nel diritto, sollevando la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5 D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 – attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali – con riferimento agli articoli 11, 24, 111, 117 della Costituzione nonché dell’art. 6 e 13 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e degli artt. 47, 52 e 53 della Carte dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, nella parte in cui viola il principio di non incertezza del diritto (“defaut de securité juridique”) non prevedendo una formulazione della normativa che di comprensione univoca e chiara del proprio significato.
Nell’ordinanza di rimessione, il Giudice a quo premette la necessità di risolvere, preliminarmente, la “… questione di legittimità costituzionale e di compatibilità con le norme UE dell’istituto della mediazione introdotto dal D.lgs. 28/2010.
Viceversa, dovrebbe procedersi a disapplicazione dell’istituto della mediazione nel suo insieme, senza entrare nello specifico del difetto di certezza di diritto costituzionalmente rilevante riguardo all’ambito applicativo della norma.
In proposito, ed attendendo gli insegnamenti della Consulta sulle questioni già sollevate da altri uffici giudiziari, questo Giudice ritiene di limitare i quesiti alla attenzione della Consulta a quelli sopra evidenziati, sinteticamente considerato, in ordine alle questioni pendenti innanzi alla Consulta, che la previsione di uno strumento quale il tentativo obbligatorio di conciliazione é finalizzata ad assicurare l’interesse generale al soddisfacimento più immediato delle situazioni sostanziali realizzato attraverso la composizione preventiva della lite rispetto a quello conseguito attraverso il processo, risultando, per tale via, perfettamente coerente anche con i principi e gli obiettivi propri del diritto comunitario.
Il fatto che il D.lgs 28/2010 non preveda la necessaria assistenza di un difensore, infatti, non significa che alla parte sia vietato avvalersi di un avvocato nel corso della procedura e, comunque, come ha osservato attenta dottrina, la mediazione opera su un piano esclusivamente negoziale, potendo, sotto tale profilo, essere avvicinata alla disciplina dell’arbitrato, in cui non è prevista per le parti l’assistenza obbligatoria dell’avvocato. La costituzionalità della normativa citata, per tutte le ragioni sopra illustrate, permette di affermarne anche la compatibilità con il diritto comunitario, per come evincibile anche dalla sentenza del 18 marzo 2010 della Corte di giustizia dell’Unione europea, pronunciatasi (nelle cause riunite C-317/08, C-318/08, C-319/08 e C-320/08) proprio sulla previsione, da parte dello Stato italiano, di un tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni. La Corte di Lussemburgo, infatti, ha affermato che il diritto alla tutela giurisdizionale, quale diritto fondamentale dell’individuo, può anche soggiacere a restrizioni, purchè le stesse risultino proporzionate e funzionali al soddisfacimento di interessi generali, quali, appunto, il decongestionamento dei tribunali o la definizione più spedita e meno onerosa delle controversie in materia di comunicazioni elettroniche.
Inoltre, il procedimento di mediazione obbligatoria non preclude la tutela cautelare e la trascrizione della domanda giudiziale; produce, sulla decadenza e sulla prescrizione, effetti simili a quelli propri della domanda giudiziale. Il sacrificio in termini di tempo e i costi imposti dalla mediazione obbligatoria, del resto, sono potenzialmente giustificati e resi ragionevoli dal vantaggio che può ottenersi in caso di esito positivo della procedura.
Infine, non sembra profilarsi neppure il denunciato eccesso di delega. L’articolo 60 della legge 69/2009 nulla, infatti, ha previsto in ordine alla facoltatività od obbligatorietà del preventivo ricorso alla mediazione e la scelta della obbligatorietà fatta dal Legislatore non è una scelta irragionevole, in quanto non si pone fuori dalla tradizione processuale italiana, che conosce, come noto, varie ipotesi di tentativi obbligatori di conciliazione
”.
Sulla base delle ragioni che precedono, dunque, il Tribunale di Tivoli, ritenuto l’istituto in sé e per sé conforme ed anzi funzionale alle normative sovranazionali, precisa che intende porre non un problema di compatibilità dell’istituto medesimo con l’impianto costituzionale e normativo europeo, “…ma solo una questione di determinazione dell’ambito di applicazione sotto il profilo del difetto di securite juridique.
In questa ipotesi non può il Giudice procedere alla disapplicazione totale di un apparato normativo conforme alle leggi e ai principi cui è gerarchicamente sottoposto, ma deve limitarsi ad interessare il Giudice delle Leggi alla verifica di costituzionalità relativamente al profilo di interesse
”.

1 45 46 47 48 49 58