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Il Consiglio nazionale forense interviene nel giudizio di legittimità costituzionale sulla mediazione

Il Consiglio nazionale forense ha depositato, il 3 luglio scorso, un proprio atto di intervento relativamente al giudizio di legittimità costituzionale concernente le norme che disciplinano la mediazione finalizzata alla conciliazione in ambito civile e commerciale.
Si tratta della questione sollevata dal Tribunale di Genova con ordinanza 18 novembre 2011. Come è noto, il prossimo 23 ottobre dovrebbe (il condizionale in questo caso sembra d’obbligo…) tenersi l’udienza di discussione innanzi alla Corte costituzionale.
Nell’atto di intervento, il Consiglio nazionale forense chiede che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010, nella parte in cui contempla l’esperimento del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale prevedendone al tempo stesso il carattere oneroso, e nella parte in cui prevede che solo il convenuto possa non aderire al procedimento di mediazione medesimo.
Da rilevare, infine, come anche l’OUA (Organismo Unitario dell’Avvocatura) abbia posto l’accento sul fatto che le ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale ed alla Corte di Giustizia europea siano in costante aumento. Attualmente, si è raggiunta quota dieci: quelle del TAR Lazio, del Tribunale di Genova, del Tribunale di Torino e dei giudici di pace di Parma, Salerno, Recco, Genova e Catanzaro, cui deve aggiungersi il rinvio alla Corte di Giustizia operato dal giudice di pace di Mercato San Severino.

Mediazione-civile-d.lgs-28-2010

La consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. non è alternativa rispetto al procedimento di mediazione

Il Tribunale di Milano, VI sezione civile, con ordinanza 24 aprile 2012, ha avuto occasione di chiarificare due rilevanti aspetti, inerenti all’introduzione dell’obbligatorietà della mediazione, che non avevano mancato di suscitare una qualche incertezza, tanto in dottrina quanto sul piano applicativo.
In primo luogo, quanto all’istanza di accertamento tecnico preventivo ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c., il giudice ne esclude in via preliminare l’improcedibilità per mancato pregresso esperimento del procedimento di mediazione, dal momento che si tratta di una ”…condizione che si reputa riferita ai soli procedimenti di natura contenziosa e non già ai procedimenti, quale il presente, con finalità di conciliazione della lite”.
Inoltre, e questo rappresenta il punto di diritto fondamentale, il Tribunale osserva come la coesistenza nell’ordinamento processuale dei due istituti dell’ATP conciliativo, di cui all’art. 696 bis c.p.c., e del procedimento di mediazione, di cui al D.lgs n. 28 del 2010, non sia prevista in termini di alternatività, tale per cui il ricorso all’uno esclude il ricorso all’altro, ”…stimandosi che il ricorso al primo, rimesso alla disponibilità delle parti ove ne ricorrano i presupposti (con particolare riferimento all’utilità di una verifica tecnica che consenta alle parti di fare chiarezza sul tema controverso e su istanze restitutorie o risarcitorie poste), non escluda la necessità di ricorrere al secondo quando, non raggiunto l’obiettivo della conciliazione, si profili la via contenziosa e quindi, nelle materie previste, l’obbligatorietà di ricorrere al preventivo procedimento di mediazione (nel quale, prevalenti le relazionali di mediazione, ci si potrà comunque avvalere dell’accertamento tecnico già svolto)”.

Tentativo di conciliazione obbligatorio per i licenziamenti per motivi economici

Con l’approvazione della riforma del lavoro 2012, una nuova ipotesi di conciliazione obbligatoria viene ad aggiungersi a quelle previste dall’art. 5 del D.lgs n. 28 del 2010.
La novità normativa riguarda i licenziamenti per motivi economici (giustificato motivo oggettivo), con riferimento alle aziende con oltre 15 dipendenti.
Secondo quanto previsto dal testo approvato alla Camera, i licenziamenti di cui sopra debbono essere preceduti ”…da una comunicazione effettuata dal datore di lavoro alla Direzione territoriale del lavoro”, mediante la quale l’azienda deve dichiarare ”…l’intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicare i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato”.
Nei sette giorni successivi a tale comunicazione, la Direzione del lavoro deve convocare le parti dinanzi la Commissione provinciale di conciliazione, di cui all’art. 410 c.p.c., per un tentativo stragiudiziale di conciliazione, in cui verranno esplorate le eventuali alternative al recesso, tentativo che dovrà essere espletato nel termine di 20 giorni, salvo che le parti non manifestino la volontà di procedere oltre al fine di pervenire ad un accordo.
Ove il tentativo non si concluda positivamente, il datore di lavoro comunicherà il licenziamento ed il lavoratore potrà, a sua volta, adire le vie giurisdizionali. Se il giudice riterrà effettivamente illegittimo il licenziamento, stabilirà il conseguente indennizzo, tenendo conto della condotta delle parti nella precedente fase di conciliazione. Per contro, ove il giudice dovesse considerare il licenziamento legittimo, il lavoratore non avrà diritto al risarcimento eventualmente offerto dal datore di lavoro in sede conciliativa, che il lavoratore stesso abbia ritenuto di rifiutare.
Qualora invece il tentativo si concluda con la conciliazione delle parti, vale a dire con la soluzione del rapporto di lavoro e con un correlativo accordo di natura economica, il lavoratore conserva il diritto all’assicurazione per l’impiego (nuova Aspi) e, al fine di favorirne la ricollocazione professionale, può esserne previsto l’affidamento ad un’agenzia di cui all’art. 4, co. 1, lett. a) e b), del D.lgs n. 276 del 2003.

mediazione civile obbligatoria dl 69-2013 dlsg 28-2010

Nuove parcelle avvocati, incentivo in caso di conciliazione

E´ ormai in dirittura d’arrivo, presso il Consiglio di Stato, il Decreto ministeriale relativo alla determinazione dei nuovi criteri per il compenso dei professionisti.
Il Decreto, contenente 42 articoli sulla liquidazione giudiziale delle prestazioni ai professionisti, è stato elaborato dal Ministero della Giustizia, e contiene rilevanti novità per quanto concerne gli avvocati.
In linea generale, l’innovazione di maggiore portata appare quella rappresentata dal collegamento tra la parcella del professionista e l’esito del giudizio, con riflessi premiali riguardo il ricorso alla conciliazione e, soprattutto, mirando a evitare l’avvio di cause manifestamente infondate.
Nello specifico, i compensi degli avvocati saranno liquidati per fasi con un incentivo del 25% ove il procedimento si concluda con la conciliazione.
Qualora, invece, la domanda sia dichiarata inammissibile o improcedibile, o manifestamente infondata nel merito, la parcella del professionista sarà diminuita del 50%.
Con riferimento ai giudizi civili, amministrativi e tributari, gli avvocati saranno retribuiti sulla base delle seguenti cinque fasi:
1) studio della controversia;
2) introduzione del procedimento;
3) fase istruttoria;
4) fase decisoria;
5) fase esecutiva.

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Proseguono le misure volte ad incentivare il ricorso alla mediazione

Una interessante novità in tema di incentivi alla mediazione risulta contenuta nel decreto legge n. 83 del 2012 (Misure urgenti per la crescita), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 giugno 2012.
L’art. 54 del decreto, infatti, modifica l’art. 2 della legge n. 89 del 2001 (legge Pinto), aggiungendo il comma 2−quinques, con il quale si prevedono le ipotesi in cui non è riconosciuto l’indennizzo, anche laddove il processo non abbia avuto una durata ragionevole. Tra le ipotesi in parola, risalta in modo particolare il caso di cui all’art. 13, co. 1, del D.lgs n. 28 del 2010, nel quale, come è noto, si dispone che ove il provvedimento che definisce il giudizio, introdotto a seguito dell’esito negativo del tentativo di mediazione, corrisponda in toto alla proposta conciliativa, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte risultata vittoriosa, che abbia rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente nel medesimo periodo, nonché al versamento di una ulteriore somma, a favore dell’entrata del bilancio dello Stato, di importo corrispondente al contributo unificato dovuto.
L’inclusione dell’ipotesi in esame tra le cause di esclusione dell’indennizzo ordinariamente previsto per le ”lungaggini” processuali appare, evidentemente, ispirata alla finalità di incentivare ulteriormente l’utilizzo effettivo della mediazione, scopo del resto già perseguito da altre norme oggi vigenti, primo tra tutti l’art. 8 del D.lgs n. 28 del 2010, che colpisce chi non abbia partecipato, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione, e si sia poi costituito nel successivo giudizio, mediante la condanna, da parte del giudice, al pagamento di una somma di importo pari al contributo unificato previsto per il giudizio.
In sostanza, dunque, alla luce della modifica da ultimo apportata, chi dovesse risultare vittorioso in giudizio in virtù di un provvedimento integralmente corrispondente ad una proposta conciliativa cui abbia ritenuto di non aderire, non solo si vedrebbe (senz’altro) condannato a pagare le spese processuali, proprie e della parte soccombente, riferibili al periodo successivo alla formulazione della proposta e a versare una ulteriore somma di importo equivalente al contributo unificato dovuto per il giudizio, ma, qualora il processo abbia avuto una durata ”non ragionevole” (vale a dire superiore ai sei anni complessivi per i tre gradi), perderebbe altresì il diritto all’indennizzo altrimenti previsto dalla legge n. 89 del 2001.
L’indennizzo, invece, può essere richiesto qualora il provvedimento che definisce il giudizio non corrisponda integralmente al contenuto della proposta conciliativa. In tale ipotesi, di cui all’art. 13, co. 2, del D.lgs n. 28 del 2010, il giudice può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vittoriosa per l’indennità corrisposta al mediatore e per le altre spese di mediazione, ma unicamente qualora ricorrano gravi ed eccezionali ragioni.
Non resta che attendere la conversione del decreto legge, anche se non appaiono molto probabili emendamenti sul punto, proprio per la esplicita finalità della disposizione in esame.

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