Mediazione-civile-d.lgs-28-2010

Mediazione fiscale: no alla sospensione feriale dei termini

Con la circolare 22/E dello scorso 11 giugno, l’Agenzia delle entrate ha emanato nuove direttive in materia di programmazione e gestione della mediazione e del contenzioso tributario per il 2012.

In particolare, il documento precisa che la sospensione feriale dei termini dal 1° agosto  al 15 settembre non trova applicazione nell’ambito del procedimento di mediazione, che dovrà dunque in ogni caso concludersi nei 90 giorni previsti, dal momento che si tratta di una fase amministrativa e non processuale.

Da rilevare, peraltro, che per la proposizione dell’istanza di mediazione le regole sulla sospensione dei termini devono invece considerarsi rilevanti, come già precisato dalla circolare 9/E, in virtù dello ”stretto nesso tra la presentazione dell’istanza e la proposizione del ricorso giurisdizionale”.

In sostanza, fino all’istanza di mediazione si è all’interno di una fase processuale, alla quale dunque si applica la sospensione, mentre con la presentazione della stessa si entra in una  fase amministrativa, con conseguente irrilevanza dei termini.

In pratica, quindi, ove i 60 giorni dalla notifica dell’accertamento scadano nel periodo feriale, scatta la sospensione (per l’intero periodo di 46 giorni), e si potrà proporre reclamo dopo la conclusione di essa, con conseguente dovere per l’ufficio di adoperarsi nei successivi 90 giorni; se invece i 60 giorni scadono prima dell’inizio del periodo di sospensione, quest’ultimo non si applica e, dunque, l’ufficio dovrà provvedere entro i successivi 90 giorni.

Infine, la circolare prevede espressamente l’obiettivo minimo dell’esame del 90% delle istanze presentate dai contribuenti, con la conseguenza, quindi, che, a obiettivo minimo raggiunto, il restante 10% potrebbe non risultare neanche oggetto di considerazione da parte degli uffici.

Proposta di adeguamento della normativa comunitaria in materia di mediazione

All’esito della prima ricognizione sullo stato di attuazione della direttiva sulla mediazione (2008\52\CE), il Parlamento europeo, ritenendo i risultati nel loro complesso non soddisfacenti, propone di “esigere dagli Stati membri un numero minimo di mediazioni all’anno, per contribuire in modo concreto e misurabile a facilitare l’accesso alla giustizia dei casi che più lo meritano”.
In altri termini, secondo la proposta elaborata dai professori Mary Trevor e Giuseppe De Palo e dall’europarlamentare Arlene Mc Carthy, che verrà presentata alla Commissione giuridica del Parlamento europeo nel prossimo autunno, gli Stati membri dovrebbero attenersi a un ”Indice di relazione bilanciata” (Balanced Relationship Target Number) tra giudizi e mediazioni, in modo da perseguire il traguardo di un ideale equilibrio tra la percentuale delle controversie definite da una pronuncia giurisdizionale e quella dei casi risolti in via conciliativa e, dunque, stragiudiziale.
In conseguenza della proposta in esame, ciascuno Stato membro dovrebbe essere chiamato innanzitutto a predeterminare un numero, ossia un dato concretamente verificabile, di controversie civili che dovranno essere definite fuori dalle aule di giustizia. Ovviamente, ai fini dell’individuazione del numero in questione, si dovrebbe tenere conto non solo di indicatori generali di carattere macroeconomico, ma anche (e soprattutto) di elementi oggettivi specifici e comuni a tutti i Membri dell’UE, quali la situazione complessiva della giustizia civile nel singolo Stato e la sua dotazione in termini di infrastrutture di mediazione.
Ove tale numero non dovesse essere determinato e, naturalmente, ove non dovesse risultare rispettato, lo Stato membro incorrerebbe nella violazione della direttiva.
Secondo i normali dettami comunitari, ciascuno Stato, ai fini della definizione del proprio Indice potrà optare per gli strumenti normativi che reputi più confacenti alle sue peculiari problematiche, fermo restando che, ove le misure adottate non dovessero rivelarsi adeguate, l’UE potrebbe richiedere la modifica delle politiche fino a quel momento poste in essere.

Il Ministero della Giustizia fornisce precisazioni sul credito d’imposta

L’art. 20 del decreto legislativo n. 28 del 2010 prescrive gli adempimenti necessari per la determinazione della misura del credito d’imposta che la normativa in vigore riconosce per i procedimenti di mediazione.
Come è noto, il credito d’imposta è previsto con riferimento a tutte le procedure di mediazione, sia avviate facoltativamente sia nelle ipotesi in cui il tentativo si pone come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Laddove la mediazione abbia esito positivo, l’entità del credito è rapportata all’indennità versata ai soggetti che, presso l’organismo prescelto, hanno svolto il procedimento, mentre in caso di verbale negativo l’ammontare del credito è ridotto della metà.
In particolare, il comma 4 del menzionato art. 20 prevede che ”Il credito d’imposta deve essere indicato, a pena di decadenza, nella dichiarazione dei redditi ed è utilizzabile a decorrere dalla data di ricevimento della comunicazione di cui al comma 3, in compensazione ai sensi dell’art. 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché, da parte delle persone fisiche non titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo, in diminuzione delle imposte sui redditi. Il credito d’imposta non dà luogo a rimborso e non concorre alla formazione del reddito ai fini delle imposte sui redditi, né del valore della produzione netta ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive e non rileva ai fini del rapporto di cui agli articoli 61 e 109, comma 5, del testo unico sulle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
A tale proposito, il Ministero della Giustizia ha reso noto, il 12 giugno scorso, quanto di seguito riportato:
Con riferimento agli adempimenti inerenti al credito d’imposta, l’art. 20 del d. lgs n. 28 del 2010 ha prescritto specifici adempimenti per la determinazione della misura del credito di imposta.
Si segnala che:
a. è stata già inoltrata a tutti gli organismi di mediazione la richiesta di far pervenire presso la direzione generale della giustizia civile i dati di dettaglio necessari,
b. è in atto la predisposizione di un programma informatico che consentirà la compiuta comunicazione a tutti gli interessati dell’importo da poter far valere a titolo di credito d’imposta per le indennità corrisposte nell’anno 2011.
Si informa, inoltre, che nella sezione VI delle istruzioni per la compilazione della dichiarazione dei redditi 2012 è precisato che se la comunicazione (relativa al credito d’imposta) è pervenuta in data successiva alla presentazione della dichiarazione dei redditi, il credito d’imposta può essere indicato nella dichiarazione relativa all’anno in cui è stata ricevuta la comunicazione
”.

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Procedimenti di mediazione: prevalgono gli organismi privati

La Direzione generale di statistica del Ministero della Giustizia ha reso noti, il 6 giugno scorso, i risultati emersi dallo studio relativo all’attuazione del decreto legislativo n. 28 del 2010, nel periodo di riferimento che va dal 21 marzo 2011, data della sua entrata in vigore, alla fine del mese di aprile 2012.
Due sono i dati che appaiono di maggiore interesse.
In primo luogo, va rilevato che quasi la metà dei procedimenti di mediazione risultano instaurati presso organismi privati. Infatti, sopra un totale di 59.293 procedure definite nel periodo considerato, 28.768 risultano svolte presso organismi di diritto privato iscritti al registro del Ministero della Giustizia, contro le 15.916 delle 82 Camere di commercio e le 14.394 dei Consigli dell’ordine forense abilitati, con appena 214 procedimenti distribuiti tra i 59 altri ordini professionali.
Diversa invece la lettura dei dati ove si faccia riferimento alla media dei procedimenti svolti per organismo: a fronte di 50,5 procedure per organismo privato, infatti, risultano definite ben 194 mediazione per Camera di commercio e 139 per Consiglio dell’ordine abilitato.
Resta comunque il dato del più che frequente ricorso degli interessati ad organismi privati, che sembrano quindi essere oggetto di una percezione complessivamente favorevole da parte degli utenti, malgrado le pessimistiche previsioni da più parti avanzate, circa il profilo in esame, nei primi tempi successivi all’entrata in vigore della mediazione obbligatoria.

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Eccessiva durata del giudizio di equa riparazione dei danni derivanti dalle lungaggini processuali

Potrebbe apparire un paradosso ma purtroppo, nell’attuale situazione della giustizia italiana, non lo è.
Una recentissima pronuncia della Cassazione (Cassaz. civ., sez. VI, sent. 24 maggio 2012, n. 8283), anche sulla base degli indirizzi emersi a livello comunitario, ha ritenuto che la durata complessiva dei gradi di merito possa ritenersi ragionevole qualora non ecceda i due anni, stante la natura meramente sollecitatoria del termine (quattro mesi) previsto dalla legge n. 89 del 2001 e considerando, altresì, detto periodo di due anni proporzionato alla ragionevole durata del giudizio di legittimità, che, anche con riferimento ad un processo per equa riparazione, non può essere ristretto in limiti temporali inferiori ad un anno, come già più volte affermato dalla Corte.
D’altra parte, rileva la Corte, il giudizio per equa riparazione è un normale processo ordinario di cognizione, soggetto dunque, in quanto tale, all’esigenza di definizione in tempi ragionevoli allo stesso modo del procedimento presupposto, non potendosi ritenere “…che il giudizio dinnanzi alla Corte d’appello e l’eventuale impugnazione costituiscono una fase necessaria di un unico procedimento destinato a concludersi dinnanzi alla Corte europea (…) atteso che il procedimento interno rappresenta una forma di tutela adeguata ed efficace, sempre che, ovviamente, si svolga esso stesso nell’ambito di una ragionevole durata”.

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