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Il ministro Paola Severino: ”Giustizia più rapida, ma anche supporto alle imprese”

Il ministro della giustizia Paola Severino, intervenendo, il 5 giugno scorso, presso l’assemblea dell’Unione parmense degli industriali, ha avuto modo di illustrare i principali strumenti attualmente in cantiere ai fini dello snellimento della giustizia italiana.
Oltre alle misure relative alla riduzione dei tempi di giustizia, appare di particolare rilievo l’avvio, previsto per il prossimo mese di settembre, dei Tribunali delle imprese, in numero di 20 su tutto il territorio nazionale.
Si tratta di uno strumento pensato allo scopo di realizzare una sensibile velocizzazione delle controversie imprenditoriali, mediante l’introduzione di uffici caratterizzati da un alto tasso di specializzazione nelle materie in questione.
Ciò dovrebbe, negli auspici del ministro, rendere più celeri i processi riguardanti le attività di impresa: si tratta, come è noto, di un settore che risente in modo particolarmente gravoso della lentezza del nostro sistema giudiziario, dal momento che, oltre ai danni direttamente lamentati dagli imprenditori, si pone il problema della sempre più scarsa propensione agli investimenti esteri, ovviamente scoraggiati dalla prospettiva di attese pluriennali nell’ipotesi, sempre possibile, di controversie civili.

Tempi di giustizia: misure acceleratorie in vista?

Interessanti novità emergono, con riferimento alla tematica del contenimento dei tempi di giustizia, dalla bozza del decreto relativo a ”Misure urgenti per il riordino degli incentivi, la crescita e lo sviluppo sostenibile”, che sarà all’esame del Consiglio dei Ministri verosimilmente nel corso della settimana entrante.
In sintesi, due appaiono gli interventi allo studio di maggior impatto:
1) La previsione di un termine di durata massima del processo fissato in 6 anni (3 anni per il primo grado, 2 per il secondo e 1 per il giudizio di Cassazione); tali termini rileverebbero dunque per il riconoscimento dell’equo compenso derivante dall’eccesiva durata del processo. L’entità dell’indennizzo sarebbe determinata dal giudice, in misura non inferiore a 500 euro e non superiore a 1500 per ciascun anno o frazione di anno, purchè superiore a sei mesi, che ecceda il termine di ragionevole durata; peraltro, il giudice potrebbe condannare al versamento di una somma a favore della cassa delle ammende non inferiore a 1000 € e non superiore a 10000 € nel caso in cui la domanda di accesso all’indennizzo risultasse inammissibile o manifestamente infondata.
2) Inoltre, la previsione di un vero e proprio filtro in appello, in base al quale il giudice dello stesso potrebbe dichiarare inammissibile l’impugnazione per la quale non ravvisi una ragionevole probabilità di accoglimento: come si vede, una autentica ”prognosi”, in ordine all’accoglibilità dell’appello. La pronuncia del giudice sarebbe comunque ricorribile in Cassazione, sia pure nei limiti dei motivi specifici dedotti in appello, e l’innovazione non opererebbe nelle cause in cui è previsto l’intervento obbligatorio del P.M. e, ovviamente, nell’ambito dei processi sommari di cognizione ex artt. 702-bis segg. c.p.c.

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Pubblici dipendenti e attività di mediazione

Il Dipartimento della Funzione Pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri si è pronunciato in ordine al problema dell’esperibilità dell’attività di mediatore da parte dei pubblici dipendenti.
La nota n. 3357 del 2012 del Dipartimento precisa infatti che ”…l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di mediatore civile e commerciale per il pubblico dipendente può essere concessa solo nel caso in cui questa non generi incompatibilità con la funzione pubblica (ovvero quando sussiste un conflitto di interesse) né quando implichi una vera e propria attività professionale”.
Posto che il D. lgs 28/2010 e il D.M. 180/2010, e successive modifiche, che contengono, come è noto, la normativa in materia di mediazione, nulla precisano sul punto, la nota richiama i principi sull’incompatibilità di cui all’art. 53 del D. lgs 165/2001, il quale non consente al dipendente pubblico lo svolgimento di incarichi retribuiti, anche se occasionali, non compresi nei compiti e doveri d’ufficio, senza la previa autorizzazione dell’ente di appartenenza.
Di conseguenza, l’amministrazione di volta in volta dovrà procedere alla verifica preliminare della natura dell’incarico, che dovrà avere carattere occasionale e non implicare profili conflittuali di alcun tipo nei confronti dell’attività istituzionale. In caso di autorizzazione, dovrà essere espressamente previsto, inoltre, che l’incarico sia svolto al di fuori dell’orario di lavoro, ed in modo comunque compatibile con le esigenze della P.A.
Al fine di garantire la necessaria trasparenza ed onde evitare disparità di trattamento, appare dunque opportuno che ciascuna P.A. provveda ad adottare dei criteri generali per il rilascio delle autorizzazioni.

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Condominio e sinistri stradali: effetto boom sulla mediazione

I procedimenti di mediazione finalizzata alla conciliazione hanno fatto registrare un deciso incremento in conseguenza dell’introduzione, a partire dal 21 marzo 2012, del tentativo obbligatorio per le controversie in materia condominiale e per quelle relative ai danni cagionati dalla circolazione di veicoli e di natanti.
Si tratta certamente di un esito largamente prevedibile, ma la misura della crescita induce a riflettere su quanto uno strumento come la mediazione, soprattutto in determinati settori, possa risultare effettivamente deflattivo.
Infatti, il Ministero della giustizia ha reso noto che nel mese di marzo 2012 i procedimenti avviati presso gli organismi di mediazione sono aumentati del 26% (dai 9757 di febbraio a 12175).
Nello specifico, va rilevato come, pur avendo l’obbligatorietà riguardato i soli ultimi dieci giorni del mese di marzo, i procedimenti in materia di sinistri stradali si sono incrementati del 644% (da 115 a 856), mentre quelli relativi all-ambito condominiale hanno fatto segnare un più che incoraggiante aumento del 286% (ossia da 94 a 363).

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Opposizione a decreto ingiuntivo e onere di mediazione

Il Tribunale di Varese, con ordinanza 18 maggio 2012, nell’ambito di una controversia in materia di contratti bancari, ha affermato che l’onere di promuovere il procedimento di mediazione ex art. 5, D.lgs n. 28 del 2012, posto a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione, deve essere ritenuto incombente, nella fattispecie in esame, sull’attore “sostanziale”, da intendersi ai sensi del medesimo art. 5, vale a dire il creditore e non il debitore opponente.
Di conseguenza, successivamente alla pronuncia del giudice secondo quanto previsto dagli artt. 648 ovvero 649 c.p.c., la parte tenuta ad attivarsi al fine di evitare la declaratoria di improcedibilità è la parte opposta, proprio in quanto attore sostanziale e creditore effettivo, e non la parte che ha proposto opposizione, che nel successivo giudizio a cognizione piena assume la veste di attore unicamente sotto il profilo squisitamente formale.

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